mercoledì 9 gennaio 2013

C'è chi dice no ai diktat della nomenklatura. Merita tutto il nostro rispetto. - Sergio Di Cori Modigliani



Una buona notizia, vuol dire che c’è ancora della gente per bene in grado di ragionare. 
Chi segue la politica italiana, in questo periodo, non può non essere disgustato dalla orrenda kermesse di faccendieri, narcisisti, indagati, opportunisti, disoccupati, disperati, mascalzoni di turno, precari, che fanno la ressa per farsi candidare in qualunque lista, purchè si riesca a finire in parlamento con un buono stipendio. 
E’ uno spettacolo indecoroso e davvero osceno. 
Nessun media racconta ciò che sta accadendo all’interno del PD in questo periodo, dove c’è un numero sempre maggiore di persone che hanno dato se stessi per la politica, con la prospettiva di un futuribile buon governo, i quali, disgustati, si stanno dimettendo e se ne vanno. 
Si va configurando sempre di più la differenza tra un partito come il PD e il M5s, che potrei sintetizzare in mezza frase: “Bersani vuole vincere, Grillo vuole convincere”. Tanto più il PD va in giro per l’Italia a raccattare tutto ciò che “serve”, senza neppure annusare l’odore degli aspiranti alla candidatura, tanto più Grillo cerca di allertare gli italiani a una sveglia colossale nel nome di una dignità della propria presenza civica nell’agone politico. Sembrerebbe che le parti si siano capovolte
Tutti nel grande circo dell’anti-politica a fare affari e hanno lasciato Grillo, da solo, a parlare di politica. Una epopea davvero drammatica, e forse non è un caso che sia un grande comico di professione a cercare di cavalcare questa tragedia italiana. 
Questa, detto con il cuore, mi sembra sia la grande differenza. 
E’ chiaro ormai che la vecchia nomenclatura a sostegno dello status quo è disponibile a qualunque sorta di compromesso con chicchessia “pur di vincere”, esattamente come avviene nella squallida palestra della destra pidiellina, leghista, e in tutte le altre liste civiche al seguito. 
Qui di seguito, per intero, pubblico la lettera aperta di un soggetto politico attivo che si è sempre distinto per la sua capacità e dinamismo, onestà e serietà. Ha dato alla vita politica nazionale ben 40 anni della sua vita, facendo ciò che era per lui possibile. Prima nel Pci, poi nei DS, infine nel PD che ha contribuito a fondare. Ieri pomeriggio, disgustato dall’ultima riunione del direttivo nazionale del partito ha gettato la spugna e ha deciso di restituire la tessera e non rinnovarla. 
Ha scritto una lettera che ha indirizzato al segretario regionale del PD, ma ha scelto anche di renderla pubblica. Sulla stampa mainstream non la troverete. La pubblico qui per intero perchè, al di là del tono pacato e triste, assomiglia a un urlo civile e disperato di chi davvero non ce la fa più nell’essere testimone dello squallore narcisista che è diventato ormai, in questo paese, una seconda pelle esistenziale. Penso che questo cittadino, da sempre attivo in Sardegna, meriti il rispetto civile della intera comunità dei cittadini pensanti. Non è certo un ragazzino ingenuo, né tantomeno una persona confusa. E’ stato consigliere regionale del PCI in Sardegna, confermato dagli elettori nel PDS dal 1984 al 1994; è stato Assessore agli Affari Generali della Regione Sardegna e Assessore al Bilancio, distinguendosi per il suo buon ufficio, dal 2004 al 2009, ed è stato consulente personale dell’allora Presidente Soru. Uno che conosce la vita politica italiana come le sue tasche. Si chiama Massimo Dadea. Ecco la sua lettera aperta ai cittadini italiani di questa Repubblica.  

