giovedì 24 febbraio 2022

Ucraina-Russia, le cause del conflitto che ha riportato la guerra in Europa. - Alberto Magnani

 

Le tensioni fra Kiev e Mosca arrivano (almeno) dal crollo dell’indipendenza del 1991. Con un’oscillazione costante fra l’Occidente e la vecchia area di influenza.

È guerra. Dopo qualche spiraglio di accordo, la situazione è precipitata definitivamente all’alba del 24 febbraio, quando il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato in diretta tv l’avvio delle operazioni militari in Ucraina. Una «operazione speciale» a difesa dell’indipendenza posticcia delle due repubbliche auto-dichiarate di Donetsk e Luhansk, nella regione del Donbass.

L’escalation viene paragonata a quella vissuta quasi un decennio fa, con l’annessione della penisola della Crimea nel 2014. Ma le tensioni che logorano sia i rapporti Mosca-Kiev, sia la stessa Ucraina al suo interno, si trascinano - almeno - dal crollo dell’Urss e stanno tornando a galla con i timori di un conflitto sull’Est Europa.

Dall’indipendenza alla rivoluzione arancione.

La data che simboleggia la prima rottura fra l’Ucraina e l’allora Unione sovietica è il 24 agosto 1991: il giorno della dichiarazione di indipendenza da Mosca, poi approvata il 1 dicembre con un referendum che vedrà oltre il 92% degli ucraini schierarsi a favore dell’addio all’Urss. Da allora inizia un’altalena che farà oscillare Kiev fra la vecchia sfera di influenza russa e un processo di «occidentalizzazione» che la spinge verso Ue e Nato, con cambi di rotta che si susseguono fino agli ultimi sviluppi della crisi.

Nei primi anni dell’indipendenza l’Ucraina, secondo paese della vecchia Urss per dimensione economica, stagna nella crescita (il Pil si inabissa fino al -22,9% nel 1994) e viene governata da leader vicini a Mosca: prima Leonid Kravčuk dal 1991 al 1993, poi Leonid Kučma dal 1994 al 2004, in un decennio scandito da scandali, episodi di corruzione e una conferma tutt’altro che lineare alle urne, per il secondo mandato, nel 1999.

Lo strappo decisivo arriva nel 2004: Viktor Janukovyč, già primo ministro nel governo dello stesso Kučma e continuatore della sua politica, viene dichiarato vincitore nel secondo turno del voto contro il candidato filo-occidentale Viktor Juščenko, favorevole all’avvicinamento con Ue e Nato. La rabbia per i brogli contestati a Janukovyč e al vecchio establishment sfocia nelle proteste della cosiddetta Rivoluzione arancione, chiamata così per il colore della campagna elettorale di Juščenko. Il voto viene invalidato e ripetuto, con la vittoria di Viktor Juščenko e il via all’esperienza di un governo filo-occidentale.

Durerà fino al 2010, una parentesi scandita da due tappe cruciali per i rapporti fra Kiev e Mosca: nel 2004 la Nato ingloba tre ex Stati sovietici come Estonia, Lettonia e Lituania; quattro anni dopo, nel 2008, l’Alleanza atlantica «promette» per la prima volta di allargarsi all’Ucraina in futuro. Il proposito surriscalda i rapporti con Mosca, in un periodo turbolento “anche” per ragioni diverse: la maggioranza di Juščenko traballa con frizioni fra i suoi stessi membri, mentre l’economia ucraina sprofonda sotto il peso della crisi finanziaria del 2008.

Fra le personalità più controverse dell’entourage di Viktor Juščenko c’è Julija Tymošenko, già protagonista della Rivoluzione arancione del 2004, chiamata a coprire due volte l’incarico di primo ministro nel 2005 e fra 2007 e 2010. Nel 2011 finirà in carcere per abuso di ufficio, con l’accusa di aver firmato un contratto di forniture di gas sfavorevole all’Ucraina. Si difenderà parlando di un caso «montato» dagli avversari, ma la sua reputazione esce appannata.

La guerra in Crimea e gli accordi di Minsk.

Nel 2010 Kiev torna sotto il governo di un candidato vicino alla Russia e gradito a Putin, Viktor Janukovyč, che batte Juščenko e avvia un processo di riavvicinamento a Mosca, siglando accordi sul gas con la Russia e sospendendo le trattative intraprese con la Ue. Il distanziamento da Bruxelles si rivela fatale al suo governo. Nel 2013, lo stop a accordo di pre-adesione alla Ue scatena infatti proteste sconfinate nella cosiddetta Euromaidan: scontri di piazza (Maidan) che mieteranno oltre 100 vittime concludendosi con la deposizione dello stesso Janukovyč dalla presidenza, la convocazione del voto anticipato, l’abolizione del bilinguismo russo-ucraino e la scarcerazione della ex premier Tymošenko, liberata dopo il voto favorevole del Parlamento ucraino. Tymošenko tiene un celebre discorso a Kiev, irritando una parte della platea che «non si sente rappresentata» dalla ex leader.

