martedì 9 giugno 2020

I due cazzari e donna Giorgia tra contagi, ponti e Pap Test. - Andrea Scanzi

I due cazzari e donna Giorgia tra contagi, ponti e Pap Test

Negli ultimi mesi Salvini, Meloni e Renzi hanno partecipato a un’avvincente gara a chi la sparasse più grossa. Analizziamo ora per sommi capi il loro talento nel trasformarsi talora politicamente, e con rispetto parlando, in mitologici trimoni a vento.
Il Cazzaro Verde
– Propone di aprire le chiese e fare andare a Messa gli italiani quando la fase 1 è in pieno atto. E i virologi lo inseguono armati di badile.
– Prima parla del “porto di Madrid”, poi posta una foto (ma lui parla di manipolazione) in cui confonde il Vesuvio con l’Etna. Quindi invade la Polonia. Marciando però su Bengasi.
– Allude a un mitologico “foglio” attraverso il quale in Svizzera, se lo compili, ti danno sull’unghia centinaia di migliaia di euro. Ha ragione: quel “foglio” esiste. Non solo: ti regalano anche una stecca di Lindt, tre Rolex e due etti di Emmenthal. Tagliato a mano.
– Riparla di condoni fiscali e straparla di “bot di guerra”.
– Dice in piena fase 1 a El Paìs che il governo Conte è meno che impresentabile, ribadendo quel suo altissimo senso per le istituzioni.
– Parlando da solo, cioè con Porro, dice che l’Italia dovrebbe prendere esempio da Fontana e Gallera. E il bello è che è serio.
– Ripete che la Regione Lombardia non poteva fare la zona rossa nella bassa Val Seriana, dimenticandosi la legge del 1978 sull’Istituzione del Sistema Sanitario Nazionale che lo rende possibile eccome (come dimostrano tutte quelle regioni, per esempio Emilia Romagna e Campania, che infatti le hanno fatte).
– Si mette a fare selfie, stringere mani e prendere in mano smartphone altrui, ovviamente con mascherina abbassata, durante la scellerata adunanza del 2 giugno a Roma.
– Fa la solita cagnara sui migranti, prendendo a pretesto la proposta Bellanova.
– Attacca Bonafede in merito ai criminali (momentaneamente e colpevolmente) liberati sotto la fase 1, quando il ministro della Giustizia non c’entra una mazza.
– Pur di attaccare il governo, finge di difendere Nino Di Matteo. Un magistrato che, fosse stato per larga parte del centrodestra, a quest’ora non farebbe il magistrato.
– Dà lezioni a Conte sulla “sburocratizzazione”, dimenticandosi che la Lega è stata al governo undici anni senza fare in merito nulla, a parte il sobrio Calderoli che – quando era ministro delle Semplificazioni – diede fuoco col lanciafiamme a due o tre fogli comprati il minuto prima in una cartoleria di Calolziocorte.
– Attacca a prescindere il presidente del Consiglio, dimostrando di non avere ancora metabolizzato le esilaranti tortoiate prese da Conte in Parlamento l’estate scorsa.
– Cambia idea su tutto, nella speranza recondita di avere ragione – ogni tanto – anche solo per la nota teoria del caos. Eccetera.
Donna Giorgia
– Afferma che il Pap Test serve per prevenire il cancro al seno. Poi, se non altro, si scusa: era solo una gaffe. (Nel frattempo, La Russa affronta una gastroscopia per curarsi una carie).
– Rivela che i regolarizzati di oggi (quelli della Bellanova) chiederanno il Rdc, non sapendo – come ricorda Leonardo Cecchi – che per averlo bisogna essere residenti da dieci anni in Italia.
– Sostiene che i decreti-legge sono “fonti giuridiche secondarie”, quando in realtà sono “primarie”.
– Parla di “derrate alimentari”, immagine già desueta ai tempi del Foscolo.
– Suggerisce che chiunque abbia bisogno di soldi debba riceverli seduta stante tramite un semplice “click”. E se poi quel bisognoso si rivelerà un truffatore, pazienza: lo si appurerà dopo, perché “ora non c’è tempo da perdere”. Tanto i soldi crescono sugli alberi.
– Grida al complotto affermando che il governo sta “sospendendo la Costituzione”, venendo demolita dal Subcomandante Zagrebelsky.
– Accusa di deriva dittatoriale Conte, quando lei adora Orbán e in Europa è alleata con quelli che, se potessero, i soldi del Recovery Fund non ce li darebbero mai.
– Organizza un monumentale assembramento il 2 giugno con Salvini e Tajani, e il giorno dopo non solo non chiede scusa, ma se la prende con la Digos che ipotizza di multarli. Evidentemente, dopo una baracconata simile, pensava pure di ricevere un premio.
– Definisce se stessa e Salvini “sgraditi al regime”, che sarebbe stato quasi come se Mussolini si fosse definito “vessato oltremodo da Matteotti”.
– Sostiene (come Salvini) che il governo ha “firmato” il Mes, dimenticandosi che è stato firmato da Monti dopo lo sdoganamento del governo Berlusconi IV (appoggiato da Salvini e in cui Meloni stessa era ministro).
– In tivù definisce “criminale” Conte, salvo poi correggersi parzialmente (“atteggiamento criminale”).
– Suggerisce, dopo il caso Silvia Romano, di andare a stanare i terroristi islamici “buca per buca”, lasciando intendere di essere rimasta ai tempi dell’Abissinia. Perlomeno col cuore. Eccetera.
Il cazzaro rosè
– In piena fase 1, propone di riaprire le scuole a maggio e prim’ancora le fabbriche. La sparata, rilasciata all’Avvenire, è così enorme che nemmeno Burioni riesce a ridimensionarla.
– Prima parla di governissimo, poi dice che non è vero, poi sì, poi ni, poi no. Quindi, come sempre, si rifugia nell’ennesimo penultimatum.
– Crolla nei consensi, ma continua a tirarsela neanche fosse Churchill.
– Attacca la magistratura straparlando di Tangentopoli, giusto per omaggiare una volta di più il suo padre putativo Berlusconi.
– Sempre per omaggiare Berlusconi, riparla del Ponte sullo Stretto. E ovviamente Salvini, che è l’altra faccia della sua medaglia, gli dà ragione.
– Arriva a sostenere, al Senato, che se i morti di Bergamo e Brescia potessero parlare ci direbbero di riaprire.
– In un intervento mitologico alla Cnn, consiglia al mondo di non ripetere gli stessi errori commessi dall’Italia. Quell’Italia in cui (purtroppo) lui è al governo.
– Col suo mirabile inglese-Shish, dichiara solennemente (testuale) che “So Sciaina wos the forst cauntri was the solve problem and president si gin pink wok block with the chainiiiiis uei”. A quel punto l’intervistatore va in analisi. E per la cronaca non è ancora uscito. Eccetera.

