venerdì 19 ottobre 2012

Telecom, i manager degli scandali sono costati 110 milioni. Ne offrono solo 2,5. -. Giorgio Faunieri


Telecom, i manager degli scandali sono costati 110 milioni. Ne offrono solo 2,5


Nuove armi per i piccoli azionisti e i dipendenti dell'ex monopolista delle telecomunicazioni in rivolta contro la gestione Bernabé, che era pronta ad accettare la proposta transattiva dei responsabili delle vicende legate al dossieraggio e alle sim false, giudicandola non "meramente simbolica". I conteggi sono stati pubblicati su richiesta della Consob a sole 17 ore dal via dell'assemblea che deve decidere sull'azione di responsabilità. Chiamata in causa anche la Procura.

Ottenuto il conto complessivo dei danni causati a Telecom Italia dagli scandali della gestione Tronchetti Provera, i piccoli azionisti della società in rivolta contro il colpo di spugna in arrivo sulle responsabilità degli ex manager, alzano il tiro e chiamano in causa anche la Procura di Milano. E, anche alla luce della recente iscrizione del numero uno della Pirelli nel registro degli indagati per ricettazione sempre nell’ambito dell’attività di dossieraggio operato dall’allora Security di Telecom, chiedono al presidente Franco Bernabè anche un passo indietro sulla mancata azione di responsabilità nei confronti di Marco Tronchetti Provera.
I tentativi del gruppo di telecomunicazioni  di mettere la sordina all’assemblea straordinaria in calendario per oggi pomeriggio stanno così fallendo. A fare da sponda a piccoli azionisti e dipendenti della società che stanno pagando sulla loro pelle il conto dei danni del passato, nei giorni scorsi è addirittura scesa in campo la Consob per obbligare l’attuale management dell’ex monopolista telefonico a fare maggiore chiarezza sui suoi ex amministratori, Carlo Buora e Riccardo Ruggiero e consentire così agli azionisti di decidere con maggior cognizione di causa, conti alla mano, se procedere o meno nei loro confronti con un’azione di responsabilità per gli scandali della gestione Tronchetti Provera.
A sole 17 ore dall’inizio dell’assemblea l’attuale numero uno, Franco Bernabè, ha fatto caricare sul sito di Telecom due documenti: uno con i compensi dei due ex manager e le spese sostenute dalla società per far fronte alle accuse di spionaggio e di aver venduto sim false; l’altro con un chiarimento sulla posizione della società rispetto alle ultime accuse della Procura di Milano verso l’ex presidente Tronchetti Provera e nei confronti di altri due dirigenti coinvolti negli scandali, Massimo Castelli e Luca Luciani.
Quest’ultimo, che ha replicato la truffa delle sim false anche in Brasile, è colui secondo il quale Napoleone a Waterloo avrebbe riportato una brillante vittoria. Castelli e Luciani, le cui posizioni non sono all’ordine del giorno dell’assemblea odierna, rischiano ora seriamente di finire nell’occhio del ciclone, come chiesto ormai da mesi da Asati, l’associazione dei piccoli azionisti Telecom.
