mercoledì 17 febbraio 2021

Atterraggio brusco. - Marco Travaglio

 

Siamo vicini con le preghiere ai tanti “colleghi” che, all’annuncio di Draghi, si erano inumiditi le lingue e gli slip vaticinando la Palingenesi dei Competenti, la Rivoluzione di Quelli Bravi, il Regno di Saturno e ora si ritrovano un po’ a secco, un tantino più asciutti, a ritrarre di un palmo le lingue e a dire che sarà dura, non bisogna aspettarsi granché, SuperMario mica ha la bacchetta magica e cara grazia se farà “due o tre riforme” per poi ascendere al Colle fra un anno. La lista dei ministri, le prime risse fra i medesimi, le nomine dei “nuovi” burocrati e prossimamente i sottosegretari promettono bene. Chi oracolava di Mes, fine della dittatura sanitaria, dei Dpcm e del Sussidistan, licenziamenti liberi, rivincita del privato sul pubblico e più vaccini per tutti in totale discontinuità dai dilettanti-incompetenti-scappati di casa-mediocri di prima si sta rassegnando alla continuità e presto, in cuor suo, ammetterà alla luce del dopo che prima era difficile fare meglio. Due settimane di ubriacatura e siamo già tornati sulla terraferma.

Vuol dire che Draghi non è bravo, competente, prestigioso? No, anzi. Significa che i superman, i tecnici super partes, gli uomini soli al comando, i salvatori della patria e i migliori esistono solo nella fantapolitica. Basta vedere di chi si sta circondando Draghi, complice la sua scarsa conoscenza della politica e dell’amministrazione: tre o quattro pezzi pregiati di Bankitalia, di Confindustria, delle accademie e delle burocrazie, e poi i peggiori cascami delle vecchie lobby che han fatto solo disastri, dal pescoso laghetto Cassese a Cl alle terrazze romane e milanesi. Queste cose nessuno dovrebbe saperle meglio di noi italiani, che di governi tecnici ne abbiamo già avuti tre – Ciampi, Dini e Monti –, regolarmente passati dagli altari alla polvere nel giro di pochi mesi. Ma siamo un popolo che dimentica tutto e non impara mai nulla: nessuna meraviglia, specie nella confusione del mondo ai tempi del Covid. Ciò che stupisce è che non ricordino e non capiscano nulla coloro che la storia, o almeno la cronaca, dovrebbero conoscerla: i giornalisti e gli intellettuali. Prigionieri della loro cupidigia di servilismo e ingannati dalle bugie che raccontano agli altri, hanno perso un’altra occasione, l’ennesima, per azzeccarne una. Infatti continuano a ripetere il mantra della “crisi di sistema” e del “fallimento della politica”. E fingono di dimenticare che Conte è caduto per mano di un irresponsabile sfasciacarrozze che non tollerava i successi della politica e del sistema incarnati da un governo che aveva ben guidato l’Italia nell’anno più terribile del Dopoguerra e, a lasciarlo fare, avrebbe consolidato un nuovo centrosinistra competitivo.

È per i suoi successi, non per i suoi errori, che è caduto il governo Conte, che stava ricostruendo la politica e il sistema già falliti anni addietro. Ma questo i trombettieri dei giornaloni non potevano né possono riconoscerlo, perché i loro padroni quella nuova politica imperniata su legalità, trasparenza, allergia alle lobby, politiche sociali e ambientali non l’accettavano. Tantomeno con 250 miliardi di Recovery e fondi di Coesione Ue all’orizzonte. Terrorizzati nel 2018 dalla vittoria di M5S e Lega e dalla scomparsa dei propri manutengoli e burattini, han preso a demonizzare i nuovi venuti e poi a tentare di comprarli e cooptarli. Nel 2019 ci sono riusciti con la Lega. Ma, quando già pregustavano le elezioni e il ritorno a tavola, han dovuto fare i conti con Conte, che è riuscito nell’ardua impresa di mettere insieme M5S e un Pd parzialmente derenzizzato e di formare una squadra di governo che univa i pezzi meno sputtanati dell’establishment ai marziani grillini e anche alla gente nuova della sinistra (i Provenzano, Amendola, Speranza). Anziché impazzire, la maionese è piaciuta: il premier e il suo governo avevano indici di gradimento molto superiori alla somma dei giallorosa. Perché i risultati, al netto degli errori, si vedevano: una gestione della pandemia più efficace che nel resto dell’Ue, i 209 miliardi del Recovery, la campagna vaccinale, altre misure come il cashback, l’ecobonus 110%, il blocco della prescrizione, le manette agli evasori ecc. Altro che fallimento degl’incompetenti, altro che crisi di sistema.

