martedì 13 luglio 2021

Giustizia, Conte e l’incubo-fiducia. Con Draghi una trattativa in salita. - Luca De Carolis, Paola Zanca


Prescrizione addio. L’avvocato vuole dare battaglia, ma la via è stretta In settimana vedrà Grillo per sancire la pace.

Il rifondatore ha dovuto sbuffare in panchina per mesi, ma ora dovrà subito giocare una partita da dentro o fuori. Nel giorno in cui la Nazionale ha vinto gli Europei, Giuseppe Conte è riuscito a prendersi il Movimento, da capo. Ed è proprio da primo della fila che ora dovrà provare a trattare con il presidente del Consiglio Mario Draghi sulla controriforma della prescrizione: quella approvata all’unanimità in Consiglio dei ministri, anche con i voti dei quattro esponenti del M5S, sensibili più a lui (e a Beppe Grillo) che a Conte. Ma da qui a metà settimana il testo planerà in commissione Giustizia alla Camera, e la preoccupazione che fa rima con spavento per i 5Stelle è che Draghi faccia di tutto per blindare il provvedimento.

Sino a ricorrere nei prossimi giorni all’arma da fine del mondo, cioè al voto di fiducia, così da legare la tenuta di questa larghissima maggioranza alla riforma del processo penale. E sarebbe la porta sbarrata a qualsiasi modifica, ma soprattutto un modo per portare sul ciglio del burrone Conte. Perché i ministri del M5S dal governo non hanno alcuna voglia di uscire, questo ormai è chiaro a tutti. Ma come farebbe l’avvocato a dire sì senza cambiare una virgola del testo della ministra Cartabia, che stravolge una riforma del suo governo? “Conte deve evitare che si arrivi alla fiducia, ma non può lasciare gli emendamenti della Cartabia così come sono, è evidente” conferma una fonte che segue il dossier.

Tradotto: deve evitare che lo si costringa a una scelta, definitiva. Secondo i 5Stelle di governo, già evocata da Draghi a ridosso del Cdm di giovedì, quando avrebbe minacciato le dimissioni in caso di astensione dei quattro ministri (ma è una versione dei fatti molto discussa). Quindi, “in questi giorni bisogna lavorare per cambiare il testo, ma con intelligenza, serve una battaglia a bassa intensità” dicono sempre dal M5S. Insomma serve Conte, avvocato e mediatore, che la sua carriera l’ha costruita sugli arbitrati. Nei prossimi giorni incontrerà i parlamentari grillini della commissione Giustizia, per scambiare idee. Ma gli altri partiti sono già agitati. Tanto che in commissione parlano di pressioni delle altre forze di maggioranza per cambiare la relatrice del disegno di legge delega che ha in pancia la riforma del processo penale, la 5Stelle Giulia Sarti: contrarissima alle nuove norme della Cartabia, tanto da aver “strapazzato” i ministri domenica in assemblea (“Dovete chiedere scusa, la mediazione non è una vittoria”). E dall’aver ventilato l’uscita dal governo Draghi. Ma ora a gestire la palla dovrà essere innanzitutto Conte, che ha già pronte le sue proposte di mediazione. “Le aveva già inviate ai ministri del Movimento prima del Cdm di giovedì, ma non sono mai state prese in considerazione” sostiene una fonte vicina all’ex premier.

Ora l’avvocato potrebbe ripescarle per mostrarle, o quanto meno farle arrivare, al presidente del Consiglio. Ma la strada è stretta, anzi di più. “Se forziamo in Parlamento il rischio concreto è che il testo possa addirittura peggiorare” sospira un veterano vicino a Conte. E d’altronde, anche lo stesso ex premier sa di non poter sfidare Draghi sulla permanenza nel governo. “Giuseppe sa che ora l’uscita dalla maggioranza non la capirebbe nessuno” continua il 5Stelle di rito contiano. Soprattutto, non lo seguirebbero i big.

A partire da Luigi Di Maio, centrale nella mediazione con Grillo, che lo ripete ogni volta che può: “Questo governo deve arrivare al 2023”. La stessa opinione degli altri maggiorenti, come quel Roberto Fico che è stato l’altro perno della trattativa con il Garante. In questo scenario, Enrico Letta lo ha sentito per telefono e gli ha manifestato sostegno.

