venerdì 22 marzo 2013

I marò in viaggio verso New Delhi.



Roma - (Adnkronos/Ign) - Girone e Latorre tornano in India. Palazzo Chigi: ''Ottenuta dalle autorità indiane l'assicurazione riguardo alla loro tutela". Napolitano: ''Da Latorre e Girone senso di responsabilità, spero presto riconosciute le loro ragioni''. Alfano: ''Decisione grave, tragico ritorno a Italietta''. Gen. Del Vecchio: ''Sconcertato, è doccia fredda''.Marò indagati per violata consegna dalla Procura militare di Roma.

Roma, 22 mar. (Adnkronos/Ign) - I due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre sono in viaggio verso New Delhi. Palazzo Chigi in una nota ha spiegato di aver ''ottenuta dalle autorità indiane l'assicurazione riguardo alla loro tutela''.
Prima di procedere con il rientro a Nuova Delhi dei due fucilieri, "il governo italiano ha chiesto all'India chiarimenti" sulle condizioni cui sarebbero stati soggetti i marò al loro rientro e sull'applicabilità della pena capitale, ha detto il ministro degli Esteri indiano, Salman Khurshid, riferendo sul caso alla Lok Sabha a Nuova Delhi.
"Il governo ha informato il governo italiano che" Girone e Latorre "non sarebbero stati soggetti all'arresto se fossero rientrati entro la scadenza fissata dalla Corte Suprema indiana e che - in base ad una giurisprudenza indiana ben consolidata - questo caso non rientra nelle categorie di casi che prevedono la pena capitale, ossia casi rarissimi. Perciò non deve esservi alcuna preoccupazione al riguardo".
Questi chiarimenti, ha poi reso noto il ministro, verranno presentati alla Corte Suprema. "A seguito del chiarimento abbiamo avuto conferma del fatto che il governo italiano sta organizzando il rientro dei due marò italiani entro la data concessa dalla Corte Suprema. Sono lieto che la vicenda sia arrivata ad una conclusione soddisfacente e che il processo a carico dei marò proceda in linea con le disposizioni della Corte Suprema del 28 gennaio 2013".
Khurshid ha anche dichiarato: "Alla fine posso dire che la diplomazia continua a lavorare mentre tutti pensano che tutto è perso e quindi per favore date alla diplomazia qualche possibilità in più di gestire le cose che sono importanti per il nostro paese".
Questo quanto dichiarato Khurshid ha reso noto che informerà il Parlamento degli ultimi sviluppi. Quanto ai prossimi passi, il capo della diplomazia indiana ha tenuto a precisare che "la legge resta la stessa. Nulla cambia dal punto di vista legale".


Camere eleggono vice e questori, M5S in stanza bottoni.


I deputati del M5S in Parlamento


Di Maio vicepresidente a Montecitorio, al Senato Bottici questore.