In barba a chi confonde le cause con gli effetti, il fallimento del sistema c’era già stato: nel 2011, quando morì miseramente il berlusconismo; nel 2013, quando finirono tragicamente i tecnici montiani e il Pd che se li era accollati per ordine di Napolitano; nel 2018, quando il popolo bocciò le tre ammucchiate demo-forziste di Letta, R. e Gentiloni benedette dal Colle per tener fuori i marziani e votò in massa per i due partiti rimasti fuori: M5S e Lega. Dopo ogni embrassons-nous di establishment, tecnica o politica che sia, vincono sempre quelli che le élite non riescono a comprendere e demonizzano-esorcizzano come “populisti”: dopo Ciampi, B.; dopo Monti, i 5Stelle; dopo il napolitan-renzismo, ancora il M5S più Salvini. E ora, dopo Draghi, è molto probabile un derby fra i due leader che se ne tengono a distanza: Meloni e Conte (se gioca bene le sue carte). Sempreché la gente non scambi per novità i codini dell’Ancien Régime di ritorno, che non possono essere la soluzione perché sono il problema. Gli italiani, diceva Flaiano, “vogliono la rivoluzione, ma preferiscono fare le barricate coi mobili degli altri”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/17/atterraggio-brusco/6103672/

Nasce il gruppo giallorosa e il federatore sarà Conte. - Luca De Carolis

 

Maggioranza - Pd, M5S e Leu provano a fare squadra contro i due Matteo, l’ex premier benedice l’operazione.

Uniti, innanzitutto per non farsi uccidere dal Matteo Renzi che quello voleva, demolire i giallorosa. Ma anche per pesare nel governo Draghi, dove la Lega già sgomita e urla. Fino all’obiettivo più a medio termine, ridare una casa politica a Giuseppe Conte, che tornerà a fare il professore, certo, ma che vuole restare in gioco, come mastice della coalizione.

Varie ragioni per formare l’intergruppo di Pd, M5S e Leu, nato ieri proprio nel Senato dove oggi Mario Draghi chiederà e otterrà la fiducia. Una novità che ha ricevuto subito la benedizione dell’ormai presidente del Consiglio Conte: “Le forze che hanno già proficuamente lavorato insieme devono nutrire la loro visione con proposte concrete e traiettorie riformatrici, per affinare una condivisione di intenti e di obiettivi”. Bisogna cementare l’alleanza, teorizza il professore, anche perché “è il modo migliore per affrontare il voto di fiducia in Parlamento”. Necessario per marcare una differenza politica nel governo del tutti dentro, e utile anche a recuperare qualche grillino di rito contiano, tentato dal dire no.

Di certo però oggi, innanzitutto a palazzo Madama, si consumerà l’ennesima frana nei 5Stelle. Dieci, 12 senatori, stando alle ultime stime, diranno di no, e altri potrebbero non presentarsi o astenersi. E una decina di voti contrari sono attesi anche alla Camera. Alcuni grillini decideranno solo oggi cosa fare, ma pare che siano già pronti simbolo e sigla per un nuovo gruppo dei dissidenti a palazzo Madama. “Hanno anche contattato qualche ex della comunicazione del M5S” sussurra un senatore. Siamo già alle prove di scissione, almeno a livello parlamentare. Intanto però c’è l’intergruppo. E sempre a lui si torna, a Conte. “Partendo dall’esperienza positiva del governo Conte II – scrivono i capigruppo di Pd, 5Stelle e Leu – il gruppo vuole promuovere iniziative comuni sull’emergenza sanitaria, economica e sociale, fino alla transizione ecologica”. Sillabe scritte dopo una riunione dei capigruppo ieri pomeriggio, a palazzo Madama.