Invece in settimana, tra mercoledì e giovedì, l’ex premier incontrerà Grillo, per sancire anche di persona la pace. Non è ancora chiaro se sarà il garante a scendere a Roma, ma di certo i due si vedranno. Subito dopo, verrà convocata la votazione per il nuovo Statuto, che si dovrà tenere dopo 15 giorni. Ci vorrà quindi qualche altra settimana, prima di avere Conte come capo formale del M5S. Ma questa non è più una preoccupazione per l’avvocato: che ne ha ben altre.

ILFQ

Base per altezza. - Marco Travaglio

 

La pigrizia mentale mista a bile e altri liquidi organici che caratterizza tutte le analisi sui 5Stelle ha impedito all’“informazione” di cogliere un fatto piuttosto rilevante di quello strano movimento nato quasi 12 anni fa e ancora, nonostante tutto, incredibilmente vivo. Anche perché l’“informazione” è troppo impegnata a raccontare come Draghi abbia vinto gli Europei a distanza, con la sola imposizione delle mani. Il fatto è questo: una comunità di centinaia di migliaia di italiani ha costretto a furor di popolo Grillo a fare ciò che aveva annunciato e poi disdetto: candidare Conte a leader in base a un nuovo Statuto che gli conferisse i poteri necessari per assumerne l’esclusiva guida politica e poi farlo votare dagli iscritti. Perché a febbraio Grillo avesse pensato a Conte si sa: la popolarità che gli viene dal buon giudizio che un’ampia fascia di cittadini, molti più degli elettori grillini, dà della sua persona e dei suoi governi, sopravvissuta contro ogni previsione al Conticidio. Perché, a giugno, Grillo avesse bruscamente cambiato idea col ri-Conticidio, è più difficile spiegarlo. I processi alle intenzioni diventano spesso processi alle invenzioni. Chi evoca il timore di perdere il controllo della sua creatura, chi le telefonate di qualche capetto geloso dell’ex premier o timoroso della sua linea meno appiattita sul governo, chi il patto d’acciaio siglato da Grillo con Draghi (che lo fa apparire “garante” più del governo che del M5S), chi le sorti giudiziarie del figlio (che però sarà giudicato dai magistrati di Tempio Pausania: Draghi non ha il potere di dettare o emettere sentenze, non ancora almeno).

Poi, investito da un’onda anomala di insulti e commenti negativi, Grillo deve aver capito di averla fatta grossa; che non è Conte ad avere bisogno di lui, ma il M5S di Conte; e che la sua creatura l’avrebbe persa col no a Conte, mentre col sì può recuperarla. E s’è inventato una sceneggiata da teatrante consumato: il Comitato dei Sette, per mascherare la ritirata sotto le mentite spoglie di una mediazione dei big, a cui l’Elevato si è magnanimamente inchinato. Sia come sia, dopo due mesi persi inutilmente (e con danni incalcolabili) prima per Casaleggio e poi per Grillo, il nuovo Movimento sembra pronto a partire. Salvo nuovi stop che, dopo tanti Conticidi, nessuno può escludere. E proprio da quel fatto sorprendente – per un movimento da tutti dipinto come verticistico e antidemocratico – dovranno partire Conte&C. per non fallire: a issarlo alla leadership non sono stati né Grillo, né i Sette, ma le centinaia di migliaia di persone che l’hanno voluto contro tutto e contro (quasi) tutti. Accontentare qualche big è facile. Non scontentare una bella fetta di popolo sarà molto più complicato.

ILFQ

lunedì 12 luglio 2021

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio

 

Minaccia o promessa? “’O la votate così o si va tutti a casa’. Draghi costringe alla resa i 5S” (Riformista, 9.7). “La telefonata del premier a Grillo. Draghi minacciò: mi dimetto” (Stampa, 10.7). Abbiamo rischiato grosso, eh?

Cos’è il genio?/1. “Amnistia: solo così si può chiudere la vergogna di Capua Vetere” (Piero Sansonetti, Riformista, 6.7). Giusto, così la fanno franca pure i picchiatori.

Cos’è il genio?/2. “Ci vediamo alle 12 per una diretta Facebook… La politica non è Instagram: al Senato servono i voti, non i like” (Matteo Renzi, leader Iv, Twitter, 5.7). La politica è Facebook e Twitter, ma non Instagram perchè certe facce è meglio non vederle.