Senato e Camera eleggono ciascuno i quattro vice presidenti, che coadiuveranno Pietro Grasso e Laura Boldrini nella conduzione delle due Assemblee legislative. E danno anche il via ai tre questori di Palazzo Madama e Montecitorio che costituiscono a tutti gli effetti i Consigli di amministrazione dei due rami del Parlamento.
La novità sta nell'elezione, grazie alla rinuncia degli altri partiti, di un deputato di M5s a vicepresidente della Camera e di una senatrice tra i questori, il che implica una "costituzionalizzazione" del Movimento che si presenta come anti-sistema, che che ha comunque deciso di assumere dei ruoli istituzionali. Un po' come avvenne nel 1994 per la Lega. Il Movimento guidato da Grillo non aveva i numeri per eleggere i propri uomini negli incarichi di Senato e Camera, e si è rifiutato di incontrare gli altri partiti, come pure prevedono i Regolamenti parlamentari, per concordare i nomi da votare. Nei giorni scorsi ha chiesto ad essi di "riconoscere" il ruolo di M5S. E così è stato.
Il passo indietro degli altri partiti, Pd in testa, ha permesso al Movimento di entrare nella "stanza dei bottoni". "Noi abbiamo avuto rispetto dei loro elettori - ha commentato Pier Luigi Bersani - loro non hanno avuto rispetto dei nostri. Punto".
I nuovi vicepresidenti della Camera sono Maurizio Lupi del Pdl, Marina Sereni e Roberto Giachetti del Pd, e il 5 Stelle Luigi Di Maio. 27 anni, studente fuori corso di giurisprudenza. Insieme ai suoi tre colleghi, e a Boldrini, dovrà essere garante in aula di tutti i gruppi, compresi quelli degli odiati "partiti". I questori, cioé il Cda della Camera, saranno il Pd Paolo Fontanelli, Gregorio Fontana del Pdl, e l'ex magistrato Stefano D'Ambruoso, di Scelta Civica. Sel ha votato il candidato di 5 Stelle, Laura Castelli, nel tentativo di creare una premessa per una alleanza politica, negata però dal Movimento. Un questore a 5 Stelle ci sarà invece al Senato, e sarà Laura Bottici, eletta con i voti del Pd.
Si troverà non tanto a "fare le pulci", come ha detto il M5S, ma a decidere le spese del "Palazzo" e della "casta", entrando quindi a pieno titolo in queste due categorie invise. La sfida sarà riuscire a cambiarne le abitudini. Assieme a lei Lucio Malan (Pdl) e Antonio De Poli (Sc). I quattro vicepresidenti a Palazzo Madama saranno Maurizio Gasparri (Pdl), Valeria Fedeli (Pd), Roberto Calderoli (Lega) e Linda Lanzillotta (Scelta civica). La situazione ricorda quella del 1994, quando furono eletti 118 deputati e 59 senatori della Lega che tra cappi agitati in aula (Leoni Orsenigo), minaccia di pallottole contro i magistrati (Umberto Bossi) e di secessione, la Lega appariva antisistema. La sua "costituzionalizzazione" avvenne proprio attraverso la nomina a questore della Camera di Maurizio Balocchi, anche quella fatta all'insegna della lotta agli sprechi, e di Marcello Staglieno alla vicepresidenza del Senato.

giovedì 21 marzo 2013

Inchiesta Ior, un caso diplomatico. - Emiliano Fittipaldi e Vittorio Malagutti

Michele Briamonte

L'uomo chiave delle nuove indagini sulla banca del Vaticano si chiama Michele Briamonte. Consulente Ior e consigliere di Monte Paschi, è stato fermato all'areoporto di Ciampino con un alto prelato, il segretario di Tarcisio Bertone. La guardia di Finanza voleva perquisirlo, ma lui ha esibito il passaporto della Santa Sede.

Roma, aeroporto di Ciampino. Una mattina di fine febbraio due passeggeri sbarcano da un aereo privato appena atterrato da Torino. La coppia si avvia verso l'uscita a passo svelto. Pochi minuti e gli agenti della Guardia di Finanza li circondano. Le Fiamme gialle cercano loro. Sì, proprio loro. Roberto Lucchini, un sacerdote, e Michele Briamonte, giovane e brillante avvocato dello studio torinese Grande Stevens nonché consulente legale dello Ior.

Lucchini non è un prete qualunque, ma un monsignore, un diplomatico della Santa Sede. I finanzieri hanno un mandato di perquisizione e chiedono alla coppia di consegnare le borse e i documenti in loro possesso. Con gran sorpresa dei militari, Briamonte e Lucchini mostrano il passaporto diplomatico del Vaticano. Come faccia Briamonte non si sa: il documento potrebbe essere un passaporto "di servizio", rilasciato in casi eccezionali dalla segreteria di Stato.

Con quel documento (anche se non garantisce l'immunità) Briamonte cerca di non farsi perquisire. Comincia a fare telefonate. La richiesta d'aiuto arriva subito a destinazione. Si muove il Vaticano. Il messaggio è chiaro: «Nessuna perquisizione», in caso contrario l'incidente diplomatico tra Italia e Santa Sede sarebbe inevitabile. Dopo qualche tira e molla, il pressing della segreteria di Stato alla fine ha successo. L'avvocato e il monsignore si tengono strette le borse ed escono dall'aeroporto. Entrambi però sanno bene che la vicenda non si chiude qui.

L'affondo della magistratura, con la tentata perquisizione all'illustre coppia di viaggiatori segnala un salto di qualità nelle indagini della procura romana sugli affari dello Ior, la banca del Vaticano. L'inchiesta aperta a Roma sin dal 2009 si arricchisce così di un nuovo filone. E chissà se papa Francesco, da pochi giorni nel pieno dei suoi poteri, è già stato informato di questa nuova grana. Preti infedeli, banchieri e bancari, perfino malavitosi vicino alla banda della Magliana. Il vaso di Pandora della finanza vaticana riserva sempre nuove sorprese. E adesso al centro dell'attenzione finiscono, loro malgrado, don Lucchini e Briamonte. 


