domenica 29 settembre 2024

Tunnel neolitici: millenni fa l’Europa era attraversata da autostrade sotterranee? - Angela Di Francesca

 

Tunnel neolitici l'Europa era attraversata da autostrade sotterranee. Heinrich Kusch archeologo Tedesco afferma – con disarmante certezza, in alcuni casi – l’esistenza di una rete sotterranea di condotti che si estende, e citiamo, “dalla Scozia fino alla Turchia“. L’esperto ribadisce come ci siano degli anelli di congiunzione ancora nascosti (in attesa di essere scoperti?), ma come la teoria generale del collegamento sotterraneo tra civiltà antiche sia quantomeno plausibile. Affascinante pensarlo, senz’altro, così come riteniamo agevole formulare una teoria simile quando nell’alta Mesopotamia ci sono siti straordinari che stravolgono le nostre conoscenze su quel passato. Ogni riferimento al duo Göbekli Tepe – Karahan Tepe è puramente casuale.

Siccome siamo coscienti del fatto che il mondo intero senta il maniacale bisogno di saperlo, ve lo diciamo: non siamo pienamente d’accordo con Kusch, anche se ne condividiamo l’intraprendenza critica. L’archeologo può lasciarsi andare in queste supposizioni perché il campo di ricerca è abbastanza inesplorato. Inoltre costanti ritrovamenti di gallerie sotto terra avvalorano la sua tesi. In cosa stona perciò? Beh, per iniziare, è difficile credere che i cosiddetti “Tunnel neolitici” (che in realtà appartengono ad un’epoca anteriore, ma quando il web sentenzia, c’è poco da fare) fossero razionalmente collegati tra loro in lungo e in largo. Poi per un territorio così esteso! Forse è anche banale dirlo.

Tunnel neolitici entrate in Scozia e Germania.
Di certo non possiamo negare la loro esistenza, così come è impossibile distogliere lo sguardo di fronte ai dati che il caro professor Heinrich sviscera. I Tunnel esistono, si estendono per chissà quanti km e sono una realtà visibile in parte del continente europeo. E sì, queste gallerie testimoniano una grande conoscenza architettonica, nonché ingegneristica, appartenuta a popoli vissuti millenni fa (le testimonianze più sorprendenti ci parlano di opere antropiche di vecchie 12.000 anni).

L’umanità già allora conosceva strumenti e tecniche avanzate per la realizzazione di intere città sotterranee. Gli esempi non mancano. Kusch cita come prova le formazioni piramidali in Bosnia (sotto le quali si estendono tunnel chilometrici, la maggior parte dei quali inesplorati ed inesplorabili). Ma l’esempio balcanico secondo noi non è tanto azzeccato come lo è quello anatolico. L’esperto tedesco non poteva non chiamare in causa Derinkuyu, conglomerato urbano che sprofonda sotto il suolo per circa 85 metri e forse anche più.

Tunnel neolitici corridoio sotterraneo Cappadocia
La fonte più antica che ci parla di Derinkuyu è Senofonte (430 a.C. – 355 a.C.), il quale attesta lo sviluppo della città al VIII secolo a.C. In realtà è probabile che la sua formazione sia di molto precedente, ma come sempre, si avanza per teorie e non per certezze. Cosa si può ricavare da queste parole? Tanto o poco, dipende dalle prospettive che ognuno ha a riguardo.
Si crede che ci sia tanto da scoprire prima di giungere a tesi così azzardate, ma è questo il bello della ricerca… 

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Il lago Baikal, Siberia orientale, Russia.

 

Il lago Baikal, situato nella Siberia orientale, Russia, è una meraviglia naturale e patrimonio dell'umanità dell'UNESCO.
È il più antico lago d'acqua dolce, stimato tra 20-25 milioni di anni, e il più profondo, con una profondità massima di 5.315 piedi (1.620 metri). Questo antico lago contiene circa il 20% dell'acqua dolce terrestre, rendendolo una risorsa cruciale per il pianeta. Le acque cristalline del lago consentono una visibilità fino a 40 metri di profondità, offrendo una vista affascinante del suo mondo sottomarino. Uno dei fenomeni più coinvolgenti del lago Baikal si verifica in inverno, quando il lago si gela. Il ghiaccio forma splendidi frammenti turchesi, creando un paesaggio surreale. Questi frammenti di ghiaccio, modellati da forti venti, possono raggiungere altezze impressionanti. Possono formarsi fino a 32-39 piedi.
Manda un messaggio alla Legazpi.
Credito immagine: Olivier Renck, Alexey Trofimov.