Cos’è il genio?/3. “Gkn, la vergogna dei licenziati via mail. Letta: ‘Se è così rivediamo la norma’” (Stampa, 11.7). Ricapitolando: il Pd, col suo ministro del Lavoro Orlando, vuole prorogare il blocco dei licenziamenti, poi Confindustria ordina di non farlo, Draghi si mette sull’attenti, Orlando e il Pd si calano le brache, i sindacati pure, le aziende iniziano a licenziare e Letta dice che “se è così rivediamo la norma”. Ma va’ a ciapa’ i ratt.

Papi e mamma. “Berlusconi ha un tratto profondo di umanità, è stato il politico più vicino per l’arresto di mia mamma” (Renzi, Giornale). Mette lui una parola buona per i servizi sociali a Cesano Boscone.

Inquinamento acustico. “Ultima seduta di registrazione dell’audiolibro. Ne vedremo (e sentiremo) delle belle. Avevo proprio bisogno di raccontare la verità su ciò che è accaduto in questi anni” (Renzi, Twitter, 9.7). Beati i non udenti.

La lunga attesa. “Letta: questa riforma della giustizia era attesa da 30 anni” (Stampa, 10.7). E dire che bastava lasciarla fare 20 anni fa a Berlusconi.

Normalità. “Ora processi più normali” (Giovanni Maria Flick, Stampa, 70.7). Morti.

Ma anche. “Md: ‘Bene il nuovo processo penale. Ma serve anche un’amnistia’” (manifesto, 10.7). Ma serve anche abolire proprio i tribunali.

L’ideona. “Costruire nuove carceri: altro che tabù, è la solita risposta fallimentare…” (Dubbio, 8.7). Facciamo così: le carceri costruiamole vecchie.

Orsoline. “Non sembro una che ha studiato dalle orsoline con Marco Travaglio” (Alba Parietti, Corriere della sera, 4.7). Per il semplice motivo che non hai mai studiato dalle orsoline con Marco Travaglio.

Il guaio. “Firmo i referendum, è dal ‘92 che i pm condizionano la politica. Il guaio non è Salvini, ma certa magistratura coperta dalla sinistra” (Sergio Staino, Giornale, 7.7). Ma la legge Bacchelli l’hanno abolita?

Sofritto. “Davigo, Bonafede, Travaglio, il Dap sono dediti alla dimostrazione che nelle carceri italiane non esiste alcun sovraffollamento” (Adriano Sofri, Foglio, 5.7). Veramente abbiamo sempre sostenuto il contrario, proponendo per questo la costruzione di nuove carceri. Però, se dovesse tornare dentro lui a scontare finalmente il resto della sua pena, potremmo fare un’eccezione.

Pisalecca. “Ecco cosa pensa Giuliano Pisapia ed ecco perchè non si fa abuso di retorica, o come scrive qualche scemo, di ‘lecca lecca’, quando si ripete che la riforma della giustizia è un altro bellissimo regalo di (questo) governo: ‘È la prova che anche in Italia si può avere una giustizia celere’” (Carmelo Caruso, Foglio, 10.7). Basta scrivere che i processi devono durare 2 anni e dureranno tutti 2 anni. A pensarci prima, si poteva scrivere 2 giorni.

I più bei nomi. “Il fatto che non ci siano più Arcuri, Bonafede, Costa, Boccia, Provenzano e che al loro posto ci siano persone più capaci come Figliuolo, Cartabia, Cingolani, Gelmini, Carfagna mi sembra una svolta positiva” (Renzi, Giornale, 2.7). E le meravigliose Bellanova, Bonetti e Scalfarotto, dove le mettiamo?

Foa Gras. “Cambiare la Rai è impossibile. La politica interviene tutti i giorni” (Marcello Foa, presidente della Rai in quota Lega, Verità, 11.7). E a lui l’ha portato la cicogna.

Da Roma a Bergamo. “Quella di Roberto Gualtieri è l’unica proposta politica che oggi si presenta alla città cercando di rappresentare e fare la sintesi di tante idee ed esperienze diverse” (Luca Bergamo, ex vicesindaco della giunta Raggi, Fanpage, 7.7). “Bergamo tifa Gualtieri” (Repubblica, 8.7). “Bergamo ora collabora con Gualtieri” (Corriere della sera, 9.7). È una bella soddisfazione lavorare con chi definisce la giunta di cui fino a sei mesi fa eri il numero 2 “un disastro come Alemanno”.