Nel dettaglio i documenti pubblicati ieri sera rivelano che “i costi per consulenze e prestazioni professionali associati a operazioni illecite indicate nella richiesta di rinvio a giudizio in data 21 novembre 2008, sono pari a circa 7 milioni”. A questi vanno aggiunti “ulteriori costi per consulenze e prestazioni professionali non supportati da adeguata documentazione a supporto delle prestazioni rese, per complessivi 26 milioni circa”; altri “costi di prestazioni professionali per  12 milioni circa oggetto di contestazione alla Società in sede di accertamento fiscale (e correlati interessi e sanzioni per euro 5 milioni circa); “costi per assistenza legale e altre consulenze sostenuti in relazione ai procedimenti penali e civili conseguenti le vicende in esame, per complessivi  9 milioni circa”; “costi sostenuti per definizione varie posizioni (dipendenti, Pubbliche Amministrazioni, patteggiamento), per complessivi  3 milioni circa”; “costi sostenuti per transazioni con ex dipendenti della Funzione Security per euro 1,705 milioni”; “costi per consulenze in ambito IT effettuate da KPMG per euro 2,6 milioni circa”.
A queste somme, il cui totale fa 66,3 milioni di euro, si aggiungono i bonus elargiti a Buora e Ruggiero. Secondo il documento reso noto ieri, il primo nel periodo nel periodo 2003-2007 ha incassato 16,7 milioni di euro, il secondo nel periodo 2002-2007 ha ricevuto più di 30,7 milioni di euro. A fronte di costi complessivi per oltre 110 milioni di euro sostenuti da Telecom, i due ex manager hanno presentato un’offerta transattiva per complessivi 2,5 milioni di euro. Tuttavia secondo Telecom “l’importo della transazione non è meramente simbolico”.
Anche su questa affermazione la Consob ha chiesto chiarimenti. Non stupirebbe nessuno se queste novità emerse nella notte facessero prendere una piega imprevista all’assemblea degli azionisti. I fondi stranieri (oltre il 10% del capitale) sono molto insoddisfatti dell’andamento del titolo Telecom, così come il socio di minoranza Findim di Marco Fossati (5%). Agli ex amministratori, così come agli attuali, non resta che fare affidamento sulla copertura del socio di maggioranza Telco, che riunisce Intesa, Mediobanca, Generali e Telefonica e che controlla il 22 per cento del gruppo di telecomunicazioni. Dove la posizione di Telco è sul filo del conflitto di interesse, vista posizione di Tronchetti Provera che di Mediobanca è azionista rilevante e vicepresidente. 
E così, rilevato che “fino ad oggi le informazioni pubblicate dalla società e relative alla reale portata di queste vicende siano state estremamente carenti”, documenti alla mano, l’Asati questa mattina si è presentata in Procura a Milano, dove ha depositato la sua proposta di rinviare l’assemblea di oggi, ovvero di “sospendere la votazione sulla transazione per Buora e procedere direttamente alla votazione sull’azione di responsabilità” o, come terza alternativa, di “riconvocare un’altra assemblea, su cui votare tra l’altro sicuramente l’azione di responsabilità contro Tronchetti Provera fatto ormai inevitabile, alla luce del fatto che nell’instaurando procedimento Telecom Italia si dovrà per forza di cose costituire come parte lesa”.
I dipendenti Telecom Italia, che hanno richiesto ad Asati di farsi portavoce della richiesta di seguire l’assemblea in streaming, nota infine l’associazione, “segnalano che non hanno ancora ricevuto alcuna informazione a riguardo. Come influirà questo fatto sul clima aziendale, considerato che numerosi dipendenti furono all’epoca spiati e dossierati?”.