QUESTO PD È PEGGIO DELLA PEGGIORE DC. ECCO PERCHÉ NON RINNOVO LA TESSERA.
Caro Silvio,
dopo tanti anni di militanza nel "mio" partito – prima il Pci, poi il Pds, i Ds ed infine il Pd – ho deciso di non rinnovare la tessera. Una lunga militanza – spesso critica, sempre leale – in un partito che mi ha dato tanto e a cui penso di avere tanto dato.
La vicenda delle liste per la Camera e il Senato, il loro stravolgimento rispetto all'esito delle primarie, è solo l'ultimo atto di una serie di decisioni che hanno stravolto lo spirito, il DNA, di un partito che voleva essere autenticamente riformatore. Le primarie erano forse l'unico elemento veramente distintivo rispetto al desolante panorama dei partiti: la loro delegittimazione è una colpa grave che inficia in radice l'esistenza stessa del Pd.
Sarebbe facile, oggi, affermare che il PD è diventato un partito senza regole, ma non è così, le regole ci sono, solo che vengono stravolte, di volta in volta, a seconda delle necessità di un gruppo dirigente sempre più distante dal comune sentire degli iscritti e dei simpatizzanti. Questo vale per le primarie, ma come dimenticare il limite di mandato per i rappresentanti nelle assemblee elettive: una asticella che viene alzata o abbassata a seconda delle esigenze, in nome di un rinnovamento che deve interessare sempre gli altri, mai se stessi. Cosa dire poi dell'atteggiamento pilatesco rispetto a una "questione morale" che in Sardegna lambisce, non marginalmente, il Pd, alcuni dei suoi esponenti e dei suoi amministratori più in vista.
Un silenzio omertoso, squarciato da un qualche balbettio imbarazzato per giustificare candidature in palese contrasto non solo con il codice etico del partito, ma soprattutto in contrasto con il buon senso e l'intelligenza dei militanti. Un partito, il Pd, che finisce per punire la lealtà, la competenza, il fare disinteressato di quanti operano all'interno di una dimensione etica della politica, e premia, invece, l'incompetenza, l'ipocrisia, la furbizia, il pragmatismo bottegaio senza valori e ideali.
La vicenda delle candidature decise dalla Direzione nazionale ha dimostrato ancora una volta che il Pd rimane ancora la sommatoria delle vecchie appartenenze, dove a prevalere sono le cattive pratiche, le antiche consuetudini: il vecchio fare della peggiore Dc. Le liste "manomesse" a Roma sono la diretta conseguenza della inadeguatezza e della debolezza di un gruppo dirigente regionale che non è stato capace di costruire un Pd sardo, autonomo e federato con quello nazionale. Quella proposta, che tante aspettative e speranze aveva suscitato, si è infranta miseramente di fronte al "niet" pronunciato dalla Commissione Nazionale di Garanzia.
L'aver accettato supinamente quel "diktat" è stato un errore imperdonabile che peserà sul presente e sul futuro del Pd. E' con profonda tristezza che ho maturato la decisione di non rinnovare la tessera: una decisione sofferta, che ha il grande pregio di riconciliarmi con la mia coscienza.
Auguro a te, e ai tanti compagni di strada che mi sono stati vicini in questi 41 anni di militanza, un proficuo lavoro a favore della nostra.
Massimo Dadea

Lavoro, depositato un milione di firme in Cassazione.



Ma non si votera', per effetto dello scioglimento delle Camere.

Sono in corso in Cassazione le operazioni di deposito di oltre un milione di firme, raccolte da Idv, Rifondazione comunista e sindacalisti della Fiom, tra gli altri, per abolire la riforma dell'art.18 introdotta dal ministro Fornero e l'abolizione dell'art.8 del decreto Sacconi sui contratti di lavoro. Sui due quesiti, comunque, per effetto dello scioglimento delle Camere, non si votera', e il comitato promotore grida ''allo scippo''.
Complessivamente le firme su ciascuno dei due quesiti dovrebbero aggirarsi sulle 650-700 mila, manca una cifra ufficiale perche' la raccolta e' stata interrotta e solo ieri sera sono arrivate le firme successive al primo mezzo milione raccolto. Presenti al deposito Antonio Di Pietro, Paolo Ferrero, Angelo Bonelli, che insieme partecipano al movimento 'Rivoluzione civile' di Antonio Ingroia. Insieme a loro c'erano anche il sindacalista Gianni Rinaldini, Manuela Palermi e Francesca Redavid. 