La reazione di Mosca è indiretta, ma dirompente. Un mese dopo, a marzo, la Russia invade e annette la penisola ucraina della Crimea, incassando il consenso della popolazione con un referendum. A maggio seguono l’esempio i militanti filo-russi delle due province del Donbas, Donetsk e Luhansk, con una doppia consultazione per proclamare la propria indipendenza. La vittoria del sì è schiacciante in entrambi i casi, creando una “frattura” che dà adito a scontri e violenze sempre più intensi. Nel 2015, dopo un tentativo analogo nel 2014, Francia, Germania, Russia e Ucraina firmano un accordo che prevede il cessate il fuoco e il lavoro diplomatico per configurare lo status speciale delle due province: i cosiddetti accordi di Minsk, dal nome della capitale bielorussa che già aveva ospitato l’intesa fallita l’anno prima.

La “pace” formale non si traduce, comunque, in una stabilizzazione delle province. Il governo ucraino conteggia almeno 14mila vittime nella regione del Donbass fra 2014 e 2021, con un costo economico di 10 miliardi di dollari Usa per le operazioni militari nell’area. Nel frattempo, alla presidenza di Kiev si susseguono l’uomo d’affari Petro Poroshenko (2014-2019) e l’attuale presidente, l’ex attore Volodymyr Zelensky. L’orientamento di entrambi è di apertura all’Occidente e di allontanamento da Mosca, con nuovi accordi siglati con la Ue nel 2017 e una spinta sempre più decisa verso Bruxelles. Zelensky chiede apertamente l’ingresso nella Ue e nella Nato.

L’intreccio economico fra Kiev e Mosca.

La Russia non poteva che rappresentare, almeno in origine, un partner privilegiato per l’Ucraina. I valori dell’interscambio si sono poi ridotti negli anni di «guerra fredda» fra Kiev e Mosca, culminati con la crisi che si sta consumando sui confini fra i due Paesi.

Secondo le stime del Chatman House, un think tank, il valore delle sole esportazioni ucraine in Russia è crollato dai 29 miliardi di dollari Usa nel 2011 ai 5 miliardi di dollari Usa registrati nel 2019. In parallelo, complice la (ri)apertura pro-mercato, l’export verso la Ue è raddoppiato in valore assoluto dal 2012, mentre la Cina è diventata il primo mercato di sbocco delle merci di Kiev. Secondo i dati di Trading economics, un portale specializzato, la Cina incide sul 14,4% delle esportazioni complessivi dell’Ucraina nel 2020 (7,12 miliardi di dollari Usa), oltre il doppio rispetto al 5,5% mantenuto dalla Russia: un valore di 2,7 miliardi di dollari Usa, vicino a quello dei flussi verso la Germania (2,07 miliardi, il 4,4% del totale) e Italia (1,93 miliardi, il 3,9%).

Nel 2014 Kiev si è affrancata dalla dipendenza dal gas russo, iniziando a comprarlo sul mercato europeo e importandolo attraverso Paesi come Ungheria e Slovenia. Al tempo stesso, però, un accordo vincola Kiev a far transitare il gas russo nel territorio dell’Ucraina fino al 2024: un’ipoteca che mantiene il legame con Mosca, anche nel vivo della crisi più logorante in - almeno - tre decenni di rapporti fra i due.

https://24plus.ilsole24ore.com/art/ucraina-russia-cause-conflitto-che-ha-riportato-guerra-europa-AEB2DjFB?s=hpl

Ucraina, la Russia ha iniziato l’invasione: manovra a tenaglia, attacchi anche da Bielorussia e Crimea. Missili su Kiev. Putin: “Per chi interferisce conseguenze mai viste” – La ricostruzione.

 

COME E' INIZIATA - Putin ha annunciato l’operazione militare mentre era in corso il Consiglio di sicurezza dell’Onu. Secondo il Guardian il messaggio era stato registrato già lunedì. Il ministero degli Esteri ucraino: l’operazione mira a "distruggere lo Stato, impadronirsi del suo territorio con la forza e stabilire un’occupazione". La Russia ha fatto sapere di aver "soppresso il sistema di difesa anti aerea" dell’Ucraina. Colpiti anche palazzi e strutture commerciali. Per la Bbc almeno sette morti. Il presidente Zelensky ha annunciato l'imposizione della legge marziale.

L’annuncio di Vladimir Putin, probabilmente registrato già lunedì, è stato trasmesso poco dopo le 4 italiane (le 6 a Mosca) mentre a New York era in corso per la seconda volta in tre giorni un Consiglio di sicurezza dell’Onu di cui la Russia è presidente di turno. “Ho deciso per un’operazione militare speciale. La possibilità che l’Ucraina abbia armi tattiche nucleari costituisce una minaccia strategica per la Russia”, ha sostenuto il presidente russo dando ufficialmente il via all’invasione dello Stato nel cuore dell’Europa orientale che a sua detta è “parte integrante della storia russa”. L’attacco è partito da più fronti, con una manovra a tenaglia su larga scala a differenza di quanto ci si aspettava nei giorni scorsi. I media locali hanno riferito che forze russe sono entrate nel Paese sia dal confine russo sia da Bielorussia e Crimea. Forti esplosioni sono state sentite nei maggiori centri, da Kharkiv a Leopoli a Mariupol e nella capitale Kiev, su cui sono stati lanciati missili prendendo di mira i caccia ucraini in un aeroporto fuori Kiev ma colpendo anche palazzi e strutture commerciali.