Polverini fa shopping su auto blu. “Era scorta, ma chiedo sospensione”.


Polverini fa shopping su auto blu. “Era scorta, ma chiedo sospensione”


L'ex governatore del Lazio percorreva via del Corso contromano per andare in un negozio di scarpe al Testaccio. Spiega: si trattava di un mezzo "con a bordo due agenti di polizia incaricati di garantire la mia sicurezza". Poi in una lettera al Prefetto chiede lo stop del servizio.

L’ex presidente della Regione Lazio che sfrecciava a bordo di un’auto blu contromano in via del Corso, nel cuore della Capitale. Dove stava andando? A Boccanera, un prestigioso negozio di scarpe con prezzi fino a tre zeri, che stava per chiudere. A riconoscere Renata Polverini ieri sera è stata una motociclista romana. L’ex governatrice in serata ha però puntualizzato: ”La mia non è un auto blu bensì un mezzo adibito al servizio tutela con a bordo due agenti di polizia incaricati di garantire la mia sicurezza”. Poi in una lettera ha chiesto al Prefetto la sospensione del servizio di scorta assegnatole.
L’auto era diretta verso Piazza Venezia e percorreva la corsia sbagliata, quella di sinistra. La scooterista ha deciso di seguire l’auto per scoprire chi fosse a bordo. I vigili a Piazza Venezia avrebbero fermato il traffico per far passare il veicolo, che poi ha puntato verso via del Teatro di Marcello. Anche in questo caso l’auto avrebbe saltato la coda passando sulla corsia di sinistra. All’altezza della Bocca della Verità i vigili avrebbero fatto passare l’automobile. Secondo le parole della motociclista, riportate dal web, il tragitto sarebbe terminato alle 19.20 davanti al negozio di calzature nel quartiere Testaccio.
Nessun commento dalla Regione, così come dal negozio di scarpe, dove una commessa taglia corto: “Non diamo informazioni sui nostri clienti”. Tanti i messaggi su twitter che riguardano l’ex governatrice. Per Aurelio Mancuso “l’auto di servizio Polverini sfreccia contromano, per le vie del centro per acquistare un paio di scarpe. Saldi di fine stagione politica”. Altri scrivono “vergogna”, “Si scrive Polverini. Si legge Fastidio” e c’è chi osserva: “Auto blu della Polverini contromano per correre a comprare le scarpe. E’ rimasta senza poverina, gliele hanno appena fatte”. Sul web, infine, circola l’immagine di una scritta spuntata sui muri romani: “Frangetta nera, abbi pietà: se semo rotti facce votà”.

Fine della pensione d'oro per Crosta, restituirà alla Regione 1,5 mln di euro.


commissario rifiuti 2
Felice Crosta, l’ex super dirigente dell’Agenzia regionale per i Rifiuti, dovrà abbandonare il proprio status di pensionato più ricco di Italia. Crosta, che, conti alla mano, per due anni ha ricevuto un assegno di pensione di circa mezzo milione di euro l’anno, ovvero 1.369 euro al giorno, dovrà adesso “accontentarsi” di 3.500 euro al mese.
Il burocrate dovrà restituire alle casse della Regione il milione e mezzo di euro che ha indebitamente percepito. Lo farà a rate, versando 17mila euro al mese. Si conclude dunque una battaglia legale in piena regola che ha animato i dibattiti televisivi e le pagine dei giornali. Ci aveva provato in tutti i modi, Crosta, a tenersi la sua maxi-pensione, sebbene a capo dell’Agenzia per i Rifiuti, incarico conferitogli nel 2006 da Totò Cuffaro, fosse rimasto solo qualche mese.
Ma lo stipendio da 21 mila euro netti al mese, gli era valso come base pensionabile in virtù di una leggina varata all’Ars nel 2005. Finita l’era Cuffaro, Crosta aveva dovuto fronteggiare l’ostilità dell’amministrazione Lombardo ma, senza darsi per vinto, si era rivolto alla Corte dei conti, che in primo grado aveva riconosciuto la sua richiesta, salvo poi ribaltare il verdetto nel dicembre 2011, dimezzandogli l’indennità.
Crosta non si era arreso, appellandosi alla Cassazione presso la quale aveva contestato la composizione del collegio che aveva tagliato i suoi lauti incassi. Ai primi di luglio la Cassazzione ha deciso, stabilendo l’entità esatta delle somme che Crosta dovrà restituire.
L’ex dirigente ha firmato un accordo con l’amministrazione regionale con il quale si impegna a restituire quanto percepito in eccesso. Cala il sipario su una vicenda che ha fatto – e non poco – infuriare chi, per avendo lavorato oltre quarant’anni, ha spesso il frigo vuoto e deve rassegnarsi a vivere con una pensione talmente esigua da giustificare la preoccupazione per il futuro.

