domenica 7 aprile 2019

Borse, trimestre da leoni. Guadagnati 8mila mld. Piazza Affari (+16%) mai così bene dal 1998. - Vito Lops



Si è chiuso un trimestre brillante per le Borse globali, come non se ne vedevano dal 2012. La capitalizzazione mondiale è passata da 70mila a 78mila miliardi di dollari. L’indice Msci all country world index è salito dell’11%, massimo da 7 anni. Per l’indice S&P 500 di Wall Street, in progresso di oltre 12 punti percentuali, si è trattata della migliore partenza dal 1998 e del miglior trimestre dal 2009. In Europa la maglia rosa va a Piazza Affari che in tre mesi (+15,95%) ha praticamente recuperato il ribasso accumulato nel 2018 (-16,5%) e ha superato il calo dell’ultimo quarto (-11,5%). Per trovare un inizio migliore bisogna tornare al 1998 quando in tre mesi la Borsa milanese guadagnò il 41%. Non ci sono però rossi nei monitor azionari su scala globali. Francoforte è salita del 9%, Parigi del 13% e Londra - ancora in pieno caos Brexit dopo che ieri il Parlamento ha bocciato l’accordo con l’Ue raggiunto dal premier May - è salita del 12,7%. Per le Borse cinesi - che avevano chiuso il 2018 con la peggior performance dal 2009 - il recupero è straripante: l’indice Csi si è apprezzato in valuta locale del +28%. Anche la vicina Tokyo è salita, ma meno(+6%) complice la robustezza dello yen.
Il rialzo corale dei listini azionari contrasta con la macroeconomia: le previsioni concordano infatti su un rallentamento della crescita mondiale dal 3,7% al 3,5% con alcune aree, come l’Eurozona, dove il rallentamento dovrebbe essere più marcato, dall’1,7% all’1,1%. Eppure gli investitori hanno acquistato azioni. Come mai? Gli stessi fattori che hanno messo in ginocchio i listini nell’ultima parte del 2018 - un atteggiamento meno morbido delle banche centrali e l’escalation della guerra commerciali tra Usa e Cina - sono quelli che hanno dato il là a questo mini rally azionario. Le banche centrali sono state “costrette” a fare dietrofront. La Bce (7 marzo) ha spostato i tempi del prossimo rialzo dei tassi annunciando che discorsi di questo tipo sono rimandati al 2020. La Fed (20 marzo) ha ribaltato la politica monetaria: non solo non alzerà i tassi di 50 punti base come previsto ma interromperà dal prossimo autunno la riduzione del bilancio. Quest’ultimo punto (il drenaggio della liquidità attraverso il mancato reinvestimento di una parte dei titoli in scadenza nel portafoglio Fed) è divenuto negli ultimi mesi ben più importante dei tassi. Tanto che proprio l’avvio della riduzione del bilancio (ottobre) innescò la forte correzione di Wall Street di fine 2018. Quanto al secondo potente market mover, la guerra commerciale, è vero che non è stato ancora raggiunto un accordo. Ma il clima si fa via via più disteso: proprio ieri il segretario al Tesoro americano Steven Mnuchin ha definito «molto produttivo» il lavoro svolto nelle ultime ore con il vicepremier cinese Liu He. La notizia positiva per le Borse è che, al netto della partenza sprint del primo trimestre, i multipli non sono esageratamente cari. In questo momento a livello globale (indice Msci all country world index) il rapporto tra prezzo e utili stimati per il 2019 è 16,7 volte e il dividend yield intorno al 2,5%.
È stato un trimestre straordinario anche per il petrolio che archivia la miglior performance dal 2009. Il Brent si è apprezzato del 32% e il Wti del 28%. E questo nonostante gli ultimi tweet del presidente degli Usa Donald Trump con cui accusa i Paesi produttori di mettere a rischio la crescita economica globale tenendo alti i prezzi. Ha quasi azzerato invece i guadagni da inizio anno (+1%) l’oro. Il clima di appetito al rischio ha favorito le azioni che hanno recuperato capitali dai beni rifugio. Ma non va dimenticato che lo scenario che si va profilando per via delle nuove politiche espansive delle banche centrali - tassi bassi a lungo, come conferma il calo mensile dei rendimenti del Bund più ampio dal 2016 - tecnicamente sarebbe favorevole al metallo giallo. Lo stesso scenario ha fatto sì che anche per le obbligazioni (lato prezzi e non rendimenti che si muovono in direzione opposta) quello appena messo alle spalle sia stato un trimestra straordinario: la capitalizzazione globale delle obbligazioni è salita a 52mila e 500 miliardi, in rialzo di 2.500 miliardi rispetto alla notte di San Silvestro.