Non sappiamo perché i due viaggiassero insieme e quali documenti gli investigatori sperassero di trovare nelle loro valigie. Certo è che il monsignore bloccato a Ciampino viene descritto come un diplomatico di rango, un nome che conta nell'organigramma della segreteria di Stato guidata da Tarcisio Bertone. Il suo compagno di viaggio Briamonte appare invece come l'anello di congiunzione tra due vicende ugualmente scottanti: lo Ior e l'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena. 

Sarà un caso, ma il 5 marzo, proprio pochi giorni dopo l'incidente di Ciampino, il giovane e rampante avvocato, classe 1977, si è visto perquisire ufficio e casa nel centro di Torino su ordine dei pm senesi che indagano sulle presunte malversazioni al Monte. Briamonte, che è entrato nel consiglio della banca solo 11 mesi fa, non è indagato. L'intervento della procura di Siena in questo caso è legato alla denuncia presentata dagli stessi vertici di Mps per scoprire chi tra i consiglieri abbia passato a due quotidiani la notizia, che doveva restare segreta, dell'avvio di una causa per risarcimento danni contro Deutsche Bank e Nomura.«Sono del tutto tranquillo», ha dichiarato Briamonte il giorno delle perquisizioni. Quelle per cui non ha potuto ripararsi dietro lo scudo del passaporto diplomatico della Santa Sede.

L'avvocato è di casa Oltretevere. A garantire per lui, almeno da principio, era il suo maestro Franzo Grande Stevens che da decenni è in prima fila tra i legali di fiducia della curia papale. Già nel 1993, nel pieno di Mani pulite, quando lo Ior rischia di essere travolto dallo scandalo del riciclaggio della maxitangente Enimont, la regia della difesa vaticana venne affidata a Grande Stevens. 

Briamonte però ha imparato in fretta a muoversi nelle segrete stanze della Santa Sede dove gode della massima considerazione. Secondo quanto è emerso nei mesi scorsi sarebbe lui l'autore del parere che fornisce allo Ior le basi legali per opporsi alla richiesta dell'Aif (l'Autorità di vigilanza finanziaria vaticana) di informazioni che riguardano operazioni concluse entro il primo aprile del 2011.


Da quella data, infatti, entravano in vigore le nuove norme in materia di trasparenza bancaria, adottate dalla Santa Sede per effetto delle pressioni internazionali. Secondo Briamonte, però, quelle regole non avevano validità retroattiva e quindi andavano applicate solo dall'aprile 2011 in avanti. 

Si apre un nuovo fronte nell'inchiesta giudiziaria sullo Ior, la banca del Vaticano. A fine febbraio la Guardia di Finanza ha fermato all'aeroporto romano di Ciampino monsignor Roberto Lucchini e l'avvocato Michele Briamonte, due nomi eccellenti della nomenklatura della Santa Sede. Il primo lavora nella segreteria di Stato guidata dal cardinale Tarcisio Bertone, mentre il legale, partner dello studio torinese Grande Stevens, è da anni consulente dello Ior.

Briamonte e Lucchini si sono opposti alla perquisizione esibendo un passaporto diplomatico vaticano. Dopo una convulsa trattativa e numerosi contatti telefonici con la segreteria di Stato, l'avvocato e il monsignore hanno potuto lasciare l'aeroporto romano senza consegnare ai militari le loro borse. Resta un mistero perché Briamonte, che non è cittadino vaticano, abbia a disposizione un passaporto della Santa Sede.

Di certo, l'episodio di Ciampino, con tanto di incidente diplomatico sfiorato tra Italia e Vaticano, segnala che l'inchiesta aperta a Roma sin dal 2009, con al centro gli affari dello Ior, si arricchisce di un nuovo filone. E tra i protagonisti della storia fa il suo ingresso in scena un professionista giovane e rampante del calibro di Briamonte, classe 1977, da tempo uno dei più ascoltati consulenti della curia papale.

L'avvocato torinese, allievo prediletto di Franzo Grande Stevens, il legale della famiglia Agnelli da almeno un ventennio molto introdotto anche in Vaticano, appare adesso come l'anello di congiunzione tra due vicende ugualmente scottanti: lo Ior e l'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena. Sarà un caso, ma il 5 marzo, proprio pochi giorni dopo l'incidente di Ciampino Briamonte si è visto perquisire casa e ufficio su richiesta della procura di Siena che indaga su un presunto caso di insider trading denunciato dagli stessi vertici di Mps.