E nei corridoi c’era anche il segretario particolare dell’ex premier, a conferma che Conte era assolutamente favorevole all’operazione. “Il suo primo obiettivo resta preservare la coalizione” conferma un grillino di peso. Un tema di cui l’avvocato ha parlato ieri per un’ora anche con Goffredo Bettini, il dem che aveva tentato ogni via per tenerlo a palazzo Chigi. “La telefonata non ha correlazione con la nascita dell’intergruppo” assicurano. Ma di certo Bettini resta convinto che l’ex premier sia indispensabile per tenere assieme i giallorosa. Nonostante la ferita infertagli da Renzi, raccontata così dal segretario dem Nicola Zingaretti a Cartabianca: “Renzi ha scelto di abbattere il Conte bis per destrutturare quel modello politico”. Un modello che i 5Stelle e Leu vorrebbero a tutti i costi tenere in piedi. E può essere un’istanza anche per i dem, per i quali l’intergruppo servirà prima di tutto come argine a Salvini. Zingaretti ha anche incontrato il leader del Carroccio, pur di sminare il terreno. Ma Salvini è sempre se stesso, e già ieri a L’aria che tira lo ha ricordato così: “L’euro irreversibile? Solo la morte lo è”. Parole che non stupiranno gli ex alleati del M5S, dove però pensano ad altro. Magari a come non esplodere, visto che per chi dirà no a Draghi la sanzione è già chiara: espulsione.

Ma alcuni dissidenti sono pronti a impugnare anche in sede legale l’eventuale decisione, perché “il quesito su Rousseau era sbagliato e comunque la fiducia da Statuto è obbligatoria solo se il presidente incaricato è del M5S”. Potrebbe finire a carte bollate, mentre l’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede avverte: “La mia fiducia non sarà in bianco, e questo deve essere chiaro se vogliamo recuperare un peso politico che si è eccessivamente ridimensionato”. Frasi che sono il termometro, della febbre a 5Stelle.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/17/nasce-il-gruppo-giallorosa-e-il-federatore-sara-conte/6103673/

martedì 16 febbraio 2021

Conte, il più amato e le quattro vie del suo nuovo futuro. - Andrea Scanzi


I social – per fortuna – non sono tutto, ma qualcosa dicono. E dice molto anche l’umore generale che si respira dopo la lista di ministri (buona per i tecnici, debole quando non vomitevole per i politici) del mitologico esecutivo di San Draghi. Quando tutti ti lodano a prescindere, prima ancora che abbia cominciato il tuo lavoro, le aspettative crescono a dismisura. E se poi dal cilindro non fai uscire Batman ma Brunetta, la disillusione è cocente. La luna di miele di Draghi durerà forse poco e forse niente, di sicuro non tantissimo, e molti già dicono “Era meglio lui”. Laddove il “lui” è Giuseppi. Che ha fatto benissimo a non entrare in questo tragicomico caravanserraglio.

Sabato scorso, Giuseppe Conte ha passato il testimone, anzi la campanella, a Mario Draghi. Il lungo applauso con cui lo ha salutato Palazzo Chigi ha colpito molto gli italiani, rendendo il video virale. Il post di commiato dell’ex presidente del Consiglio, nella sua pagina Facebook, ha registrato tre giorni fa numeri spaventosi: più di un milione di like, più di 130 mila condivisioni e oltre 300mila commenti (in larga parte positivi). Il post di Conte era addirittura primo al mondo (!) su Facebook e nella top ten mondiale c’era anche un mio post sempre sull’ex premier.

Conte ha un serbatoio di stima e affetto che non ha nessun politico. Ma tutto finisce. E gli italiani hanno la memoria dei gasparrini rossi. Quindi Conte deve dire in fretta, anzitutto a se stesso, cosa voglia fare adesso. Le opzioni sono quattro.

1. Torna alla vita di prima, ricomincia a guadagnare molti più soldi e si allontana dal cicaleccio di certa stampa. È una prospettiva che Conte sta valutando attentamente.

2. Cerca di scalare il Partito democratico, magari passando dalla prima “elezione suppletiva” che passa. Tipo quella del collegio di Siena per sostituire Padoan. La sedicente statista Boschi, con quel suo grazioso parlare in stampatello senza dir mai niente, gli ha però chiuso la porta in faccia. E già questo, tenendo conto che Boschi non fa più parte del Pd, dice molto sull’indipendenza del Partito democratico dalle sciagure renziane. Resta comunque una soluzione che fa acqua da tutte le parti. Chi glielo fa fare a Conte di rinunciare a un ministero sicuro nel governo Draghi per riciclarsi come deputato anonimo del Pd? E come farebbe a scalare il Pd, che è fatto da 876 correnti la metà delle quali lo vorrebbe politicamente morto? Dai, su.