RENATINO, MA CHE DICI? - Carlo Tarallo


BRUNETTA FA IL PALADINO DEL “NO ALLE CLIENTELE” E DIMENTICA LE SUE A RAVELLO (GLI RINFRESCHIAMO LA MEMORIA) - SINISTRATI O PARACADUTATI? PD CAMPANIA IN RIVOLTA PER LA CANDIDATURA BIS DELLA SEGRETARIA “PARTICOLARE” DI BEPPE FIORONI: E’ SPUNTATA NELLA LISTA AL SENATO MA QUI NESSUNO L’HA MAI VISTA - SCONGIURI PER ZAVOLI: I PROBABILI “PRIMI DEI NON ELETTI” AL SENATO GIA’ SI INFORMANO SULLA SUA SALUTE…

RENATO BRUNETTA DOCET
RENATO BRUNETTA DOCET

LA SEGRETARIA DI BEPPE FIORONI IN LISTA AL SENATO IN CAMPANIA
Merito, merito! E arriva la Pedoto. Chi? Il giorno dopo l'ufficializzazione delle liste del Pd, in Campania è guerra aperta contro i "paracadutati", a partire dalla madre di tutte le segretarie: Luciana Pedoto, ex assistente, capo staff e "pupilla" di Beppe Fioroni, spunta nella lista al Senato. Romana (ma lei rivendica antenati casertani) la sua "nomina" in Campania nel 2008 scatenò una tale guerra interna al partito che Bersani ha deciso... di ripetere l'esperienza.
ZAVOLIZAVOLI
Ed è subito caos: "Meno male - azzanna un sinistrato in lista - che i posti riservati al segretario dovevano essere riservati alle competenze. La Pedoto ce la ritroviamo sul groppone senza che sia, ovviamente, passata per le primarie e senza che in 5 anni nessuno l'abbia più vista da queste parti..."
Luigi De MagistrisLUIGI DE MAGISTRIS
SCONGIURI PER ZAVOLI
Ancora Senato: da ieri tutti si domandano per chi suona la Campania, tornata improvvisamente "too close to call" (1,5% il distacco tra centrosinistra e centrodestra) grazie alle ottime prospettive della lista Ingroia nel regno di Luigi De Magistris. Confermata capolista Rosaria Capacchione, al numero 2 c'è... Sergio Zavoli! L'ex direttore del Mattino (90 anni) ha davanti a sé 5 anni di scongiuri: da questa mattina i probabili "primi dei non eletti" non fanno altro che sincerarsi delle sue condizioni di salute...
BRUNETTA CONTRO LE CLIENTELE? E LE SUE?
Versante Pdl: dopo essere tornato in prima linea, Renatino Brunetta è pronto a candidarsi anche lui in Campania. Del resto, qui (a Ravello) ha trascorso buona parte degli ultimi mesi, qui si è sposato, qui ha tessuto le sue trame durante l'oscurità del Medioevo berlusconiano. Ma a qualcuno non è sfuggita la performance (bacchetta e lavagnetta) di due sere fa da Bruno Vespa. Brunetta a un certo punto ha proclamato: "Per tagliare gli sprechi bisogna eliminare le clientele!". Clientele? Senti chi parla! Ecco un bel dagoreport dello scorso settembre, quando il Banana era ancora "in sonno" e Renatino si faceva in quattro per "sistemare" i suoi fedelissimi....
LUCIANA PEDOTOLUCIANA PEDOTO
DAGOREPORT 7 settembre 2012 7
Gli incarichi ai fedelissimi di Brunetta sono come le ciliegie: una tira l'altra. Ma le location sono sempre le stesse: Formez e Fondazione Ravello. Ed ecco che spunta la quarta "poltrona" per il "cerchio magico" di Renatino. Ricapitoliamo, partendo dai primi tre episodi prima di arrivare alla quarta rivelazione, fresca fresca di giornata.