La Cnn citando alcune fonti del ministero dell’Interno ucraino aveva dato notizia di “centinaia di vittime” tra feriti e morti. Più tardi la Bbc ha riportato che almeno sette persone sono morte e altre nove sono rimaste ferite. Mentre suonavano le sirene, auto della polizia con i megafoni hanno invitato i passanti nel centro di Kiev “a rifugiarsi nei sottopassi” e poi rientrare immediatamente nelle proprie case, racconta l’Ansa. Secondo Bloomberg la Russia ha usato “armi di alta precisione per distruggere infrastrutture militari ucraine”. Il ministero della Difesa russo ha poi fatto sapere che “le difese aree dell’Ucraina sono state soppresse“. Le forze armate di Kiev dal canto loro rivendicano di aver abbattuto 5 aerei russi e un elicottero. Mosca smentisce. Navi da guerra russe pattugliano le acque al largo di Odessa ma è stata smentita la presenza di truppe in città.

L’annuncio di Putin durante il Consiglio di sicurezza Onu – Per giustificare l’attacco, Putin ha detto che Mosca vuole “smilitarizzare e de-nazificare” l’Ucraina. La responsabilità dello spargimento di sangue a suo dire sarà nelle mani del “regime ucraino“. I soldati ucraini sono stati invitati a deporre le armi e a tornare a casa. “I vostri padri e i vostri nonni non hanno combattuto per poter aiutare poi i neo-nazisti”, la sua esortazione. L’obiettivo dichiarato dell’invasione di un Paese è “proteggere la popolazione” del Donbass separatista “che per otto anni è stata soggetta a maltrattamenti e genocidio”, stando alla versione di Mosca. Poi il presidente ha avvertito gli altri paesi che qualsiasi tentativo di interferire con l’azione russa porterebbe a “conseguenze che non hanno mai visto“. Secondo il Guardian il messaggio era registrato. I metadati mostrano infatti che il file del video è stato caricato sul sito del Cremlino il 21 febbraio. Putin appare nella stessa posizione e con gli stessi abiti che indossava durante il discorso di lunedì durante il quale ha annunciato il riconoscimento delle repubbliche autoproclamate di Donetsk e Lugansk.

Kiev: “Vuol distruggere lo Stato ucraino” – L’operazione mira a “distruggere lo Stato ucraino, impadronirsi del suo territorio con la forza e stabilire un’occupazione”, ha denunciato in un comunicato il ministero degli Affari esteri ucraino. Kiev ha invitato la comunità internazionale ad “agire immediatamente” perché “solo azioni unite e forti possono fermare l’aggressione dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin”. L’Ucraina “si difenderà e vincerà: il mondo può e deve fermare Putin. Il momento di agire è ora” twitta il ministro degli Esteri dell’Uctaina, Dmytro Kuleba. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha annunciato l’imposizione della legge marziale. “La Russia ha compiuto attacchi contro le nostre infrastrutture militari”, ha detto Zelensky sul suo profilo Facebook. “Un minuto fa ho avuto un colloquio con il presidente Biden. Gli Stati Uniti hanno già cominciato a mobilitare il sostegno internazionale – ha aggiunto, secondo Ukrinform – Dovreste restare a casa se possibile”.

Mosca: “Non è aggressione contro popolo ucraino ma contro la giunta al potere” – Alle 3:30 italiane, dopo che le amministrazioni sotto occupazione russa a Donetsk e Luhansk avevano chiesto a Mosca assistenza militare preannunciando di fatto una escalation, si è riunito su richiesta di Kiev il Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il presidente russo ha annunciato l’operazione militare quando aveva da poco finito di parlare l’ambasciatrice americana Linda Thomas-Greenfield chiedendo a Mosca di “fermarsi, tornare nei suoi confini, far tornare le truppe nelle caserme”. L’ambasciatore russo, Vassily Nebenzia, nel corso del vertice ha accusato nuovamente Kiev di provocazioni militari nella regione del Donbass. Sottolineando poi che Mosca si è concentrata sulla “pace e la sicurezza” nelle repubbliche separatiste e sta prendendo di mira la “giunta al potere a Kiev”. “Non siamo aggressivi contro il popolo ucraino – ha aggiunto – ma contro la giunta che è al potere a Kiev”. Immediata la dura condanna dell’attacco da parte di tutti i Paesi che siedono nel Consiglio, che hanno preannunciato ulteriori sanzioni. Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha convocato per la mattinata una riunione degli ambasciatori dell’Organizzazione.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/02/24/ucraina-la-russia-ha-iniziato-linvasione-manovra-a-tenaglia-attacchi-anche-da-bielorussia-e-crimea-missili-su-kiev-centinaia-di-vittime-putin-per-chi-interferisce-conseguenze-mai-viste/6505444/

Ucraina, Draghi non va più a Mosca e Lavrov sbeffeggia Di Maio. - Salvatore Cannavò

 

Ordine Nato, pure Francia e Germania si riallineano.

