mercoledì 8 ottobre 2014

Coscienza dopo la morte: il primo studio che indaga su cosa accade “nell’aldilà”. - Nadia Vitali

Coscienza dopo la morte: il primo studio che indaga su cosa accade
in foto: L'isola dei morti di Arnold Bocklin

Grazie ai racconti di persone sopravvissute all'arresto cardiaco, alcuni ricercatori hanno scelto di addentrarsi nel territorio più oscuro e complesso.


Esperienze extracorporee (out of body experiences, OBEs) o ai confini della morte (near-death experiences, NDEs): la storia dell’umanità ha registrato molti racconti relativi a questo impalpabile mondo, del quale nulla conosciamo e molto vorremmo sapere. Luci in fondo al tunnel, anime che si innalzano al di sopra del proprio corpo, fino ai più tradizionali cieli con le nuvole: fenomeni spesso considerati frutto di allucinazioni o di illusioni e che, in virtù di ciò, raramente sono stati oggetto di studio. Certo, in anni recenti c’è stato anche il caso di un neurochirurgo americano che, dalla sua esperienza pre-morte, avrebbe evinto che l’aldilà esiste e si presenta anche molto simile a come lo immaginiamo, per tanti aspetti. Ma questo non sembrava sufficiente a spostare l’attenzione della scienza sul tema: ragionevolmente, d’altronde, dato che è logico pensare come la suggestione giochi un ruolo fondamentale in questi casi.

Uno studio difficile

Tuttavia, la britannica University of Southampton ha deciso di fare un tentativo in questa direzione, dando il via nel 2008 ad uno studio su ampia scala che ha coinvolto 2060 pazienti di 15 ospedali distribuiti tra USA, Regno Unito ed Austria: 140 di questi sono sopravvissuti all'arresto cardiaco. Obiettivo dei ricercatori era l’esame di tutto l’ampia gamma di esperienze mentali in relazione alla morte, cercando di discernere, dai racconti degli interessati, cosa appariva chiaramente come una mera allucinazione e cosa poteva sembrare più simile ad un’esperienza pre-morte. Lo studio, pubblicato dal giornale Resuscitation , avrebbe evidenziato, in primo luogo, come tali fenomeni appaiano ancora molto lontani dalla comprensione, da come li immaginiamo e anche da come sono stati descritti in molte NDEs.

Ricordi confusi di coscienza post-mortem

I ricercatori avrebbero inoltre concluso che, in alcuni casi di arresto cardiaco, i ricordi visivi di chi aveva esperito l’OBE coincidevano con eventi reali. In buona sostanza, l’indagine avrebbe portato alla luce le esperienze di un numero relativamente alto di persone: tra queste, tuttavia, molte non erano in grado di richiamarle alla memoria con accuratezza, forse a causa dell’effetto di sedativi e farmaci o di qualche trauma sui circuiti neuronali. L’auspicio, quindi, sarebbe quello di uno studio più preciso e dettagliato: il quale, tuttavia, dovrebbe essere portato avanti in maniera del tutto scevra da pregiudizi. E non è affatto facile. Del resto, altrettanto complesso risulta distinguere tra suggestione e realtà, nel parlare di un tema tanto delicato quanto scientificamente non ancora esplorabile.
Il 39% dei pazienti sopravvissuti ad un arresto cardiaco, i quali erano in grado di rispondere ad un’intervista strutturata, ha descritto di aver vissuto una sorta di percezione di coscienza post-mortem: tuttavia più difficile era per loro avere una memoria di questi eventi. Secondo il Dottor Sam Parnia, della State University of New York e ricercatore onorario presso l’università di Southampton quando lo studio è iniziato, questo sembrerebbe suggerire che in diverse persone l’attività mentale inizialmente sarebbe ancora presente; ma ricordarne qualcosa dopo la guarigione appariva impossibile, probabilmente per cause legate proprio al trattamento medico subito. In ogni caso, tra coloro i quali serbavano memorie labili della propria morte prima della rianimazione andata a buon fine, un 46% ha comunque riferito di esperienze molto diverse da quelle normalmente indicate come NDE, con una serie di ricordi classificati dagli scienziati in precise categorie cognitive: paura, animali o piante, luce intensa, violenza o persecuzione, deja vu, famiglia. Soltanto il 9% ricordava esperienze compatibili con quelle ai confini della morte comunemente intese, mentre il 2% riferiva di aver vissuto vere e proprie esperienze extra corporee con ricordi espliciti e chiari di cose viste e sentite.

