venerdì 26 giugno 2020

Tornano i ladri del vitalizio. - Tommaso Merlo



Il Senato fa marcia indietro sui vitalizi. 
Uno sputo in faccia ai cittadini. 
Uno sputo in faccia al 4 marzo. 
Davvero impressionante. 
A sorprendere non è l’avidità e il cinismo delle vecchie caste politiche. Le conoscevamo già. Hanno saccheggiato lo Stato per decenni fregandosene di tutto e di tutti. 
Quello che sorprende è lo sfacciato tempismo. 
Hanno addirittura osato farlo mentre milioni di cittadini sono sul lastrico e il paese sta cercando di capire come scongiurare l’ecatombe economica dopo la pandemia. Pazzesco. 
Tra tutti gli sciacallaggi degli ultimi mesi, questo è davvero il più rivoltante. Uno sputo in faccia al buonsenso e alla collettività che resterà nella storia. 
Ma quella dei vitalizi non è solo una storiaccia di soldi. È una storiaccia politica. 
Facendo retromarcia sui vitalizi, il Senato manda un messaggio fortissimo al paese. Quello che in Italia alla fine i potenti vincono sempre, quello che è inutile farsi illusioni di chissà quali cambiamenti perché il marciume italiano è impossibile da debellare. 
Facendo retromarcia sui vitalizi, il Senato invita i cittadini a rassegnarsi e ad abbassare la testa. 
E se per caso qualcuno ambisse a soldi e potere, allora si deve adeguare all’andazzo, si deve mettere in coda e prima o poi toccherà anche a lui. 
Uno spunto in faccia ai cittadini, al cambiamento ma anche alla democrazia e per questo la parte ancora sana della politica e delle istituzioni deve reagire con veemenza. Il 4 marzo i cittadini hanno votato anche affinché la politica adottasse standard di sobrietà degni delle democrazie più moderne. 
Tradire il loro voto con questa tempistica vergognosa significa minare la democrazia. 
Col Senato della Repubblica che se ne frega delle istanze popolari e umilia platealmente il responso delle urne. Davvero impressionante. Il ritorno dei ladri del vitalizio dimostra come il cambiamento sia una strada lunghissima e piena d’insidie soprattutto in un paese martoriato da decenni di malapolitica come il nostro. Dal 4 marzo in poi è successo di tutto ma il vecchio regime è ancora lì e trama dietro le quinte per tornare. Rivogliono il potere, rivogliono i privilegi e che tutto torni come prima. 
Vecchi partiti infarciti di tromboni riciclati. 
Lobby fameliche e stampa al guinzaglio. Tutti intenti a logorare i fautori del cambiamento e a guadagnare tempo in attesa del grande ritorno. 
Una restaurazione che potrebbe avere successo anche grazie al solito autolesionismo italiano. 
Coi cittadini che si sono arresi o si son messi a litigare tra loro e lagnarsi di chissà quale male al pancino. Facendo gli schizzinosi in una porcilaia. Così invece di uscirne insieme ci sprofondano dentro sempre di più. Il vitalizio è una bandiera che il vecchio regime ripianta sul tetto del Senato della Repubblica. 
Un messaggio fortissimo al paese. Vogliono dare il colpo di grazia ai rivoltosi. Vogliono che la porcilaia torni normalità. Una mossa davvero azzardata anche per lo spietato tempismo. 
Al punto che potrebbe ritorcersi contro di loro. Invece che stroncare la voglia di cambiamento, i ladri del vitalizio potrebbero riaccendere la rabbia popolare e ricompattare le fila dei cittadini che non si vogliono arrendere a costruire un paese migliore.

https://repubblicaeuropea.com/2020/06/26/tornano-i-ladri-del-vitalizio/

Il Senato annulla la delibera sul taglio dei vitalizi. Ira M5s, ma anche di Pd e Lega.

L'Aula del Senato (foto archivio) © ANSA

Il legale degli ex senatori: 'Ripristinato lo stato di diritto'.