ROSARIA CAPACCHIONEROSARIA CAPACCHIONE
1-Il "braccio destro" di Brunetta in costiera amalfitana, Secondo Amalfitano, è stato nominato pochi giorni fa segretario generale della Fondazione Ravello, presieduta dall'ex Ministro (Ente fondato da Regione Campania, Provincia di Salerno, Comune di Ravello e Fondazione Mps). Amalfitano, che di Ravello è stato sindaco, vanta nel curriculum la carica di "consigliere per le autonomie locali e l'innovazione" all'epoca di Brunetta Ministro. Ma non solo...
Filippo Patroni GriffiFILIPPO PATRONI GRIFFI
2- Lo stesso Amalfitano è anche presidente di Formez Italia, clone parte-nopeo e parte-carrozzone del Formez, che sta per essere chiuso dalla Spending Review. Ma niente paura! Secondo quanto anticipato da Dago, sarebbe in arrivo per lui un prestigioso incarico alla casa madre, il Formez, con l'ok del Ministro Filippo Patroni Griffi. Particolare non secondario: Patroni Griffi siede a sua volta nel Consiglio generale di Indirizzo della Fondazione Ravello ed è stato capo di gabinetto di Brunetta ai bei tempi del Governo Berlusconi.
3- Come rivelato dal Fatto Quotidiano lo scorso 6 luglio, al Formez ha ottenuto un incarico (26mila euro) anche la segretaria di Brunetta, Federica Bonfirraro. Chi?
4- Lei! La stessa Federica Bonfirraro che, stando a indiscrezioni attendibilissime arrivate in queste ore a Dago, ha anche ottenuto qualche tempo fa un altro incarico... indovinate dove? Alla Fondazione Ravello, ovviamente! Federica si occuperebbe di ricerca di sponsor per la Fondazione e per l'omonimo Festival. E il poker è servito...

martedì 8 gennaio 2013

Auguri, David.

Ieri



Oggi




Alitalia: beffa agli italiani sotto la regia di Corrado Passera. - Gianluca Paolucci



Che fine hanno fatto "i patrioti" che nel 2009 avevano promesso di salvarla per conservarne l'italianità? Tutti grandi buffoni, che con il tempo, per un motivo o un altro, si sono dileguati.

ROMA (WSI) - Parliamo quando avremo tutti gli elementi, dice il ministro dello sviluppo economico Corrado Passera a proposito della cessione della compagnia che fu di bandiera ad Air France. Passera che, nella sua precedente vita di banchiere, è stato anche il gran regista dell’operazione che portò i «patrioti» a controllare la compagnia con la benedizione del governo Berlusconi lasciando fuori l’invasore francese. 

In effetti, a quattro giorni dalla scadenza degli accordi che imponevano di non vendere, tra i «patrioti» che nel 2009 hanno tenuto a battesimo la nuova Alitalia, in più d’uno ha dovuto passare qualche guaio e molti sarebbero felici di vendere. Iniziando dagli unici che hanno già detto addio, i fratelli Fratini, alle prese con una forte esposizione debitoria del loro gruppo che spazia dagli outlet al turismo di lusso. 

La loro finanziaria Fingen ha venduto nel 2011 alla Ottobre 2008, società controllata da Intesa Sanpaolo che ha portato così la sua partecipazione sopra al 10%. Sopra Intesa, socio e gran regista dell’operazione Cai realizzata ai tempi della gestione di Corrado Passera, ci sono i Riva con il 10,6%. 

Il caos Ilva ha portato una raffica di mandati d’arresto per gli esponenti del gruppo, mentre il vicepresidente Fabio Riva è ufficialmente latitante. 
Primo azionista è invece Air France. Le voci di un suo acquisto della compagnia sono state smentite ieri. Anche a Parigi, malgrado un mandato esplorativo assegnata a Lazard per studiare le opportunità, non se la passano tanto bene. 

Tra i patrioti di quell’inizio 2009 c’erano anche i Ligresti. Caduti nel frattempo in disgrazia, con penosa scia di indagini della magistratura, per i troppi debiti fatti e l’eccessiva leggerezza gestionale delle società quotate del loro gruppo.

Fondiaria Sai, titolare diretta della partecipazione in Alitalia, è così passata ai neo-patrioti di Unipol. E che dire di Francesco Bellavista Caltagirone, patron di Acqua Marcia? Dopo una lunga carcerazione preventiva terminata in dicembre è ancora indagato per truffa per le vicende del porto d’Imperia. 

Ma il suo gruppo immobiliare continua ad avere problemi di debito e liquidità, malgrado i vari piani di riassetto che si sono susseguiti dal 2010 in avanti. Poi c’è Antonio Angelucci, reuccio delle cliniche romane, editore e senatore Pdl. Da portantino a patriota, con qualche inciampo con la giustizia Se cercate informazioni su di lui non rivolgetevi a Wikipedia: la pagina è bloccata «per minaccia di azioni legali». 

Più recenti i fatti relativi all’immobiliarista Achille D’Avanzo, (Solido Holding): è indagato a Napoli dal novembre scorso, insieme all’ex numero uno del Sismi, Nicolò Pollari, per uno stralcio dell’inchiesta sulla P4. 