LE CHIACCHIERE INSOPPORTABILI IN TEMPI INCERTI. - Antonio Padellaro - ILFQ - 9 giugno

Cosimo Massaro: FACCIAMO PRESTO! LA GENTE HA FAME, SERVONO SOLDI

Qualcuno ha scritto che l’incertezza è il rifugio della speranza, e in tempi quanto mai incerti (e confusi) mi aggrappo (ci aggrappiamo) alla speranza del decreto Semplificazioni. Perché è davvero arduo, gentile presidente del Consiglio, leggere che più di un milione di lavoratori sono ancora in attesa dell’assegno (quasi sempre magro) della cassa integrazione. O dei prestiti garantiti dallo Stato che sono ancora un quarto rispetto alle domande presentate. O del piano di ripartenza dei cantieri, da velocizzare evitando abusi e infiltrazioni criminali. Se, come assicura il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, entro venerdì la Cig sarà liquidata a tutti sarebbe una grande notizia: anzi la “no - t i z i a”. Perché c’è qualcosa di insopportabile nella chiacchiera, a tratti imbecille, su stati generali, partitini di Conte, maldipancia pidini, sbronze salviniane e pappalardi vari, mentre c’è un Paese che sopravvive e a cui manca il respiro nell’attesa dell’autunno che sarà. Con l’attenuarsi del Covid-19 avevamo avanzato la modestissima proposta di un bilancio settimanale, in diretta tv sui numeri aggiornati della ripresa: su ciò che è stato fatto, su ciò che manca e su ciò che sarà fatto. Un ministro, o chi per lui, delegato a spiegare progressi e ritardi dell’annunciata ricostruzione in un civile confronto con l’informazione. Temiamo di non aver detto una castroneria, e di non vivere nel mondo della favole poiché quelle stesse notizie le ritroviamo in ordine sparso sulla stampa, spesso deformate da prevenzione e faziosità, il che non fa che accrescere il senso di smarrimento. Per chi scrive, la semplificazione delle norme e il disboscamento della burocrazia rappresentano, insieme alla lotta all’evasione fiscale e al prossimo scudetto della Roma, i traguardi impossibili di una vita. Calderoli con il lanciafiamme che incenerisce cataste di leggi fu un incubo terrificante. Adesso tocca a lei presidente Conte: ci faccia sognare. 

Il Fatto Quotidiano del 9 giugno.