"La Commissione Contenziosa del Senato ha appena annullato la delibera dell'Ufficio di presidenza che aveva deciso il taglio dei vitalizi agli ex parlamentari". Lo riferisce all'ANSA Maurizio Paniz, ex deputato e avvocato che ha difeso nel ricorso la maggior parte degli ex senatori che hanno presentato ricorso. "E' stato ripristinato lo Stato di diritto", ha commentato Paniz.  La Lega, secondo quanto si apprende, ha votato contro questa decisione.
Di Maio, senza parole ma non li ripristineremo  - "La commissione contenziosa del Senato ha annullato la delibera sull'abolizione dei vitalizi. Ma davvero c'è ancora qualcuno che pensa ai vitalizi nonostante un'emergenza di questa portata? Senza parole. Chi pensa di gioire allora non ha capito nulla. Se ci sono interessi da tutelare sono solo quelli dei cittadini italiani che hanno sofferto per mesi gli effetti di questa pandemia. Abbiamo già abolito i vitalizi e non abbiamo alcuna intenzione di ripristinarli". Lo scrive in un post su Fb il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.
Crimi: 'Casta tiene malloppo, schiaffo al Paese' - "La Commissione Contenziosa del Senato ha appena annullato la delibera sul taglio dei vitalizi agli ex parlamentari. Ci provavano da mesi: lo hanno fatto di notte, di nascosto. E' uno schiaffo a un Paese che soffre. La casta si tiene il malloppo, noi non molleremo mai per ripristinare lo stato di diritto e il principio di uguaglianza. Chi dobbiamo ringraziare per questa operazione, la presidenza del Senato?". Lo scrive in una nota il capo politico del Movimento 5 Stelle Vito Crimi.
"Sconcerto" del Nazareno: "il Pd è totalmente contrario alla decisione assunta dalla commissione contenziosa del Senato sui vitalizi. Lo sottolineano fonti del Pd.
"Come Lega cercheremo di cambiare" la decisione della Commissione Contenziosa del Senato sul taglio dei vitalizi. Lo ha detto intervenendo a Dritto e Rovescio su Rete 4, il leader della Lega, Matteo Salvini.
"La delibera - spiega all'ANSA Paniz - è stata annullata perché ritenuta ingiustificata a fronte della giurisprudenza consolidata della Corte Costituzionale e del diritto dell'Unione europea, in base alla quale di fronte a una situazione consolidata gli interventi di riduzione degli importi devono rispondere a cinque requisiti, nessuno dei quali era stato rispettato dalla delibera. In primo luogo non deve essere retroattivo, mentre questo taglio lo era; in secondo luogo non deve avere effetti perenni, come invece li aveva la delibera; in terzo luogo non deve riguardare una sola categoria ma deve essere 'erga omnes", mentre qui si colpivano solo gli ex parlamentari; in quarto luogo deve essere ragionevole, mentre questo taglio raggiungeva l'8% degli importi; infine deve indicare dove vanno a finire i risparmi che non possono finire nel grande calderone del risparmio, e anche su questo punto la delibera era carente". Paniz non nasconde la propria soddisfazione: "una soddisfazione professionale - sottolinea - ma anche sul piano dei rapporti personali che ho intrattenuto con centinaia di ex senatori che ho assistito. E' un risultato che mi ripaga dell'impegno e degli insulti e minacce ricevuti. Io non ho difeso un privilegio ma un diritto, e in uno Stato di diritto questa è una vittoria di tutti".
https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2020/06/25/il-senato-annulla-la-delibera-sul-taglio-dei-vitalizi_76311bc8-7258-4250-8da6-66551020f517.html
Semplicemente vergognoso, i nostri amministratori accampano solo diritti, tralasciando i doveri, e lo fanno di notte, come ladri. E in un momento di profonda crisi economica e sanitaria, loro che disertano il Parlamento quando si tratta di salvaguardare i nostri diritti. Manteniamo a caro prezzo una pletora di dis-onorevoli personaggi dediti ad incentivare ignobilmente se stessi, ignorando, da irresponsabili quali sono, di ottemperare al compito che gli è stato affidato e poi assegnato: amministrare con coscienza ed abnegazione, i nostri interessi, non i loro. Suscitano solo disgusto! c.

giovedì 25 giugno 2020

Tutte le proposte del Piano: treni, green e meno contanti. - Patrizia De Rubertis

