martedì 22 ottobre 2024

Ben altro che danno erariale: lettera a Elly Schlein. - Roberta De Monticelli

 

La filosofa Roberta De Monticelli, del Consiglio di Presidenza di Libertà e Giustizia, scrive alla segretaria del Partito Democratico.

Sarebbe una scena di comicità irresistibile quella del pugno di senegalesi ed egiziani caricati e scaricati e ricaricati sull’enorme pattugliatore della Marina italiana, avanti e indietro per l’Adriatico, che conversano fra loro rigirandosi reciprocamente lo stupore del non capirci niente. Come sempre ci azzecca la risata del Manifesto: “Rimpatriota”. Da seppellirla, la Sorella d’Italia. Purtroppo però c’è ben poco da ridere. Nel 2023 sono state ben 3041 le persone affogate nel Mediterraneo, e aspettiamo i conti del 2024. Non dovremmo perdere di vista l’enormità del male di cui stiamo parlando, quando cogliamo l’opportunità di sottolineare l’insipienza o la protervia di un governo, il nostro, che intendeva proporsi all’Europa come esempio di politica migratoria, ignorando la sentenza della Corte di Giustizia Ue del 4 ottobre, che non riconosce come sicuri, ai fini del rimpatrio, 20 dei 22 Paesi che per questo governo lo sarebbero.

E quindi i giudici – meno male che ce ne è ancora qualcuno a Lussemburgo e in subordine anche a Roma –  hanno parlato.  Se ora dobbiamo parlare anche noi, we the people, oltre all’enormità del male cui una politica migratoria seria italiana ed europea dovrebbe porre fine, non dovremmo dimenticare, nell’ordine: il testo dell’articolo 605 del nostro codice penale sul sequestro di persona, che prevede da 1 a 10 anni di reclusione se chi priva qualcuno  della libertà personale è un pubblico ufficiale;  il diritto di emigrare, stabilito dagli articoli 13 e 14 della Dichiarazione Universale dei diritti umani; l’articolo 12 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, che ribadisce quel diritto, e l’articolo 35 (quarto comma) della costituzione italiana, che prima di tutti gli altri documenti “Riconosce la libertà di emigrazione (…) e tutela il lavoro italiano all’estero”. Ricordandoci in modo commovente nella frase finale da dove viene, questa povera Italia che ora si vuole inflessibile modello di “difesa dei patri confini” per un’Unione europea non meno dimentica delle ragioni per cui era nata.

Ecco. La donna che dovrebbe farsi portavoce della maggiore forza di opposizione ha alzato una voce che di forte ha solo il volume, perché alla memoria di tutto questo non dà parola, come se lo avesse dimenticato. Parla di “danno erariale”.  E ha ragione, allora, Massimo Giannini (Repubblica 19 ottobre), a ricordare a Elly Schlein che ben altro è in questione. Certo, è in questione “il patto costituzionale”. Ma non soltanto: qui noi dobbiamo dire di più. Lo è, quel patto, ma come anello della rete di patti che tiene il mondo ancora in equilibrio fra l’ideale di una giustizia universale (copyright Chantal Meloni) e la guerra. Perché c’è modo e modo di intendere i “confini della patria”, espressione vagamente ridicola sullo sfondo di 16 persone deportate per difenderli. Ancora una volta, non lasciamoci distrarre dal ridicolo: dove i “confini” esigono si versi sangue umano, non è solo con le guerre, questi omicidi di massa, che li si difendono. E’ anche adottando politiche migratorie criminali, indifferenti alla conseguenza che migliaia e  migliaia di persone ogni anno siano private di libertà e futuro, o  si perdano, rifiuti umani, sul fondo del nostro mare.  

Nata a Pavia il 2 aprile 1952, è una filosofa italiana. Ha studiato alla Normale di Pisa, dove si è laureata nel 1976 con una tesi su Edmund Husserl.


https://www.libertaegiustizia.it/2024/10/19/ben-altro-che-danno-erariale-lettera-a-elly-schlein/

La deriva istituzionale. - Massimo Giannini

Nell’abominio albanese la posta in palio non è “il danno erariale”, ma è il patto costituzionale, la democrazia italiana mai così esposta alle spallate di una coalizione illiberale e irresponsabile.