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sabato 28 settembre 2024

Uno studio calcola in più di 6 miliardi di pianeti simili alla nostra Terra presenti nella sola Via Lattea, la nostra galassia: i dettagli. - Pasquale D'Anna

 

Possono esistere fino a un pianeta simile alla Terra per ogni cinque stelle simili al Sole nella Via Lattea, secondo le stime del 2020 degli astronomi dell’Università della Columbia Britannica che utilizzano i dati della missione Kepler della NASA (missione terminata). Per essere considerato simile alla Terra, un pianeta deve essere roccioso con un diametro simile a quello terrestre e in orbita attorno a stelle come il Sole (tipo G). Inoltre gli esopianeti devono orbitare nelle zone abitabili delle proprie stelle, la giusta distanza affinché ci sia una temperatura atta a poter “ospitare” acqua liquida, e potenzialmente vita, sulla sua superficie.

Un numero enorme di pianeti extrasolari.

Le stime precedenti della frequenza dei pianeti simili alla Terra andavano da circa 0,02 pianeti potenzialmente abitabili (per stella simile al Sole) ad uno. In genere, i pianeti come la Terra sono più difficili da individuare rispetto agli altri tipi, poiché sono piccoli e orbitano lontani dalle loro stelle. Ciò significa che un catalogo planetario rappresenta solo un piccolo sottoinsieme dei pianeti che sono effettivamente in orbita attorno alle stelle. Gli scienziati hanno usato una tecnica nota come “modellazione in avanti” per superare questi limiti.

Il radius gap.

La ricerca  ha anche fatto luce su una delle questioni più importanti della scienza degli esopianeti: il “radius gap” dei pianeti. Il divario di raggio dimostra che non è comune per i pianeti, con periodi orbitali inferiori a 100 giorni, avere una dimensione compresa tra 1,5 e 2 volte quella della Terra. I ricercatori hanno scoperto che il divario del raggio esiste in un intervallo molto più ristretto di periodi orbitali di quanto si pensasse in precedenza. La ricerca continua!

https://www.passioneastronomia.it/esistono-oltre-6-miliardi-di-pianeti-come-la-terra-nella-nostra-galassia-lannuncio-degli-scienziati/

I buchi neri sono in realtà stelle congelate? Lo sostiene una nuova teoria. - Sandro Iannaccone

 

Le entità complesse e misteriose potrebbero essere strani oggetti quantistici che risolverebbero il cosiddetto paradosso di Hawking.

Ingoiano e spaghettificano tutto quello che gli càpita a tiro, luce compresa. Sono densi, densissimi, così tanto che la loro densità non ha neppure un valore finito, ma diverge in quello che gli scienziati chiamano “singolarità”, un punto in cui le grandezze sfuggono all’infinito e le “normali” leggi della fisica cessano di valere. Insomma: comunque li si guardi, i buchi neri sono un’entità complessa e misteriosa, che la fisica moderna ancora non è riuscita a comprendere e descrivere se non per ipotesi, più o meno verificabili. L’ultima e affascinante teoria sulla natura dei buchi neri arriva da uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Physical Review D da parte di un gruppo di scienziati della Ben-Gurion University, in Israele, e postula che i buchi neri potrebbero in realtà essere uno strano oggetto quantistico descrivibile come “stella congelata”. Se questo fosse vero – il periodo ipotetico è d’obbligo, perché al momento si tratta di un’ipotesi interessante e nulla più – si risolverebbero di colpo alcuni dei problemi e dei paradossi legati ai modelli “tradizionali” di buco nero, tra cui, per l’appunto, la presenza di una singolarità e il cosiddetto paradosso di Hawking, proposto per la prima volta dal fisico britannico nella metà degli anni settanta e al momento ancora insoluto.

Singolarità e distruzione delle informazioni.

Prima di esaminare l’ipotesi appena proposta, soffermiamoci un momento sui due problemi che abbiamo appena citato. Il primo, quello della singolarità, rappresenta una questione che ai fisici proprio non va giù, una frattura irrisolvibile tra teoria ed evidenza. Le equazioni della teoria della relatività generale di Albert Einstein, che descrivono il comportamento della gravità, prevedono con grande precisione la geometria dello spazio-tempo dovuta alla presenza di masse che la deformano, ma quando vengono “spinte al limite”, ossia quando si ha a che fare con masse sufficientemente elevate, danno come risultato un collasso gravitazionale che tende a concentrare lo spazio-tempo in un unico punto, con curvatura e densità infinita, il cui limite è detto “orizzonte degli eventi” (un buco nero, per l’appunto). Il problema è che il concetto di “infinito” è puramente matematico, dal momento che in natura non può esistere nulla di realmente infinito: per questo motivo gli scienziati stanno da tempo cercando una teoria alternativa che rimetta a posto gli infiniti. Il paradosso di Hawking è ancora più complesso, ed è emerso quando il fisico britannico ha provato a “incorporare” la meccanica quantistica all’interno dei modelli dei buchi neri: dai suoi calcoli è emerso che, proprio a causa di effetti quantistici, occasionalmente alcune particelle potrebbero sfuggire dall’orizzonte degli eventi, dando luogo a una lentissima (ma costante) perdita di energia, sotto forma di radiazione, da parte del buco nero, che in capo a (molto) tempo porterebbe alla sua evaporazione. Il paradosso emerge quando si considera che questa radiazione non porta alcuna informazione sulla materia che originariamente compone il buco nero: e dunque, se questo evaporasse, l’informazione sulla sua natura andrebbe persa per sempre, il che è in contraddizione con il principio della meccanica quantistica che postula che l’informazione non può essere distrutta. Per questo motivo, il paradosso di Hawking è detto anche paradosso della perdita dell’informazione.