Tutte le proposte del Piano: treni, green e meno contanti

Il Piano di rilancio con le cifre ancora non c’è, ma gli obiettivi per rimettere in piedi l’Italia sono già tracciati dal governo: Alta velocità, pagamenti digitali, investimenti in ricerca e scuola, taglio del cuneo fiscale e l’addio al combustibile fossile. Il premier Giuseppe Conte ora avrà una settimana di tempo per tradurre le proposte raccolte durante gli Stati generali dell’economia in misure concrete per riuscire a “reinventare il Paese, affinché sia moderno, sostenibile e inclusivo”. Un piano che verrà poi presentato a settembre per ottenere le risorse del Recovery plan europeo. Ecco, in sintesi, le linee di intervento.
Iva. Ieri il premier Conte intervistato dal direttore de ilfatto.it Peter Gomez ha ribadito che si sta valutando l’eventualità che l’Iva possa essere abbassata per un breve periodo di tempo seguendo l’esempio della Germania che ha scelto di tagliarla dal 19 al 16% per 6 mesi. Il problema è il costo: ogni punto di aliquota vale 4,3 miliardi nel caso di un taglio dal 22% al 21% e 2,9 miliardi dal 10% al 9%. Sarebbe da finanziare con risorse in deficit. Per il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, la riduzione andrebbe inserita in una riforma fiscale di ben più ampio respiro.
Cashless. È uno dei cavalli di battaglia del premier: il piano per i pagamenti digitali, e quindi tracciabili, che consentirà il contrasto al nero. E che in futuro potrebbe anche essere legato alla riduzione dell’Iva. Per ora la proposta, presentata in passato ma mai attuata, prevede di far pagare meno soltanto se si utilizza il bancomat o la carta di credito. Intanto restano su carta le due misure previste dalla legge di Bilancio 2020: il fondo da 3 miliardi del bonus Befana è finito tra le risorse del dl Rilancio e la lotteria degli scontrini è stata rinviata al 2021.
Cuneo fiscale. Un’altra ipotesi per rilanciare l’economia è quella di proseguire sulla linea del taglio del cuneo fiscale e, quindi, del costo del lavoro attraverso una riduzione del prelievo su certi scaglioni dell’Irpef. “Già a luglio avevamo predisposto una misura. È una direzione giusta che va perseguita”, ha detto Conte. La viceministra dell’Economia Laura Castelli ha promesso che nella prossima legge di Bilancio ci sarà un intervento più organico di riforma per la riduzione delle tasse, Irpef compresa.
Alta velocità. È uno dei progetti sui quali governo e maggioranza hanno siglato la tregua: le infrastrutture al Sud. Il primo traguardo potrebbe essere il via alla realizzazione di una linea di Alta velocità da Brindisi a Napoli. L’obiettivo che interessa a Conte è “quello pratico” che consente di accorciare i tempi di percorrenza e che permetta anche al Sud di avere “treni buoni, efficienti e funzionanti”.
Donne manager. C’è la proposta di un voucher per 500 donne per un master in Business administration executives dal valore di 35 mila euro, visto che tra i primi 100 manager più pagati in Italia le donne sono solo 4. La ministra dell’Innovazione tecnologica, Paola Pisano, ha spiegato che “è anche importante che la società aiuti le donne lavoratrici che sono anche madri”.
Green e Digitale. L’impianto del progetto prevede una spinta per la definitiva transizione energetica ed ecologica che punta ad abbandonare i combustibili fossili a favore delle energie rinnovabili anche grazie ai progetti che verranno realizzati nei distretti dell’economia circolare. Vanno resi strutturali gli incentivi fin qui erogati che, nelle intenzioni del governo, porteranno l’Italia ad “avere l’energia blu e l’idrogeno integrati”. Il governo punta anche colmare il divario digitale esploso con la didattica a distanza e lo smart working. Per farlo va resa Internet accessibile a tutti.
Abuso d’ufficio. Il premier Conte ieri è tornato sulla riforma che già aveva annunciato a maggio: “La immagino per il fatto che i reati debbano essere legati alla certezza. Dobbiamo collegare l’abuso d’ufficio alle deviazioni delle condotte e non ai principi costituzionali”.
Povertà educativa. Reinventare il Paese passa anche per gli investimenti nell’università e nella scuola. C’è bisogno di risorse: per ora il governo ha stanziato 1,4 miliardi per fare ripartire la scuola, ma comunque non bastano.