Questo significa che, mentre i politici da strapazzo sia italiani che europei, gridano al massacro, chi capisce qualcosa di economia e specula in borsa nutre grande fiducia nelle manovre del governo giallo verde. Cetta.

Uomo di Altamura.

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L’Uomo di Altamura è una delle più straordinarie scoperte paleontologiche effettuate in Italia, i cui resti furono rinvenuti nel 1993, incastonati nelle formazioni carsiche della grotta di Lamalunga, nel territorio di Altamura, in Puglia. 


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Si tratta degli unici resti di scheletro umano intero del Paleolitico, appartenuti a un Homo neanderthalensis vissuto tra i 180.000 ed i 130.000 anni fa, un caso eccezionale sia dal punto di vista geologico sia da quello archeologico, integro nella struttura scheletrica e in ottimo stato di conservazione. 
L’Uomo di Altamura era probabilmente un maschio adulto di 160-165 centimetri di altezza che, durante una battuta di caccia, cadde in uno dei tanti pozzi carsici presenti nella zona. Le fratture e le ferite riportate gli impedirono di uscire dalla grotta, che da quel momento divenne la sua tomba per sempre, a 8 metri di profondità. Con il passare dei millenni, le sue ossa vennero letteralmente inglobate nelle concrezioni calcaree fino alla scoperta, avvenuta nel 1993 da parte di un gruppo di speleologi.
 Lo straordinario reperto archeologico fu individuato dal CARS - Centro altamurano ricerche speleologiche all’interno della Grotta di Lamalunga, a circa 3 Km da Altamura,  caratterizzata da un sistema di cavità carsiche e stretti cunicoli. Vi si accede attraverso un inghiottitoio profondo circa dieci metri superato il quale, dopo un percorso di circa sessanta metri, ci si imbatte nello splendido scheletro fossile.  

Il primato dell’Uomo di Altamura è il suo essere stato il più antico Neanderthal su cui sia stato possibile eseguire analisi paleogenetiche, la lettura del DNA racchiuso nelle nostre cellule. Le informazioni genetiche ottenute hanno permesso di comprendere aspetti della comparsa e diffusione dei Neanderthal e i rapporti con diverse specie e popolazioni. Sono state acquisite indicazioni legate a malattie, elementi di nutrizione e, grazie alla combinazione tra gli studi molecolari e quelli morfologici, si è venuti a conoscenza dell’aspetto, delle proporzioni e dei “colori” di questo altamurano giunto a noi da un passato tanto remoto.
Nel 2017 è stata presentata al pubblico ed esposta nel Museo Nazionale di Altamura, una perfetta ricostruzione dell’uomo di Altamura, cominciata eseguendo una riproduzione digitale del cranio con dati morfologici raccolti mediante l’utilizzo dello scanner laser e della fotogrammetria, per poi arrivare a un modello in scala di impressionante impatto, opera dei fratelli Kennis, già noti per aver ridato vita a Öetzi, l’uomo del Similaun, conservato nel Museo Archeologico di Bolzano.

Uomo di Altamura - ricostruzione 3D
ricostruzione dell'Uomo di Altamura presente nel Museo Nazionale Archeologico della città.     
Oggi l’eccezionale storia dell’Uomo di Altamura, della sua epoca e del suo territorio, è raccontata nei quattro siti che compongono la “Rete museale Uomo di Altamura”, nei quali esposizioni, reperti, apparati didattici e attività laboratoriali consentono di vivere un’esperienza indimenticabile, riportati indietro di millenni nel cuore della murgia pugliese.