Era dai tempi del berlusconismo da combattimento che non si vedeva un potere dello Stato colpire al cuore, con tanta virulenza, un altro potere dello Stato. E non vi fate incantare dalla tv di regime, che all’ora di cena serve nel piatto degli italiani la solita sbobba rancida della “guerra tra politica e giustizia”. Non è così: qui, come in Ucraina, non ci sono due combattenti, ma solo un aggressore e un aggredito. Come prevedeva l’ortodossia del rito arcoriano, c’è un governo che si proclama sciolto dal principio di legalità, perché protetto dal voto del popolo che lo ha eletto. E dunque accusa di “golpismo” qualunque magistrato che, nel normale esercizio delle sue funzioni, osi giudicare il suo operato in base ai principi dell’ordinamento giuridico interno e internazionale. Nello stesso giorno succede l’impensabile. La premier Meloni, affiancata dalla “guardia nera” di La Russa e i suoi Fratelli, bastona i giudici di Roma. Il vicepremier Salvini, con ben quattro ministri al seguito, pesta i giudici di Palermo.

Prima ancora del merito, importa questo metodo. Questa sfida a viso aperto agli organi di garanzia previsti dalla Costituzione. Questa deriva ormai davvero “ungherese” della democrazia italiana, mai così esposta alle spallate di una coalizione illiberale e irresponsabile.

Perché deflagri adesso, e con questa furia da junta cilena, è presto detto. Questione troppo complessa per essere lasciata nelle mani ruvide e corrive dei nuovi patrioti, la politica migratoria sancisce il doppio fallimento di una coalizione sfascista e cattivista. Da una parte, crolla il castello di carta del “modello Albania” tanto caro alla Sorella d’Italia. Dall’altra parte, fallisce l’adunata voluta dal Capitano della Lega. Male, per un governo che evidentemente passa troppe ore a “fare la Storia”, non ha tempo per ripassare la geografia e meno che mai per studiare il diritto. La somma di questi fattori — ideologia e xenofobia, arroganza e incompetenza — produce come risultato una Caporetto politica, che fa schiumare di rabbia un ceto politico senza disciplina e senza onore. 

Sui migranti perde la premier, che si era illusa di aver trovato l’uovo di Colombo, grazie a un patto scellerato con l’amico Edi Rama, depositando a casa sua i “carichi residui” di carne umana che noi non vogliamo più vedere per le strade delle nostre città (a meno che non ci rimpiazzino in tutto quello che non ci degniamo più di fare, pulire cessi o imbiancare muri, raccogliere pomodori o consegnare pizze, il tutto per un pugno di euro e preferibilmente in nero). L’aveva pensato come un perfetto spot elettorale, da mandare in onda nella settimana del voto europeo di giugno: un bel bastimento carico di profughi, a favore di telecamere del fido Tg1 delle 20, da far partire sulla rotta inversa rispetto a quella che seguirono i 20 mila albanesi della nave Vlora, l’8 agosto ’91. Allora vennero loro da noi, in massa, e li accogliemmo a Bari. Oggi noi gli restituiamo gli “indesiderabili” sbarcati qui, deportandoli nei due lager costruiti a Gjader e Shengjin. Un’ideona, ricalcata sull’immondo esempio inglese di Rishi Suniak, che i suoi migranti voleva spedirli addirittura in Ruanda: noi, più furbi, ci accontentavamo dell’Albania, a un braccio di Mar Adriatico dalle coste tricolori. Gli elettori italici avrebbero apprezzato, gli osservatori stranieri avrebbero copiato. Non è andata così. Sull’esodo niente affatto biblico dei 16 poveri cristi sbarcati dalla Libra, glorioso pattugliatore d’altura da 81 metri, è calata subito l’ovvia mannaia del Tribunale di Roma. L’illegittimità del trattenimento di quei migranti negli hotspot albanesi era chiaro come il sole, come sapeva chiunque, tranne gli astuti Fratelli di Giorgia. Per capirlo, bastava leggere la sentenza della Corte di Giustizia Ue del 4 ottobre, che non riconosce come “sicuri”, ai fini del rimpatrio, almeno 20 dei 22 Paesi che invece lo sarebbero, secondo i giuristi all’amatriciana formati alla sezione di Colle Oppio. Quelle anime perse, ora, hanno “diritto ad essere condotte in Italia”, come scrive nella sua pronuncia Luciana Sangiovanni, presidente della Sezione Immigrazione del collegio capitolino. Dunque, contrordine camerati: tutti a bordo, e si riparte. Anche se non si sa più per dove. 

Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere. L’operazione Albania è dettata solo da una cieca follia. Un autodafé giuridica, economica, umanitaria. E buon per Meloni se, per avere conforto, le bastano un po’ di von der Leyen, un pizzico di Barnier e le solite cattive compagnie dell’Internazionale Sovranista, riunite in fretta e furia per un pre-vertice a Bruxelles. È noto che nelle vene d’Europa scorre il virus dell’odio e dell’ignavia, dell’intolleranza e del razzismo. Col supporto di Ungheria e Repubblica Ceca, Slovacchia e Austria, l’Italia meloniana sogna lo stesso inferno. Ma per fortuna c’è un giudice a Strasburgo e un altro giudice a Roma. Ci indicano la strada: le migrazioni vanno gestite, con regole certe e anche rigorose. Ma come ci insegna la civiltà dei Padri, sempre nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. Questo fa le democrazie diverse dagli altri regimi. Di questo dovrebbero prendere atto le destre al comando, invece di inveire contro i magistrati, che hanno il solo torto di applicare la legge. Nella Dottrina Meloni, invece, il potere giudiziario ha solo un dovere: aiutare il potere esecutivo. Se non lo fa, è parte dell’ennesimo “complotto”, naturalmente ordito insieme alla sinistra. “Abbiamo contro una parte delle istituzioni” tuona la premier, sovvertendo i ruoli e i principi: qui è l’istituzione-governo che aggredisce l’istituzione-magistratura, non il contrario. 

Salvini è una conferma vivente del teorema. Anche lui esce disfatto dal fronte migranti. La sua “chiamata alle armi” a Palermo — a pochi passi dall’altro tribunale, quello che lo sta processando per la vicenda Open Arms — è stato un colossale flop. Non c’era la folla, a sostenere il leader leghista nel suo atto sedizioso contro i giudici, copia sbiadita delle erinni berlusconiane accorse in massa sulla scalinata del Palazzo di Giustizia di Milano per difendere il Cavaliere dalla “persecuzione delle toghe rosse”. A dare manforte al Capitano erano in quattro gatti, Calderoli e Giorgetti, Valditara e Locatelli. Parafrasando Andreotti, ai tempi del famoso viaggio aereo di Bettino Craxi in Cina: davanti al Politeama c’erano giusto Matteo e i suoi cari. Ma a prescindere dal numero dei partecipanti, il fatto in sé resta gravissimo, e fa il paio con il misfatto di Meloni. Un vicepresidente del Consiglio e capo del secondo partito della maggioranza, insieme alla sua delegazione ministeriale, scende in piazza contro l’ordine giudiziario. Come nella peggiore tradizione populista, siamo alla “secessione delle classi dirigenti”: la politica che, per sottrarsi al controllo di legalità, fa saltare il banco. Un’enormità, di fronte alla quale ci permettiamo di suonare la sveglia a Elly Schlein: cara segretaria del Pd, nell’abominio albanese la posta in palio non è “il danno erariale”, ma è il patto costituzionale. Una sfida molto più impegnativa, che richiede un’opposizione all’altezza. Questo film dell’orrore l’abbiamo già visto negli anni di fango del Caimano. Non credevamo di rivederlo oggi, negli anni di palta dell’Underdog.


(Vignetta di Gianlorenzo Ingrami)

Articolo pubblicato su Repubblica
Massimo Giannini19 Ott 2024

https://www.libertaegiustizia.it/2024/10/20/la-deriva-istituzionale/

Apiario medievale del 1200 circa d.C. - Arabia Saudita

 

Immerso nelle montagne Sarawat in Arabia Saudita, questo apiario medievale del 1200 circa d.C. ospitava 1.200 alveari, rendendolo un sito chiave per la produzione del miele. Le complesse terrazze in pietra sono uno splendido esempio di innovazione e adattabilità di chi le ha costruite, consentendo un utilizzo efficiente delle risorse naturali della regione. Questo sito offre uno scorcio affascinante delle tecniche agricole medievali nella penisola arabica, evidenziando la ricca storia della produzione di miele nella zona.

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domenica 20 ottobre 2024

Questo è K2-18b.