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/inchiesta-ior-un-caso-diplomatico/2203154

Trattativa, pg Cassazione: “Azione disciplinare contro i pm di Palermo”.


Trattativa, pg Cassazione: “Azione disciplinare contro i pm di Palermo”


Il procuratore generale della Cassazione ha promosso l’azione disciplinare nei confronti del pm di Palermo Nino Di Matteo e, per una violazione minore, del procuratore del capoluogo Francesco Messineo. A Di Matteo si contesta l’avere “ammesso l’esistenza delle telefonate tra l’ex ministro dell’Interno Mancino e il capo dello Stato”.

Si aggiunge un nuovo capitolo alla vicenda trattativa Stato-mafia. Non è penale, ma di assoluto rilievo. Il procuratore generale della Cassazione ha promosso l’azione disciplinare nei confronti del pm di Palermo Nino Di Matteo e, per una violazione minore, del procuratore del capoluogo Francesco Messineo. A Di Matteo si contesta l’avere “ammesso l’esistenza delle telefonate tra l’exministro dell’Interno Mancino e il capo dello Stato”. 
Nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, per cui nei giorni scorsi  il giudice per l’udienza preliminare di Palermo ha rinviato tutti gli imputati a giudizio, era emersa l’esistenza di conversazione tra l’ex presidente del Senato Mancino (all’epoca indagato, ndr) e Giorgio Napolitano. Il presidente della Repubblica aveva sollevato un conflitto di attribuzione con la Procura di Palermo – che ha sempre considerato quelle telefonate prive di rilievo. La Corte Costituzionale aveva quindi stabilito che il capo dello Stato, in quanto “supremo garante dell’equilibrio dei poteri dello Stato”, non è mai intercettabile. Per questo i giudici aveva disposto la distruzione dei “nastri”.Che è stata disposta poco più di un mese fa dal gipLe conversazioni non sono state distrutte perché è stato presentato ricorso da parte degli avvocati di Massimo Ciancimino in Cassazione.
Nel provvedimento, notificato ai due magistrati tramite la Procura generale della Corte d’appello di Palermo, si contesta a Di Matteo, tra i titolari dell’ indagine sulla trattativa Stato-mafia, di “avere mancato ai doveri di diligenza e riserbo” in un’intervista rilasciata nel giugno scorso in cui il pm aveva “ammesso seppure non espressamente l’esistenza delle telefonate tra Mancino e Napolitano”. Secondo il pg in questo modo il magistrato avrebbe “indebitamente leso il diritto di riservatezza del capo dello Stato” riconosciuto dalla sentenza della Corte costituzionale che ha accolto il ricorso del Quirinale sul conflitto di attribuzioni con la procura di Palermo. Al procuratore, invece, si contesta di non avere segnalato le violazioni commesse da Di Matteo ai titolari dell’azione disciplinare.
La Consulta aveva stabilito che “non è ammissibile è l’utilizzazione di strumenti invasivi di ricerca della prova, quali sono le intercettazioni telefoniche, che finirebbero per coinvolgere, in modo inevitabile e indistinto, non solo le private conversazioni del Presidente, ma tutte le comunicazioni, comprese quelle necessarie per lo svolgimento delle sue essenziali funzioni istituzionali, per le quali, giova ripeterlo, si determina un intreccio continuo tra aspetti personali e funzionali, non preventivabile, e quindi non calcolabile ex ante da parte delle autorità che compiono le indagini. In tali frangenti, la ricerca della prova riguardo ad eventuali reati extrafunzionali deve avvenire con mezzi diversi (documenti, testimonianze ed altro), tali da non arrecare una lesione alla sfera di comunicazione costituzionalmente protetta del Presidente”.
Per i magistrati della Corte Costituzionale “alla luce della normativa costituzionale e ordinaria… la posizione del Presidente della Repubblica non sarebbe assimilabile a quella del parlamentare: solo il secondo infatti può essere sottoposto a intercettazione da parte del giudice ordinario” e in questo senso la Procura di Palermo avrebbe “fatto un uso non corretto dei propri poteri” non distruggendo immediatamente le conversazioni. I giudici osservavano che il presidente della Repubblica “è stato collocato dalla Costituzione al di fuori dei tradizionali poteri dello Stato e, naturalmente, al di sopra di tutte le parti politiche”.
La vicenda intercettazioni va avanti ormai da oltre un anno. Le telefonate risalgono infatti a fine 2011, ma la storia è divenuta pubblica solo nel giugno 2012. L’utenza messa sotto controllo su mandato degli inquirenti – vale la pena ricordarlo – era quella di Mancino, in quella fase indagato e oggi imputato di falsa testimonianza: secondo i pm, l’ex ministro, insediatosi al Viminale il primo luglio 1992, sapeva della trattativa e avrebbe mentito sui rapporti tra pezzi dello Stato e pezzi diCosa Nostra intercorsi nei primi anni ’90. Mancino, preoccupato per l’inchiesta che lo riguardava, ha fatto diverse diverse telefonate contattando anche lo stesso Napolitano. Ma per chiudere la vicenda servirà ora anche il via libera definitivo della Suprema Corte. 