Oltre i confini della conoscenza?

In buona sostanza, le esperienze osservate e raccolte nei racconti dai ricercatori avrebbero fatto emergere un mondo estremamente variegato di sensazioni ed immagini, spesso impalpabili, non riassumibile in quel 2% di esperienze. Queste conclusioni andrebbero a supportare studi precedentemente condotti che avrebbero già indicato come la coscienza possa essere presente nonostante sia clinicamente non rintracciabile. Ma si tratta soltanto di una scintilla in un mondo oscuro: ben altro sarà necessario per squarciare quel buio profondo, ammesso che un giorno l'essere umano sarà in grado di farlo.
http://scienze.fanpage.it/coscienza-dopo-la-morte-il-primo-studio-che-indaga-su-cosa-accade-nell-aldila/#ixzz3FXn092jE 

Questo è un campo nel quale non mi avventurerei. 
I casi a cui fanno riferimento sono completamente diversi da quelli della morte effettiva: nei casi citati il cervello funzionava ancora, nel caso della morte effettiva il cervello non ha più alcun alimento, non ha più impulsi elettrici, è totalmente inerte. 
Potrebbe essere presa in considerazione solo la teoria di una continuità della produzione di impulsi elettrici residui, ma la durata sarebbe minima, quindi impercettibile e di poca valenza.

Appalti fasulli da 200 milioni Così Clini si intascava il 10%. - Fiorenza Sarzanini

I finanzieri: l’ex ministro riceveva tangenti da uffici «fantasma» a Pechino.

ROMA Appalti da 200 milioni di euro per opere da realizzare in Cina che in realtà sono state sbagliate o mai costruite. Soldi che il ministero dell’Ambiente ha erogato tra il 2001 e il 2009 per volontà dell’allora direttore generale Corrado Clini, poi diventato ministro, attraverso due uffici «fantasma» aperti a Pechino. A svelare la destinazione del denaro distribuito a imprese scelte a trattativa privata, sono gli atti dell’inchiesta che nel maggio scorso aveva fatto finire agli arresti domiciliari lo stesso Clini e il suo socio occulto Augusto Calore Pretner, accusati di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Tra gli indagati ci sono la moglie del politico, Martina Hauser, e alcuni imprenditori. Nelle informative trasmesse dalla Guardia di Finanza ai magistrati della Procura di Roma è delineato anche il ruolo che avrebbe avuto l’ex ambasciatore Umberto Vattani, presidente dell’Ice, l’Istituto per il commercio con l’estero fino al 2011. E sono elencate le consulenze che lo steso Clini avrebbe fatto ottenere a suo figlio Carlo dalla Idra, azienda che in cambio avrebbe ottenuto incarichi ben remunerati. 

Tangenti del 10 per cento.
Quello degli affari conclusi da Clini fuori dall’Italia è uno dei capitoli chiave dell’indagine. Perché dimostra come i finanziamenti che potevano essere utilizzati in maniera strategica sul territorio italiano siano stati in realtà dirottati altrove per interessi personali. Quale fosse il meccanismo illecito lo spiega bene la relazione dei finanzieri del Reparto Spesa Pubblica, guidato dal generale Bruno Bartoloni, che indica anche la percentuale del 10 per cento come tangente su ogni lavoro da versare su conti aperti presso banche straniere. 
Scrivono gli investigatori: «La scelta dei soggetti italiani a cui affidare appalti e commesse sarebbe stata gestita direttamente dal ministero dell’Ambiente italiano oppure “suggerita” alla parte cinese almeno per la successiva fase di individuazione dei soggetti a cui affidare i sub-appalti. In assenza dei meccanismi di gara sembrerebbe inoltre che le indicazioni per le scelte, fino a un certo importo e per talune tipologie, sarebbero in realtà state affidate a Ice Pechino e condizionate dalla disponibilità del soggetto ad accettare di versare un contributo del 10 per cento del valore dell’appalto su un conto presumibilmente intestato a una non meglio identificata società di consulenza con sede a Hong Kong». 