Casa Fontana. - Marco Travaglio

Roberta Dini: chi è la moglie di Attilio Fontana, il governatore ...
Senza offesa per Sandra & Raimondo, dobbiamo confessare che i primi episodi della sit-com Casa Fontana fanno quasi più ridere di Casa Vianello. E rischiano di oscurare le gag dell’altro astro nascente del cabaret milanese: Giulio Gallera. Sulla fornitura di camici, calzari e copricapi medicali affidata il 16 aprile dall’agenzia regionale Aria Spa a Dama Spa (azienda controllata dal cognato e partecipata dalla moglie del presidente della Regione) per 513 mila euro e tramutata in donazione solo il 22 maggio (quando già Report indagava), con storno delle fatture già emesse, sono uscite in 48 ore una mezza dozzina di versioni ufficiali che si contraddicono l’una con l’altra. E stridono con i documenti scoperti da Report, usciti sul Fatto e mai smentiti da alcuno. Ma soprattutto trasformano Casa Fontana in una sceneggiatura con finali multipli, come Parasite, Black Mirror: Bandersnatch e Signori, il delitto è servito.
Versione 1. Nota ufficiale del portavoce di Fontana, interpellato da Report: “Della vicenda il presidente non era a conoscenza…”. Milano, 16 aprile 2020, interno giorno. Il presidente lumbard rincasa e trova la moglie Roberta Dini che parla al telefono col di lei fratello Andrea Dini della fornitura da 513 mila euro appena affidata alla loro azienda dalla Regione presieduta dal marito e cognato. Ma l’Attilio non fa caso a quel che dicono, preso com’è dallo sdegno per quella presenza indesiderata. La donna protesta di essere sua moglie, fra l’altro la seconda, da un pezzo. Ma lui non ammette repliche. “Mai avuto mogli, né dunque cognati. Fuori da casa mia o la denuncio per violazione di domicilio!”.
Versione 2. Nota ufficiale del portavoce di Fontana: “…Sapeva che diverse aziende, fra cui Dama Spa, avevano dato disponibilità a collaborare con la Regione per reperire con urgenza… mascherine e camici per strutture sanitarie”. Milano, palazzo della Regione, interno sera. Fontana (che non sa, ma sa) ringrazia Dama Spa per la disponibilità a collaborare con la Regione, ma non sa che Dama Spa è dei fratelli Dini; o, in alternativa, ignora che i fratelli Dini siano suo cognato e sua moglie. Infatti non avverte né loro, né Dama Spa né Aria Spa di fare tutto gratis, per non incappare in un mega-conflitto d’interessi che gli costerebbe la faccia. O, in alternativa, complice quella maledetta mascherina, non sa di avere una faccia.
Versione 3. Dichiarazione di Andrea Dini a Report: “Effettivamente… i miei… quando non ero in azienda durante il Covid… chi se ne è occupato ha male interpretato. Ma poi me ne sono accorto e ho subito rettificato tutto perché avevo detto ai miei che doveva essere una donazione”.
Varese, 30 aprile, Dama Spa, colosso italo-svizzero della moda titolare del marchio Paul&Shark, interno giorno. La donna delle pulizie, che durante il lockdown sostituisce il Ceo Andrea Dini (in giro non si sa dove né perché) e due settimane prima ha siglato con l’agenzia regionale Aria Spa il contratto da mezzo milione, riceve una telefonata dal principale. Che le ricorda di non emettere fattura, perché è una donazione. Ma la linea è disturbata, così la donna capisce di dover emettere una fattura da 513 mila euro. Quando poi il 22 maggio il Ceo lo scopre, parte il cazziatone: “Ma ti pare che mi faccio pagare per queste cose? Fai subito una nota di credito”. E lei: “Ma per trasformare una vendita in un regalo non dovremmo consultare il Cda e la proprietà in Svizzera? E che dirà il collegio sindacale? Siamo una Spa…”. E lui: “Ma che ne sai te delle Spa… Fai come ti dico. Storna la fattura”. E lei: “Guardi che i 513 mila euro sono scritti nell’ordinativo che abbiamo concordato con Aria, infatti quelli dicono che ci pagano fino all’ultimo euro!”. E lui: “Digli che se insistono a pagarmi, mi offendo! Vatti a fidare delle donne delle pulizie…”.
Versione 4. Ricostruzione di Alessandro Sallusti sul Giornale: “Un’azienda, nel pieno dell’emergenza Covid, dona oltre 350mila euro di materiale sanitario agli ospedali lombardi e finisce nel tritacarne degli odiatori mediatici. La colpa? Essere parenti del presidente Fontana. A quelli di Report e ai loro cugini del Fatto Quotidiano la Lombardia proprio non va giù… La moglie del governatore – per mere questioni familiari – è socia al 10% dell’azienda… La Regione fatturò come da procedura, ma la fattura venne ‘stornata’, cioè respinta perché, come da accordi, si trattava di donazione… Ma, invece degli applausi, piovono sospetti e fango… un’autentica porcata… spazzatura… danza sui morti”. Milano, Aria Spa, interno giorno. Arriva una chiamata del Dini che offre in dono materiali sanitari per 350mila euro, ma per i soliti problemi di campo i dirigenti regionali capiscono fornitura per 513 mila euro. E compilano l’affidamento diretto con fatture a 15 giorni e pagamenti a 60, senz’avvertire Fontana né come presidente, né come marito, né come cognato. Quindi la donna delle pulizie è innocente: è tutta colpa dell’agenzia regionale. Infatti, appena lo scopre grazie al Fatto, Fontana non ringrazia: anzi ci querela e diffida Report.
Versione 5. È la prossima scena: Gallera, vedendosi scavalcato da Fontana e pensando di far cosa gradita, posta un video in cui spiega l’affaire dei camici col suo infallibile modello matematico: “Con l’Rt a 0,50, per avere un camice gratis bisogna comprarne almeno due!”.