Aveva ragione Davigo: oggi rubano senza più vergogna. - Antonio Padellaro

Polacco 36enne colto con le mani nel sacco - Prima Brescia

Nella capitale arrestano quattro funzionari di “Risorse per Roma”, accusati di incassare tangenti per agevolare le pratiche di condono e uno, intercettato, espone la tecnica dei “ricami” e degli “impicci”. Per poi concludere con malcelato orgoglio che “bisogna essere, come si dice dal punto di vista del procuratore di Roma, esperti del male per concepire una cosa di questo tipo… una mente perversa”. A Milano, il dirigente Atm Paolo Bellini, preso con le mani nel sacco, così spiegava a qualche sodale la natura profonda del suo lavoro: “L’altro mio compito è fare la puttana”. Vagheggiava anche progetti di vita: “Mi mancano sette, otto anni per la pensione, apro un conto Gabbietta (tangente Enimont ai tempi di Mani Pulite, ndr), c’ho in testa un agriturismo, i cavalli, la caccia… e mi sistemo”.
Anni fa per avere detto la pura verità, che cioè politici e amministratori pubblici non solo “continuano a rubare” ma “non si vergognano più”, Piercamillo Davigo fu crocifisso come incallito manettaro dalla pletora dei garantisti un tanto al chilo. Gli stessi che oggi invocano semplificazioni à gogo, straconvinti che ridimensionare il codice degli appalti e abolire una paccata di reati (a cominciare dall’abuso d’ufficio) sia la panacea per rimettere in moto l’Italia. Eppure, sul FQ di ieri, Valeria Pacelli ha scritto che ancora choccati dalla pandemia non ci siamo accorti che “nei primi 23 giorni di giugno sono finite sui giornali almeno 14 inchieste per corruzione, per lo più con misure cautelari”. Se (a parte le solite banalità sulle “passerelle”) un appunto di sostanza si può muovere agli Stati generali governativi di villa Pamphilj è che non risulta sia stato dato adeguato spazio al sistema dei controlli preventivi (per quelli successivi opera la magistratura) sui 172 miliardi che l’Europa si appresta a far planare sullo stivale. Allentando le regole sulla corruzione, più di quanto già non lo siano, lasciamo immaginare la proliferazione di “puttane” ed “esperti del male”. Che da certi garantisti di cui sopra saranno applauditi come dei facilitatori finalmente degni di una democrazia liberale.

“Il riciclaggio si batte con certezza della pena e nessuna prescrizione”. - Gianni Barbacetto

“Il riciclaggio si batte con certezza della pena e nessuna prescrizione”