Il titolo della settimana/1. “Dall’uno vale uno al si salvi chi può” (Roberto Formigoni, pregiudicato per corruzione, Libero, 11.7). All’uno ruba più di tutti.

Il titolo della settimana/2. “Shock per la giustizia. Perchè anch’io firmo” (Augusto Minzolini, Giornale, 5.7). Perchè ti hanno condannato per peculato?

Il titolo della settimana/3. “I paladini dell’amore libero minacciano di morte Renzi” (Libero, 6.7). “Draghi arresta Bonafede e Travaglio” (Libero, 9.7). Non so voi, ma io non riesco a smettere di leggere questi due titoli.

ILFQ

Covid, 4 regioni verso la zona gialla: Sicilia, Campania, Marche e Abruzzo. - Nicoletta Cottone













La variante Delta corre in tutta Europa, in Italia diventerà presto prevalente. Le regioni chiedono la modifica dei parametri.

La variante Delta corre in tutta Europa e anche in Italia i contagi risalgono. Nel Paese l’impatto della variante Delta ha quasi raggiunto il 30% e viaggia verso il 70% che secondo le simulazioni dovrebbe essere raggiunto nel mese di agosto. Con gli attuali, contestati, parametri in vigore già quattro regioni viaggiano verso la zona gialla: Abruzzo, Campania, Marche e Sicilia. Attualmente fra i parametri sotto la lente del ministero della Salute e del Cts c’è l’incidenza del nuovo coronavirus ogni 100mila abitanti: se superano i 50 casi si passa in zona gialla. Scatta l’allarme con un combinato di contagi (Rt), superamento del 40% del tasso di occupazione delle aree mediche e del 30% quello delle terapie intensive.

Sileri: «Al momento non c’è necessità di ritorno in zona gialla».

Getta acqua sul fuoco il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri ospite di “24 Mattina” su Radio24. «Al momento non vedo, con i numeri attuali, la necessità di un ritorno di alcune regioni in zona gialla. A oggi non c’è questo rischio, ma vediamo cosa accade nelle prossime settimane», ha detto il sottosegretario. «Abbiamo numeri bassi e non vedo al momento neanche il ritorno di restrizioni».

La variante Delta diventerà prevalente.

«É bellissimo vedere le piazza piene, però è chiaro che un numero crescente di contagi si osserverà come si è osservato in altri Paesi europei», ha detto Sileri ospite di ’24 Mattina’ su Radio24. «Io credo che la variante Delta diventerà prevalente e accadrà, purtroppo, molto prima. Temo per fine mese 3-4 volte i contagi che si sono oggi».

Le pressioni per la modifica dei parametri.

Sono già iniziate le discussioni fra regioni e governo e all’interno della maggioranza. Molti fanno pressione per una revisione dei parametri visto che i numeri dei ricoveri e delle terapie intensive sono bassi. La richiesta è di cambiare il peso dei parametri, dando un maggiore importanza ai ricoveri rispetto ai casi positivi. I governatori sostengono che, con l’avanzare della campagna vaccinale, i parametri dovrebbero essere modificati. Perchè è vero che i contagi avanzano, ma reparti medici e terapie intensive sono bassi. Per ora il ministro della Salute Roberto Speranza non è sulla stessa linea d’onda delle regioni. Per lui è ancora troppo alto il numero degli italiani non immunizzati. I nuovi casi positivi si registrano soprattutto fra i non vaccinati, mentre per chi è vaccinato e si contagia le conseguenze più frammatiche sono prossime allo zero.

La preoccupazione di Federalberghi.