giovedì 18 ottobre 2012

Il sonno della Regione. - di Marco Travaglio - Il F.Q. 18/10/2012



Gli italiani, si sa, sono nati per soffrire.
Uno su tre chiede aiuto alla Caritas, uno
su cinque non arriva a fine mese, tre giovani

su tre sono disoccupati, 4 milioni sono precari.
E ora devono pure attendere fino a chissà
quando per sapere se il Pd chiederà o no a
Massimo D’Alema, la Volpe del Tavoliere, di
sacrificarsi ancora una volta per noi e abbassarsi
a tornare in Parlamento. Ma si può
vivere così, senza un minimo di certezza? Per
fortuna, in tanta precarietà, qualche punto
fermo rimane. Beppe Pisanu, deputato dal
lontano 1972, annuncia che si ricandida (non
dice con chi, ma qualcuno che lo mette in lista
si trova) perché “una famiglia sarda detiene il
record della longevità in Italia e io, politico
sardo, voglio battere quello della longevità
politica”. A spese nostre, s’intende. La lieta
novella è stata comunicata alla presentazione
del libro di Ciriaco De Mita (che, fra Italia ed
Europa, è parlamentare dal 1963), dal titolo
decisamente minaccioso: La storia non è finita.
E le minacce dilagano, se è vero che Formigoni,
che salta da una poltrona all’altra dal
1984, si ripresenterà alle regionali lombarde
magari con una lista Forza Forchettoni, con
l’aggiunta di una lista Sgarbi, altro nome di
cui si sentiva la mancanza. Un genio. Del resto,
nel 1993, intervistato dal sottoscritto per il
Giornale di Montanelli al Meeting di Rimini, il
capo romano di Cl, monsignor Giacomo Tantardini,
ebbe a definire il Celeste “l’uomo politico
più stupido del mondo” (aveva appena
presentato una nuova corrente Dc in società
con Vittorio Sbardella, in arte Squalo, noto
per i sigari alla Al Capone ma soprattutto per
la collezione di avvisi di garanzia). Infatti, nella
Prima Repubblica, Robertino era solo uno
dei 14 vicepresidenti del Parlamento europeo,
mentre nella Seconda è stato governatore di
Lombardia per 17 anni. Il sonno della Regione
genera mostri. È questa la principale
differenza fra Prima e Seconda Repubblica:
non tanto il livello di corruzione, visto che si
ruba anche più di prima, quanto il livello di
demenza, un’epidemia.
L’on. Antonio Mazzocchi del Pdl, questore
della Camera firmatario dei bilanci della medesima,
patrocina uno stanziamento di
5.656.000 euro per costruire un nuovo parcheggio
per i deputati davanti a Montecitorio
in quanto – dichiara al Messaggero – trovare
un posto auto in piazza del Parlamento “è
davvero un problema”, si rischiano persino le
multe anche se “i vigili della zona sono molto
cortesi e prima di fare la multa ti chiamano e
ti dicono di spostare la macchina” e di prendere
l’autobus o la metro non se ne parla
perché “non prendiamoci in giro: i mezzi
pubblici non funzionano” e lorsignori ne sanno
qualcosa, visto che allo sfascio del Comune
si dedicano con passione da decenni. Ogni
volta che aprono bocca, si nota distintamente
sullo sfondo una transumanza di 50-100 mila
elettori in fuga verso Grillo, o verso l’a s t e nsionismo.
In piena Tangentopoli i politici di
allora, a parte lui e pochi altri del suo livello,
s’arrabattavano come meglio potevano per
recuperare un minimo di credibilità. Abolirono
l’autorizzazione a procedere per indagare
i parlamentari. E alzarono dal 50% più
uno ai due terzi la maggioranza necessaria per
amnistie e indulti, per impedirsi di cancellare
Tangentopoli col solito colpo di spugna. E
assecondarono i referendum per abolire il finanziamento
pubblico dei partiti e cambiare
la legge elettorale. Oggi, in piena Ladropoli,
non riescono nemmeno a cambiare il Porcellum
e bisogna costringerli con la fiducia
per votare una legge anticorruzione notoriamente
finta, inutile, addirittura favorevole ai
concussori. È proprio una questione di principio,
anzi di etichetta: se passa il concetto che
si deve combattere la corruzione, si crea un
pericoloso precedente.