 

K2-18 b, noto anche come EPIC 201912552 b, è un esopianeta che orbita attorno alla stella nana rossa K2-18, situata a circa 111 anni luce dalla Terra.[1]

Il pianeta, scoperto attraverso il telescopio spaziale Kepler, ha circa otto volte la massa della Terra con un'orbita di 33 giorni. Si trova all'interno della zona abitabile della stella, rendendolo un candidato potenziale per la presenza di vita sul pianeta.

Nel 2019, due studi di ricerca indipendenti[2] hanno concluso, in base all'analisi congiunta dei dati forniti dai telescopi KeplerHubble e Spitzer che vi sono quantità significative di vapore acqueo nella sua atmosfera, una scoperta rivoluzionaria, la prima scoperta di questo tipo per un pianeta all'interno della zona abitabile di una stella.[3]

Scoperta

Il pianeta è stato scoperto con il metodo del transito nell'ambito della seconda parte della missione Kepler nel 2015. La stella madre è una nana rossa di classe M2.6 avente una massa e un raggio rispettivamente 0,36 e 0,41 volte quelli del Sole.[4] Analisi spettroscopiche suggerirono che il pianeta avesse caratteristiche simili a un mininettuno, ossia a una versione più piccola del gigante gassoso. Il pianeta riceve il 94% della radiazione che riceve la Terra dal Sole e la sua temperatura di equilibrio è stata stimata essere di 274 K (equivalenti a 0,85°C)[5]

Nel 2017 osservazioni col telescopio spaziale Spitzer confermarono che il pianeta orbitava nella zona abitabile di K2-18, indicando un periodo orbitale di 33 giorni circa, e che dato l'interesse che mostrava vennero programmate ulteriori osservazioni in futuro.[6]

Caratteristiche

Si stima che K2-18 b abbia un raggio di 2,71±0,07 r e una massa di 8,63±1,35 M, a seconda della sua densità potrebbe essere una super Terra o, più probabilmente, un mininettuno senza superficie solida.[7] Tuttavia secondo studi del 2019 un confronto tra dimensioni, orbita e altre caratteristiche del pianeta con altri esopianeti rilevati ha suggerito che il pianeta potrebbe supportare un'atmosfera che contiene ulteriori specie chimiche oltre all'idrogeno e all'elio,[4] normalmente presenti nei giganti gassosi. Poiché il pianeta orbita all'interno della zona abitabile, è possibile che abbia acqua liquida o ghiaccio sulla sua superficie.[1][8]

Abitabilità

Sono stati effettuati ulteriori studi utilizzando il telescopio spaziale Hubble, consentendo ulteriori misurazioni dell'atmosfera del pianeta. Due analisi separate di ricercatori dell'Università di Montréal e dell'Università College di Londra (UCL) basate sui dati di Hubble sono state pubblicate nel 2019. Entrambe hanno esaminato gli spettri della luce stellare che attraversa l'atmosfera del pianeta durante i transiti, scoprendo che K2-18 b ha un'atmosfera di idrogeno ed elio con un'elevata concentrazione di vapore acqueo, che potrebbe variare da 0,01% a 12,5%, o arrivare anche fino al 50%, a seconda di quali altri elementi gassosi sono presenti nell'atmosfera. Ad alti livelli di concentrazione, il vapore acqueo sarebbe sufficiente a formare nuvole.[8][9][10]

Altri analisti, tuttavia, contestano l’affermazione che il pianeta sia potenzialmente abitabile. Un’analisi indica che è improbabile che i pianeti aventi 1,5 volte la massa della Terra abbiano una superficie rocciosa. Le dimensioni e la gravità di K2-18b renderebbero difficile per il mondo sostenere la vita. Tuttavia, trovare acqua in un esopianeta in una zona abitabile aiuta a capire come si formano i pianeti.[1] Uno studio condotto da astronomi dell'Università di Cambridge ha considerato la struttura interna del pianeta e ha trovato una serie di possibili soluzioni, da un nucleo roccioso avvolto da uno spesso involucro di idrogeno a un pianeta costituito principalmente da acqua con un'atmosfera più sottile, come potrebbe essere un pianeta oceanico. Un sottoinsieme di queste soluzioni potrebbe consentire la presenza di acqua liquida sulla superficie del pianeta, anche se a temperature e pressioni superiori alle condizioni standard (STP). In uno degli ipotetici modelli sviluppati dagli astronomi il pianeta sarebbe composto da un nucleo di ferro e roccia sovrastato da uno spesso anello oceanico, sulla cui superficie la pressione di una sottile atmosfera, composta da idrogeno, elio e acqua sarebbe di 130 atmosfere e la temperatura di 287 K.[11][12] 429 / 5000