Famiglie sempre più indebitate. Una su 4 non riesce a pagare l’affitto.



Crescono quelle che non riescono a fronteggiare le spese per la salute, per la scuola e perfino gli alimentari.

Peggiorano le condizioni delle famiglie piemontesi: una su quattro ha difficoltà a pagare bollette e affitto, crescono quelle che non riescono a fronteggiare le spese per la salute, per la scuola e persino quelle alimentari. Per la prima volta il numero di chi s’indebita supera quello di chi risparmia, non era successo nemmeno nell’anno di più forte crisi, il 2008. I dati sono dell’Ires che ha pubblicato la rilevazione annuale del Clima d’opinione, effettuata nel mese di febbraio 2013. 

Scendono dal 4 all’1,5% le famiglie che registrano un miglioramento e aumentano di molto (dal 46 al 56,7%) quelle che peggiorano. L’uscita di molte famiglie dal “limbo” di chi si manteneva fra miglioramento e peggioramento della situazione economica è quindi avvenuta verso il basso. In compenso le prospettive future, pur rimanendo negative, lo sono leggermente meno che nell’anno precedente: per il 10,4% circa delle famiglie la situazione personale migliorerà nel 2013 (all’incirca come l’anno scorso), mentre quelli che vedono nero scendono dal 30 al 27,7%. Aumenta però dal 19 al 24% la percentuale di chi ha difficoltà a fare quadrare il bilancio familiare e sono un po’ di meno quelli che riescono a risparmiare (dal 23,4 al 22,8%). Crescono quindi quelli che si indebitano o erodono le riserve (dal 19,9 al 26,3%). 

Cresce ancora di più il numero di chi ha difficoltà nelle spese per la salute, che passa dall’11 al 24% e con le spese scolastiche (dal 7% a quasi l’11%). Persino per le spese alimentari si passa dal 6% al 13,9%, più che un raddoppio. In generale le famiglie con difficoltà per almeno un motivo (casa, salute, scuola, alimentari, debiti, servizi alla persona) passano dal 43,2% al 51,9%, valore superato solo nel 2008. Così le persone in difficoltà superano quelle senza alcuna difficoltà (anche questo si era verificato solo nel 2008). 

Andrea Scanzi.



Mi fa molto ridere come in questo paese, ciclicamente, si creino degli intoccabili. 
A fine 2011 toccò a Monti e Fornero, santi e divini anzitutto per il Pd (quello stesso Pd che prima li ha appoggiati e ora si è accorto chi fossero realmente). 
Solo il Fatto metteva in guardia e diceva che era meglio andare al voto (e infatti). 
Purtroppo la "sinistra" italiana capisce le cose con anni di ritardo. 
Ora è la volta di Grasso: il Santo. 
È meglio di Schifani: ovvio. 
Lo avrei votato al Senato: sì. 
Ma abbiate memoria. 
1) era il candidato per l'Antimafia gradito a Berlusconi. 
2) Giocava nel Bacigalupo (la squadra di Mangano) con Dell'Utri. 
3) Ha fatto di tutto per ridimensionare le indagini sulla trattativa Stato-mafia. 
4) Ha sempre fatto la guerra ai Pm troppo "estremisti", tipo Caselli. 
5) Voleva dare un premio a Berlusconi per la lotta alla mafia. 
È persona stimabile, non intoccabile. 
I Livatino, Falcone e Borsellino erano un'altra cosa (e chiedetevi perché Grasso sia il nome a cui pensa Napolitano per il governissimo).

https://www.facebook.com/pages/Andrea-Scanzi/226105204072482

Per Bellavista Caltagirone sequestro di 145 mln.