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Nuova sferzata di Beppe Grillo: "In Sicilia treni da Terzo mondo".


sicilia-grillo-messina_10102012
Beppe Grillo continua il suo tour siciliano per sostenere il candidato del Movimento Cinque Stelle, Giancarlo Cancelleri. Oggi, come previsto, il ‘Comizio Train-Ante’ da un convoglio ferroviario partito da Scordia, in provincia di Catania.
“Rivedere in toto il sistema dei trasporti in Sicilia. È assurdo che la Regione abbia finanziato il trasporto su gomma dimenticando letteralmente il sistema ferroviario che al momento è da terzo mondo. Ventidue ore per andare da Ragusa a Palermo è oggi improponibile”, ha detto il leader di M5S
Scordia è la città che aveva fatto delle arance il traino della sua economia, ed oggi così non è più per via di scelte sconsiderate dei governi nazionali e locali – ha sottolineato invece Giancarlo Cancelleri- le arance adesso vanno al macero e l’economia muore. Scordia- conclude  - è il simbolo di una Sicilia stroncata dal capitalismo dilagante e dalla mancata assunzione di responsabilità della politica che sino ad oggi ha governato l’Isola”.
Tornando ai trasporti, questi, sono stati spunto per un altro intervento del candidato per il Movimento 5 Stelle Cancelleri: “Puntiamo sul progressivo miglioramento delle tratte ferroviarie con recupero delle linee ferrate attraverso un preciso piano regionale dei trasporti che prevede lo spostamento del trasporto dalla gomma alla rotaia, piano che prevede inoltre severe procedure di verifica da parte della Regione in tema di erogazione di contributi ed ancora l’implementazione di piste ciclabili e di mezzi ad energia pulita sfruttando il car o il bike sharing come avviene già in molti paesi europei”.
Il Comizio Train-ante si è concluso alla stazione di Vizzini alle ore 15.00, sempre sulla tratta Catania, Caltagirone.

Reggio Emilia, Gruppo Marcegaglia in crisi. 260 operai rischiano il posto. - Annalisa Dall'Oca


Reggio Emilia, Gruppo Marcegaglia in crisi. 260 operai rischiano il posto


Problemi di liquidità, bilanci in perdita, riduzione dei turni di lavoro: l’azienda siderurgica valuta la dismissione delle emiliano romagnole Oto Mills e Oto Lift Trucks, della mantovana Oto Steel e della vicentina Oto Automation. La Fiom: "C'è preoccupazione, non ci raccontano tutta la verità e ci offrono solo la fregatura del salario d'ingresso".