Quella che inizialmente sembra una gaffe rivela invece l’inasprimento dei rapporti tra l’Italia e Russia. Effetto di un riallineamento brusco alla Nato e agli Stati Uniti che porta all’annullamento del viaggio di Draghi a Mosca.

Quando il ministro degli Esteri Luigi Di Maio relaziona al Parlamento, annuncia che “non possano esserci nuovi incontri bilaterali con i vertici russi, finché non ci saranno segnali di allentamento della tensione, linea adottata, nelle ultime ore, anche dai nostri alleati e partner europei”.

L’annuncio di Di Maio. La frase fa rumore e da Mosca arriva la replica stizzita del ministero guidato da Serghej Lavrov che definisce la sortita di Di Maio “una strana idea di diplomazia” per poi aggiungere velenosamente: “I partner occidentali dovrebbero imparare a usare la diplomazia in modo professionale” anche perché è stata inventata per risolvere situazioni di conflitto e alleviare la tensione, e non per viaggi in giro per Paesi e degustazioni di piatti esotici a ricevimenti solenni”.

Trattandosi di Di Maio, giovane ministro degli Esteri, per di più 5Stelle, la frase sembra costruita apposta per corroborare l’idea del politico incompetente, un “bibitaro” alle prese con le crisi internazionali. Ma dalla Farnesina (cui nel frattempo arriva la solidarietà del Pd, anche questo un fatto nuovo) replicano con fermezza confermando la frase e soprattutto sostenendo che è stata coordinata con il presidente del Consiglio, Mario Draghi. Dopo un’ora circa, arriva al Fatto la conferma di Palazzo Chigi: “Le visite bilaterali sono sospese in attesa di segnali distensivi da quella parte. Così tutti i partner europei”. Draghi, quindi, diversamente da quanto annunciato ancora nei giorni scorsi, non andrà per il momento a Mosca.

La stessa decisione viene comunicata a stretto giro da Francia e Stati Uniti, che annullano l’atteso incontro tra il Segretario di Stato, Antony Blinken e lo stesso Lavrov. Blinken avrebbe dovuto vederlo oggi a Ginevra, mentre l’incontro con il francese Jean Yves Le Drian era previsto per venerdì.

Azione concertata. A riprova dell’irrigidimento delle posizioni occidentali, Germania e Finlandia decidono di convocare l’ambasciatore russo, mentre il Dipartimento di Stato americano ci tiene nel pomeriggio a rendere noto che la vicesegretaria di Stato, Wendy Sherman, ha parlato con il segretario generale del ministero degli Esteri francese, François Delattre, il segretario di Stato del ministero degli Esteri tedesco, Andreas Michaelis, il segretario generale del ministero degli Esteri italiano, Ettore Sequi , e il ministro di Stato britannico per l’Europa e il Nord America, James Cleverly.

L’evoluzione dei rapporti tra la Russia e i Paesi europei segue il progressivo allarme che gli Stati Uniti lanciano a livello internazionale con l’imminente (di nuovo) invasione russa dell’Ucraina, stavolta nel giro di 48 ore. Gli Usa continuano nella loro strategia di compattamento occidentale con Francia, Italia e Germania che, non si sa quanto volenti o nolenti, sono costrette ad allinearsi. Tanto più se è vera la disponibilità russa di continuare il dialogo come traspare dalla risposta a Di Maio e come ripete lo stesso Vladimir Putin rispondendo agli Usa.

La difficoltà europea a tagliare i ponti con Mosca e, soprattutto, ad adattarsi alle sanzioni internazionali (finora abbastanza morbide, ma nei prossimi giorni destinate probabilmente a inasprirsi) la si può leggere non solo nell’annuncio che il 90% delle Pmi italiane continueranno a fare affari con la Russia, ma soprattutto nelle vicende della larga maggioranza che sorregge proprio Draghi. Il quale, sulle sanzioni, non può vantare una maggioranza coesa.

Vasta maggioranza. Il leader della Lega, Matteo Salvini, infatti, sceglie di distinguersi con un attacco frontale all’Alto rappresentante europeo per la politica estera, Josep Borrell: “Per il capo della politica estera dell’Unione europea, le sanzioni contro la Russia servono a bloccare lo shopping dei russi a Milano e i loro party a Saint Tropez… Siamo al ridicolo. O forse al tragico”. Nel pomeriggio, dopo aver incontrato il presidente Mattarella al Quirinale, Salvini stempera un po’ la dichiarazione, ma l’approccio filorusso della Lega è noto. Ma il capo leghista, almeno nella giornata di ieri, trova sponda anche in Forza Italia che si distingue per un intervento al Senato di Maurizio Gasparri che parla di sanzioni dannose per l’Italia e fa un piccolo show a base di Guerra di Crimea (del 1853) e dottrina Monroe. E poi, in serata, per una nota ispirata da Silvio Berlusconi, in cui si sottolinea che bisogna procedere secondo una via “più pragmatica” a favore di sanzioni “graduali e commisurate” mantenendo aperto il dialogo. Non fa parte della maggioranza, ma anche Giorgia Meloni invita a tener conto dell’interesse nazionale mentre parte per gli Stati Uniti invitata al meeting dei Conservatori.