Sigilli a ville di lusso a Capri e in Costa Azzurra, un superyacht di 71 metri che vale 100 milioni, un aereo privato e decine di immobili.

ROMA -  La Guardia di Finanza di Roma ha sequestrato beni mobili ed immobili per un valore di 145 milioni di euro a Francesco Bellavista Caltagirone, arrestato nei giorni scorsi nell'ambito dell'inchiesta sul porto di Fiumicino. Tra i beni sequestrati anche un aereo privato e un maxi yacht da 70 metri. Il sequestro è scattato per reati fiscali: Bellavista Caltagirone risultava nullatenente e aveva la residenza fiscale in Lussemburgo.
EVASE 162 MILIONI,SIGILLI A VILLE E AEREO SEQUESTRATI ANCHE YACHT DI 71 METRI E 23 IMMOBILI  - Gli accertamenti svolti dalle Fiamme Gialle che coinvolgono l'imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone hanno consentito di portare alla luce una galassia societaria costituita da cinquanta imprese con sede formale non in Italia. E' emerso soprattutto l'evasione di imposte per 162 milioni di euro. Il maxisequestro di questa mattina riguarda in particolare 23 gli immobili del valore complessivo di circa 15 milioni di euro, di cui 18 in Italia tra cui appartamenti di lusso a Roma, Milano e provincia, Venezia, una villa ad Anacapri e 5 in Costa Azzurra. Tra i beni mobili figurano, invece, un lussuoso superyacht di 71 metri, battente bandiera di Madeira e dal valore stimato di circa 100 milioni di euro nonché un aereo privato, tipo Falcon, formalmente intestato ad una società lussemburghese, attualmente custodito in un hangar di un aeroporto estero, del valore di circa 30 milioni di euro.
INDAGATO PER EVASIONE FISCALE, CON LUI ALTRE 17 PERSONE - L'imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone è indagato dalla Procura di Roma, assieme ad altre 17 persone, per associazione a delinquere finalizzata all'evasione fiscale. Da qui la decisione del maxisequestro di ben per 145 milioni di euro. Il filone di indagine che ha portato oggi al maxisequestro di beni è distinto da quello culminato con l'arresto dell'imprenditore martedì scorso per vicende legate al porto turistico di Fiumicino, su cui indaga la procura di Civitavecchia. Le indagini delle Fiamme Gialle di Roma, coordinate dalla procura capitolina, hanno anche rivelato l'esistenza di una miriade di imprese estere, prevalentemente ubicate, oltre che in Lussemburgo, a Cipro, nel Principato di Monaco, a Madeira, in Francia ed in numerosi "paradisi fiscali" oltreoceano (tra cui le Isole Vergini Britanniche e le Antille Olandesi), per lo più utilizzate dall'imprenditore per l'intestazione di beni mobili ed immobili - sia in Italia che all'estero - nella esclusiva disponibilità sua e dei familiari. Dagli accertamenti svolti dagli investigatori è emerso, inoltre, che il gruppo Acqua Pia Antica Marcia, la cui holding capogruppo è la Sapam Spa, faceva capo ad una società lussemburghese, a sua volta inserita in una catena di controllo costituita da altre imprese estere con sede in Lussemburgo, Antille Olandesi e Liechtenstein ed avente al vertice un trust con sede a Malta.
La misura restrittiva dei giorni scorsi è stata firmata dal Gip di Civitavecchia Chiara Gallo su richiesta del pm Lorenzo del Giudice. Nel novembre dello scorso anno l'area del nuovo porto turistico di Fiumicino fu sequestrata dalla Guardia di Finanza per carenze strutturali, problemi di stabilità e sicurezza dell'intera opera. Oltre a Francesco Bellavista Caltagirone, il Gip del tribunale di Civitavecchia ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Emanuele Giovagnoli, legale rappresentante di alcune società che, secondo le indagini della Guardia di Finanza, sarebbero riconducibili a Bellavista Caltagirone. Secondo l'accusa, Caltagirone avrebbe distratto almeno 35 milioni dalla società Acqua Marcia.