C’è preoccupazione fra gli albergatori che stanno assistendo a una ripartenza del turismo. «L’eventualità del passaggio di alcune regioni in zona gialla non la prendiamo neanche in considerazione e diciamo chiaramente che anche solo il possibile effetto annuncio rischia di creare una pioggia di disdette. É quello che vogliamo?», ha detto il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, al ’Giorno-Resto del Carlino-La Nazione’. «I dati di occupazione dei letti nei reparti covid resta bassissimo, per fortuna, e il generale Figliuolo sta facendo bene il suo lavoro e le vaccinazioni proseguono a un passo buono. Se cominciamo a mettere paura alle persone la gente non prenoterà più - aggiunge - se la situazione precipitasse davvero, cosa che nessuno si augura, si prenderanno dei provvedimenti ma dire ora che forse ad agosto qualche regione sarà gialla o arancione è masochismo. Non fasciamoci la testa prima di essercela rotta».

IlSole24Ore

domenica 11 luglio 2021

Bulbacee, che passione!

 















Anche quest'anno sono sbocciati più belli che mai. Non so come si chiamino, credo che appartengano alla famiglia delle liliacee, ma sono bellissimi. Presi i bulbi tantissimi anni fa a san Vito Lo Capo e da allora mi donano sempre il loro splendore.

Potrebbe essere una Canna indica, ma non ne sono sicura.

Cetta.


La vispa Cartabia. - Marco Travaglio

 

Leggendo la sua intervista al Corriere, si stenta a credere che Marta Cartabia abbia davvero detto quel nulla mischiato con niente. Ma soprattutto che sia davvero la ministra della Giustizia, e nel governo dei migliori. Era dai tempi del leghista Roberto Castelli, immortalato da Borrelli come “l’ingegner ministro”, che non si trovava tanta incompetenza mista ad arroganza (le due cose vanno spesso a braccetto, la seconda per nascondere la prima). Con l’aggravante che Castelli era un esperto in abbattimento di rumori autostradali e la Cartabia è un ex presidente della Consulta. Ma proprio questo è il guaio: un Guardasigilli dovrebbe misurarsi, oltreché con gli alti principi del Diritto, con la Giustizia reale. Come minimo, dovrebbe aver messo piede in un tribunale. Non è il caso della Cartabia, che pure, essendo affiliata a Cl come il marito, di imputati e pregiudicati dovrebbe conoscerne parecchi. Invece parla come un topo di biblioteca con la testa fra le nuvole e, non guardando dove mette i piedi, finisce in tutte le buche e i tombini aperti. Basta confrontare i giudizi di Caselli, di Davigo, di altri giudici e persino dell’avvocato Franco Coppi (difensore di B.) con quelli della vispa Teresa per accorgersi che non sa cosa dice. Nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore, lo sa benissimo e ha deciso di mandare definitivamente a picco il processo penale per la gioia di qualche interessato (nella maggioranza extralarge dei Migliori c’è l’imbarazzo della scelta, tra imputati e genitori di indagati).

1. La Bonafede, che blocca la prescrizione alla sentenza di primo grado, è “sbilanciata: trascura il diritto degli imputati alla ragionevole durata del processo, che è un principio costituzionale e di civiltà giuridica”. Ora, nel resto d’Europa, la prescrizione decorre dal momento del reato (non da quando viene scoperto) e si interrompe alla richiesta di rinvio a giudizio o al rinvio a giudizio: quindi tutta l’Europa è molto più incivile di noi. E allora di quali “impegni con l’Europa” vanno cianciando Cartabia e Draghi?

2. ”L’Italia ha il più alto numero di condanne della Cedu per violazione della ragionevole durata del processo”. Forse non lo sa, ma la ragionevole durata dipende dai giudici solo in minima parte. Anzitutto dipende da lei: è il Guardasigilli che deve garantire agli uffici giudiziari gli uomini e i mezzi per fare processi rapidi. Poi dipende dal Csm, che impiega mesi se non anni per riempire i vuoti d’organico. Poi dipende dal numero dei processi, che si può abbattere solo depenalizzando i reati inutili (compito dei politici) e con norme che incentivino patteggiamenti e altri riti alternativi e scoraggino le impugnazioni pretestuose e dilatorie.

Cioè la reformatio in peius (oggi il giudice d’appello non può aumentare la pena) e il blocco della prescrizione, per rendere non più convenienti gli appelli infondati e i cavilli allunga-processi. Lei invece regala l’improcedibilità a chi fa durare l’appello più di 2 anni: solo un idiota masochista patteggia o rinuncia a impugnare e a comprare tempo.