Una simulazione dettagliata dello spettro planetario nel 2020 ha indicato che la banda di assorbimento di 1,4 μm attribuita in precedenza all'acqua potrebbe essere dovuta al metano. Le firme spettrali del vapore acqueo non sarebbero dominanti nei pianeti freddi (sotto i 600 K).[13][14] In uno studio del 2021, viene indicata che la presunta caratteristica spettrale di assorbimento dell'acqua potesse provenire da macchie stellari variabili nel tempo della stella madre, e non dall'atmosfera planetaria.[15]

Nel 2023 K2-18 b è stato osservato con il telescopio spaziale James Webb, il quale ha rivelato la presenza di molecole contenenti carbonio, tra cui metano e anidride carbonica, nella sua atmosfera. L'abbondanza di queste due molecole e la scarsità di ammoniaca supportano l'ipotesi che il pianeta possa essere un pianeta oceanico con un'atmosfera ricca di idrogeno. Inoltre il James Webb potrebbe aver fornito anche un possibile rilevamento di una molecola chiamata dimetil solfuro. Sulla Terra, questa molecola è prodotta solamente dalla vita, specialmente dal fitoplancton.[16]

Si prevede che l'esopianeta verrà studiato ulteriormente dal telescopio spaziale ARIEL, che verrà lanciato nel 2028. Il telescopio ARIEL, come il James Webb, sarà dotato di strumenti progettati per determinare la composizione delle atmosfere degli esopianeti.[8]


https://it.wikipedia.org/wiki/K2-18_b

Il grande equivoco del big bang.

 

Amedeo Balbi, astrofisico e autore di diversi libri di divulgazione scientifica, ne ha pubblicato uno nuovo intitolato Il cosmo in brevi lezioni (Bur Rizzoli), dedicato a spiegare – come dice il sottotitolo – “Big bang, pianeti, galassie e buchi neri”. Il libro raccoglie – con le revisioni e gli aggiornamenti opportuni – gli articoli che Balbi ha pubblicato sulla rivista scientifica Le Scienze negli ultimi dieci anni, nella sua rubrica “La finestra di Keplero”: «Con l’avvicinarsi del decennale, mi sono reso conto che tutte quelle pagine ricostruiscono una storia che racconta lo stato attuale delle nostre conoscenze sull’universo», scrive Balbi nella premessa. Storia che inevitabilmente inizia dal big bang, anzi dal “Grande equivoco del big bang”.

Amedeo Balbi parlerà del suo libro a Napoli sabato 26 ottobre, all’interno di Talk del Post, assieme al disegnatore, fumettista e regista Gipi.

*****

C’è un equivoco persistente che riguarda l’origine del nostro universo e la sua descrizione scientifica. In soldoni, l’equivoco nasce dal fatto che si usa lo stesso nome, ovvero «big bang», per riferirsi sia a un modello sia a un evento. È una confusione seria, che porta a conclusioni fuorvianti, e di cui vale la pena discutere. Il modello del big bang è oggi la nostra migliore descrizione dell’evoluzione dell’universo osservabile nei passati 13,8 miliardi di anni. Secondo questo modello, l’universo ha raggiunto il suo stato attuale espandendosi ininterrottamente a partire da una condizione di altissima densità e temperatura, in cui tutta la materia era scomposta nei suoi costituenti fondamentali. Il modello del big bang poggia sulle solide basi della teoria della relatività generale di Einstein, su un quadro fisico messo alla prova fino alle più alte energie raggiunte negli acceleratori di particelle, nonché su una serie impressionante di evidenze: le più notevoli sono l’espansione dell’universo, l’esistenza di un fondo cosmico di radiazione a microonde, e la corretta previsione dell’abbondanza dei nuclei di elio e degli atomi più leggeri. È un modello di straordinario successo – almeno nei limiti in cui è applicabile – e che al momento non ha alternative credibili.