La maggioranza draghiana va in ordine sparso e mentre Giuseppe Conte invita ancora a trattare – e alla Camera si nota un distinguo del capogruppo 5S Davide Crippa su un’Italia troppo schiacciata sulla Nato – ci pensa il Partito democratico a ribadire i fondamentali. Con Enrico Letta prima e poi con il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, parte la batteria di fuoco che invita a non avere esitazioni sulle sanzioni, che occorre fare male alla Russia e, in soldoni, allinearsi a Joe Biden, che non a caso si congratula con Olaf Sholz per il coraggio mostrato con il North Stream 2. Mosca può aspettare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/24/ucraina-draghi-non-va-piu-a-mosca-e-lavrov-sbeffeggia-di-maio/6505396/

Cercansi monetine. - Marco Travaglio

 

Undici anni fa, quando la Camera si coprì di ridicolo trascinando i magistrati di Milano alla Consulta per non aver creduto alla balla di B. su Ruby nipote di Mubarak, la grande stampa dedicò a quello sconcio paginate piene di sdegno e di parole come “vergogna”, “scandalo”, “impunità”. Ieri invece, dopo che il Senato ha concesso il bis trascinando i magistrati di Firenze alla Consulta per non aver creduto alla balla di Renzi sull’immunità parlamentare di un suo amico non parlamentare, le paginate erano su ben altro: la presunta crisi sentimentale fra Totti e Ilary Blasi. Il fatto che Renzi un anno fa abbia fatto il lavoro sporco per conto dei grandi editori e che il Pd nel 2011 fosse sulle barricate contro B. e l’altroieri sulle barricate con Renzi e B. non è casuale. In Italia il “garantismo” è come il patriottismo per Samuel Johnson: “l’ultimo rifugio delle canaglie”. Basta ascoltare le miserevoli dichiarazioni di voto (tutte, eccetto quella impeccabile di Grasso per LeU e quella troppo generica della Castellone per il M5S). Tal Parrini del Pd si arrampica sugli specchi spacciando quel voto eversivo per una disquisizione giuridica per “fare chiarezza con la Consulta”, non sapendo (o, peggio, ben sapendo) che è tutto chiarissimo: per la legge e la Cassazione, le chat sequestrate sui cellulari sono documenti e non corrispondenza e l’immunità parlamentare vale per i parlamentari, non per gli amici che chattano con loro. E il Senato non ha chiesto chiarimenti alla Consulta: ha votato la relazione di FI che accusa la Procura di Firenze di violare la Costituzione.

Per il resto il Senato pare quel vecchio spot dei preservativi, col professore che ne sventola uno in classe chiedendo di chi è e tutti gli allievi rispondono “È mio!”. Il leghista dice che la Lega non difende Renzi, ma la Costituzione, perché i giudici cattivi perseguitano anche il povero Salvini. La forzista dice che FI non difende Renzi, ma la Costituzione, perché i giudici cattivi perseguitano anche il povero Silvio. Il fratello d’Italia dice che FdI non difende Renzi, ma la Costituzione, perché vabbè, i giudici cattivi non hanno ancora fatto nulla alla povera Meloni, ma un cronista cattivo le ha chiesto se ha vaccinato la figlia e con quella “domanda impertinente e fuori luogo ha violentato una madre!”. Una scena strepitosa, che mescola vergogna e ridicolo in un’aula che ha smarrito l’una e l’altro. La perfetta natura morta di una casta autistica e interessata solo alla sua impunità di gregge, che si esibisce davanti a un Paese terrorizzato dal caro bollette, dagli stipendi da fame e dalle conseguenze della crisi ucraina. Una banda larga che, se non avesse tutta la stampa dalla sua, starebbe già rimpiangendo le monetine all’hotel Raphael.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/24/cercansi-monetine/6505356/

mercoledì 23 febbraio 2022

Giuseppe Conte.

 

Qualche quotidiano stamattina scrive che il Movimento 5 Stelle sarebbe "isolato". Siamo isolati se diciamo - come abbiamo fatto ieri in Aula sul caso Open-Renzi - che i politici devono difendersi nei processi e non dai processi? Siamo isolati se vogliamo approvare subito il salario minimo per alzare gli stipendi da fame, combattendo precarietà e paghe da 3 o 4 euro l'ora? Se questa determinazione significa “isolamento” allora ne vado fiero. Ma in realtà io non credo proprio che ci ritroveremo isolati, perché avremo sempre il Paese al nostro fianco.