3. Crea un partito tutto suo. I sondaggi lo darebbero al 10-12 per cento. Non è poco, ma in larga parte saboterebbe quel che resta del M5S, che allo stato attuale – giova ricordarlo – non è Movimento 5 Stelle ma Movimento 5 Salme. I partiti personalistici, come insegnano Monti e Renzi, nascono poi di per sé putrescenti. E Conte pare troppo sveglio per suicidarsi come un Ferrara, un Fusaro o un Paragone qualsiasi.

4. Diventa il leader dei 5 Salme, riportandoli al livello di 5 Stelle. Il M5S si è coperto di ridicolo greve e nequizia spinta con la trattativa demente, e ancor più masochista, portata avanti con Draghi. Per tornare a vivere hanno solo una chance: Conte. L’ex premier dovrebbe scalare il Movimento, che essendo al momento morto si scala anche solo in ciabatte. In qualità di membro dominante di quella “nuova segreteria” di cui si parla ormai dai tempi di Badoglio, assurgerebbe a conducator di quel “campo progressista” di cui parlano Bersani e (spero) Zingaretti. Del resto è l’unico pontiere possibile tra M5S e centrosinistra.

L’opzione 4 è la più auspicabile. Quindi, essendo nati per soffrire, non andrà così. Condoglianze.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/16/conte-il-piu-amato-e-le-quattro-vie-del-suo-nuovo-futuro/6102604/

Rispetto il tuo pensiero, anche se non lo condivido. Voi giornalisti siete il "quarto potere", è demandata a voi la responsabilità di non farlo precipitare nel dimenticatoio, mettendo in evidenza, sempre, che è l'unico politico che ci ha fatto sognare di poter contare qualcosa. Lui è la prova evidente che la nostra non è una democrazia, ma un'oligarchia il cui potere decisionale è nelle mani di chi ha il potere economico e di chi lo supporta. Il 32.7% della cittadinanza ha votato un movimento nel quale credeva, sono bastati due imbecilli a far cadere il governo eletto. E nessuno, però, ha messo in evidenza questo atto anticostituzionale. Cosi non fate altro che destabilizzarci, ci dimostrate che non contiamo nulla e che la democrazia che tanto decantate non esiste se non sulle vostre bocche come una parole vuota di significato. Così come usano, sbagliando, la parole "politica" che è "arte di governare" e non di arraffare a piacimento, e "populismo" che è "un atteggiamento ed una prassi politica che mira a rappresentare il popolo e le grandi masse esaltandone valori, desideri, frustrazioni e sentimenti collettivi o popolari." Spero che non facciate anche voi ciò che fanno gli altri mass-media, dimenticare il passato e seguire il carro del vincente, sarebbe ancor più destabilizzante di tutto il resto. Abbiamo bisogno di chi renda visibile la nostra voce, noi siamo i reietti, quelli onerati di doveri, siamo i fantasmi che gridano e piangono, ma nessuno li ascolta.
Cetta


Sparati da Palermo a Catania in 10 minuti: il treno Hyperloop a levitazione magnetica. -

La capsula Virgin Hyperloop One (VH) che ha portato a termine il test passeggeri


Viaggiare a circa 1.200 chilometri all’ora, all’interno di un tubo sottovuoto. Quella che sembrava soltanto fantascienza diventa realtà sempre più palpabile anche per l'Italia.

Grazie alla levitazione magnetica si viaggerà a circa 1.200 chilometri all’ora, all’interno di un tubo sottovuoto. E quella che sembrava soltanto fantascienza, adesso diventa una realtà sempre più palpabile anche per l'Italia.

Lo scorso novembre infatti è stato effettuato dalla Virgin Hyperloop il primo test dal vivo, ovvero sono stati trasportati due passeggeri, il Cto e cofondatore dell'impresa, Josh Giegel, e il capo della Passenger experience, Sara Luchian. Unesperienza "futuristica", fatta nel deserto (manco a dirlo!), vicino Las Vegas. 500 metri percorsi in circa 4 secondi, ovvero in “soli” 400 km/h (a causa della brevità del tragitto) come riferisce il Corriere della Sera.

