giovedì 9 luglio 2020

Il castello di mio nipote: un’opera costosa e infinita. Peggio del Mose. - Daniele Luttazzi

Castello di sabbia | Renzo Piano | Come fare
Mio nipote, 10 anni, ieri ha costruito un castello di sabbia bellissimo, con quattro torri poligonali orientate secondo i punti cardinali, mastio, muro di cortina rivestito di bugnato a punta di diamante e conchiglie, merlature a coda di rondine, fossato, saracinesca, ponte levatoio e paratoie anti-marea.
Ispirato a un progetto disegnato da Leonardo Da Vinci per Ludovico il Moro, e mai realizzato, il castello di sabbia di mio nipote adesso domina la battigia del Bagno Wilmer di Torre Pedrera, un’importante via di comunicazione fra il litorale Nord e quello Sud dell’Adriatico. Domani è previsto il test di innalzamento delle paratoie, per verificare che la sabbia non giochi un brutto tiro ai macchinari, di fronte a bagnanti e curiosi provenienti da tutta Italia. Ma ciò che è accaduto stamattina, in un test preparatorio, non è di buon auspicio. Le paratoie 11, 14 e 28 non sono rientrate nella loro sede sul fondo a causa dei sedimenti. Per questo in serata si svolgerà un nuovo test, dopo le pulizie effettuate in gran fretta da mio cognato. È evidente che le paratoie richiedono pulizia continua e manutenzione. Mia sorella ha proposto un aspiratore speciale, ma è costoso come il Mose, e la famiglia non è mica lo Stato italiano, che può svenarsi per decenni in opere problematiche e inutili. E così si punta a installare delle bocche speciali, che muovano la sabbia e la aspirino; ma non sono ancora disponibili. “Le paratoie sono in grado di sollevarsi, ma non ancora di funzionare. Per quel momento bisogna attendere la fine del 2021”, mi confessa il nipote, un po’ amareggiato. “Mi spiace che domani il mare sarà calmo. Sarebbe stato bello provarle con il moto ondoso”.
L’ingegner Alberto Vaselli, lasciato il lettino su cui stava completando la torrefazione della propria epidermide, la brezza a gonfiargli i boxer, dopo una rapida occhiata alla struttura ha dichiarato a una tv locale che le paratoie non possono essere alzate: “Rischiano la distruzione in caso di vento e mare troppo forti”. Ma sabbia, vento e mare sono solo alcuni dei problemi delle paratoie. C’è pure la ruggine. Dopo appena tre ore si è scoperto che le paratoie Sud presentano scrostamenti della vernice protettiva, con intaccamento dell’acciaio. C’è ruggine anche sui delicatissimi gruppi cerniere-connettori che consentono il movimento. Occorrerà bandire una gara da 34 milioni di euro per la ricerca di soluzioni sui materiali, in vista della futura produzione di nuove cerniere. Se si pensa che le paratoie dovrebbero avere una vita di un secolo, la prognosi di usura nell’arco di poche ore è molto preoccupante. Il che dimostra come il castello di sabbia di mio nipote sarà un cantiere continuo. E questo porta l’attenzione sui costi di manutenzione, stimati in un centinaio di milioni all’anno.
L’elenco delle criticità, però, è ancora più lungo. Ci sono buchi nei tubi sott’acqua; e cedimenti dei cassoni in cemento posti sul fondale che fungono da alloggiamento delle cerniere; e il jack-up, la nave Playmobil attrezzata per sostituire periodicamente le paratoie da mettere in manutenzione (spesa stimata: 52 milioni di euro), che ancora non funziona. Per finire, la conca (stima: 35 milioni di euro) che dovrebbe consentire il passaggio di mosconi e pedalò con le paratoie in funzione. Un amichetto di mio nipote, armato di paletta e secchiello, si è subito messo a scavare una buca dirimpetto al castello. “Cosa stai facendo?” gli ho chiesto. E lui: “Sto facendo venir fuori un po’ di buio”.