La nostra linea è molto chiara: spetta agli altri fare chiarezza sulle proprie scelte di ieri e di domani. Chi vuole lavorare con noi non può eludere queste questioni, deve assumersi queste responsabilità. Possiamo discutere di tante cose, possiamo confrontarci per trovare nel dialogo tante soluzioni. Ma ci sono alcuni passaggi che non sono negoziabili, perché richiamano valori fondamentali del nostro essere in politica e del nostro modo di fare politica. Noi ci siamo per vocazione, per realizzare un progetto di società migliore.

L’agenda politica di ieri, quella di oggi e quella di domani pone sempre il grande problema del vuoto, del silenzio della politica sui temi di etica pubblica e di giustizia sociale. Il Movimento è nato per colmare questo vuoto e continuerà ad esserci per assolvere a questa missione. Con forza, con coraggio, con ostinazione.

Caso Open, se chatti con un deputato hai “diritto alla privacy”. - Peter Gomez

 

Oggi la nostra solidarietà va tutta a quelle decine di migliaia di criminali che negli ultimi anni sono stati condannati per spaccio, truffa, stalking, estorsione e molti altri reati solo perché nel loro telefono cellulare o in quello dei loro clienti o delle loro vittime erano stati trovati scambi di messaggi o chat compromettenti. Immaginiamo la loro rabbia nello scoprire che secondo la maggioranza del Senato i testi delle conversazioni via Whatsapp vanno considerati al pari di uno scambio di corrispondenza e che quindi, ai sensi dell’articolo 68 della Costituzione, in assenza di un’autorizzazione preventiva delle Camere non possono essere sequestrati, nemmeno se si trovano nello smartphone di un non parlamentare.

Finora secondo la “giurisprudenza consolidata” in più sentenze della Corte di Cassazione se si sequestrava un telefonino a un indagato o a un testimone tutto quello che c’era dentro andava considerato come semplice documentazione. Non era cioè necessario che un giudice avesse autorizzato un’intercettazione informatica o un sequestro di corrispondenza per leggerne il contenuto e acquisirlo agli atti. I magistrati di terzo grado avevano spiegato che le norme che regolano la segretezza della corrispondenza valgono solo se un pm decide di far aprire le lettere intervenendo sul postino prima della consegna o se vuole leggere una chat in tempo reale. Dopo invece valgono le regole che disciplinano le perquisizioni: quello che trovi, trovi.

Oggi, almeno per i parlamentari, tutto rischia di cambiare. Matteo Renzi ha chiesto e ottenuto dai suoi colleghi del Senato l’apertura di un conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale perché i giudici stabiliscano che le chat restino coperte da segreto, salvo che le Camere in via preventiva non abbiano dato un’autorizzazione.

Se la Consulta accetterà questa tesi ci troveremo di fronte a due risultati ingiusti e paradossali. Il primo riguarda l’impossibilità di acquisire qualsiasi messaggio Whastapp inviato da un eletto in Parlamento a una terza persona. Infatti anche se la perquisizione del terzo sarà eseguita con tutti i crismi previsti dalla legge ne mancherà sempre uno: l’autorizzazione ex ante della Camera di appartenenza. Che ovviamente non può essere richiesta se non si sa anticipo cosa c’è nel telefonino del terzo. La seconda conseguenza paradossale è che se un criminale conversa via chat con un deputato o un senatore avrà un vantaggio rispetto ai suoi colleghi delinquenti che non hanno relazioni di questo tipo. Senza l’autorizzazione preventiva delle Camere i testi delle sue conversazioni non potranno essere utilizzati nemmeno contro di lui. Da questo punto di vista è facile prevedere che molti di loro si attrezzeranno per trovare numeri di telefono di parlamentari per poi inviare loro messaggi a caso. Basterà che un eletto risponda “Chi sei?” per sperare di farla franca.

Ovviamente tutti i senatori, dal Pd fino al centrodestra, che ieri hanno votato per sollevare il conflitto di attribuzione queste cose le sanno. Anche perché non è mancato chi le ha ricordate in aula. Ma la logica ha poco a che fare con lo spirito di autoconservazione di quella che un tempo molti avevano ancora la forza di definire “Casta”. Così, ora, dichiarandoci sconfitti, ci sentiamo in dovere anche noi di approfittare della situazione e di tifare perché la Corte costituzionale dia ragione a Renzi. Se così sarà anche i nostri telefonini, pieni zeppi di messaggi con gli eletti, diventeranno da un giorno all’altro non sequestrabili. Grazie Matteo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/23/caso-open-se-chatti-con-un-deputato-hai-diritto-alla-privacy/6503972/

GIUSTIZIA & IMPUNITÀ Sicilia, l’azienda dei trasporti e il “papello” con il Cencelli per le assunzioni volute dai partiti: “Qui bastano 5 addetti e invece ne abbiamo 25”. - Manuela Modica

 

L'inchiesta della Guardia di Finanza delinea un'azienda pubblica gestita in forma privata per rispondere ai desiderata dei politici. E il direttore, ora ai domiciliari, si lamentava: "Qui la cosa è scappata di mano, è un macello. Non sanno più dove metterli e già paghiamo 500mila euro al mese per questi interinali". Gli sponsor? Da destra a sinistra: da Miccichè e Cascio per Forza Italia a Cracolici per il Pd.