Come descritto sul quotidiano, il vagone sperimentale, chiamato Pegasus, è entrato in una camera di decompressione e "a quel punto, nel tunnel a bassa pressione che è il cuore di Hyperloop, è stato creato il vuoto e il vagone (o meglio il pod, la capsula) è partito raggiungendo i 160 km/h e, soprattutto, portando a destinazione senza problemi entrambi gli occupanti".

E tra gli investitori ce n'è anche uno italiano, Paolo Barletta, 34 anni (magari lo conoscete per le app salta-code uFirst e per il marchio di Chiara Ferragni) che con Alchimia è l'unico socio italiano di Virgin Hyperloop. Lui è certo che si farà anche in Italia e che quindi il nostro paese sarà tra i primi al mondo ad avere questa tecnologia del futuro a disposizione e non più tardi del 2030 inzieranno i lavori per le tratte brevi.

Il che quindi ci fa sognare e ci riporta alla mente quanto pubblicato tempo addietro da alcuni giornali locali che prevedevano un futuro a velocità supersonica per tutti i siciliani, ipotizzando di percorrere la tratta Palermo-Catania - che per ora in treno si percorre i circa 4 ore - in uno schiocco di dita.

Secondo quanto calcolato dagli scienziati americani, Chicago-Pittsburgh, ovvero una distanza di 742 chilometri, con Hyperloop si può percorrere in soli 30 minuti contro le due ore in aereo, quindi il calcolo è bello che fatto se consideriamo che Palermo e Catania distano più o meno 240 km: la tratta si percorrerà in poco meno di 10 minuti.

Bibop Gresta, presidente di Hyperloop Transportation Technologies nata nel 2013, un anno fa aveva presentato a Roma Hyperloop Italia, "una Start Up ad alto contenuto innovativo - disse - che nasce per realizzare e distribuire le tecnologie HyperloopTT in Italia. È la prima società al mondo che avrà una licenza in esclusiva per la realizzazione commerciale del progetto Hyperloop in Italia".

Secondo quanto aveva riportato il quotidiano catanese La Sicilia, stava lavorando allo studio di un treno supertecnologico capace di coprire la tratta Milano-Roma in appena mezz’ora o Catania-Palermo in poco più di dieci minuti.

La società italiana è del tutto slegata e indipendente da quella americana Virgin di cui abbiamo parlato prima.

Insomma, che siano gli americani o gli italiani a realizzare questo progetto, a noi poco importa, ci importa solo che diventi realtà. È chiaro che ci sono diverse cose fondamentali che dovranno essere vagliate con attenzione, bisognerà capire la sostenibilità dei costi, l’impatto ambientale, il ritorno economico, ma a noi, di certo, sognare, non costa nulla.

Cassese & C. l’abbuffata dei super burocrati. - Carlo Di Foggia

 

Governi e ministri, è noto, vanno e vengono. Capi di gabinetto e alti burocrati restano e comandano, a volte fanno lunghi giri e poi ritornano. Qualche decina di grand commis – consiglieri di Stato, magistrati amministrativi, etc – che detengono un potere immenso. Sacerdoti di una religione laica che scrive e interpreta le leggi (comprese quelle che permettono di distaccarli fuori ruolo nei ministeri o nelle Authority, di cui poi giudicano gli atti). Il governo Draghi non fa eccezione. Anzi è anche il risultato di una delicata battaglia sotterranea che ha visto la capitolazione di Giuseppe Conte.

C’è un partito della burocrazia, il cui stratega – o almeno così lui prova ad accreditarsi – è il giurista Sabino Cassese, principe degli amministrativisti, già giudice della Consulta, ministro con Ciampi e voce ascoltatissima della maionese impazzita detta establishment italiano. Il nostro ha passato mesi a bombardare a mezzo stampa il governo Conte, considerato inadeguato a gestire la crisi e il Recovery Plan. Con la nascita del governo di Mario Draghi, con cui vanta ottimi rapporti, non si è tenuto: “È in linea con le mie aspettative”, ha esultato, auspicando che il neo esecutivo “non sia a termine”.