GIP, FRODE PERNO POLITICA DI BELLAVISTA   "La frode ai danni degli interessi pubblici sembra rappresentare il perno della politica imprenditoriale di Francesco Bellavista Caltagirone". E' quanto sostiene il gip Civitavecchia Chiara Gallo nell'ordinanza di custodia in carcere emessa nei confronti dell'imprenditore romano e di Emanuele Giovagnoli. Alla base della misura restrittiva il pericolo di reiterazione del reato. "La condotta ascrivibile all'indagato - è detto nel provvedimento di 30 pagine - attraverso le disposizioni impartite ai suoi sottoposti o ai suoi uomini di fiducia, ha operato affinché la disponibilità di fondi di pertinenza di società allo stesso direttamente o indirettamente riconducibili fossero attribuiti solo formalmente ad una società soltanto in apparenza estranee al Gruppo Acqua Marcia, ma la cui attività é, in realtà, direttamente controllata da Bellavista Caltagirone". "La vicenda relativa alla realizzazione del porto di Fiumicino - conclude il gip - si caratterizza per un intento fraudolento preordinato e finalizzato a realizzare un'opera con caratteristiche costruttive di gran lunga inferiori a quelle previste dagli accordi iniziali e a sottrarre alle casse delle società coinvolte le ingenti risorse ricevute dal sistema bancario".
PERITO,SCOGLIERA REALIZZATA IN MODO CASUALE - Nell'area del porto di Fiumicino sono state riscontrate "gravissime criticità " dal perito nominato dal tribunale Civile che ha poi inviato la relazione preliminare alla Procura di Civitavecchia. Un estratto del documento viene citato nell'ordinanza di custodia in carcere per Francesco Bellavista Caltagirone. La relazione dell'ingegner Pietroantonio Isola si sottolinea che è stata riscontrata "una situazione che può degenerare sino a mettere a repentaglio la stabilità del corpo diga, che presenta una struttura in materiali sfusi non idonea a sopportare l'attacco diretto delle onde". Nella sua relazione il perito spiega, inoltre, che la "scogliera" è stata "realizzata in maniera casuale" e "non certo" con le caratteristiche "di una struttura sottomarina a difesa dell'opera foranea principale". Infine "in uno stato del tutto critico risulta oramai la punta estrema del molo ove si riscontrano solo materiali di piccola pezzatura, mancando massi delle categorie superiori".
COSTO 400 MLN, LAVORI CHIAVI IN MANO - Dinamica dei prezzi nei subappalti tale da fare in modo che, a fronte di un costo ipotizzato per la realizzazione dell'opera da parte della società affidataria per 400 milioni di euro, i lavori fossero appaltati, "chiavi in manò, a soli 100 milioni di euro". E' quanto evidenzia la Guardia di Finanza a proposito dei presunti illeciti legati ai lavori di costruzione del porto della Concordia, a Fiumicino, che oggi hanno determinato l'arresto di Francesco Bellavista Caltagirone e di Emanuele Giovagnoli. "Tale circostanza, più di altre - è detto in una nota delle Fiamme gialle - mostra come la prospettazione iniziale dei costi fosse del tutto disancorata dal valore dei lavori che, sin dall'inizio, la concessionaria intendeva eseguire". Un articolato meccanismo di frode nei lavori di costruzione - hanno accertato gli investigatori - con un sistema di attribuzione fittizia a soggetti terzi di somme di denaro, per complessivi 35 milioni di euro, oggetto di distrazioni a danno di due società vicine al gruppo imprenditoriale 'Acqua Marcia' di Roma, riconducibile a Bellavista Caltagirone".
Le modalità con cui il concessionario ha gestito contrattualmente l'esecuzione dei lavori, attraverso una catena di appalti e subappalti, presentano "molteplici anomalie - prosegue la Guardia di finanza- non spiegabili se non con il tentativo di mascherare intenti fraudolenti: contratti di sub-affidamento stipulati a distanza di un sol giorno l'uno dall'altro; mancanza, da parte delle società interessate, delle potenzialità strutturali per procedere autonomamente ai lavori". In questo contesto è stata attuata "una rilevante distrazione di fondi societari, circa 35 milioni di euro, a favore, per almeno 17 milioni di euro, di due società estere, con sede formale a Cipro, in tutto riconducibili a Bellavista Caltagirone, amministratore di fatto del gruppo "Acqua Marcia". "L'attività di spoliazione, risalente al periodo 2008-2010, - conclude la nota - è avvenuta, ad esempio, attraverso bonifici documentalmente giustificati quale corrispettivo di asserite prestazioni di consulenza, in realtà mai ricevute".