Camici, inchiesta aperta a Milano. A Como arriva un’altra denuncia. - Gianni Barbacetto e Davide Milosa

Camici, inchiesta aperta a Milano. A Como arriva un’altra denuncia

La Procura di Milano ha un fascicolo aperto sulla fornitura di camici e altro materiale sanitario offerti alla Regione Lombardia dalla Dama spa, l’azienda controllata da Andrea Dini e da sua sorella Roberta, moglie del presidente lombardo Attilio Fontana.
Giornata pesante, quella di ieri, per il presidente, che in mattinata ha visto il Tar annullare l’accordo della Regione con Diasorin sui test sierologici. Poi il Fatto ha dato notizia dell’indagine sui camici: un fascicolo per ora a modello 45, senza indagati e ipotesi di reato. Riguarda la fornitura ad affidamento diretto, che la Regione accetta ad aprile 2020, di materiale sanitario per 513 mila euro, che Dama spa ha fatturato in data 30 aprile.
La vicenda è stata raccontata domenica dal Fatto Quotidiano, anticipando una inchiesta giornalistica di Giorgio Mottola andata in onda ieri sera nel programma Report di Rai3.
Fontana ha passato la giornata di ieri a difendersi, sostenendo che si è trattato non di una fornitura commerciale, ma di una donazione. “Non c’è stato alcun equivoco. Sono stati comprati tutti i camici di tutti quelli che li producevano perché ne avevamo bisogno. Da parte dell’azienda di mio cognato i camici sono stati donati. Quindi non c’è alcun problema”.
Eppure l’affidamento diretto a una azienda controllata dalla moglie e dal cognato del presidente della Regione configura un imbarazzante conflitto d’interessi. Potrebbe in astratto comportare anche un’ipotesi d’accusa di abuso d’ufficio, ma la Procura milanese, in attesa di compiere accertamenti, ha aperto soltanto un fascicolo a modello 45, cioè senza indagati né ipotesi di reato. All’ufficio diretto dal procuratore Francesco Greco era arrivata nelle scorse settimane una segnalazione proveniente dall’interno di Aria, la centrale acquisti della Regione Lombardia. Una segnalazione da Aria risulta sia arrivata anche alla Procura di Como.
Dama spa compare regolarmente nell’elenco fornitori della società regionale Aria. Ma a differenza di altre aziende fornitrici, non ha sottoscritto il “patto d’integrità” del 2019, che comprende anche la dichiarazione di assenza di conflitti d’interesse. Così, in piena emergenza Covid, l’azienda aveva potuto presentare un’offerta commerciale alla Regione per la fornitura di camici, copricapi e calzari sanitari. Aria aveva accettato l’offerta, firmato l’ordine di fornitura il 16 aprile e il 30 aprile aveva ricevuto una regolare fattura, con pagamento previsto a 60 giorni.
Soltanto il 22 maggio (dopo che il giornalista di Report aveva chiesto spiegazioni a Dini e Fontana) erano cominciate ad arrivare in Regione note di storno di Dama spa che annullavano le richieste di pagamento. Ma le donazioni prevedono tutt’altra procedura, spiega uno specialista, l’avvocato Mauro Mezzetti: “Intanto non basta la decisione del solo rappresentante legale: è necessaria una decisione del consiglio d’amministrazione di cui deve essere informato il collegio sindacale, perché sia garantito che la donazione non danneggia l’azienda donatrice. Poi, se non si tratta di una donazione di beni di modico valore (e mezzo milione di euro non mi pare sia un valore modico)”, continua l’avvocato Mezzetti, “ci vuole un atto notarile, sottoscritto con la presenza di due testimoni e la redazione di una nota firmata da chi dona, da chi riceve e dal notaio”. Non solo: “L’atto di donazione va registrato entro venti giorni – conclude Mezzetti – altrimenti scattano sanzioni, perché le donazioni sono sottoposte a un’imposta dell’8 per cento, con pene pecuniarie per chi non paga”.