Tanta gioia magari si spiega anche con il ritorno al comando dei suoi numerosi allievi, una schiera nutrita con ottime entrature al Quirinale e tra i quali si contano Giulio Napolitano (figlio di Giorgio) e Bernardo Giorgio Mattarella (figlio di Sergio) o avvocati di grido come Andrea Zoppini (e il suo rinomato studio). Una fitta rete di potere che può vantare oggi diverse posizioni chiave nei ministeri la neo-titolare della Giustizia, Marta Cartabia, vicina a Comunione e Liberazione, nonché giudice costituzionale negli anni in cui alla Consulta sedeva anche Cassese. Questo mondo – oggi in attrito con quel che resta della filiera andreottiana incarnata dal Gran Visir del berlusconismo Gianni Letta e dal faccendiere Luigi Bisignani, prova a tessere le file del gioco e sembra avere il sopravvento. Al punto che Cartabia viene perfino indicata tra i papabili futuri presidenti della Repubblica.

Conte non è estraneo alla macchina della giustizia amministrativa, è stato vicepresidente del Consiglio di presidenza dell’organo di autogoverno (il Cpga). Ai tempi del governo gialloverde, Cassese era stato anche prodigo di elogi (“sei meglio di Gentiloni”), ma dall’estate 2020 qualcosa è cambiato; è iniziato il bombardamento che oggi vede il suo esito vittorioso.

Il ritorno più clamoroso, in questo senso, è quello di Roberto Garofoli a Palazzo Chigi: arriva, in quota Quirinale, addirittura come sottosegretario alla Presidenza. Consigliere di Stato, nel Conte I fu costretto alle dimissioni da capo di gabinetto al Tesoro (arrivato con Padoan in quota Enrico Letta, fu confermato da Tria) su input dell’allora premier: il portavoce di Palazzo Chigi, Rocco Casalino, lo attaccò insieme ai “pezzi di merda” del ministero dell’Economia accusati da 5Stelle e Lega di sabotare il governo non facendo saltare fuori i soldi per il ddl Bilancio 2019. Tra i “pezzi di merda” c’era anche l’allora Ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco, neo ministro dell’Economia.

Oggi, stando alle indiscrezioni, dal repulisti di Cassese&Draghi si dovrebbe salvare (per ora) Roberto Chieppa, segretario generale di Palazzo Chigi: fedelissimo di Conte e bersaglio prediletto di Cassese nei suoi editoriali contro i Dpcm scritti “da chi meriterebbe di essere mandato in Siberia”, nel Palazzo si dice che debba la riconferma ai buoni uffici di Mattarella jr. Chi dovrebbe saltare è invece Ermanno De Francisco, l’uomo che Conte ha chiamato a capo dell’Ufficio legislativo a Palazzo Chigi, anche lui, come Chieppa, vicino al presidente del Consiglio di Stato, Filippo Patroni Griffi, ex ministro del governo Monti, nominato al vertice di Palazzo Spada proprio da Conte.

Al suo posto dovrebbe arrivare un altro fedelissimo di Patroni Griffi, Carlo Deodato, giudice del Consiglio di Stato, già capo di gabinetto al ministero degli Affari europei con Paolo Savona, che seguì quando quest’ultimo fu dirottato alla presidenza della Consob (è stato segretario generale dell’Authority).

Vicino ad Andrea Zoppini – ha scritto con lui un Manuale di diritto civile edito da “Nel diritto”, casa editrice con fatturato milionario della moglie di Garofoli – è anche Giuseppe Chinè, che dovrebbe sostituire Luigi Carbone (anche lui consigliere di Stato in distacco) come capo di gabinetto al Mef: magistrato amministrativo (cresciuto alla scuola di Vincenzo Fortunato, potentissimo al Tesoro ai tempi di Tremonti e Monti), oggi capo della Procura federale della Figc, Chinè è stato capo di gabinetto di Beatrice Lorenzin alla Salute (governo Renzi) e al Miur con Marco Bussetti (in quota Lega nel governo Conte I).

Gradita a Giorgetti, ma anche al mondo dem, è la papabile nuova capo di gabinetto di Garofoli, Daria Perrotta: già capo segreteria del leghista quando era sottosegretario a Palazzo Chigi coi gialloverdi, ricoprì lo stesso ruolo con Maria Elena Boschi nell’esecutivo Gentiloni; oggi è consulente di Dario Franceschini al Mibact.

Al ministero dello Sviluppo, Giorgetti dovrebbe invece portarsi Paolo Visca, alto funzionario della Camera e capo di gabinetto di Matteo Salvini da vicepremier .