Prima la disputa sul salario d’ingresso e poi la possibile cessione di quattro stabilimenti, due dei quali in provincia di Reggio Emilia. C’è di nuovo aria di tempesta, oltre che di crisi, all’interno del Gruppo Marcegaglia, tra la dirigenza del colosso siderurgico e le tute blu della Fiom, che hanno appreso, “leggendo un settimanale economico, l’intenzione, da parte dell’azienda, di avviare la cessione del ramo aziendale Engineering”.
Una vendita che l’azienda sta valutando, avviando un mandato esplorativo per sondare il mercato, e che potrebbe riguardare le emiliano romagnole Oto Millse Oto Lift Trucks, la mantovana Oto Steel e la vicentina Oto Automation. Più di 260 lavoratori coinvolti, tra interni e esterni, “che devono essere tutelati, ma di cui non conosciamo la sorte – spiega Mirco Rota, segretario generale Fiom Cgil Lombardia e responsabile sindacale dei rapporti con il gruppo Marcegaglia .– L’azienda non ci ha ancora fatto sapere nulla, né tanto meno ci ha informati a giugno, durante l’ultimo incontro sulla situazione produttiva degli stabilimenti, anzi avevano annunciato 50 nuove assunzioni. A questo punto, ovviamente, siamo preoccupati per le centinaia di persone coinvolte da questo progetto”.
Preoccupazione che, tuttavia, non ha ricevuto alcun riscontro. “Alle nostre continue richieste – ricorda Rota – inoltrate non appena siamo venuti a parte di questa intenzione, la dirigenza ha risposto convocando una riunione di appena cinque minuti con i lavoratori, durante la quale non ha assolutamente smentito la notizia, limitandosi a offrire qualche rassicurazione”.
Poche parole che non hanno saputo tranquillizzare nè gli operai, nè tantomeno la Fiom, che già da un anno a questa parte segnala a gran voce la crisi che il gigante dell’acciaio sta vivendo e che, inevitabilmente, “ricade sulle spalle dei lavoratori”. Problemi di liquidità, bilanci in perdita, riduzione dei turni di lavoro per gli operai di diversi stabilimenti, da Mantova a Ravenna. “Quello che abbiamo rilevato è un sensibile indebolimento industriale – racconta Rota – ma l’unica soluzione che l’azienda ci ha fornito è l’introduzione del salario d’ingresso. Un vero e proprio ricatto che, tra l’altro, invece di portare alle assunzioni promesse, all’ampliamento di alcuni stabilimenti, ha ridotto esclusivamente i diritti dei lavoratori”.
Nello stabilimento di Contino, a Mantova, per esempio, il salario d’ingresso per i nuovi dipendenti “che l’azienda ci ha imposto – chiarisce Rota – doveva, in cambio, garantire 20 assunzioni e l’allargamento dello stabilimento”. Ma le assunzioni sono state solo sei, e nell’incontro che si è svolto oggi, l’azienda ha chiesto di porre le basi per un accordo “che metta a casa in ferie i lavoratori, perchè i magazzini sono pieni e non si può continuare a produrre a ritmo normale”. Ma non solo. “Addirittura, ai lavoratori hanno detto che se non hanno più ferie, devono rimanere a casa comunque, recupereranno quando ci sarà lavoro”. Insomma, una cassa integrazione senza il ricorso agli ammortizzatori sociali finanziati dallo Stato. “Con i soldi dei lavoratori” tuona Rota.
Per questo, sulla cessione che negli uffici del Gruppo Marcegaglia è già nell’aria, le tute blu vogliono mettere le mani avanti. “Il 29 ottobre abbiamo un incontro con l’azienda per capire quali saranno le prospettive di tutto il gruppo – spiega la Fiom – ma a fronte di questa notizia è necessario, prima ancora dell’incontro di fine mese, che Marcegaglia dia un’informazione precisa alle organizzazioni sindacali rispetto al settore Engineering, perché gli elementi di preoccupazione sono parecchi ed è necessario che sia fatta chiarezza”.
L’amara pillola della riduzione di stipendio per i nuovi assunti nel gruppo, il salario d’ingresso appunto, del resto, non è ancora stata digerita dai sindacati. Tutt’altro. “La notizia della possibile cessione conferma di fatto che l’idea di introdurre il salario di ingresso da parte dell’azienda non risolve i problemi industriali e di mercato”.
A gettare acqua sul fuoco, però, ci pensa Enrico Giuliani, direttore generale del Gruppo Oto, che sulla questione chiarisce: “la vendita non è affatto assicurata”. Anche se l’intenzione c’è. Del resto è per questo che si avvia un mandato esplorativo. Un procedimento che serve a sondare il mercato, per capire quali realtà potrebbero essere interessate all’acquisto e a quale prezzo. Solitamente, il mandato esplorativo viene attuato dalle imprese in crisi che cercano di vendere, ma su questo punto Giuliani è chiarissimo: “non siamo in difficoltà – specifica – l’azienda è solida e non abbiamo necessariamente bisogno di vendere gli stabilimenti”. Se la cessione industriale ci sarà, “avverrà per portare un valore aggiunto alla nostra produzione”. E non risparmia una stoccata alle tute blu. “Non abbiamo informato i sindacati perchè non abbiamo ancora firmato nessun contratto, dunque, siccome non è insolito che altre realtà internazionali si interessino a noi, è capitato spesso in questi anni, non c’erano novità da comunicare”.
“Io credo – conclude Giuliani, a rassicurare i 260 operai interessati dalla possibile cessione – che se siamo stati additati a livello internazionale, se tanti partner e competitor sono interessati a noi, è per perseguire il made in Italy, garanzia di qualità nell’engineering e nella produzione, e non per smantellarlo”. 
E a rimetterci sono sempre i lavoratori, quelli che mettono le loro forza lavoro per portare avanti un'azienda.
I Marcegaglia di certo non ci rimettono nulla, anzi ci guadagnano, con i loro 17 conti segreti all'estero.

mercoledì 17 ottobre 2012

Regali in cambio di prescrizioni di ormoni ai bambini, 67 medici indagati.