Universo in rotazione. Un’ipotesi per un “disordine” totale. - Emanuele Tumminieri



l’Universo primordiale aveva una struttura più uniforme, che, con il passare del tempo, è andata trasformandosi verso una composizione sempre più caotica.

Sebbene i pianeti, le stelle e le galassie ruotino tutti attorno a un asse di rotazione, una recente ricerca afferma che lo stesso Universo potrebbe ruotare attorno a uno, o più assi, ma su una scala cosmica, sfidando in questo modo una delle assunzioni fondamentali dell’astrofisica, il principio cosmologico, secondo il quale le stesse leggi fisiche sono omogenee, uniformi, isotrope in qualunque punto dell’Universo.
Questa nuova teoria, quindi, dipinge un Universo ruotante che andrebbe a creare delle anisotropie e delle asimmetrie strutturali sulla scala cosmica di centinaia di milioni di anni luce.
Questa ricerca, effettuata da Lior Shamir, un astronomo della Kansas State University, afferma che l’Universo primordiale ruotava come un’enorme e complessa galassia, e che questo momento di rotazione è stato trasferito alle galassie che oggi vengono osservate.
Secondo questa ricerca, l’Universo primordiale aveva una struttura più uniforme, che, con il passare del tempo, è andata trasformandosi verso una composizione sempre più caotica. I risultati della ricerca sono in attesa di essere confermati dalla Società Astronomica Americana.
Per sviluppare la sua ipotesi, Shamir ha utilizzato un algoritmo che ha selezionato le direzioni degli spin di circa 200.000 galassie a spirale, osservate da due differenti telescopi – l’SDSS (Sloana Digital Sky Survey) e il Pan-STARRS (Panoramic Survey Telescope & Rapid Response System). I risultati, pubblicati nel server arXiv il 6 aprile 2020, si accordano con le precedenti osservazioni che mostrano una relazione asimmetrica tra galassie con direzioni di spin opposte, mettendo in evidenza quindi un’effettiva rotazione dell’Universo.
Shamir mette insieme un’ampia gamma di metodi, che vanno dal machine learning, al soft computing e alla statistica computazionale, per sviluppare nuovi paradigmi che possono indirizzare i dati verso nuove scoperte scientifiche.
In una sua intervista rilasciata a Motherboard Science, Shamir dice che “in accordo con il principio cosmologico, ogni cosa è un insieme casuale di galassie e di materia, e non si dovrebbe vedere nessuna struttura. In questo caso invece vediamo una struttura e la scala è molto più ampia di qualunque altra struttura astrofisica sia stata studiata finora. I segnali e i modelli statistici sono molto chiari”.
Lo stesso ricercatore afferma cautamente che se l’Universo primordiale ruotava, dovrebbe esserci un’evidenza oggi.
Lo studio condotto presenta un punto di osservazione del fenomeno, ma non dà un’evidenza esaustiva di questo modello cosmico rotazionale, che dovrebbe sostituire l’attuale modello standard, isotropico, dell’Universo. Fino allo scorso anno era impossibile dire che si sarebbe potuta osservare una galassia ancora in rotazione dopo 1,5 miliardi di anni dal Big Bang. Ma oggi è possibile osservare queste galassie, e non sono poi così rare.
Nel suo lavoro presentato su ArXiv, dal titolo Allineamento multipolare nella distribuzione a grande scala della direzione dello spin di galassie a spirale, l’analisi di Shamir mostra, sia dai dati provenienti dal telescopio SDSS che dal Pan-STARRS, che la distribuzione delle direzioni dello spin di una galassia forma una traiettoria non casuale, e che, con buona probabilità, può essere assimilata a un asse dipolare.
Queste osservazioni concordano con le scoperte precedenti, ma hanno il pregio di essere basate su più dati e soprattutto sulle misure effettuate da due telescopi diversi. L’analisi inoltre dimostra che la distribuzione delle direzioni dello spin delle galassie si adatta a un allineamento multipolare a larga scala; in particolare la probabilità di avere un allineamento quadripolare è di circa 6,9 σ.
Confrontando i dati raccolti dai due telescopi – SDSS e Pan/STARRS – in modo che le galassie avessero una simile distribuzione di redshift (lo spostamento verso il rosso, una misura della distanza relativa tra due oggetti nella scala cosmologica), si evidenzia effettivamente la presenza del modello quadripolare.
L’immagine di copertina rappresenta la versione più recente dell’immagine del Campo Profondo di Hubble. I ricercatori dell’Instituto de Astrofisica de Canarias hanno impiegato tre anni per costruire la più profonda immagine dell’Universo mai acquisita finora, recuperando una grande quantità di luce perduta attorno alle galassie più grandi, nel cosiddetto Campo Ultra-Profondo di Hubble.