Gian Gaetano Bellavia è un noto commercialista milanese, esperto di diritto penale dell’economia. Ha seguito negli anni molte vicende di riciclaggio e criminalità economica e finanziaria.
Serve la riduzione del contante in circolazione?
L’eliminazione delle monete di grosso taglio sì, riduce la possibilità di movimentare grandi quantità di denaro. Ma avendo in Italia una normativa antiriciclaggio poderosa e gestita in maniera egregia dalle banche, non c’è possibilità di movimentare grosse quantità di denaro contante senza essere segnalati dalle banche alle autorità antiriciclaggio. Diciamo la verità, io in Italia non vedo girare valigie di contanti e se girano non girano tramite banca. Ci sono i russi, o altri stranieri, che girano con i rotoli di banconote in tasca, ma gli italiani io non li vedo così, sarà forse perché opero a Milano e ho l’osservatorio di Milano.
Ma la riduzione della quantità di contante in circolazione può favorire la riduzione dell’evasione fiscale?
Sì, certo ma non è risolutiva perché potrà intervenire su situazioni marginali, con protagonisti artigiani, commercianti. Io non la vedo una mossa che possa risolvere il problema, certo può aiutare nel caso di evasioni marginali. La soluzione più efficace per l’evasione fiscale è la certezza della pena e l’eliminazione della prescrizione.
Può mettere in difficoltà le operazioni illegali dei gruppi criminali e della criminalità organizzata?
La criminalità organizzata certamente raccoglie grandi quantità di denaro contante e poi lo utilizza per corrompere, per comprare beni eccetera. Però non credo che la limitazione del contante ai 3 mila o ai mille euro possa davvero incidere sulle grandi attività criminali. I boss tengono 15 milioni di euro nel muro, come abbiamo scoperto in una recente operazione antimafia. Poi li movimentano nell’Est Europa, non in Italia né nelle banche italiane. Ridurre da 3 mila a mille euro la possibilità di spendere contante non incide sulle loro attività, la loro movimentazione di denaro contante continuerà come prima. Raccolgono denaro in Italia, lo utilizzano in Italia e poi lo mandano in Romania, nei Paesi dell’Est Europa comunitaria. Lì versano, riciclano e poi fanno transitare i fondi per i soliti Paesi offshore, come il Lussemburgo, infine reinvestono in Italia. Lei non si chiede da dove arriva la massa di denaro che torna in Italia sui fondi esteri basati in Delaware, Stati Uniti o in Lussemburgo? Non è possibile sapere che cosa c’è dentro, da dove vengono, di chi sono tutti quei soldi, chi può escludere che possano provenire da attività illecite?
Il gruppo di Colao ha proposto una sorta di sanatoria sul contante detenuto in nero.
La voluntary disclosure sul contante è un’ottima idea. Ma è irrealizzabile. La dichiarazione volontaria di denaro in nero detenuto in contanti presuppone la confessione totale della genesi e di tutta la movimentazione di questo denaro, con l’indicazione di tutti quelli che l’hanno toccato. E a mio parere nessuno in Italia è disposto a fare questa confessione. Potrebbero farla, in casi limitati, per esempio il panettiere che ha messo via 20 mila euro o cifre sotto la soglia di punibilità penale. Se non scatta alcun reato, il panettiere può dichiararli e regolarizzarli. Ma non possiamo pensare che possa succedere quello che è successo con la vecchia voluntary disclosure dei patrimoni detenuti all’estero. È impossibile che qualcuno accetti di regolarizzare grandi quantità di denaro, perchè dovrebbe autodenunciarsi per le condotte illecite che hanno generato questo denaro. E non reputo possibile che uno sano di mente si possa autodenunciare per reati gravi di corruzione, o false fatturazioni, o anche reati tributari sopra la soglia. Le autodenunce sono ipotizzabili in casi di piccole cifre, dunque l’idea è buona ma non realizzabile. A meno di aggiungerci una amnistia per quei reati, e ritengo la proposta né giusta né possibile. Non l’ha fatta, ai suoi tempi, neppure Silvio Berlusconi.