Le finte opere.
Sono sette le società che hanno ottenuto lavori e due le «strutture operative per la realizzazione del programma» di utilizzo dei fondi. L’informativa della Finanza evidenzia come «i due funzionari impiegati nella prima unità, collocata all’interno degli uffici Ice di Pechino, non sono stati in grado di conoscere ufficialmente quale sia l’attività effettivamente svolta dall’ufficio, anche se da informazioni assunte da persona che in passato ha lavorato presso lo stesso, pare che il predetto responsabile operi in realtà come mero contabile». E ancora: «Per quanto riguarda la seconda struttura, denominata Program Management Office, non è stato possibile conoscere il numero esatto degli addetti ma sono stati individuati alcuni dipendenti per i quali non si conoscono esattamente le funzioni svolte e chi sostenga i costi per il loro impiego». 
Ancor più grave il capitolo relativo alle opere. Perché il restauro della «Meng Joss House», costato oltre 4 milioni di euro «non sembra essere stato eseguito “a regola d’arte” e con tecniche efficaci atteso che l’intero stabile, attualmente in stato di abbandono, risulta interessato da copiose infiltrazioni d’acqua che ne hanno compromesso l’agibilità». 
Disastroso si è rivelato anche il progetto di costruzione di un edificio all’interno dell’università di Pechino. Sono stati spesi 20 milioni di euro ma i responsabili dell’Ateneo hanno protestato con l’ambasciatore italiano perché «lo stabile, lungi dall’essere un esempio di elevata tecnologia come invece era stato sostenuto, viene considerato uno dei più energivori di tutto il campus». 


Probabilmente, se non fosse stato così "scorretto" non sarebbe diventato ministro della repubblica italiana.
Non mi meraviglierebbe affatto sapere che nella vicenda c'è lo zampino della mafia.
Il modus operandi è quello, inconfondibile: tangenti in cambio di appalti, lavori fatti male per lucrare al massimo, conti esteri aperti per fare transitare ingenti somme di denaro con la scusa della realizzazione di grandi opere.
E poi mi vogliono far credere che la trattativa stato-mafia non c'è mai stata... e che gli asini volano!

martedì 7 ottobre 2014

Nobel per la fisica ai Led, la rivoluzione della luce.

Physics Nobel Prize winners Professor Isamu Akasaki, American Inventor Shuji Nakamura and Professor Hiroshi Amano.
Isamu Akasaki, Shuji Nakamura, Hiroshi Amano.


Premiati giapponesi Akasaki e Amano e l'americano Nakamura.

Il Nobel per la Fisica è stato assegnato ai giapponesi Isamu Akasaki (85 anni) e Hiroshi Amano (55 anni), entrambi dell'università di Nagoya, e all'americano Shuji Nakamura (60 anni), che dal 1994 si è trasferito dall'università giapponese di Tokushima a quella californiana di Santa Barbara.
I tre fisici  hanno inventato i Led (Light Emitting Diode), i rivoluzionari dispositivi elettronici che sfruttano le proprietà ottiche di alcuni materiali per produrre la luce in modo più efficiente dal punto di vista energetico e rispettoso per l'ambiente.

L'invenzione dei Led, rileva la Fondazione Nobel, è stata premiata ''nello spirito di Alfred Nobel'', che mirava a riconoscere il valore delle scoperte in grado di dare importanti benefici per l'umanità. I Led sono infatti in grado di produrre la luce in modo nuovo.