Buchi neri? No, stelle congelate.

Il modello della “stella congelata”, secondo gli scienziati che lo hanno proposto, permetterebbe di risolvere i due problemi appena descritti fornendo comunque una descrizione dei buchi neri compatibile con le evidenze sperimentali. “Le stelle congelate sono oggetti molto simili ai buchi neri – ha spiegato a Live Science Ram Brustein, uno degli autori del lavoro appena pubblicato – ma senza tutte le loro caratteristiche ‘scomode’ come la singolarità e l’orizzonte degli eventi. Se esistessero per davvero e fossero proprio loro i buchi neri, bisognerebbe modificare in modo significativo e fondamentale la teoria della relatività generale di Albert Einstein”. Il modello, ovviamente, è molto complesso e tecnico: semplificando molto, gli autori hanno immaginato degli oggetti molto compatti e composti da materia ultra-rigida (congelati, per l’appunto) con proprietà ispirate alla teoria delle stringhe (una teoria che tenta di riconciliare la meccanica quantistica e la relatività generale) che sembrano essere degli ottimi candidati a ricoprire il ruolo dei buchi neri. “Abbiamo dimostrato – dice ancora Brustein – che queste stelle congelate si comportano come assorbitori quasi perfetti, sebbene siano privi di orizzonte degli eventi, e sono anche in grado di emettere onde gravitazionali. Possono assorbire quasi tutto ciò che si avvicina loro, proprio come i buchi neri, hanno la stessa geometria esterna prevista dai modelli ‘convenzionali’ dei buchi neri e ne riproducono perfino le proprietà termodinamiche”.

Alla prova sperimentale.

Come dicevamo all’inizio, al momento tutto questo è solo una bella ipotesi o poco più. Bisognerà prima immaginare, e poi eventualmente realizzare, degli esperimenti e delle osservazioni per comprendere se il modello delle stelle congelate potrebbe funzionare. Possibili candidate per discriminare tra i modelli “convenzionali” e quello delle stelle congelate sono le onde gravitazionali, che potrebbero portare con sé informazioni sulla struttura interna delle stelle congelate. “Dobbiamo ancora studiare quale potrebbe essere la struttura interna di questi oggetti – ha concluso lo scienziato – e in che modo differirebbe da quella di altri oggetti cosmici come le stelle di neutroni, ma in linea di principio la cosa si può fare. Un’eventuale conferma di una qualsiasi delle previsioni del modello delle stelle congelate avrebbe un impatto rivoluzionario sulla fisica”.

https://www.wired.it/article/buchi-neri-nuova-teoria-stelle-congelate-paradosso-di-hawking/

La scoperta che potrebbe rivoluzionare la nostra comprensione della gravità. - Salvo Privitera

 

La gravità, una delle forze fondamentali dell'Universo, potrebbe presto essere riscritta grazie a una particella ipotetica: il gravitone. Mentre altre forze come l'elettromagnetismo e le interazioni nucleari sono state descritte attraverso particelle subatomiche, la gravità non ha ancora una spiegazione quantistica definitiva.

Gli scienziati credono che il gravitone, una particella con massa zero e spin-2, possa essere la chiave per comprendere come la gravità si comporti a livello subatomico.

Il problema? Il gravitone è incredibilmente difficile da rilevare. Le sue interazioni con la materia sono così rare che nemmeno un rilevatore grande quanto Giove riuscirebbe a catturarne uno in tempi ragionevoli. Per dare un’idea, i neutrini, particelle che attraversano costantemente il nostro corpo senza essere fermati, interagiscono molto più frequentemente della gravità. Il gravitone, invece, è ancora più sfuggente.

Tuttavia, alcuni progressi sono stati fatti. Un team di ricercatori guidato dal Prof. Jiehui Liang ha scoperto un analogo del gravitone in un sistema ultra-freddo chiamato "effetto Hall quantistico frazionario". Questo esperimento, pur non rilevando un vero gravitone, potrebbe aprire nuove strade per esplorare le proprietà di questa particella misteriosa.