No, vanno aboliti. - Marco Travaglio

Mura nuovo procuratore generale di Roma. Ma al Csm è giallo sull ...
Caro procuratore, concordo sulla diagnosi, ma dissento sulla cura. E, per spiegarmi meglio, le suggerisco il prezioso libriccino di Antonio Padellaro pubblicato da PaperFirst: La strage e il miracolo. 23 gennaio 1994: la mafia all’Olimpico. Racconta quella domenica di 26 anni e mezzo fa, quando Antonio andò con i figli a vedere Roma-Udinese e tornò a casa ignaro di essere sopravvissuto alla più devastante strage politico-mafiosa solo per un guasto all’innesco dell’autobomba piazzata contro carabinieri e tifosi. Il commando dei Graviano restò a Roma per qualche giorno, con l’intenzione di riprovarci una domenica successiva. Ma il 26 gennaio B. annunciò la sua “discesa in campo”: era la notizia che Cosa Nostra attendeva dopo due anni di trattative con pezzi dello Stato, infatti la strage fu annullata, anzi sospesa sine die, e iniziò una lunga pax mafiosa fatta di ricatti di Cosa Nostra e cedimenti dello Stato.
Questa storia, in un altro Paese, sarebbe nota a tutti perché produttori e registi ci avrebbero fatto film e fiction tutte basate su fatti veri, senza bisogno di romanzare o inventare: Romanzo criminale, al confronto, è roba da rubagalline. Invece, essendo accaduta in Italia, non l’ha raccontata per intero quasi nessuno, a parte i pentiti e le Corti d’Assise di Firenze e Palermo (sentenze stragi e Trattativa). E oggi la conoscono solo pochi pm, giornalisti e lettori informati. Lei mi dirà: che c’entra col caso Csm? C’entra perché la trattativa è anche un Romanzo Quirinale. Cioè quel potere che lei considera talmente neutrale e super partes da volergli affidare la nomina dei membri laici del Csm, in condominio con il Parlamento e la Consulta.
Nel ’93 Scalfaro si attivò per rimpiazzare al Dap il “duro” Niccolò Amato col “molle” Alberto Capriotti, che insieme al suo vice Di Maggio e al ministro Conso revocò il 41-bis a 334 mafiosi detenuti. L’allora premier Ciampi, la notte delle stragi a Milano e Roma e del black out telefonico (27 luglio ’93), pensò a un colpo di Stato, ma lo confidò solo al suo diario, tant’è che la cosa venne fuori in parte solo anni dopo in un libro-intervista. Nel 2012 Napolitano tentò di interferire nell’inchiesta su pressione di Nicola Mancino; e, quando i pm riuscirono a sentirlo come teste, ricordò di molti particolari della stagione stragista mai detti prima. Quindi tremo alla sola idea che, ai tempi di Napolitano e della sua corte di giudici costituzionali (da Cassese ad Amato&C.), il Colle e la Consulta potessero piazzare i loro uomini al Csm: avremmo rimpianto i laici di partito, le correnti, fors’anche Palamara. Una delle cause della degenerazione dei magistrati è proprio la più alta istituzione della Repubblica che, di presidente in presidente, s’è assunta l’onere di rappresentare non i cittadini, ma una malintesa “ragion di Stato” che tende a coprire le deviazioni di pezzi delle istituzioni e ad allontanare i pm “cani sciolti” in grado di scoprirle. Non solo a Palermo. Napolitano difese il procuratore di Milano (Bruti Liberati) che aveva scippato l’inchiesta su Expo al titolare (l’aggiunto Robledo); poi Renzi ringraziò la Procura per la “sensibilità istituzionale”, cioè per non aver disturbato i manovratori di Expo. La stessa ragion di Stato deve aver indotto Mattarella a garantire la successione morbida a Roma fra Pignatone e il fido Prestipino, sabotando i “discontinui” Viola e Creazzo.
La verità è che l’autogoverno della magistratura non è mai esistito, se non per due terzi, visto che un terzo del Csm lo lottizzano i partiti. Ma, se l’alternativa è ampliare quel terzo e affidarlo a Quirinale e Consulta, è meno peggio la lottizzazione, più simile al pluralismo del pensiero unico del Partito del Colle e dei suoi derivati. Io credo che la cura sia tutt’altra: abolire la quota laica (idea di Montanelli); sorteggiare la quota togata, almeno per scegliere i candidati da sottoporre al voto dei 9mila magistrati in servizio (limitando il correntismo); e riformare l’Ordinamento giudiziario per abrogare la scadenza di 8 anni ai capi e agli aggiunti delle Procure (limitando così il carrierismo) e restituire ai singoli pm la titolarità dell’azione penale, oggi affidata in esclusiva ai capi, padri-padroni delle indagini (e soprattutto delle non indagini). Così non basterà più controllare un pugno di procuratori per mettersi in tasca le principali Procure. Vale la pena tentare: peggio di così non può andare.

Terremotati fuori dall’hotel. E le case non ci sono ancora. - Pierfrancesco Curzi