Regali in cambio di prescrizioni di ormoni ai bambini, 67 medici indagati


I camici bianchi sono accusati di aver ricevuto da 12 informatori scientifici della Sandoz somme di denaro, viaggi all’estero e oggetti di valore per equivalenti 500mila euro. Il prossimo passo è verificare se le prescrizioni hanno recato danno alla salute dei piccoli pazienti.

Regali in cambio di prescrizione di farmaci, nello specifico ormoni per la crescita destinati ai bimbi. Questo l’intreccio tra una azienda farmaceutica, la Sandoz, e 67 medici specialisti – soprattutto endocrinologi e nefrologi di strutture pubbliche e private – sparsi in tutta Italia, che sono finiti nella rete nei Nas. Circa 300 carabinieri del Nucleo operativo a tutela della salute e dei Comandi provinciali di 15 regioni stanno eseguendo in queste ore 77 perquisizioni a carico dei 67 medici indagati. 
I camici bianchi sono accusati di aver ricevuto, attraverso una organizzazione di informatori scientifici (12 persone) di una azienda farmaceutica somme di denaro, viaggi all’estero e oggetti di valore. L’indagine, condotta dal Nas di Bologna, è partita circa 2 anni fa ed è coordinata dalle Procure di Rimini e Busto Arsizio (Varese). Gli specialisti avrebbero intascato l’equivalente di circa 500mila euro per migliaia di prescrizione contestate. I reati ipotizzati sono quelli di truffa al Servizio sanitario nazionale, comparaggioassociazione a delinquere finalizzata alla corruzione e falso.
L’indagine ha portato alla scoperta dell’esistenza di una “collaudata organizzazione” che per incrementare le vendite di alcune tipologie di farmaci destinati ai bambini per curare i disturbi della crescita, dava o comunque prometteva somme di denaro, viaggi di piacere all’estero, oggetti di valore ed altro, a medici di strutture ospedaliere pubbliche e private, giustificandole con falsa documentazione, che indicava come il denaro fosse frutto di attività di consulenza, un contributo a congressi e seminari, o a viaggi per partecipare a meeting e seminari. 
“Non è la prima e, temo, non sarà l’ultima indagine di questo tipo – ha ammesso nel corso di una conferenza stampa il colonnello Antonio Diomeda, vicecomandante dei Nas – ma lo scenario che ne emerge stavolta è particolarmente allarmante. E’ un rapporto delittuoso e perverso quello che si era stabilito tra gli informatori scientifici e i medici, teso a favorire il consumo di alcuni farmaci biosimilari in cambio di somme di denaro (poi fatte passare per compensi di consulenze e studi, elargizioni ad associazioni onlus, rimborsi spese di congressi e convention, ndr), di viaggi in Italia e all’estero per i medici e i loro familiari e di oggetti quali gioielli e personal computer“.
Gli informatori scientifici sollecitavano i medici indagati ad aumentare le prescrizioni con l’inserimento in terapia di nuovi piccoli pazienti a cui venivano somministrati due tipi di farmaci innovativi a base di ormoni. I professionisti coinvolti sono specialisti in nefrologia, endocrinologia e pediatria e in alcune circostanze non esitavano a chiedere somme superiori con i dirigenti dell’industria che si premuravano di incontrarli personalmente. Il prossimo passo per i Nas, ha spiegato il tenente colonnello Giovanni Capasso, “è quello di verificare se queste prescrizioni hanno in qualche modo recato danno alla salute dei bambini”.