Tuttavia, la maggior parte delle persone (scienziati inclusi) usa il termine «big bang» in un altro senso, per riferirsi all’evento che avrebbe dato inizio al nostro universo.
E qui le cose si fanno confuse, per almeno due ragioni. La prima è che non è del tutto chiaro a quale evento ci si riferisca. La possibilità meno problematica è che si usi il termine «big bang» per indicare uno stato primordiale in cui densità e temperatura avevano valori enormi ma non infiniti, e da cui si è dipanata la successiva evoluzione dell’universo osservabile (descritta dal modello del big bang). In questo senso, che è quello generalmente inteso (magari senza dirlo in modo esplicito) dagli addetti ai lavori, il big bang non è altro che una fase all’interno di una cornice fisica preesistente, che si può descrivere ragionevolmente bene con le teorie conosciute.

Ma c’è un’altra possibilità, più problematica. Se si spinge ancora più indietro nel tempo la descrizione dell’evoluzione dell’universo basata sulla relatività generale, si arriva fatalmente a uno stato in cui la temperatura e la densità diventano infinite: è quello che i fisici chiamano una «singolarità». Questo stato segnerebbe l’inizio stesso del tempo e dello spazio, ed è quello a cui molti pensano quando usano la parola «big bang»: un istante che non ha un prima, l’improvvisa comparsa dal nulla di tutto ciò che esiste.
Purtroppo (e questa è la seconda e più grave ragione di confusione), mentre non abbiamo praticamente alcun dubbio sul fatto che l’evoluzione dell’universo sia iniziata 13,8 miliardi di anni fa da uno stato di enorme densità e temperatura (che possiamo continuare a chiamare «big bang» per comodità), non c’è alcuna prova che esso sia originato da una singolarità. Ed è proprio la comparsa degli infiniti a metterci in guardia: ci dice che la fisica che usiamo per spingerci in quei territori è inadatta a descriverli e che dovrà necessariamente essere aggiornata a una versione migliore, che ancora non abbiamo. Di fatto, le idee che i fisici teorici stanno esplorando, in questo senso, presuppongono che il nostro universo sia il risultato di processi precedenti, che per ora non abbiamo gli strumenti concettuali per comprendere. Ex nihilo nihil fit, dicevano i filosofi antichi: nulla viene dal nulla, e la cosmologia moderna, intesa correttamente, non avrebbe niente da eccepire.

https://www.ilpost.it/2024/10/18/big-bang-libro-balbi/?fbclid=IwY2xjawGBoPZleHRuA2FlbQIxMQABHfyUCNdqgkeSdgjLKVYf02Qadnpqy28oKU2niN0GucsSBtjpPZ4Zz-qlfA_aem_o5NwhuLaNnVJ5r6a_1kf_A

sabato 19 ottobre 2024

Lo scorpione blu.

Lo scorpione blu (Rhopalurus junceus), è un aracnide unico e vibrante presente solo a Cuba. Gli scienziati hanno recentemente scoperto che il suo veleno contiene molecole speciali che potrebbero essere utili nel trattamento del cancro.
📷 @madhanclickz

Meshgin-shahr - Iran

 

Meshgin-shahr nel nord-ovest dell'Iran ospita una notevole meraviglia naturale conosciuta come Columnar Basalt. Questa formazione geologica si distingue per le sue colonne distintive, che assomigliano a strutture verticali. Il fenomeno si verifica quando il flusso di lava dalle eruzioni vulcaniche si raffredda e si contrae.
Il rapido raffreddamento della lava basaltica provoca restringimento e screpolazione, che dà origine a una rete di colonne verticali interconnesse. Queste colonne presentano tipicamente una forma esagonale, anche se le loro dimensioni e forme possono variare. Possono raggiungere altezze impressionanti, che vanno da pochi metri a decine di metri, e si possono trovare in prossimità o con qualche distanziamento tra di loro.
Il basalto colonnare si forma mentre la lava si raffredda verso l'esterno dai bordi verso il centro. Questo processo di raffreddamento provoca contrazioni e fratture lungo percorsi di minore resistenza. Di conseguenza, le colonne risultanti mostrano un modello geometrico regolare che riflette la naturale tendenza del basalto alla frattura durante il processo di raffreddamento.
Formazioni di basalto colonnar possono essere osservate in diverse parti del mondo, come la Giant's Causeway in Irlanda del Nord, la Devil's Tower negli Stati Uniti, la Fingal's Cave in Scozia e l'Organ Pipes National Park in Tasmania, Australia.