Opere ingegnose ordinate da chi, utilizzando i soldi della collettività, i nostri, ha favorito personaggi senza alcuna esperienza o conoscenza dei lavori che avrebbe dovuto portare a termine.
Un flop di dimensioni immani, in quanto a perdita di tempo, soldi e... dignità!
Dignità di chi lo ha ordinato, di chi lo ha progettato e di chi avrebbe dovuto costruirlo e portarlo a termine funzionante.

mercoledì 8 luglio 2020

Le favolette di Renzi sul maggioritario. - Franco Monaco

Governo, Renzi: no governissimo, ma basta cultura del sospetto
Ci avrei scommesso: alle solite, Renzi si rimangia l’impegno sottoscritto sulla legge elettorale che fu tra i capisaldi dell’accordo dal quale sortì il Conte 2. Cioè il governo da lui patrocinato con un coup de théâtre, per poi tenerlo in sacco sin dal primo giorno.
Come sorprendersi? Conosciamo l’uomo: inaffidabile, spregiudicato, capace di tutto. Trattasi di un copione prevedibile. Ma ciò che più infastidisce è l’ipocrisia, la sua offesa alla nostra intelligenza. Lui si racconta come l’uomo del maggioritario, quello del sindaco d’Italia, quello che vuole conoscere il vincitore la sera stessa delle elezioni. Potremmo persino comprendere se, in un raro soprassalto di onestà, dicesse apertamente che si è rimangiato la parola data per la più evidente delle ragioni: la soglia del 5 per cento è inarrivabile per la sua Italia Viva e lui vuole assicurare al suo partitino personale una stentata sopravvivenza. Del resto, chi mai lo avrebbe seguito e tuttora lo seguirebbe, nella pattuglia di transfughi sottratta agli altri partiti, se non facesse intravedere loro una sopravvivenza politica? Neppure osiamo pretendere che riconoscesse due palesi corollari della sua giravolta: la garanzia che, senza una legge elettorale raccordata con il taglio dei parlamentari, non si precipiti verso elezioni per lui letali; e un regalo fatto a Salvini notoriamente contro-interessato a cambiare la legge elettorale. Ma almeno ci risparmiasse la risibile favola della sua coerenza con la democrazia maggioritaria.
Anche io sarei per il maggioritario, ma sono ben consapevole che la bontà o meno delle leggi elettorali si misura e si decide in relazione al contesto politico cui esse sono destinate ad applicarsi. Altro era il tempo dell’Ulivo, iscritto nel quadro di una democrazia maggioritaria e di un incipiente bipolarismo. Renzi, strumentalmente, evoca Prodi e Veltroni, per cultura schierati per soluzioni maggioritarie. Ma quella stagione è alle nostre spalle. Anche grazie a lui. A produrla non fu solo una regola elettorale maggioritaria (per tre quarti, il Mattarellum), ma anche e soprattutto la politica e i suoi attori a sinistra, dotati di una visione. A fronte di Berlusconi, con la sua forza aggregante il campo della destra, vi fu chi si impegnò a organizzare unitariamente il centrosinistra, a non rassegnarsi al destino di un’eterna sconfitta. Gli si diede il nome e il simbolo dell’Ulivo: un progetto politico di respiro, pensato dai Prodi e dagli Andreatta, imperniato su tre elementi: 
1) la convinzione che anche l’Italia, il Paese della democrazia incompiuta, finalmente, avesse il diritto di sperimentare la fisiologica alternanza caratteristica di tutte le democrazie sane e mature; 
2) che, a questo fine, si dovesse semplificare il frammentato campo del centrosinistra non forzando verso il “partito unico” incongruo per la nostra storia, ma, questo sì, favorendo il coagulo di alleanze imperniate su un major party, un grande partito a vocazione coalizionale; 
3) la consapevolezza che un’impresa di tale portata esigesse una leadership non divisiva e altresì consapevole che le culture politiche non possono essere… rottamate.
Bene. Renzi ha dato un decisivo contributo ad affossare tutti quegli elementi: prima con la velleità del partito della nazione, che è l’opposto del bipolarismo e della democrazia competitiva; poi con un esercizio della leadership personalistico e sommamente divisivo (il rovescio di Prodi); a seguire portando il partito da lui guidato a una misura (il 18 per cento) che ne comprometteva la vocazione maggioritaria; infine applicandosi a ferire a morte quello che fu il suo partito – il solo che poteva aspirare al ruolo di major party nel centrosinistra – e facendosi un partitino tutto suo che sta un po’ di qua e un po’ di là.
Una visione, si diceva: nel caso di Renzi, la visione di se stesso. Come non bastasse, ora si applica a far perdere quel fronte nelle prossime Regionali. Cioè l’esatto opposto di quel progetto, del quale almeno due elementi, tra loro connessi, erano chiarissimi: partiti grandi e non micropartiti personali e alleanze politiche strategiche quali fattori di stabilità di governi che si vorrebbero di legislatura. Oggi Renzi, con i suoi distinguo strumentali, ogni santo giorno mette in fibrillazione la maggioranza. Non si potrebbe dire meglio di Calenda: Renzi è un Mastella che si atteggia a Obama. Come può darci a credere che lui è per una legge elettorale maggioritaria per nobili ragioni di principio? Ma davvero ci prende per fessi?