3. Nessun problema per il processo sul ponte Morandi perché ”a Genova gli appelli durano in media meno di 2 anni”. La media vuol dire che i più complessi durano di più e i più semplici (al singolo ladruncolo o spacciatore) meno. Quello del Morandi, un unicum come il disastro, sarà una battaglia con decine di imputati, oltre un centinaio di parti civili, perizie e controperizie impossibile da trattare in 2 anni. Quindi sarà tutto improcedibile, con tanti saluti ai 43 morti e grandi feste a casa Benetton.

4. “A Roma l’appello di un caso complesso come Mafia capitale è durato poco più di un anno”. Sì, ma i 2 anni nel suo Salvaladri non si calcolano dalla prima udienza all’ultima, ma a dall’impugnazione (poi passano mesi, anni per il dibattimento). Coppi, che il Tribunale di Roma lo frequenta da mezzo secolo, spiega che anche lì (figurarsi nelle sedi disagiate del Sud), “per un appello se si è fortunati servono 3 o 4 anni. Anche 1 anno massimo per i processi in Cassazione è molto stretto: gli atti impiegano molto tempo ad arrivare a Roma”.

5. “Perché, se a Milano e a Palermo gli appelli durano in media 2 anni, non dovrebbe esserlo anche altrove? Perché a Napoli non dovrebbero riuscire a fare quello che già fanno a Palermo?”. Forse perché il distretto di Napoli ha il record di reati di tutta Europa? Glielo spiega il presidente della Corte d’appello di Napoli: “Oggi trattiamo i processi definiti in primo grado nel 2015-16”. Tutti processi che nascono già morti in partenza in base alla sua Salvaladri.

6. “Fare giustizia nel rispetto delle garanzie”. Bene, brava, bis. Senta un po’ Coppi: “Se i 2 anni concessi per fare il processo d’appello trascorrono senza che si arrivi a una sentenza, che fine fa la sentenza pronunciata in primo grado? Il reato non si può prescrivere perché la prescrizione è interrotta, ma non si può più procedere. Ovviamente la pena inflitta in primo grado non potrebbe essere eseguita… Mi metto nei panni di una parte civile, che in primo grado ha visto riconosciuto il diritto al risarcimento: se l’appello non si celebra in tempo, che se ne fa di questo riconoscimento? Dall’altra parte, l’imputato può ben dire che se si fosse celebrato l’appello sarebbe stato assolto. A questo punto sarebbe stato meglio tenersi la riforma Bonafede e buonanotte. Se non altro aveva il pregio della chiarezza”. Vergogniamoci per lei.

ILFQ

sabato 10 luglio 2021

Alla scoperta del labirintico (e abbandonato) "Seminario": l'ipogeo più grande di tutta Bari. - Federica Calabrese e Giancarlo Liuzzi - foto Antonio Caradonna

 

BARI – Con i suoi 1500 metri quadri di superficie rappresenta il più grande tra gli insediamenti sotterranei presenti nelle campagne baresi. Parliamo dell’ipogeo del Seminario, un vero e proprio mondo nascosto che con il suo susseguirsi di archi, corridoi e ambienti concatenati forma un intricato labirinto posto a pochi passi dalla zona commerciale di Santa Caterina(Vedi foto galleria)

Un sito per nulla valorizzato e di fatto abbandonato a se stesso, nonostante la sua millenaria storia: venne infatti creato nel V secolo e poi ampliato tra il VII e l’VIII secolo. Fu concepito come laboratorio produttivo agricolo per un vasto monastero che comprendeva altri ipogei come il Santa Caterina e il Milella, posti a poche centinaia di metri da qui. Un complesso che prendeva il nome di Casale rupestre del Vulpiclano.