Tra i guai minori, da segnalare le liti di Marco Tronchetti Provera (Pirelli) con i soci Malacalza e il gruppo Gavio che nel frattempo ha perso il controllo di Impregilo, soffiata alla famiglia piemontese dai romani Salini, dopo una lunga battaglia non priva di colpi bassi. Chi di certo ci ha guadagnato è stato il gruppo Toto. Incassati 300 milioni per AirOne, continua ad incassare per girare gli Airbus prenotati dalla sua vecchia compagnia. 

Un buon affare, forse perfino troppo, dato che la nuova Alitalia ha avviato un contenzioso chiedendo indietro 20 milioni per una serie di magagne, emerse dopo l’acquisizione di AirOne da parte della compagnia. Chi sorride è Colaninno: la sua Piaggio ha chiuso il 2012, incrementando vendite e quota di mercato malgrado la crisi. La sua holding Immsi da ieri sorride un po’ di più. A mercati chiusi, ha smentito i contatti con Air France. Troppo tardi per frenare gli acquisti in Borsa, che nel frattempo avevano portato Immsi a guadagnare il 18%. 


CAMERON MINACCIA L’ARGENTINA. IL GOVERNO SUDAMERICANO RISPONDE E SCOPRE GLI ALTARINI GUERRAFONDAI. - Sergio Di Cori Modigliani



Dal punto di vista mediatico (oltre a quello sostanziale) è davvero molto interessante rilevare le modalità di uso e di consumo della guerra tra le due Cristine.
Il primo ministro inglese, David Cameron, ha scelto di dare una risposta alla lettera inviatagli dalla presidente argentina Cristina Kirchner, in diretta televisiva sulla BBC. Contrariamente alla tradizione giornalistica anglo-sassone, sempre molto corretta in frangenti come questi, l’emittente britannica non ha mostrato (né letto né sintetizzato) il testo originale inviato dalla Kirchner, accettando per buona la versione del primo ministro, il quale si è detto obbligato a intervenire in seguito “a minacce ricevute dal governo argentino in relazione alla sovranità di un pezzo del nostro territorio nazionale”.

Ecco qui di seguito l’estratto dell’intervista così come viene riportata dal Guardian, il più radicale tra i media britannici: UK will fight for the Falklands, says David Cameron 

In Italia non se ne parla, se non per un brevissimo pezzo diffuso dall’agenzia di stampa italiana AGI. 

Eccolo: Cameron, "Pronti alla guerra per difendere le Falkland"

08:05 07 GEN 2013
(AGI) - Londra, 7 gen. - Londra e' pronta alle armi per difendere le Falkland. David Cameron rispolvera parole di guerra di fronte alle nuove rivendicazioni avanzate dal presidente dell'Argentina, Cristina Kirchner, che aveva accusato Londra di esercitare sulle terre contese, e all'origine di una guerra tra i due Paesi, "un colonialismo da diciannovesimo secolo". La Gran Bretagna, ha detto Cameron intervistato dalla Bbc, possiede "forti armi di difesa" sul posto ed e' "assolutamente chiaro" che le usera' nel caso di un confronto militare. "Ricevo regolarmente una serie di rapporti sulla questione", ha sottolineato Cameron, "poiche' voglio sempre essere al corrente della nostra solidita' militare e della nostra determinazione. Abbiamo diversi caccia e' unita' militari nelle Falklands". A marzo i 3.000 abitanti delle isole esprimeranno in un referendum il desiderio di restare o meno nella Gran Bretagna.

Né in Italia, né in Gran Bretagna, né in nessun altro paese europeo –con l’eccezione della Francia, della Cekia e dell’Irlanda-  sono state diffuse le reazioni sudamericane, sia quelle “ufficiali” del governo che quelle della stampa e della società civile. Ecco, qui di seguito, l’editoriale del quotidiano La Naciòn (il corrispondente argentino del nostro corriere della sera) da sempre su posizioni moderate di centro:

Il testo recita così: El Gobierno repudió las "amenazas militaristas" de Cameron por Malvinas 

Mentre l’Europa fa finta di niente con la consueta miopia che la contraddistingue, pungolata soltanto da Hollande, che ha dichiarato “essendo stata inviata una copia della lettera, oltre che al segretario dell’Onu, anche all’Unione Europea, sarebbe auspicabile aprire immediatamente una discussione in merito presso le diplomazie dei 27 paesi membri” i cittadini del nostro continente non sono in grado di poter comprendere che cosa stia accadendo.