sabato 6 aprile 2019

TrigonomeTria. - Marco Travaglio



Ottimisti come siamo, confidiamo di vivere abbastanza per conoscere, dopo i segreti di Fatima e quelli del Dna, anche i misteri della fossa delle Marianne, dello Yeti e degli Ufo. Ma già sappiamo che mai verremo a capo dell’enigma degli enigmi: chi ha piazzato Giovanni Tria al ministero dell’Economia, e perché? Ma soprattutto: come mai Tria si ostina a restarci, visto che gli stanno tutti sulle palle e lui sta sulle palle a tutti? Inizialmente pareva fosse uscito dai laboratori del Quirinale, inesauribile fabbrica di ministri economici “tecnici” (Dini, Ciampi, Amato, Siniscalco, Monti, Grilli, Saccomanni, Padoan). Il che però confliggeva con la vulgata parallela: che l’avesse indicato Paolo Savona, indicato in quel ministero e poi depennato (per motivi ancora imperscrutabili) da Mattarella. In teoria quella casella toccava alla Lega, ma anche questo si stenta a crederlo, visto che Tria fa di tutto per far incazzare non solo i 5Stelle, ma pure i leghisti. Del resto, col Carroccio c’entra come i cavoli a merenda: prof a Tor Vergata, già coautore dei libri di Brunetta, membro della Fondazione Craxi e firma del Foglio, per menzionare solo i suoi meriti. Gli esordi già dicevano tutto del personaggio. Al ministero confermò tutti i boiardi di Padoan: non male per un “governo del cambiamento”. In Europa garantì subito – chissà perché e a nome di chi – un deficit-Pil all’1,6%, ben sapendo che sarebbe bastato per evitare l’aumento dell’Iva e niente Reddito né Quota 100. Poi tornò a Bruxelles con un “ops, volevo dire 2,4%”, dimostrando che la sua parola vale zero. Alla fine ci volle Conte per rimediare al disastro, spuntando un 2,04 senza procedura d’infrazione.
Intanto il ministro venuto da Marte diventava il beniamino delle opposizioni, che lo scambiavano per uno di loro, e l’idolo dei giornaloni, che gareggiavano a dipingerlo come una specie di Quintino Sella redivivo, chino sulla stabilità dei conti e sul rigore finanziario, “garante”, “argine”, “baluardo”, “diga” contro gli spendaccioni “populisti” che l’avevano scelto, una larva umana sempre sull’orlo delle dimissioni per le sevizie infertegli da quegli energumeni di Salvini e Di Maio, che lo tengono sequestrato da nove mesi a pane e acqua bullizzandolo nelle segrete di Via XX Settembre. I due vicepremier sono contro l’aumento dell’Iva? Lui è pro. Il M5S è anti Tav e pro Reddito di cittadinanza? Lui è pro Tav e anti Rdc. Salvini e Di Maio sono pro Quota 100? Lui è anti. Di Maio vuol salvare Alitalia col soccorso di Fs? Lui è contro. Di Maio e Salvini vogliono risarcire i truffati dalle banche? Lui non firma il decreto.
E ringrazia col bicchiere alzato il capo dell’Ocse che ha appena demolito Rdc e Quota 100. Un genio. Eppure, forse per ordine del medico o del confessore, resta lì. Intanto si scopre che, più che dei due vicepremier, Tria è ostaggio di Claudia Bugno, una virago amica di sua moglie che in teoria è solo una consulente, ma in realtà troneggia nell’ufficio accanto al suo, parla a suo nome, decide nomine, fa cazziatoni e scatena le proteste dei capi delle aziende di Stato. Il bello è che questa iradiddio vanta un curriculum in cui ogni singola voce è incompatibile col governo giallo-verde e alcune anche con qualsiasi altro governo, a causa di molteplici conflitti d’interessi reali e/o potenziali. Paracadutata al Mise da Scajola, fu spinta da Renzi nel Comitato Olimpico con Malagò e Montezemolo: ora il Mef si occupa dei fondi alle Olimpiadi di Milano e Cortina. Montezemolo se la portò in Alitalia come dirigente: ora il Mef ostacola il salvataggio Alitalia. Era nel Cda di Etruria con papà Boschi ed è stata multata da Bankitalia per non aver vigilato e citata per danni dal liquidatore: ora il Mef blocca i risarcimenti ai truffati. La Tinextra Spa diretta dal suo compagno Pier Andrea Chevallard ha assunto il figliastro di Tria, Nicolò Ciapetti, due mesi dopo che Tria l’aveva promossa al Mef per 74 mila euro l’anno. Non contento, Tria vuole pure piazzarla nel board di Stm a 94 mila euro l’anno, o all’Agenzia Spaziale, a 21 mila. E le opposizioni, anziché chiedere conto, si schierano col ministro vaneggiando di “volontà coartata” (Mulè, FI), “macchina del fango” (Fornaro, Articolo 1), “metodo Boffo” (Borghi, Pd, ignaro della sentenza sulle molestie di Boffo). E i giornaloni, anziché raccontare i conflitti d’interessi, blaterano di “complotti”, “dossier”, “spionaggi” e se la prendono con gli unici giornali che raccontano i fatti (la Verità e il Fatto).
“Bersaglio Tria” (Repubblica)“Tria: spazzatura contro di me. Ma l’intimidazione non passa” (Corriere), “Chi ha intimidito Giovanni Tria? C’è grande interesse sul privato del ministro, su collaboratori, attività professionali e inclinazioni politiche, col risultato di ‘normalizzare’ il Tesoro” (Huffington Post). Come se a doversi giustificare fosse chi dà le notizie, non chi le nasconde. Tria intanto invoca “la privacy” (come se fossero uscite notizie sulle sue tendenze sessuali o la sua salute) e lancia oscuri messaggi tramite il suo intervistatore preferito, Federico Fubini del Corriere che gabella lo scandalo per un “assalto per indebolire” l’eroico ministro “e magari renderlo più malleabile”: tipo pretendere che rispetti il programma del suo governo o si cerchi un altro governo con un altro programma. A certe panzane finisce per credere persino Tria, convinto di essere indispensabile: “Se andassi via dovremmo vedere quale sarebbe la reazione dei mercati”. Ora, i “mercati” han reagito maluccio anche con lui e si farebbero una ragione dell’arrivo di un altro. Qualcuno dovrebbe spiegargli col dovuto tatto che, quando c’è uno scandalo, un ministro o spiega o se ne va. Tantopiù che non fa nemmeno capoluogo.