In quota Confindustria, ma vicina al finanziere-costruttore Francesco Gaetano Caltagirone, al ministero della Pubblica amministrazione di Renato Brunetta dovrebbe arrivare l’ex dg di Viale dell’Astronomia, Marcella Panucci. Invece Gaetano Caputi, che fu direttore generale Consob ai tempi di Giuseppe Vegas, è in pole position per la stessa poltrona al ministero del Turismo del leghista Massimo Garavaglia.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/16/cassese-c-labbuffata-dei-super-burocrati/6102579/

Cafone il Censore. - Marco Travaglio

 

La stima che nutriamo per Draghi ci fa escludere che sia stato lui a scegliersi come capo di gabinetto Antonio Funiciello. Basta scorrere le biografie dei due per escludere che si siano mai incontrati neppure per sbaglio, in treno, in aereo, in ascensore. Né, nel Governo dei Migliori, possono esser bastati gli slurpissimi tweet del Funiciello all’avvento di Draghi: “DRAGONS. L’alba dei Nuovi Cavalieri”, “Poi parve a me che la terra s’aprisse tr’ambo le ruote, e vidi uscirne un #drago…” (Dante, Purgatorio), o i sobri retweet “Da pochi giorni Città della Pieve sembra Versailles” e “Grazie Presidente! #Mattarella” (by Gentiloni). No, qualcuno deve aver tirato un pacco a SuperMario, approfittando della confusione generale. Nato a Piedimonte Matese (Caserta) 45 anni fa, il nostro eroe è laureato in Filosofia e giornalista pubblicista, il che gli fa credere di essere un “intellettuale liberale”. Ha pubblicato alcuni libri all’insaputa dei più e collaborato con Riformista, Europa, Liberal (tutti falliti) e poi col Foglio e l’Espresso (auguri ai colleghi). Blairiano e clintoniano fuori tempo massimo e all’insaputa di Blair e Clinton, è un patito degli States, soprattutto del Texas, che sta a lui come il Kansas City stava a Nando Mericoni. Ma la sua vera vocazione è il consigliere dei principi o presunti tali. Per 10 anni portaborse di Morando e poi di Zanda, che sono già belle soddisfazioni, divenne veltroniano e napolitaniano, poi si avvicinò persino a Ichino e Tonini, che ne fecero il direttore di una cosa denominata “Libertà Eguale”. E aggiunsero la sua firma a un mitico “Appello per l’Agenda Monti”. Epifani lo promosse financo a “responsabile Cultura” del Pd: ma fu un attimo, poi lo riconobbero. Lui, deluso, passò al servizio dell’Innominabile, che lo elevò a direttore del comitato referendario BastaunSì e – riferivano le cronache, senza offesa – “braccio destro di Lotti”.

Nel 2016 questo Anzaldi minore divenne l’occhiuto censore dei due-tre critici della schiforma Boschi- Verdini, “monitorando tutti i programmi tv” e presentando un “esposto all’Agcom” per disinfestare La7 dalla “persistente manifesta violazione della normativa” perpetrata invitando giornalisti del Fatto “che si sono espressi chiaramente per il No”, anziché far parlare a reti unificate il Sì. Molto liberale, ma soprattutto fine, Cafone il Censore definì Chiara Appendino in dolce stil novo “bocconiana come Sara Tommasi”. E divenne capostaff di Gentiloni. Ora siede alla destra di Draghi. Eppure ancora nel 2018 il peripatetico rampicante tuonava sul contro “i lacchè e piaggiatori che danneggiano le leadership e rovinano lo Stato con l’adulazione”. E lui, modestamente, lo nacque.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/16/cafone-il-censore/6102556/

ALLA FRANGIA DEI MALPANCISTI GRILLINI. - Roberta Labonia

 