lunedì 8 giugno 2020

Fontana, in arte Scajola. - Marco Travaglio

Fontana querela Il Fatto per il caso-camici in Lombardia - Il Paragone
Si dice che anche gli orologi guasti, due volte al giorno, segnano inevitabilmente l’ora esatta. Ma Attilio Fontana, presidente leghista della Regione Lombardia e noto caratterista del cabaret padano, fa eccezione: non riesce ad azzeccarne una neppure per sbaglio. Com’è noto ai lettori del Fatto, che l’ha anticipata ieri, stasera Report trasmetterà un’inchiesta di Giorgio Mottola su una commessa da 513mila euro per camici, copricapi e calzari medicali affidata senza gara dalla Regione alla Dama Spa, azienda di abbigliamento controllata e diretta dal cognato di Fontana, Andrea Dini, e partecipata dalla moglie di Fontana, Roberta Dini. L’affidamento diretto risale al 16 aprile, in piena emergenza Covid, firmato da Filippo Bongiovanni, nominato da Maroni a dg di Aria Spa, la centrale acquisti della Lombardia: “… in considerazione della vostra offerta, con la presente si conferma l’ordine” da mezzo milione. Fatture il 30 aprile, pagamento in 60 giorni (16 giugno).
Tutto resta top secret fino al 19-20 maggio, quando l’inviato di Report, scoperto il mega-conflitto d’interessi (e forse anche l’abuso d’ufficio patrimoniale), comincia a chiedere notizie e documenti al Pirellone. Poi intervista Andrea Dini, cognato di Fontana. Che gli risponde al citofono e nega tutto: “Non è un appalto, è una donazione, chieda pure ad Aria”. Clic. Mottola risuona spiegando di avere le carte che dimostrano l’ordine di fornitura. E Dini cambia versione, ammettendo ciò che non può più negare, ma precisando che tutto è avvenuto a sua insaputa: “Non ero in azienda durante il Covid… chi se ne è occupato ha male interpretato. Ma poi me ne sono accorto e ho subito rettificato tutto perché avevo detto ai miei che doveva essere una donazione”. “Subito” mica tanto: l’affidamento è del 16 aprile e la “rettifica” arriva solo il 22 maggio, quando già l’inviato della Rai è in giro a fare domande. Solo allora Dama inizia a stornare le fatture, cioè a restituire di fatto i soldi pubblici ad Aria. A quel punto Report interpella Fontana, che risponde tramite il portavoce con un altro capolavoro di insaputismo: “Della vicenda il presidente non era a conoscenza. Sapeva che diverse aziende, fra sui Dama, avevano dato disponibilità a collaborare con la Regione per reperire con urgenza Dpi (dispositivi di protezione individuale, ndr)”. Quindi Fontana sa che l’azienda di cognato e moglie può fornire la merce, allora introvabile, e si è offerta di procurarla alla Regione (e meno male, perché a lui non è venuto in mente di chiederla). Ma non raccomanda al cognato, alla moglie e all’agenzia regionale di fare tutto gratis, per non finire in conflitto d’interessi.
Anzi, l’agenzia regionale concorda con gli uomini di suo cognato (che in pieno lockdown in azienda non c’è e chissà dov’è) fatture per mezzo milione. E Fontana non ne sa niente, né come presidente della Regione né come marito né come cognato: Scajola gli fa un baffo. Non sa neppure che sta nascendo un clamoroso equivoco, perché la ditta di famiglia della sua signora vuol fare una mega-donazione alla sua Regione e quelli di Aria hanno capito di doverla pagare. In compenso sa che Armani vuole donare un milione di camici e lo ringrazia in varie conferenze stampa. Ma del gentile omaggio di Dama non dicono nulla né lui (che sostiene di non averlo saputo, almeno fino a ieri pomeriggio), né la società dei suoi parenti che, titolare del marchio di moda Paul&Shark, sarebbe interessata a far conoscere il suo beau geste gratuito.
Chi legge questa favoletta senza senso ne deduce che l’appalto da mezzo milione andava bene a tutti finché Report non l’ha scoperto. Poi s’è tramutato in donazione e le fatture in errore da “rettificare” ex post, in una corsa precipitosa a nascondere le tracce che moltiplica i sospetti anziché dissiparli. Avete mai visto un tizio accusato di rubare che, per dimostrare di non aver rubato, restituisce il maltolto al proprietario? Peggio la toppa del buco. Ma è solo la prima perché ieri Fontana, anziché dimettersi seduta stante come avverrebbe in un paese civile, ha diffidato Rai e Report “dal trasmettere un servizio che non chiarisca in maniera inequivocabile come si sono svolti i fatti e la mia totale estraneità alla vicenda” (cioè che non affidi il servizio direttamente a lui). Ha annunciato querela al Fatto per aver pubblicato “fatti volutamente artefatti per raccontare una realtà che semplicemente non esiste”: cioè l’affidamento per 513mila euro a Dama siglato dall’agenzia della sua Regione e le note di credito emesse oltre un mese dopo dalla ditta di cognato& moglie per stornare le fatture. Poi, in serata su Facebook, ha smentito sia se stesso (affermando di sapere tutto ciò che prima negava di sapere), sia suo cognato: nessun errore da “rettificare”, ma un normale “ordine” per “forniture” di Dpi, partite il 17 aprile e “accompagnate attraverso regolare fattura stante alla base la volontà di donare il materiale alla Lombardia, tanto che prima del pagamento della fattura, è stata emessa nota di credito bloccando di fatto qualunque incasso” (peccato che le note di credito siano arrivate solo il 22 maggio, 36 giorni dopo l’inizio delle consegne, proprio quando Report iniziava a indagare). Ma forse Fontana voleva soltanto anticipare la sua linea di difesa su questa e altre sue mirabolanti imprese degli ultimi mesi: l’incapacità di intendere e volere.