Pensioni, come cambia l’adeguamento al costo della vita: taglio delle rivalutazioni inferiore a quelli degli ultimi governi. - Chiara Brusini

Pensioni, come cambia l’adeguamento al costo della vita: taglio delle rivalutazioni inferiore a quelli degli ultimi governi

Per i pensionati con gli assegni più bassi, fino a 1.539 euro lordi, non cambierà nulla. Gli altri riceveranno qualche euro in più rispetto alle cifre incassate negli ultimi sette anni. Mentre subiranno un piccolo taglio rispetto agli aumenti previsti dalla legge che sarebbe tornata in vigore l’anno prossimo se non ci fossero stati interventi. Con un’eccezione: chi prende tra i 1.539 e i 2.052 euro lordi avrà comunque un mini vantaggio. Sarà questo l’effetto del “raffreddamento” dell’indicizzazione delle pensioni inserito nel maxi emendamento del governo alla manovra che ha appena ottenuto il via libera definitivo della Camera. A conti fatti il nuovo schema di rivalutazione per il triennio 2019-2021, contro il quale si sono già mobilitati i sindacati, è più generoso rispetto a quelli adottati a partire dal 2011.

Il punto di partenza è che la legge di Bilancio per il 2019 non interviene su una situazione di completo adeguamento degli assegni previdenziali all’aumento del costo della vita. Anzi: fin dagli anni Novanta la perequazione di quelli superiori a tre volte il minimo non è piena e nel dicembre 2011 è stata completamente congelata dal Salva Italia del governo Monti. Dal 2014, con Letta, è tornata in forma parziale e quel regime è stato prorogato fino a fine 2018 dal governo Renzi (vedi tabella). L’anno prossimo, senza interventi, sarebbe tornata in vigore la legge 388 del 2000 che prevedeva comunque una perequazione piena, pari all’1,1% dell’assegno, solo per quelli inferiori a tre volte il minimo. Cioè 1.539 euro, visto che nel 2019 (al netto delle pensioni di cittadinanza prossime venture) il minimo sale a 513 euro. Gli assegni tra tre e cinque volte il minimo (da 1.539 a 2.565 euro) sarebbero stati rivalutati solo di uno 0,99% e quelli oltre cinque volte il minimo di uno 0,825%.