L'impatto di questa tecnologia potrebbe infatti essere confrontabile a quello della lampadina: ''come le lampade a bulbo hanno illuminato il ventesimo secolo, i Led saranno le luci del ventunesimo secolo'', scrive la Fondazione Nobel. L'invenzione dei Led blu risale all'inizio degli anni '90, quando Isamu Akasaki, Hiroshi Amano e Shuji Nakamura sono riusciti per la prima volta a generare un fascio di luce blu da materiali semiconduttori. Fino ad allora esistevano soltanto Led a luce rossa e verde, ma da questi dispositivi non era possibile produrre luce bianca.

Energia a basso costo per tutti
Per anni superare questo ostacolo è stata una vera scommessa per i fisici e la sfida prosegue costantemente per rendere i Led blu sempre più efficienti. Poichè un quarto del consumo di elettricità nel mondo si deve all'illuminazione, il Led permettono un risparmio notevole nei consumi e una maggiore efficienza. Basti pensare che la durata dei Led è di 100.000 ore, contro le mille delle lampade a incandescenza e del 10.000 ore di quelle a fluorescenza. E che l'attuale record di efficienza luminosa per i Led blu supera 300 lumen/Watt, pari a quella di 16 lampade tradizionali o di 70 lampade a fluorescenza. Grazie ai led blu, infine, le persone che sul pianeta vivono senza reti elettriche (si stima che siano almeno un milione e mezzo) potrebbero avere reti a basso costo dal momento che per alimentare i Led bastano piccole quantità di energia, ad esempio prodotte dai pannelli solari.

I commenti dei Nobel
"Sono stato sorpreso dalla notizia e, ovviamente, per me è un onore". E' stato il primo commento Akasaki. "Sono riconoscente a quanti hanno permesso i miei studi", ha detto in una conferenza stampa alla Meijo University di Nagoya, dove insegna, trasmessa in diretta dalla tv pubblica Nhk. Akasaki, che ha ringraziato il Matsushita Research Institute e sua università, ha detto di aver ricevuto "da 2 o 3 giorni telefonate da parte di media e altre istituzioni internazionali. Ho pensato - ha aggiunto - che potesse essere la volta buona". Un consiglio ai giovani ricercatori: "Non rincorrete quello che è popolare e accattivante, ma cercate quello che veramente volete fare e come farlo".
"Sono molto onorato di ricevere il premio Nobel dall'Accademia reale svedese delle Scienze per l'invenzione dei Led", ha commentato Nakamura sul sito dell'Università della California a Santa Barbara, dove insegna. "E' molto gratificante - ha aggiunto - vedere che il sogno di illuminazione Led sia diventato una realtà. Mi auguro che le lampadine Led a risparmio energetico possano contribuire a ridurre il consumo di energia e i costi di illuminazione in tutto il mondo". 



http://www.ansa.it/scienza/notizie/rubriche/fisica/2014/10/07/nobel-fisica-ad-akasaki-amano-e-nakamura-_ed4c859c-419f-4b10-b950-0ae91d307539.html?idPhoto=1

Blocco della perequazione delle pensioni: è incostituzionale anche per la Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna. - Pierluigi Roesler Franz