È il 15 febbraio del 2020 e negli uffici del consiglio d’amministrazione dell’Ast, l’Azienda siciliana trasporti, l’analisi è trachant: “Sta diventando l’ufficio di collocamento di Forza Italia”. Così parla il vicepresidente dell’azienda Giuseppe Dalì (che non risulta indagato) mentre discute con il presidente, Gaetano Maria Tafuri, adesso sospeso dal pubblico ufficio. “L’ufficio di collocamento” gestisce il trasporto pubblico urbano e interurbano in Sicilia, ed è partecipata al 100 per cento dalla Regione. Un’azienda integralmente pubblica gestita come un affare privatissimo: questo è il quadro delle indagini della Guardia di finanza di Palermo. Un affare privato, bacino ghiotto dei politici. Dalì parla con Tafuri, considerato fedelissimo dell’ex presidente della Regione, Raffaele Lombardo. Vicino a Lombardo è considerato anche Andrea Ugo Fiduccia, direttore generale dell’Ast e assoluto protagonista – suo malgrado – dell’operazione coordinata dalla procura di Palermo che per lui ha chiesto e ottenuto gli arresti domiciliari (per altri 8 sono scattate altre misure interdittive, tra sospensioni e divieti). Un’inchiesta, guidata dal procuratore aggiunto Sergio Demontis, che ha svelato “una forma di gestione dell’Azienda superficiale e privatistica irrispettosa delle norme di legge che avrebbero dovuto orientare il modus operandi di un organismo pubblico, direttamente promanante dalla regione Sicilia” scrive il gip Marco Gaeta.

Un’azienda pubblica gestita in forma privata per rispondere ai desiderata dei politici di turno: “È emerso chiaramente come molti dei lavoratori interinali impiegati presso l’Ast siano scelti esclusivamente sulla base di segnalazioni politiche che pervengono a Fiduccia, il quale a sua volta le comunica a referenti della In.Hr Agenzia per il lavoro Srl. Assunzioni che non sono dovute ad un’effettiva esigenza aziendale di Ast ma vengono poste in essere solamente per accordare le segnalazioni provenienti dalla politica”. Segnalazioni che a un certo punto sfuggono, addirittura, da ogni controllo, per stessa ammissione del direttore che intercettato, dice: “Qua purtroppo la cosa è scappata di mano” ammettendo che “c’è un macello” presso la sede Ast di Palermo. A fronte di un’esigenza effettiva di 5 unità lavorative “ce ne sono venticinque…fatti il conto… – dice Fiduccia – non sanno più dove metterli…andare a spendere un bordello…noi già paghiamo 500mila euro al mese per questi interinali”.

Il sistema per assecondare le spinte della politica è infatti quello delle assunzioni “interinali” somministrate tramite la In.Hr Agenzia per il lavoro, che vince la gara, ed ha un “rapporto privilegiato con Fiduccia”: è così che si può aggirare il blocco alle assunzioni della Regione dal 2002 e perfino agire per chiamata diretta. D’altronde “il bando di gara indetto da Ast nel 2019 per l’affidamento della fornitura di lavoratori interinali stimava un costo complessivo di 6 milioni di euro per un triennio – scrive il gip – quando in realtà l’aggiudicataria In.hr Agenzia per il lavoro Srl in nemmeno due anni (dal 30 aprile 2019 al 31 marzo 2021), ha emesso nei confronti dell’Ast fatture per un importo complessivo pari a 9.412.137”. Dovevano essere 2 milioni l’anno, invece sono stati più di 4 milioni e mezzo in due anni.

Questo è il terreno in cui si inseriscono le pressioni dei politici, enunciate con chiarezza nelle intercettazioni. È, infatti, lo stesso Fiduccia a raccontare di essere stato convocato presso l’Assemblea regionale siciliana e di avere ricevuto un “papello” riposto all’interno di una busta della stessa Ars “allora, mi mannaru a chiamare all’Ars e mi riettero nu bellu papello… però un ne sanno (incomprensibile) ca’ mi rietteru la busta all’Ars (mi hanno chiamato all’Ars e mi hanno dato un bel papello, ndr)”.

Un papello di indicazioni varie, tutte dei politici. A cominciare – stando a quanto trascritto nell’ordinanza dal gip – da Gianfranco Micciché (che ha annunciato di volere querelare Fiduccia), ma così riporta il gip: “Il 19 febbraio del 2021 Giuseppe Dalì (è lui a fare il suo nome, ndr) parlando con Fiduccia riferisce di essere stato contattato da Gianfranco Micciché, il quale gli avrebbe detto di avere bisogno “di una posizione su Trapani, di una su Enna, che si sposta dove va lui, e una su Palermo”, Fiduccia risponde che vi è un soprannumero di personale (“semu cu u bicchiere superchiu”) e che le unità in eccesso sono ben 15: “Ce n’è coccu quinnici superchiu rispetto a quanti sono, ma che stiamo scherzando!”. Dalì, replica dicendo che non possono opporsi alla richiesta del Micciché: “Eh, dimmi come dobbiamo fare perché lo dobbiamo fare”.