La pistola fumante. - Marco Travaglio

Berlusconi: Santo subito?
Da quando, il 1° agosto 2013, la sezione Feriale della Cassazione da lui presieduta condannò definitivamente B. per frode fiscale a 4 anni, gli impiegati del pregiudicato – come da contratto – hanno svelato una raffica di particolari inquietanti della sua biografia, fino a quel momento immacolata. Una collezione da Guinness di scheletri nell’armadio scovati dai segugi del Giornale e degli altri fogli aziendali setacciando fascicoli, compulsando sentenze, auscultando portoni e fioriere, interrogando edicolanti, perlustrando bar, ristoranti, tavole calde, hotel e motel, importunando passanti, scoperchiando tombe e cassonetti, nella bizzarra convinzione che B. torni incensurato se si dimostra che uno degli 11 giudici che l’han condannato in primo, secondo e terzo grado è un poco di buono. 
Purtroppo, diversamente da quelle dei pm a B., le accuse degli house organ a Esposito si erano rivelate false. 
Falso che avesse barattato la richiesta di archiviazione per suo figlio, scoperto a cena con la Minetti, in cambio della condanna di B. (la richiesta sul figlio era di sei mesi prima che il processo B. giungesse sul suo tavolo). 
Falso che suo figlio parlasse con lo 007 La Motta in carcere (quello non era suo figlio, ma il figlio di suo fratello Vitaliano, allora Pg di Cassazione). 
Falso che a tavola Esposito alzi il gomito (è astemio).
Falso che tenesse lezioni a pagamento nella scuola della moglie all’insaputa del Csm (insegnava gratis con l’ok del Csm). 
Falso che si appropriasse di processi altrui per finire sui giornali (sostituiva doverosamente colleghi assenti). 
Falso che faccia vita da nababbo (la “prova”, una Mercedes, è un ferrovecchio del 1971 acquistato nel ’77 con 300mila km). 
Falso che fosse odiato per la sua faziosità quand’era pretore a Sapri (lo odiavano solo i suoi imputati che, accertò il Csm, avevano ordito “un complotto contro l’Esposito”). 
Falso che fosse stato trasferito per affari loschi (il Tar annullò il provvedimento perché le accuse erano fasulle). 
Falso che abbia anticipato a cena la condanna di Wanna Marchi. 
Falso che avesse raccontato in giro le telefonate sexy delle girl di Arcore (mai lette da nessuno e subito distrutte dai giudici di Napoli). 
Falso che sia una toga rossa di estrema sinistra (il Giornale, prima della sentenza su B., definì lui e gli altri 4 “toghe moderate”). 
Falso che una sera, a casa di un tizio di San Nicola Arcella (Cosenza), ospite d’onore insieme all’attore Franco Nero, ripetesse a cantilena per tutta la cena “Berlusconi mi sta sulle palle, gli faccio un mazzo così” (non l’aveva come imputato e si occupava di criminalità organizzata, mentre B. inspiegabilmente non aveva processi in materia).
Fin qui le panzane raccolte da Giornale, Libero e tv Mediaset a botta calda, quando si trattava di salvare il padrone dalla cacciata dal Senato in base a una legge, la Severino, che aveva votato pure lui con tutta FI. Ora, sette anni dopo, la Banda B. ci riprova, nel tentativo disperato di riverginarlo in vista del governissimo che fa benissimo. E, va detto, ci sta riuscendo grazie a nuovi testimoni di grande autorevolezza, terzietà e credibilità: un cameriere, un bagnino e uno chef dell’hotel di Ischia di proprietà del rascampàno di FI Mimmo De Siano, legatissimo al celebre Giggino ’à Purpetta, i quali giurano all’unisono che Esposito nei suoi soggiorni non faceva che ripetere: “Berlusconi è una chiavica” e “Berlusconi e De Siano li devono arrestare”. Così, come intercalare. “All’ingresso del ristorante – testimonia il cameriere – invece di dire ‘buonasera’, Esposito era solito affermare: ‘Ancora li devono arrestare’, riferendosi al dottor Berlusconi e al mio datore di lavoro”. Il fatto che i tre cantino tutti la stessa canzone e a Napoli si indaghi sulle loro testimonianze non deve ingannare. È più che credibile che un giudice di Cassazione, sapendo di albergare in un hotel del senatore De Siano, vada in giro per la hall preannunciando a chiunque incontri l’arresto del proprietario e del suo leader. “Scusi, cameriere: posto che Berlusconi è una chiavica, me lo farebbe un caffè corretto?”. “Salve, chef: siccome quelle chiaviche di Berlusconi e De Siano vanno arrestati, me lo porterebbe un antipastino di pesce?”. “Ehilà, bagnino: alla faccia di quelle chiaviche da arrestare del suo padrone e del premier, avrebbe un ombrellone, due lettini e un telo mare?”.
Casomai le prove esibite dal giurista Porro e dal giureconsulto Sansonetti (quello che non distingue una Corte d’appello da un paracarro, figurarsi dalla Cassazione), non bastassero a convincere le Corti di Strasburgo, Lussemburgo, Magdeburgo, Brandeburgo e Cheesburger, 
il Fatto è in grado di rivelare le due nuove prove in possesso agli avvocati. La prima è il nastro di una seduta spiritica con Filumena Ciucciasangue, nota medium di Casamicciola e candidata di FI che, chiacchierando del più e del meno con l’anima del giudice Franco, gli udì scandire accuse molto circostanziate al giudice Esposito (la registrazione si sente “sbsazgrttt… bsdparttzz…”, ma l’on. avv. Ghedini la sta facendo tradurre da uno fidato). La seconda è il video di Ciruzzu Scannacristiani, detenuto all’Ucciardone al 41-bis, che confida al compagno di ora d’aria: “Chill’ curnutone scurnacchiate d’Esposito m’ha fatt’ carcerà! Cià raggione Belluscone: è tutt’ nu cumblott”. A questo punto, il ricorso in Europa è una pura formalità.