Per raggiungere il luogo ci lasciamo alle spalle il centro commerciale di Santa Caterina e, superando il cavalcavia che sovrasta la statale 16, proseguiamo per 400 metri fino all’incrocio con strada Caratore del Carmine. Alla fine di quest’ultima si staglia la grigia facciata della settecentesca Masseria del Seminario, di proprietà ecclesiastica che dà il suo “religioso” nome anche all’ipogeo.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Costeggiamo alla nostra destra l’edificio per addentrarci su un sentiero di campagna delimitato da muretti a secco. Attraverso un varco ci facciamo strada tra gli alberi di ulivo fino a un avvallamento nel terreno colmato da folta vegetazione: siamo di fronte all’ingresso del sito sotterraneo. Una scaletta in pietra ci permette di scendere per cinque metri lungo la parete rocciosa e raggiungere un ampio atrio rettangolare: l’anticamera dell’intera struttura.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Subito di fronte a noi si apre una piccola “stanza”: sui muri tufacei notiamo verdi segni di umidità, massi e detriti, risultato dei crolli delle arcate superiori. Sulla nostra sinistra scorgiamo invece un passaggio che ci permette di introdurci nella prima vera cavità del complesso, avvolta dall’oscurità.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Ci rendiamo conto della sua estensione soltanto dopo aver illuminato tutto l’antro con dei faretti. Scopriamo così un ampio locale, chiuso sul soffitto da una copertura a volta, invaso quasi interamente da un alto cumulo di terriccio e pietre che ne ostruisce altri accessi. Tra le macerie notiamo anche alcune ossa di animali di cui non è possibile capire la provenienza. Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Siamo in quello che era un tempo il laboratorio centrale del casale rupestre, fulcro delle attività produttive dei monaci. Su di esso si affacciano altri piccoli vani ciechi segnati da archi scavati nella roccia che poggiano su mezzi pilastri quadrangolari. Spostandoci sulla sinistra seguiamo l’andamento semicircolare della stanza con le sue tre piccole feritoie di areazione.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Proseguiamo il nostro viaggio tra cupe cavità e ci ritroviamo in un vasto spazio contraddistinto dalla presenza di un’antica macina utilizzata per pressare cereali e olive e di alcuni affossamenti artificiali: antiche vasche per l’approvvigionamento dell’acqua.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Da qui si dirama un lungo corridoio, chiuso da un tompagno, che probabilmente collegava questo complesso agli altri siti sotterranei vicini. Il tunnel ci conduce, dopo qualche metro, l'angolo più suggestivo di tutto l’ipogeo. La fioca luce che trapela da un’apertura ci permette di ammirare uno spesso pilastro centrale e le arcate superiori che sorreggono l’intera struttura. Dalle crepe aperte nella muratura rossastra pendono centinaia di piccole radici che “decorano” il luogo a mo’ di fitte tende.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Qui gli spazi si fanno sempre più angusti e tetri data la mancanza totale di luce derivante dall’esterno. Proseguiamo per una decina di metri, quasi perdendoci tra i vari ambienti concatenati tra loro, sino a incrociare un piccolo varco in un muro crollato che superiamo con difficoltà.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Una cascata di macerie e terra che scende da un’apertura nel soffitto invadendo l’intero antro, ci costringe a camminare carponi per oltrepassarla, arrivando così nella parte più nascosta di tutto il complesso. 

Di fronte a noi si aprono diversi locali e stanze cieche, molte delle quali murate e invase da ragnatele sulle pareti. Per terra troviamo vecchie bottiglie e pezzi di vasellame ceramico gettati negli anni dalla fessura circolare presente sul soffitto semiocclusa dalla vegetazione.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Ritorniamo sui nostri passi e ci poniamo su un ultimo corridoio di cui a stento riusciamo a intravedere la fine. Lo percorriamo per circa venti metri fino a renderci conto che risulta interamente murato: anche questo doveva servire un tempo da raccordo con le altre cavità ipogeiche presenti in zona.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Non potendo proseguire riemergiamo nell’avvallamento da dove era iniziato il nostro viaggio e raggiungiamo esternamente un secondo accesso posto a cinquanta metri dal principale. Quest’ultimo è inaugurato da un dromos: un corridoio a cielo aperto che, scendendo nel terreno, conduce a una serie di ambienti in passato probabilmente destinati a uso religioso.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Una ventina di anni fa alcuni privati ne avevano progettato una rifunzionalizzazione come locale notturno sotterraneo, snaturando interamente la sacralità del luogo. Lo stesso ingresso si presenta infatti trasformato da lavori edilizi tra l’altro non conclusisi e risulta in più non più utilizzabile a causa della vegetazione incolta che ne blocca la discesa.Notizia pubblicata sul portale barinedita.it e di sua proprietà.

Una situazione quindi di completo abbandono: la stessa che accomuna la totalità dei numerosi ipogei che costellano da secoli e secoli l’agro barese.

















bariinedita.it