L’adeguamento diventa più progressivo: sette scaglioni – La manovra appena varata modifica quel meccanismo rendendo più progressivo l’adeguamento, che sarà differenziato in base a sette scaglioni. Fino a tre volte il minimo nulla cambia: la rivalutazione sarà piena e pari all’1,1%, percentuale fissata da un decreto del Tesoro. Tra tre e quattro volte il minimo la rivalutazione sarà pari al 97% dell’indicizzazione piena. Vale a dire che ci sarà un aumento dell’1,067%: poco più di 19 euro al mese per chi ne riceve 1.800 lordi. Se fosse tornata in vigore la legge del 2000, l’incremento per questa fascia si sarebbe invece fermato allo 0,99%, meno di 18 euro. Questi assegni, che stando alla Relazione tecnica della legge di Bilancio costituiscono il 18,7% del monte pensioni complessivo, saranno quindi incrementati più di quanto prevedeva il quadro a legislazione vigente.






Al contrario, oltre i 2.052 euro lordi la rivalutazione sarà meno generosa rispetto a quanto previsto dalla legge del 2000, anche se l’indicizzazione resta superiore a quella riconosciuta fino al 2018. Per le pensioni tra le quattro e le cinque volte il minimo la rivalutazione sarà infatti dello 0,847%: il 77% di quella piena, contro il 90% previsto dalla manovra 2001 e il 75% applicato fino all’anno scorso. Per la fascia successiva (tra cinque e sei volte il minimo, cioè da 2.565 a 3.078 euro) l’indicizzazione sarà riconosciuta al 52%, pari a un aumento dello 0,572%, anche in questo caso superiore a quello del 2018 e inferiore a quello previsto dalla legge del 2000.
Tagli di 25 euro solo per chi prende oltre 10 volte il minimo – Per i trattamenti superiori a sei volte il minimo le norme precedenti non facevano distinzioni: con lo “schema Letta” tutti gli assegni erano indicizzati al 40% mentre con il ritorno in vigore della 388/2000 l’indicizzazione sarebbe stata riconosciuta al 75%. La manovra prevede invece una riduzione progressiva del beneficio: 47% (cioè aumenti dello 0,517%) fino a otto volte il minimo, 45% (con aumenti dello 0,495%) tra otto e nove volte e 40% (pari a un incremento dello 0,44%) oltre nove volte il minimo, 4.617 euro lordi. Il taglio, rispetto alla normativa precedente, supererà i 25 euro al mese solo per chi riceve un assegno oltre 10 volte il minimo. Come chiarito dall’Inps, comunque, gli effetti non si vedranno sugli assegni di gennaio, che sono già stati calcolati in base alla legge 388: una circolare disciplinerà in seguito le modalità e i tempi per i conguagli.

Le tappe: dal 1996 indicizzazione piena solo agli assegni più bassi – Fin dal 1996 l’indicizzazione piena è stata riconosciuta solo alle pensioni più basse: in particolare fino al Duemila solo gli assegni non superiori a due volte il minimo venivano aumentati di anno in anno tenendo conto pienamente dell’aumento del costo della vita e quelli oltre otto volte il minimo erano congelati. Poi, fino al 2008, il 100% di rivalutazione è stato garantito a quelli fino a tre volte il minimo. Da quell’anno il sistema è diventato più generoso, con un ampliamento dell’indicizzazione completa ai trattamenti fino a cinque volte il minimo e il riconoscimento di un 75% di rivalutazione alle pensioni oltre quella soglia. A fine 2011 il governo Monti con il decreto salva Italia (riforma Fornero) ha azzerato per gli anni 2012 e 2013 la perequazione delle pensioni di importo superiore a tre volte il minimo. Nel 2013 il governo Letta ha previsto un sistema a cinque scaglioni con indicizzazione del 95% per gli assegni tra tre e quattro volte il minimo, del 75% tra quattro e cinque volte il minimo, del 50% tra cinque e sei volte il minimo e del 40% (45% nel 2015 e 2016) oltre sei volte il minimo. Il governo Renzi ha prorogato lo schema Letta al 2017 e 2018. Il prossimo anno sarebbe dovuta tornare in vigore la legge del 2000.
Nel frattempo, ad aprile 2015 la Corte costituzionale ha bocciato il blocco della riforma Fornero e l’esecutivo Renzi con il decreto Poletti ha rimediato concedendo ai pensionati solo un rimborso parziale dei soldi persi a causa della mancata rivalutazione. La Consulta ha rigettato i ricorsi contro il decreto ritenendo che abbia realizzato “un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica“.