L’ostacolo è il “Clero” burocratico. - Antonio Padellaro

Il vero male dell'Italia non è la politica ma la burocrazia ...

La burocrazia è la maggiore azienda del Paese, impiega un italiano che lavora su cinque. Una massa di dipendenti in media vecchi (51 anni), mal pagati e professionalmente dequalificati (il 60 per cento senza laurea). Io sono il potere, le confessioni di un capo di gabinetto raccolte da Giuseppe Salvaggiulo è un libro illuminante sul perché si può semplificare la burocrazia quanto si vuole (come cerca di fare il governo Conte), ma se non si semplificano i burocrati è fatica sprecata. È una piramide di potere al cui vertice siedono appunto i capi di gabinetto (“i politici passano noi restiamo”). Un clero dominante i cui santuari sono Tar, Consiglio di Stato, Corte dei Conti, Avvocatura dello Stato, Anac. Che, infatti, davanti al progetto illustrato dal premier per rendere più rapide ed efficienti le procedure di assegnazione delle opere e degli appalti, hanno fatto trapelare il loro dissenso, paventando illegalità, corruzione, sperpero del pubblico denaro. 
Ragioni più o meno fondate che non cancellano la sensazione di un meccanismo di autodifesa corporativa: se i chierici non servono più la messa, a cosa servono? Certo, come spiega l’autore, si tratta di un potere iniziatico che attraverso il pieno controllo della fabbrica delle leggi muove i fili delle decisioni politiche che la politica subisce, pur vantandone il merito. Proviamo a immaginare questo gigantesco agglomerato di poltrone che discende per li rami in tutte le istituzioni della Repubblica, dalla Capitale fino al più sperduto comune. Uno sterminato esercito di vassalli, valvassori e valvassini impegnato quotidianamente ad esercitare sui cittadini una sovranità che spesso si manifesta come potere d’interdizione (le leggi si applicano ai nemici e s’interpretano per gli amici, diceva Giovanni Giolitti). È pensabile che i sacerdoti di questa liturgia, rinuncino da un giorno all’altro alla discrezionalità di quel timbro che può dividere i salvati dai sommersi? “Noi non siamo rottamabili”, sostiene il suggeritore di Salvaggiulo. “Chi ha provato a fare a meno di noi è durato poco. E si è fatto male”. 
Giuseppe Conte prenda nota.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/07/08/lostacolo-e-il-clero-burocratico/5860897/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-07-08