In verità, tutto ciò è una semplice tappa della “guerra tra le due Cristine”, tant’è vero che in Europa è stata completamente censurata sia l’intera dichiarazione ufficiale del governo argentino, sia le reazioni brasiliane, uruguaiane, cilene, ecuadoriane, boliviane, venezuelane, tutte relative allo scontro economico tra i due continenti.

Sostiene il governo argentino “riteniamo che le dichiarazioni del premier britannico David Cameron, che ha scelto di usare toni minacciosi dal sapore bellico come risposta a una nostra lettera diplomatica (la cui richiesta consisteva nell’aprire un tavolo di discussione) non possiamo non considerare tale risposta come un semplice diversivo per impedire alla popolazione britannica di prendere atto che il governo inglese sta scegliendo di investire una gigantesca somma di denaro pubblico in armamenti e forniture belliche, a danno della ripresa economica, dello sviluppo e del progresso. Riteniamo che la Gran Bretagna e l’Europa, invece di flettere i muscoli minacciando la guerra, dovrebbero piuttosto occuparsi di portare guerra alla disoccupazione, all’abbattimento dello stato sociale, alla miseria che si sta diffondendo sempre di più in tutto il continente europeo. Non è una novità che le potenze, quando sono all’angolo, tentano di esportare i propri problemi all’estero “inventando” delle guerre per cercare, irresponsabilmente, di poter risolvere così dei conflitti interni”. 

Siamo venuti a sapere, quindi (così come la maggior parte degli internauti inglesi) attraverso i networks sudamericani, sia quelli mainstream che quelli indipendenti digitali, come il parlamento britannico stia per varare una serie di misure governative che daranno il via a un investimento di circa 80 miliardi di sterline (intorno a 100 miliardi di euro) a favore del Ministero della Difesa, nel nome della “assoluta e inderogabile necessità di provvedere alla salvaguardia e difesa nazionale”, per acquistare nuove armi e aumentare il budget militare, seguitando a tagliare le spese nei settori della sanità e dell’istruzione. La controversia su queste piccolissime isolette in fondo al Polo Sud capita a fagiolo per David Cameron.

Il fatto è che le guerre (secondo la tradizione sia formale che legale) in Gran Bretagna le dichiara e le lancia la corona. Se non c’è la firma del re, non c’è nessuna guerra. E il principe Carlo (a un passo dall’esercitare il suo mandato) -è cosa nota- è un uomo incline al pacifismo, è disponibile a risolvere subito la faccenda in maniera diplomatica e armoniosa, pende verso la green economy, e non ha nessuna intenzione di finire sui libri di Storia come il re che ha procurato al popolo britannico fame, disperazione e sofferenza per salvaguardare gli interessi dei colossi finanziari e di qualche generale in fregola. E’ proprio il caso di dire: noblesse oblige.

Questa zuffa tra la Kirchner e Cameron, pertanto, non è una cosa da poco.
E’ ben più importante delle discussioni tra Monti, Barroso e la Merkel, perché ormai l’hanno capito tutti che si tratta soltanto di finzioni formali.

E’ lo scontro tra due diverse e opposte interpretazioni del ruolo che la classe dirigente politica di ogni nazione in occidente deve assumersi la responsabilità di scegliere di avere in questo momento: proseguire nell’attuale piano di strozzamento del mondo del lavoro, aumentando la disoccupazione, abbattendo lo stato sociale, restringendo gli investimenti pubblici nel nome del rigore e dell’austerità imposte dal fiscal compact, favorendo soltanto i colossi finanziari, le banche e l’industria degli armamenti, oppure cambiare rotta e applicare delle politiche economiche espansive, di stimolo all’investimento, per rilanciare l’economia civile restringendo i budget militari.  v Se prendiamo le due frasi, sia quella di Cameron che quella della Kirchner, ci rendiamo conto di quale sia la posta in gioco e come, dietro tutta questa vicenda, ci sia l’invisibile e onnipresente mano del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Dice Cameron: “Difenderemo le Falkland anche con la guerra se necessario”. Sostiene la Kirchner: “Meno cannoni e meno bombardieri e più lavoro e più occupazione: di questo ha bisogno l’Europa non di una guerra ”.