Palermo, le mani dei clan sulle scommesse legali. Blitz della Guardia di Finanza: 8 arresti. Tra accuse, associazione mafiosa e riciclaggio. - Marco Bova

Palermo, le mani dei clan sulle scommesse legali. Blitz della Guardia di Finanza: 8 arresti. Tra accuse, associazione mafiosa e riciclaggio

Altre due persone colpite dal divieto di dimora a Palermo, mentre sono stati sequestrati preventivamente beni per 40 milioni di euro. L'indagine dei finanzieri ha tracciato un volume d'affari da oltre 100 milioni di euro e stamattina sono state eseguite delle perquisizioni anche nelle altre regioni coinvolte.
Avevano messo le mani sul business delle scommesse legali, da Palermo fino alla Lombardia. Le indagini della Dda di Palermo, guidata dal procuratore Francesco Lo Voi, hanno portato alla luce un vero e proprio sistema con il quale i clan, con l’aiuto di imprenditori compiacenti, erano riusciti a creare un giro d’affari stimato in oltre 100 milioni di euro. Per questo la Guardia di Finanza ha arrestato 8 persone, mentre altre due sono state raggiunte da divieto di dimora nel palermitano, e sequestrato preventivamente beni per 40 milioni di euro. I dieci sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosaconcorso esterno in associazione mafiosa, riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori aggravato dal favoreggiamento mafioso.
Per chiarire alcuni contrasti, il boss aveva dovuto partecipare alla riunione in cui si discusse la ricostituzione della cupola di Cosa Nostra. Quindici giorni fa avevano acquistato l’ultima agenzia di scommesse, ma da tempo avevano allungato i loro tentacoli su Salvatore Rubino, 59enne imprenditore ben integrato nel settore dei giochi legali, intestatario di licenze e concessioni. A gestire tutto però erano i boss dei mandamenti palermitani di Porta Nuova e PagliarelliFrancesco Paolo Maniscalco, di 57 anni, e Salvatore Sorrentino, di 55 anni, entrambi già condannati per mafia. Su richiesta dei pm della Dda di Palermo (aggiunto Salvatore De Luca, sostituto procuratore Dario Scaletta) i tre sono stati arrestati, assieme ad altre cinque persone. In carcere anche l’imprenditore Vincenzo Fiore, di 42 anni, e Christian Tortora, di 44 anni, mentre sono finiti ai domiciliari Giuseppe Rubino, di 87 anni, e i due prestanome Antonino Maniscalco, di 26 anni, e Girolamo Di Marzo, di 59 anni.
Con il provvedimento, il gip Walter Turturici ha disposto anche un sequestro preventivo da 40 milioni di euro. Si tratta di otto società con sede in CampaniaLazioLombardia e Sicilia, “cinque delle quali titolari di concessioni governative cui fanno capo i diritti per la gestione delle agenzie scommesse”. Ma anche nove agenzie fisiche a PalermoNapoli e in provincia di Salerno. Due fratelli, Elio e Maurizio Camilleri, “imprenditori collusi vicini” a Sorrentino, sono stati sottoposti al divieto di dimora nel territorio del comune di Palermo. I due avevano acquistato delle quote societarie – per conto del Mandamento – “investimento poi liquidato a causa di dissidi interni, con l’erogazione, in più tranche, di oltre 500mila euro“. Di loro Sorrentino aveva parlato in una riunione con Settimo Mineo, che poi fu arrestato nel blitz Nuova Cupola del dicembre 2018.
L’indagine dei finanzieri del Nucleo di polizia economico finanziaria ha tracciato un volume d’affari da oltre cento milioni di euro e stamattina sono state eseguite delle perquisizioni anche nelle altre regioni coinvolte. Non è da escludere che l’inchiesta possa condurre a nuovi sviluppi, principalmente legati ai riferimenti del gruppo all’interno dell’agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Ma il cuore pulsante era a Palermo e nel business ormai inabissato si erano lanciati anche i boss delle famiglie della Noce, di Brancaccio, di Santa Maria del GesùBelmonte Mezzagno, in cui erano stati aperti dei centri scommesse, e di San Lorenzo che si erano occupati dei “lavori di allestimento” delle agenzie del gruppo. E che poi restituirono parte dei guadagni, partecipando al “sostentamento dei detenuti” nonché al mantenimento di un “vitalizio” per i familiari del boss assassinato Nicolò Ingarao.