Papelli dall’Ars, ma anche segnalazioni dall’assessorato (“Di questo non c’ho il curriculum picchì mu riettiru in assessoratu“, me lo hanno dato in assessorato, ndr), di persone di cui manca il curriculum ma sono chiare – almeno così pare dalle intercettazioni – le competenze: “Manco sannu fari a O cu bicchieri”. Non sanno neanche fare la “o” col bicchiere, indica Luigi Giunta, dipendente Ast, parlando con Fiduccia: “Andiamo bene, ho visto che sono entrate altre persone, quindici persone”.

Assunzioni che non servono, manco a dirlo, di persone in esubero e senza competenze, ma segnalati dai politici. Una vera e propria lottizzazione, stando anche a quanto è stato riportato ai pm dalle persone informate dei fatti. Testimoni che hanno “elencato tutta una serie di dipendenti che sono stati assunti in Ast grazie al sostegno di noti esponenti politici o influenti gruppi imprenditoriali, dal Pd a Fi, passando per Alternativa Popolare: “Antonio Contorno, nipote di Antonello Cracolici (Pd, ndr), Giuseppe Iacono, nisseno sponsorizzato da Confindustria, Teresa Salamano “che gode di vari favori e che entrò in Ast spa tramite Francesco Cascio (Forza Italia, ndr), Maria Clara Canzoneri (parente dei noti costruttori Caltagirone), Giuseppe Montalbano (anche lui entrò in Ast tramite Francesco Cascio), Alessandra Marino, vicina al politico Castiglione di Catania (Giuseppe, Ap, ndr)”.

Ma è la stessa politica – dopo che i media la portano alla luce – che ferma una delle operazioni più sfrontate della gestione di Fiduccia, ovvero la creazione di una compagnia aerea siciliana, Ali di Sicilia, tarpate dal governo Musumeci che si oppose, ed in particolar modo dai due assessori di Forza Italia, Marco Falcone (alle infrastrutture), e Gaetano Armao (Economia). Fiduccia aveva, invece, riportato, per filo e per segno il progetto della nascente compagnia aerea a Raffaele Lombardo, come risulta dall’ordinanza.

Per questa operazione il direttore dell’Ast aveva coinvolto la Officine del turismo, un’azienda che ricorre spessissimo nelle 200 pagine dell’ordinanza. È in aiuto di questa azienda, infatti, che si spende spesso Fiduccia. Per esempio, durante il lockdown del 2020: “Questo mese faremo, sì e no, trecento euro di provvigioni e quindi siamo rovinati”, si sfoga il 20 aprile del 2020 l’amministratore della Officine, Alberto Carrotta parlando con Fiduccia. Ed è poco dopo, precisamente il 29, che Fiduccia avverte i suoi che Ast farà acquisti da Officine del Turismo Srl, senza gara. Saranno commissionati software centralizzato e termoscanner. Sarà sottoscritta la fornitura di 528 obliteratrici con termometro e relativi tornelli per un costo complessivo di 549mila euro (le ultime obliteratrici sono state consegnate nel febbraio del 2021, mentre i tornelli non furono acquistati).

Ma questo è solo uno degli episodi emersi dalle indagini della Guardia di finanza, che ha svelato un vero e proprio sistema in cui – secondo gli inquirenti – venivano escluse ditte, truccate gare, falsificati bilanci e favorite aziende. Nel caso di Officine del turismo, con un chiaro tornaconto – questa è quanto sostiene l’accusa – di Fiduccia, che in cambio chiedeva l’assunzione di un nipote, mentre un altro veniva pagato per una consulenza occasionale di 3500 euro. Ma otteneva anche l’assunzione pure della figlia e di un altro nipote acquisito, indicando pure la cifra da corrispondere (2500 euro). Mettendoci dentro anche una penna Montblanc edizione speciale e un portafoglio della stessa marca ricevuti in regalo. Su queste premesse avrebbe dovuto spiccare il volo Le Ali di Sicilia. Un’operazione fermata dal governo di Musumeci il cui flop non ha però mancato di gravare sulle casse regionali: 70mila euro. Tra cui, 15mila per lavori di adeguamento, 34mila a favore dell’Enac per il rilascio della certificazione, 4524 euro per Sofema Aviation Services Food” con sede a Sofia in Bulgaria, per “virtual aviation academy corsi on line per 12 persone”. Mille euro alla Aviando srl con sede a Catania, consulenza start up aeronautica e analisi velivoli svolta dall’ingegnere Visinalis”. Quasi 15 mila euro per l’acquisto di 13 Macbook Air. Non sorprende, visto quanto emerso dalle indagini, se l’Ast finiva per contare perdite di quasi 20 milioni di euro.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/02/23/sicilia-lazienda-dei-trasporti-e-il-papello-con-il-cencelli-per-le-assunzioni-volute-dai-partiti-qui-bastano-5-addetti-e-invece-ne-abbiamo-25/6503912/