Cameron ha poi risposto al governo argentino con aria sprezzante e razzista “Non accettiamo da un lontano staterello sudamericano lezioni su ciò che l’Europa deve o non deve fare”. 

E la Kirchner ha risposto: “E allora, se è così, perché l’Europa ci invia di continuo degli ispettori del Fondo Monetario Internazionale per dirci ciò che noi dobbiamo fare in materia economica, prospettandoci delle manovre che in Europa hanno prodotto soltanto miseria e dolore distruggendo l’economia europea?”.

Riguarda tutti noi, dunque.

Non si tratta di una polemica sterile, bensì di uno scontro sostanziale.

Tant’è vero che da anglo-argentino, questo conflitto è diventato in pochissime ore uno scontro tra l’Europa e il continente americano. Questo voleva Christine Lagarde.

E’ la conferma di una spaccatura storica che non riguarda delle isolette inutili, ma ben altra materia. Rivela uno scontro poderoso tutto interno alla vita politica britannica tra la massoneria conservatrice inglese che controlla la finanza della city e la corona, la quale –non a caso- cinque mesi fa ha ordinato come arcivescovo di Canterbury, la più alta carica religiosa, un uomo di cui si è parlato molto poco ma la cui nomina ha sconvolto più di un club che a Londra conta. Il capo dei pastori anglicani è un uomo che ha lavorato venti anni come analista finanziario nella centrale di Goldman Sachs, poi si è dimesso e ha pubblicato un libro rispetto al quale le dichiarazioni di Paolo Barnard sono gridolini da scuola elementare. In seguito a quella esperienza il capo degli anglicani sostiene di aver avuto una conversione religiosa e di aver scelto “di dedicare il resto della mia esistenza all’abbattimento della dittatura malefica dei colossi finanziari di cui conosco perfettamente i macabri rituali di morte e di devastazione delle esistenze” (è uno che parla così). La corona inglese lo adora, lo stima e lo rispetta. Soprattutto il principe Charles. Tant’è vero che l’hanno scelto tra 42 potenziali candidati. 

E’ lo stesso tipo di scontro che si sta verificando in Usa tra i repubblicani e i democratici. In gioco, a Washington, sul piatto della bilancia, ci sono investimenti per 6.000 miliardi di dollari. I repubblicani li vogliono passare alla difesa dove i militari protestano perché dalla fine della guerra in Iraq, per loro, è finita la festa delle sovvenzioni statali a pioggia. Nei suoi due mandati presidenziali, George Bush jr. ha succhiato alle casse della Banca d’America 11.000 miliardi di dollari. Obama e i democratici hanno detto: basta così, e guardano al Sudamerica. 

Ecco perché la nostra Christine Lagarde si è impuntata con l’Argentina. Sono in ballo decine di migliaia di miliardi di euro da investire nella finanza bellica: è la strada maestra indicata dal Fondo Monetario Internazionale, alla quale l’Italia ha aderito. E le scelte sudamericane, se si cementano con l’amministrazione Usa ponendo fine all’annoso e tragico conflitto tra il settentrione e il meridione del continente americano, possono anche far saltare l’euro e tutte le politiche di rigore e di austerità.

Non è certo casuale che nel cuore dell’Europa sia sceso in campo, personalmente, per tendere una mano al discutibile Gerard Depardieu, lo zar Putin in persona. Un segnale chiaro e forte all’Europa. In altri tempi avrebbe provocato un incidente diplomatico. 

Questi sono i giochi. 

L’Europa, in questo momento, è in pugno alla finanza di Londra e allo zar Vladimir Putin. 

Come ha detto un diplomatico francese a un recente ricevimento a Parigi “peccato che Napoleone non ce l’abbia fatta nel 1812 sulla Beresina: sarebbe stata davvero tutta un’altra Europa”.

Una boutade che sottoscrivo, nella sua surrealtà.

Quel dittatore pazzo e megalomane di Ajaccio mi sta sempre più simpatico. 

Avevano ragione sia Stendhal che Beethoven che Alessandro Manzoni. 

Buona settimana a tutti.


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Il PD...



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