Ferri ci riprova: scrive a Fico Vuole lo scudo della Camera. - Ilaria Proietti

Ferri ci riprova: scrive a Fico Vuole lo scudo della Camera

Ferri, finito nei guai con Luca Palamara&Co. per via degli incontri all’hotel Champagne dove ci si dava da fare per le nomine al vertice della Procura di Roma, vuole lo scudo preventivo dai suoi colleghi deputati, forse tentando di guadagnare tempo. Infatti ha chiesto al presidente della Camera Roberto Fico di sollevare il conflitto di attribuzione di fronte alla Corte Costituzionale nei confronti del procuratore generale presso la Corte di Cassazione e del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, sostenendo di essere stato intercettato illegittimamente e cioè senza l’autorizzazione preventiva della Camera di appartenenza. Per via del suo brigare come dominus di una delle correnti della magistratura ma pure come cerniera con la politica (a quella tavolata rappresentata anche da Luca Lotti), rischia una sanzione disciplinare dal Csm.
Che teme possa costargli la carriera, almeno quella in toga. O quanto meno insozzargliela definitivamente, lui che è riuscito a rimanere sempre puro come un giglio. Nonostante il suo nome sia comparso negli anni ripetutamente, senza però mai essere indagato: da Calciopoli, al Trani-gate, dall’inchiesta P3, al caso Saguto e da ultimo come cerimoniere degli incontri tra Silvio Berlusconi e il giudice Amedeo Franco, relatore della sentenza Mediaset, con tanto di colloqui registrati e oggi resi pubblici nel tentativo di riabilitazione del Cav. Sempre graziato dal suo Csm, ora tenta il colpaccio anche alla Camera: della sua richiesta dovrà occuparsi prima la Giunta per le autorizzazioni e le immunità di Montecitorio che dovrà predisporre una relazione per l’Ufficio di presidenza guidato da Fico. Che dopo ulteriore istruttoria, se riterrà la questione degna di attenzione, farà decidere l’aula.
Ma cosa chiede Ferri? Il deputato di Italia Viva si era già rivolto personalmente, ma senza successo alla Consulta, a difesa delle sue prerogative di parlamentare. Lamentando che gli inquirenti sapessero già, grazie al trojan installato sul telefono di Palamara, che al famigerato convivio del 9 maggio 2019 organizzato sulle nomine al Csm, avrebbe partecipato pure lui. E che dunque quella sera avrebbero dovuto staccare la cimice oppure chiedere l’autorizzazione preventiva alla Camera.
Ora che la Corte Costituzionale ha dichiarato il suo ricorso inammissibile, la speranza è di trovare protezione politica dai suoi colleghi parlamentari. E che la Camera faccia la voce grossa a tutela delle prerogative dell’Istituzione tutta, minacciate dal “torto” che ha dovuto subire un suo rappresentante.
Una mossa del cavallo attraverso la quale Ferri vuole garantirsi l’inutilizzabilità delle captazioni che sono alla base del procedimento disciplinare che lo riguardano. E uscirne di nuovo incolume salvando l’onore e il posto di magistrato. Ché quello di parlamentare non glielo tocca nessuno.

Grazie, Maestro!



Ennio Morricone - Metti una Sera a Cena (In Concerto - Venezia 10.11.07)