Pensioni tagliate...ne vogliamo parlare? Sara Paglini ci spiega ciò che è successo in realtà.

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Si sa il Pd, per i pensionati, ha sempre avuto un occhio di riguardo. Tipo quando votò il blocco dell’indicizzazione delle pensioni, senza la piena rivalutazione per l’inflazione.

Vediamo nel dettaglio cosa votarono questi paladini dei pensionati. 
Tra 2012 e 2013, col blocco totale per le pensioni superiori a tre volte il minimo (dai 1500 euro in su), chi prendeva ogni mese 1600 euro lordi ne perdeva 500-600 l’anno; chi percepiva 2100 euro ne perdeva 1500; chi aveva 2600 euro ne perdeva 1800.

Nel 2015 la Consulta bocciò la legge in quanto incostituzionale e ordinò al governo di restituire la refurtiva. Intanto, ai 5,5 milioni di pensionati, erano stati rapinati 8-9 miliardi di euro.
Ricordo come ora le giornate passate in aula a combattere contro questi scippatori seriali !!!

Renzi , creatura,.......ne rimborsò appena 2,2 ed ebbe pure la spudoratezza di chiamare quella mancia “bonus Poletti”:
come se quello non fosse un furto con destrezza, ma addirittura un gentile omaggio. 
La SPUDORATEZZA NON HA MAI FINE PER QUESTI PERSONAGGI ! 

Intanto nel 2014 il governo Letta aveva fatto altri danni: un sistema di perequazioni in cinque fasce, che lasciava quasi intatta la rivalutazione delle pensioni fino al quadruplo della minima, mentre tagliava del 25% la rivalutazione per quelle sopra i 2000 euro lordi e del 50% oltre i 2500. I governi Renzi e Gentiloni prorogarono quel blocco fino al 1° gennaio 2019, lasciando la patata bollente ai successori.

SE per caso vedete le vostre pensioni che OGGI sono assottigliate per cortesia chiedete a MONTI , FORNERO , PD, FI , RENZI , LETTA ECCECC ECC DI darvi il maltolto !

Io lo chiesi in aula forte e chiaro e con me tutto il Movimento 5 STELLE già a suo tempo già dal 2015 .
Ma.... COMANDAVANO LORO !
E questi sono i risultati . 

Con l’attuale governo ci saranno dei tagli da giugno SI !!!! E SOLO a chi percepisce pensioni al di sopra di 4569,00 euro al MESE ! 
E ne sono FELICE !
Perché saranno i contributi che serviranno per aumentare le pensioni minime da 485 euro a 780,00 euro 
E NE SONO FELICE !

Ecco e adesso ... se siete arrivati fino a qua con la lettura ... mi RACCOMANDO ... CONTINUATE A CREDERE A QUESTI FARABUTTI !!!! 

E magari rivotateli alle Europee che vi tolgono quello che ancora non erano riusciti a togliervi !👍🏼
Ahhhh DIMENTICAVO !!! Il PD (ddl Zanda) chiede di AUMENTARE GLI STIPENDI DEI PARLAMENTARI 😂 lo sapevate ? 