A dimostrazione della trasversalità degli interessi economico-finanziari delle varie articolazioni di Cosa nostra palermitana, l’espansione sul territorio della rete di agenzie scommesse e di corner gestiti tramite le imprese sequestrate è stata garantita dall’ombrello protezionistico delle famiglie mafiose con le quali gli indagati si sono costantemente relazionati ottenendo reciproci vantaggi sia in termini affaristici che di rafforzamento della capacità di controllo economico-territoriale”, scrivono i finanzieri. A febbraio avevano acquistato un immobile trasformato in ufficio amministrativo di una delle società del gruppo. Proseguendo la mimetizzazione degli interessi nel business legale. Per i finanzieri una delle figure centrali era il boss Francesco Paolo Maniscalco, “soggetto di risalente ed indiscusso lignaggio mafioso” già condannato nel 2005 a quattro anni per mafia ed era lui a tenere i contatti con Rubino.
“L’indagine conferma l’approccio di Cosa nostra nell’attuazione della cosiddetta strategia di inabissamento, protesa cioè a mimetizzare le attività criminali all’interno di strutture imprenditoriali inserite nel tessuto economico legale, al fine di non suscitare allarme sociale e limitare gli interventi repressivi”, dice il colonnello Gianluca Angelini, comandante del Nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo. I loro affari tra l’altro non si erano fermati neppure in tempo di Covid, anzi stavano cercando delle opportunità per approfittare dell’immobilità. A febbraio avevano acquistato un immobile nel quartiere Malaspina, trasformato in ufficio amministrativo di una delle società del gruppo. Il 15 maggio invece avevano rilevato l’ultima agenzia di scommesse, proseguendo la mimetizzazione degli interessi nel business legale. Tra gli indagati c’è anche Salvatore Milano, 67enne capomafia di Porta Nuova, e nell’indagine emerge anche Enrico Splendore, noto imprenditore delle scommesse a cui lo scorso anno sono stati sequestrati 7 milioni di euro. Per i finanzieri una delle figure centrali era il boss Franco Maniscalco, “soggetto di risalente ed indiscusso lignaggio mafioso” già condannato nel 2005 a quattro anni per mafia, ed era lui a tenere i contatti con Rubino.
“Salvo te ne devi uscire..anzi dobbiamo uscire il più veloce possibile”, diceva il boss Maniscalco. E ancora “a me non interessa niente, pure di quello che pensi tu, si deve fare in questo modo e basta”, diceva rivolgendosi a Rubino. “Totuccio se l’è portata Serie A..ha fatto il mafioso, mi è piaciuto quello, gli ha detto una bugia a zio Settimo”, continuava riferendosi all’incontro convocato per riformare la cupola dopo la morte di Totò Riina. Poi parlando di uno dei prestanome, il boss Sorrentino chiarisce i rapporti tra i vari componenti del gruppo. “Jimmy si deve ‘calare i cavusi’ (i pantaloni ndr) a fare tutto quello che gli diciamo, denunce non ne deve fare e non deve fare questo, io mi ci afferro… visto che è uomo mio e ne rispondo io, se Jimmy si ‘arrisica’ (rischia ndr) a fare qualche denuncia, io ci rompo le gambe a lui e poi mi vado a consumare con loro”. “Noi sbagliamo, piangiamo le conseguenze – rispondeva un altro degli indagati – e poi ci facciamo uscire il sangue dalla bocca”.