Dietro il mes, la voglia di teleguidare l’Italia. - Lucio Baccaro*

Prendi a pugni il mal di testa - PeopleForPlanet

Si moltiplicano gli appelli nazionali e internazionali affinché l’Italia sottoscriva un prestito del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) di supporto alla crisi pandemica. L’ultimo, con un’intervista al Corsera del 4 luglio, è di Valdis Dombrovskis, vice presidente della Commissione.
Chiariamo subito che il Mes è vincolato al rispetto di una rigorosa condizionalità (art. 136(3) del trattato europeo). Occorre inoltre considerare gli effetti del regolamento comunitario 472/2013, che prevede che un paese che accede a un finanziamento Mes è sottoposto a “sorveglianza rafforzata”, e che nel corso di essa il Consiglio possa decidere, a maggioranza qualificata, che siano necessarie misure più drastiche, compreso un programma di aggiustamento macroeconomico (articolo 3(7) del regolamento). Il 7 maggio scorso una lettera dei commissari Dombrovskis e Gentiloni ha sospeso l’applicazione di alcune parti del regolamento, tra cui l’art. 3(7). Tuttavia, il regolamento non è stato emendato. Non sorprende dunque che alcuni stati membri, tra cui l’Italia, abbiano il timore che accendendo un prestito Mes possano ritrovarsi la troika in casa.
Dando per scontata la buona fede dei commissari, potrebbe verificarsi la cosa seguente: l’Italia entra nel Mes pandemico, e incassa i 36 miliardi. Non ci sono condizionalità immediate, salvo l’uso dei fondi per rispondere alla crisi sanitaria. Nel corso di una missione post-programma, o nell’ambito della procedura del semestre europeo, la Commissione scopre che le condizioni italiane si sono aggravate ed è necessario un intervento ben più consistente per far fronte alla crisi finanziaria imminente o in atto. Non costringe l’Italia a entrare in un programma di aggiustamento macroeconomico, come previsto dall’articolo 14(4) del regolamento, dato che la lettera Dombrovskis-Gentiloni ha disattivato questo comma, ma consiglia caldamente l’ingresso in un programma Mes di dimensioni maggiori. In tali circostanze la pressione politica diverrebbe molto forte, si moltiplicherebbero gli appelli “a fare presto”, e sarebbe molto difficile per il governo italiano, vecchio o nuovo che sia, ignorare l’invito.
È noto che la situazione finanziaria italiana si deteriorerà sensibilmente nel corso del 2020. Il debito pubblico è destinato ad aumentare del 20% del Pil secondo le previsioni più favorevoli. I fondi del Recovery Fund in corso di negoziazione, che l’Istituto Bruegel stima ottimisticamente in 86 miliardi di contributi, saranno molto inferiori al deficit pubblico, stimato da Eurostat all’11% del Pil, 180 miliardi solo nel 2020. Soprattutto, negli ultimi 25 anni il tasso di crescita italiano è stato quasi sempre al di sotto del tasso di interesse.
In queste condizioni, il debito pubblico italiano è sostenibile solo se i tassi di interesse rimangono molto bassi, ovvero fin quando continua il programma di acquisto di debito della Bce. Questo però ha grossi problemi di congruenza con la lettera e lo spirito dei trattati europei, come evidenziato dalla recente sentenza della corte costituzionale tedesca.
Nel futuro più o meno prossimo la politica monetaria della Bce dovrà normalizzarsi. All’inizio della crisi la Presidente Lagarde dichiarò che il compito della Bce non è quello di chiudere gli spread, e aveva ragione di dirlo. Inoltre, le regole fiscali europee (patto di stabilità e crescita, Fiscal Compact), per ora sospese, verranno reintrodotte.
È probabile, dunque, che l’Italia necessiti di un aggiustamento strutturale nel futuro prossimo. Molti attori nazionali e internazionali hanno interesse a far sì che tale aggiustamento, potenzialmente devastante, sia inquadrato nelle regole esistenti in modo da minimizzare i rischi per la zona euro. Tali regole prevedono: negoziazione di un Memorandum of Understanding con relativa condizionalità; accesso a un programma Mes di dimensioni ben più consistenti di quello pandemico; intervento successivo della Bce con il programma di acquisti OMT.
Dunque, mi sembra che dietro all’invito pressante ad accettare i fondi del Mes ci sia il tentativo di incanalare la crisi italiana entro binari consolidati prima che essa si manifesti in tutta la sua gravità, approfittando della presenza di un governo amico (per lo meno in una sua componente). Tuttavia, come tutti i piani che si proiettano in un futuro incerto, molte cose possono deviare dal corso previsto. Per esempio, l’opinione pubblica italiana è fortemente ostile a nuovi programmi di austerità, come evidenziato da due survey experiments del Max Planck Institute. Inoltre, se le cose dovessero davvero andare come descritto sopra, la tenuta delle forze “responsabili” nel panorama politico italiano non è affatto scontata.
*Direttore del Max Planck Institute di Colonia.