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Il Codice Normale - Marco Travaglio

Risultati immagini per condannati ma liberi

L’altro giorno abbiamo provato a immaginare quanti voti guadagnano i “populisti” fra quanti leggono di Gueladje Koulibaly, immigrato clandestino dalla Guinea, con precedenti per violenza, resistenza e una molotov, che dovrebbe già essere stato rimpatriato o almeno ristretto in un Cara in attesa dell’espulsione decretata da mesi dal questore; invece nessuno lo cerca, lui resta a piede libero e tenta di stuprare una diciottenne a Torino, nel parco del Valentino. 
Oggi ci poniamo la stessa domanda per un’altra notizia, ancor più grave, sempre da Torino: quella di Said Mechaquat, marocchino con cittadinanza italiana, che il 23 febbraio ha sgozzato il giovane Stefano Leo scambiandolo per un ex rivale in amore, ma quel giorno avrebbe dovuto essere in carcere o ai domiciliari o ai servizi sociali (dal 9 maggio 2018, e per una condanna del 2016!) a scontare una condanna di 1 anno e 8 mesi senza condizionale per maltrattamenti alla consorte, invece era libero per i soliti ritardi nell’esecuzione della pena. 
Ieri il procuratore generale Edoardo Barelli s’è scusato (per quel che può valere) con i familiari della vittima e ha spiegato che il caso di Said è tutt’altro che isolato: soltanto nella civilissima Torino, ci sono circa 15 mila sentenze definitive emesse dal 2016 a oggi su almeno altrettanti criminali che attendono di essere eseguite per la cronica assenza di personale (giudici, cancellieri, segretari, agenti). Figurarsi quanti sono in tutto il resto d’Italia. Non tutti i condannati, al momento dell’esecuzione, finiscono in cella, anzi solo una minima parte.
In Italia, grazie alla legge Gozzini e alla stratificazione di infinite norme svuotacarceri (l’ultima, del ministro Orlando, l’ha fortunatamente cancellata Bonafede), chi deve scontare una pena complessiva o residua fino a 3 anni (in certi casi 4), la galera non la vede neppure in cartolina. 
Dunque anche Said probabilmente sarebbe finito in qualche ospizio o ente benefico, tipo B. a Cesano Boscone. Ma ci sono pure i condannati “over 3” (o 4) che un po’ di carcere devono farselo per forza. Bene, anzi male: quando finalmente lo Stato, zigzagando fra gradi e fasi di giudizio, prescrizioni, amnistie, condoni, indulti, scappatoie e cavilli vari, dopo anni e anni, con enorme dispendio di soldi, uomini, strutture ed energie, riesce finalmente ad assicurare alla giustizia un colpevole, manca il personale per l’ultimo tratto di strada da casa alle patrie galere. Decine di migliaia di potenziali galeotti, molto pericolosi visto che le loro condanne superano i 4 anni, circolano indisturbati fra noi, pronti a riprendere l’attività criminale.
Il che rende tragicamente ridicoli gli alti lai che a cadenza regolare si levano dai pulpiti “garantisti” sul “sovraffollamento carcerario” per i “troppi detenuti” e le “poche pene alternative”. Panzana che fa il paio con un’altra, già smentita dagli studi criminologici più seri: che il tasso di recidiva aumenti per chi sconta la condanna in carcere e diminuisca per chi resta a piede libero (con tanti saluti a Cesare Beccaria, gran sostenitore della certezza della pena). La verità è che l’Italia ha meno detenuti in rapporto alla media europea e soprattutto in rapporto al numero di criminali in circolazione (essendo l’unico Paese d’Europa con tre regioni controllate militarmente dalle mafie e col record di corruzione ed evasione fiscale). Chi pensa che gli attuali 60 mila detenuti siano troppi finge di ignorare che, alla luce delle sentenze ineseguite, dovrebbero essere il doppio. E, se non lo sono, è solo perché il sistema non funziona. 
Il che rende paradossale la solita ricetta di aprire le galere per far uscire un po’ di delinquenti, con l’ennesimo indulto, amnistia, svuotacarceri per mandare lorsignori a scontare la pena a casa propria o in qualche istituto, dove poi manca il personale per controllare che rispettino gli obblighi e non tornino a delinquere.