Cosa vi aspettavate di diverso? Forse non vi è ancora chiaro che, con o senza i 5 Stelle, vista la corsa in massa che c è stata alla chiamata del messia Draghi, i numeri per fare un governo ce li avrebbe avuti lo stesso? Con la differenza che, con i 5 Stelle fuori, Lega e FI si sarebbero smezzati altri 4 ministeri (di cui 2 con portafoglio e 1 senza ma strategico) e i 2 super ministeri della transizione ecologica e tecnologica non li avremmo mai visti. Perchè, come ha detto brutalmente Beppe Grillo, sull'Ambiente la Lega non ci capisce una mazza e, aggiungo io, non gliene frega una mazza (e men che meno a Forza Italia). Anzi, tutto questo sbattersi per l'Ambiente da parte del MoVimento, alla destra è sempre andato per traverso. La Lega, a colloquio con Draghi, ha chiesto INCENERITORI! Loro sono quelli che hanno voluto strenuamente la Tav e che sponsorizzano le trivelle. O ve lo siete dimenticati? Salvini e Meloni, riguardo al super ministero voluto da Grillo, oggi non si sono tenuti : "ok tutelare l'ambiente ma no derive ideologiche". Capita l'antifona?
Voi che vi sentite grillini doc, ve lo ricordate o no che la seconda stella del MoVimento sta per AMBIENTE? Cazzo!
c è un ministero della Transizione ecologica, ottenuto da Grillo, dove transiteranno 70 miliardi del Recovery fund. E sarà certo Roberto Cingolani a guidarlo, quello che Beppe ha indicato a Draghi. Quello che stava nella task force voluta da Giuseppe Conte. Se non ci stessimo, in questo Governo, saremmo dei pazzi.

Chi dice come i vari Scanzi e ci metto pure Travaglio, che entrare nel governo Draghi sarà il suicidio dei 5 Stelle, forse non ne ha chiaro lo spirito, che è sempre stato quello di contrastare il degrado di certa politica, di mettere al primo posto la tutela e l'interesse della collettività, anche a scapito dei consensi (come purtroppo dimostrano i sondaggi).
Ma se ci sei, in un Governo di cosidetta "Salvezza Nazionale", devi mettere in conto che ci puoi trovare personaggi irricevibili come Brunetta e Gelmini.
Se stai dentro puoi sempre decidere, a mali estremi, di chiamarti fuori, ma se scegli di star fuori a priori ti precludi di poter influire sulle scelte di governo, sbatacchi pentole ma rimani spettatore. Salvo il tuo fine non sia solo quello di puntare a guadagnar consensi (Meloni docet)

Ho la netta sensazione che la linea dibattistiana del "stavolta proprio non ce la faccio" sia proprio quella: ritornare alla piazza, ricominciare a sbatacchiare pentole e tentare la risalita dei consensi. Tutto mentre alla guida del Paese, proprio quando c'è da spendere roba come 209 miliardi per tentare di risalire dal baratro che ci attende, sai che ci staranno tutti i noti maneggioni. Meno i 5 Stelle, gli unici che fino ad oggi hanno sempre dimostrato di agire nell'interesse della collettività. Sagace il nostro Alessandro.

Se oggi Luigi Di Maio, da ragazzo perbene quale è, ha speso parole d'affetto e ha difeso Di Battista, io non sono altrettanto diplomatica. Alessandro Di Battista lo sta destabilizzando il MoVimento e da tempo. Ieri ha compiuto l'ultima scena madre. Come suo solito a parlare è stata la sua pancia. Che è stata la sua forza e quella dei suoi compagni quando era il momento della piazza, quando c'era da fare opposizione. Ma io non dimentico che s'e' tirato indietro quando s'è trattato di governare. Perché ha avuto paura di sporcarsi le mani. Meglio, molto meglio stare fuori e pontificare sull'operato dei suoi compagni che, diversamente da lui, non hanno avuto paura di rimboccarsi le maniche, scendere nella fossa dei leoni e guadagnarsi metro dopo metro il loro spazio. Anche se a volte al prezzo di scendere a compromessi.

Ha sempre saputo, Di Battista, che trovarsi gioco forza a dover governare con chi si era combattuto fino al giorno prima, sarebbe stato molto, ma molto più difficile che parlare alle pance degli elettori ed infuocarne gli animi. Ma è l'unica cosa che sa fare, il Dibba, tanto che ora l'opposizione la sta facendo ai suoi compagni (pardon, ex compagni). Il suo istinto rimane quello di eccitare gli animi: chiamiamoci fuori e facciamo casino, è stato il suo messaggio implicito di ieri alla base grillina. Perchè, alla fine della fiera, le priorità di Alessandro Di Battista, non sono le stesse dei suoi ex compagni "governativi", lui rivuole la claque, rivuole la piazza e pur di ottenerla riconsegnerebbe il Paese agli stessi che dice di voler combattere.

Malpancisti fatevela una domanda, la vostra non sarà solo voglia di piazza? 

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