Terremotati fuori dall’hotel. E le case non ci sono ancora

“Perché a distanza di 48 ore nessuno è arrivato? Qui non c’entra la politica, ma la solidarietà. Il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi”. Il 25 novembre 1980 l’allora presidente della Repubblica Pertini, scuro in volto, si lascia andare a uno sfogo in diretta tv sui ritardi dell’emergenza per il terremoto dell’Irpinia. Altri tempi. Per il sisma del Centro-Italia, colpito dalle scosse del 24 agosto e del 30 ottobre 2016, l’emergenza ha tempi tutti suoi. Il Commissario straordinario per il sisma Giovanni Legnini, nominato a febbraio, ammette e promette: “Siamo in ritardo, ma dobbiamo recuperare. Dobbiamo accelerare e trasformare il sisma in una leva per il rilancio del Paese”.
Difficile pensare a un rilancio valutando la situazione. In testa c’è il “caso Tolentino”. Il più grande centro del cratere delle Marche dopo Macerata, 19 mila abitanti e ancora circa 3.500 sfollati. All’indomani delle scosse il vulcanico sindaco della città, l’assicuratore Giuseppe Pezzanesi, Dc di formazione e poi fervente berlusconiano, a capo di una giunta di ispirazione civica, ha preso una decisione importante: no alle Sae, soluzioni abitative di emergenza (le casette) ma residenze definitive, qualcosa di simile al “Progetto case” a L’Aquila nel 2019, da realizzare in tempi rapidi. A oggi dei 198 alloggi previsti ne sono stati consegnati appena una dozzina: “La mia scommessa era vincente, la colpa è della burocrazia e delle istituzioni – attacca Pezzanesi, rieletto a primo turno nel 2017 –, una macchina indegna. Se qualcuno me ne chiederà conto porterò la Protezione civile a testimoniare. Ora andremo più veloci. A novembre saranno pronti altri appartamenti all’ex Capannone della Rancia, degli altri li consegneremo entro l’estate 2021, ma a differenza delle Sae dureranno 100 anni e occuperanno aree già urbanizzate. L’ex Capannone era una casa di fantasmi, diventerà un vanto per tutti”.
L’area industriale della Rancia, a 10 km dal centro di Tolentino davanti all’omonimo castello, doveva diventare un centro commerciale. Abbandonato da 12 anni, è rimasto lo scheletro. Il Comune l’ha comprato per 1,6 milioni di euro e ha ricevuto fondi dalla Regione per 6 milioni, oltre a 850 mila euro per opere di urbanizzazione. I lavori per realizzare 48 unità abitative dovevano terminare ad agosto 2019. Più o meno gli stessi tempi per la parte maggiore del progetto case in emergenza, 134 appartamenti finanziati dalla Protezione civile per quasi 21milioni di euro. In tre siti – via VIII Marzo, Contrada Pace e Piazzale Battaglia – non ci sono altro che campi incolti: “Ci vuole una legge sull’emergenza, altrimenti non ne usciamo – è il commento del capo dipartimento della Protezione civile, Angelo Borrelli –. Il motto deve essere ‘Fare presto’, ma c’è qualcuno che si prende i suoi tempi, rivede pareri, invade campi altrui, certificati che si perdono. Troppi ostacoli. La colpa dei ritardi non è mia o del sindaco, la sua scelta io l’ho avallata. Bertolaso me lo diceva ‘Angelo quando ci sono i morti si deve passare col rosso’. Cas e hotel? Qualcuno ci marcia, perché non ci sono domande per la piccola ricostruzione”. In Contrada Pace un cartellone mostra fiero il progetto de “Le nostre Sae”, scimmiottando la scelta di tutti gli altri Comuni del cratere di puntare sulle casette, ma ad oggi resta solo una transenna: “A inizio 2019 il Mef chiede ragguagli al direttore, Angelo Borrelli – attacca Flavia Giombetti, battagliera leader del Comitato 30 Ottobre – sulla tempistica. Un anno e mezzo dopo c’è poco o nulla. Come si fa a parlare di progetto case in emergenza a quasi quattro anni dalle scosse? Assistiamo a rimpalli di responsabilità, ma intanto la gente vive nei container o presto sarà buttata fuori dagli alberghi”.
Lo impone una circolare del 28 aprile della Protezione civile che ordina a 120 terremotati delle Marche di lasciare i loro domicili. Di questi 78 sono a Tolentino: “Nessuno ci ha avvisato, lo abbiamo saputo dai social – racconta Eduard Ago, moglie e tre figli –. Non sappiamo dove andare, case non ce ne sono, né a Tolentino né nei comuni limitrofi, le uniche libere hanno affitti irraggiungibili. Noi nei container non ci andiamo, è un inferno laggiù”.