Le anime belle hanno criticato uno dei punti più sacrosanti del programma giallo-verde: quello di costruire nuove carceri. Queste consentirebbero ai detenuti di vivere in spazi più civili e allo Stato di adeguare i posti-cella a un fabbisogno destinato a crescere nel caso di anche minimi recuperi di efficienza della macchina giudiziaria. Carceri che si potrebbero ricavare non solo edificando nuove strutture, ma anche riadattando (per i detenuti meno pericolosi) le caserme in disuso. Ma non basta: oltre ai passi già compiuti da Bonafede (blocca-prescrizione, Anticorruzione, esclusione dei reati da ergastolo dal rito abbreviato e dai relativi sconti di pena), è in cantiere la riforma del Codice di procedura penale. L’occasione giusta per sfrondarlo da assurde scappatoie fatte apposta per regalare l’impunità ai colpevoli. L’altro giorno Giulia Ligresti ha ottenuto dalla Corte d’appello di Milano la revisione della pena di 2 anni e 8 mesi, più sequestro di azioni e immobili per circa 15 milioni, da lei stessa patteggiata a Torino per aggiotaggio e falso in bilancio. Avete mai visto un innocente che patteggia 32 mesi di galera e il sequestro di 15 milioni? Evidentemente era innocente a sua insaputa. Eppure in Italia è possibile anche questo: concordi una pena, non la impugni (perché si può pure patteggiare e poi ricorrere in appello e in Cassazione), la rendi definitiva; poi si scopre che il Tribunale dove hai patteggiato non era competente e i processi a te e agli altri ripartono altrove da zero con risultati opposti; il tuo patteggiamento diventa carta straccia; e ti ritrovi pure beatificato dai giornali come un martire sul calvario e la vittima di un errore giudiziario cui hai concorso anche tu. È populismo indignarsi per le baggianate che rendono ridicola la Giustizia? Se lo è, ci iscriviamo subito. Ma preferiamo chiamarlo buonsenso.

Scoperto il frammento di un pianeta 'sopravvissuto'.


Rappresentazione artistica del frammento del pianeta sopravvissuto alla morte della sua stella e della scia di gas che continua a lasciare dietro di sé (fonte: University of Warwick/Mark Garlick).


Fatto di ferro, è scampato alla morte della sua stella.


E' 'sopravvissuto' a una catastrofe e continua a vagare in una sorta di 'cimitero' cosmico lasciandosi alle spalle una scia di gas: è il frammento di un pianeta scampato alla morte della sua stella e ricchissimo di metalli pesanti. La scoperta, pubblicata sulla rivista Science e finanziata dal Consiglio Europeo della Ricerca (Erc), si deve al gruppo internazionale coordinato dall'università britannica di Warwick, al quale ha partecipato l'Italia, con l'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf).
Il frammento del pianeta, osservato utilizzando il Gran Telescopio Canarias, si trova a 410 anni luce dalla Terra ed è sfuggito al cataclisma seguito alla morte della sua stella, una nana bianca chiamata SDSS J122859.93+104032.9. A rendere ancor più sorprendente la sua sopravvivenza è la sua orbita: così vicina alla sua stella da compiere una rivoluzione ogni due ore. La scoperta è stata possibile grazie a una tecnica di analisi spettroscopica che ha permesso di identificare la scia di gas lasciata dal pianeta e le variazioni nella luce emessa dal sistema. E' la prima volta che si scopre in questo modo un corpo solido in orbita attorno a una nana bianca.
"La stella doveva essere grande due volte la massa del Sole, ma ora è una nana bianca con una massa pari al 70% di quella solare", osserva il coordinatore della ricerca, Christopher Manser. Gli astronomi hanno calcolato che il diametro del frammento dovrebbe essere di almeno un chilometro. "Le nane bianche sono ciò che resta di stelle come il nostro Sole, una volta che hanno esaurito tutto il loro combustibile e disperso i loro strati esterni", spiega Melania Del Santo, dell'Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell'Inaf (Iasf-Inaf) di Palermo.
"Quando le stelle  invecchiano, diventano giganti rosse e, crescendo, spazzano via buona parte del loro sistema planetario, lasciandosi alle spalle solo un nucleo denso: una nana bianca", prosegue la ricercatrice. Anche il Sole si espanderà fino a raggiungere l'orbita della Terra, inglobando Mercurio, Venere.
Quello che resta del pianeta sopravvissuto "orbita vicinissimo alla stella, molto al di là del limite oltre cui pensavamo che non ci fosse più alcunché. L'unica spiegazione è che debba trattarsi di un oggetto molto denso. Pensiamo sia composto in gran parte di ferro e nichel", aggiunge uno dei ricercatori, Boris Gaensicke.