La scoperta del gravitone non rappresenterebbe solo un traguardo scientifico ma potrebbe finalmente unire la gravità alle altre forze fondamentali. Insomma, non dobbiamo fare altro che aspettare e affidarci alla scienza.

https://tech.everyeye.it/notizie/scoperta-rivoluzionare-comprensione-gravit-740812.html

Tolstoj, Dostoevskij e Cechov. - Guendalina Middei

 

Lo sapevate che… un giorno per spiegare le differenze tra Tolstoj, Dostoevskij e Cechov, dissi a miei alunni: immaginate i tre grandi scrittori russi in riva al mare.
Tolstoj vi descriverà il mare in tutta la sua larghezza, in tutta la sua profondità, in tutta la sua immensità, vi dirà da dove arriva quell'onda e dove va, scriverà di correnti e sabbia, barche e navi, vento e vele, e poi isole, scogliere, spiagge, pesci, conchiglie, gabbiani, maree, e poi colori e suoni, odori e immagini, gesti e movimenti, ombre e luci, ecc., e di ogni cosa vi spiegherà le caratteristiche, i dettagli, le particolarità, le peculiarità, le origini, le sfumature.
Dostoevskij, invece, si soffermerà su quella parte di mare in burrasca, su cicloni e tempeste, e vi spiegherà perchè le onde schiumano, si frantumano, spumeggiano, perchè il vento soffia, infuria, sbuffa, scriverà di tifoni improvvisi, di tornadi e uragani, di naufragi e mareggiate; scriverà di mulinelli assassini, dove si creano , perchè si creano, perchè portano dolore e sofferenza, tormento e delirio; perchè pure nel mare c'è il male, la passione, l'inquietudine.
Cechov, dal canto suo, avrà su quella distesa immensa uno sguardo apparentemente più lento, più svogliato, più circospetto, e magari si concentrerà maggiormente, in silenzio, su quei sassolini trascinati sulla riva, senza chiedersi da dove vengono, né dove finiranno, né perchè sono lì, né dove saranno in futuro; ne scriverà brevemente, in modo conciso, magari descrivendoli con la sua sottile, aguzza, affilata ironia.
Guendalina Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X (➡️ Tratto da «Innamorarsi di Anna Karenina il sabato sera». Potete leggerne un estratto gratuito qui:

giovedì 26 settembre 2024

Una tavoletta vecchia di 7.000 anni trovata in Grecia oltre dieci anni fa sfida l'archeologia tradizionale.

 

Una tavoletta vecchia di 7.000 anni trovata in Grecia oltre dieci anni fa sfida l'archeologia tradizionale.
Questo artefatto è stato scoperto in un insediamento neolitico che occupava un'isola artificiale vicino al moderno villaggio di Dispilio sul lago Kastoria nella prefettura di Kastoria, Macedonia, da George Hourmouziadis, professore di archeologia preistorica presso l'Università Aristotele di Salonicco, e dalla sua squadra nel 1993.
Le persone che vivevano nell'insediamento da 7.000 a 8.000 anni fa abitavano la zona, e la Tavoletta Dispilio era uno dei tanti artefatti trovati lì. La tavoletta è significativa perché reca un'antica iscrizione criptica che risale a prima del 5.000 a.C.
L'esistenza della Tavoletta Dispilio (nota anche come Scrittura Dispilio) contrasta con la convinzione dell'archeologia convenzionale che la scrittura non fosse stata sviluppata fino al 3.000-4.000 a.C. in Sumeria.
Il metodo carbonio-14 (datazione al radiocarbonio) ha datato questa tavoletta di legno al 5.260 a.C., rendendola significativamente più antica del sistema di scrittura usato dai Sumeri.
Il testo sulla tavoletta include un tipo di scrittura incisa che può consistere in un preesistente sistema di scrittura Lineare B usato dai greci micenei.
La Grecia micenea (o civiltà micenea) è stata l'ultima fase dell'età del bronzo nell'antica Grecia.
Il professor Hourmouziadis ha suggerito che questo tipo di scrittura, che non è ancora stata decodificata, potrebbe essere stato qualsiasi tipo di comunicazione, compresi i simboli che rappresentano il conteggio dei beni.
Secondo il professor Hourmouziadis, i marchi suggeriscono che l'attuale teoria secondo cui gli antichi greci ricevessero il loro alfabeto dalle antiche civiltà del Medio Oriente (babilonesi, sumeri, fenici ecc) non riesce a colmare il vuoto storico di circa 4.000 anni.
Questo vuoto cieco si traduce nei seguenti fatti: mentre le antiche civiltà orientali usavano gli ideogrammi per esprimersi, gli antichi greci usavano le sillabe in maniera simile a quella che usiamo oggi.