ROMA – È una notizia di grande interesse per centinaia di migliaia di pensionati pubblici e privati. Due nuove eccezioni di incostituzionalità del blocco della perequazione delle pensioni superiori a 3 volte il minimo INPS per il biennio 2012-2013 (ma implicitamente anche per il successivo triennio 2014-2016), deciso dal Parlamento nella legge n. 211 del 2011 sono state sollevate dalla Corte dei Conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, in quanto il mancato adeguamento delle pensioni equivale sostanzialmente ad una loro decurtazione in termini reali con effetti permanenti ancorché il blocco sia formalmente temporaneo poiché non è previsto alcun meccanismo di recupero.
Accogliendo le tesi del professor Rolando Pini e dell’avvocato Giovanni Sciacca per conto di dieci pensionati INPS, il giudice Marco Pieroni si è rivolto all’Alta Corte, ritenendo violati i principi di uguaglianza, di proporzionalità ed adeguatezza della retribuzione anche differita, della garanzia previdenziale, della capacità contributiva e del concorso di tutti i cittadini alle spese pubbliche, sanciti dagli articoli 3, 36, 38, 53, nonché dall’art. 117, primo comma, della Carta repubblicana per violazione della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (art. 6, diritto dell’individuo alla libertà e alla sicurezza; art. 21, diritto di non discriminazione, che include anche quella fondata sul «patrimonio»; art. 25, diritto degli anziani, di condurre una vita dignitosa e indipendente; art. 33, diritto alla protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale; art. 34, diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali), come anche interpretata dalla Corte di Strasburgo.
Le due articolate ordinanze della Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, saranno esaminate dai giudici di palazzo della Consulta tra alcuni mesi assieme a quelle in parte analoghe già pendenti del tribunale del lavoro di Palermo e della Corte dei Conti della Liguria.

Borsellino ucciso perché indagava sulla trattativa, trovato il fascicolo. E spuntano nomi “pesanti”. - Sandra Rizzo e Giuseppe Lo Bianco



La ricostruzione dei giornalisti del Fatto, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, mette i brividi: Borsellino è stato ucciso perché stava indagando, formalmente, sulla trattativa Stato-Mafia. La conferma arriva dal ritrovamento di un fascicolo assegnato a Borsellino in data 8 luglio 1992 (11 giorni prima di essere ucciso…) in cui viene fuori l’ufficialità dell’indagine e i nomi delle persone coinvolte. Nomi pesanti. Nomi di capimafia. Nomi di politici. Nomi di esponenti dei servizi segreti. 

In piena stagione stragista, a metà giugno del ‘92, un anonimo di otto pagine scatenò fibrillazione e panico nei palazzi del potere politico-giudiziario: sosteneva che l'ex ministro dc Calogero Mannino aveva incontrato Totò Riina in una sacrestia di San Giuseppe Jato (Palermo). Una sorta di prologo della trattativa. Su quell'anonimo, si scopre oggi dai documenti prodotti dal pm Nino Di Matteo nell'aula del processo Mori, stava indagando formalmente Paolo Borsellino. Con un'indagine che il generale del Ros Antonio Subranni chiese ufficialmente di archiviare perché non meritava "l'attivazione della giustizia".
IL DOCUMENTO dell'assegnazione del fascicolo a Borsellino e a Vittorio Aliquò, datato 8 luglio 1992, insieme alle altre note inviate tra luglio e ottobre di quell'anno, non è stato acquisito al fascicolo processuale perché il presidente del Tribunale Mario Fontana non vi ha riconosciuto una "valenza decisiva" ai fini della sentenza sulla mancata cattura di Provenzano nel ‘95, che sarà pronunciata mercoledì prossimo.
Ma le note sono state trasmesse alla Procura nissena impegnata nella ricostruzione dello scenario che fa da sfondo al movente della strage di via D'Amelio. In aula a Caltanissetta, infatti, nei giorni scorsi, Carmelo Canale ha raccontato che il 25 giugno 1992, Borsellino, "incuriosito dall'anonimo" volle incontrare il capitano del Ros Beppe De Donno, in un colloquio riservato alla caserma Carini, proprio per conoscere quel carabiniere che voci ricorrenti tra i suoi colleghi indicavano come il "Corvo due", ovvero l'autore della missiva di otto pagine.
Quale fu il reale contenuto di quell'incontro? Per il pm, gli ufficiali del Ros, raccontando che con Borsellino quel giorno discussero solo della pista mafia-appalti , hanno sempre mentito: una bugia per negare l'esistenza della trattativa, come ha ribadito Di Matteo ieri in aula, nell'ultima replica. Tre giorni dopo, il 28 giugno, a Liliana Ferraro che gli parla dell'iniziativa avviata dal Ros con don Vito, Borsellino fa capire di sapere già tutto e dice: "Ci penso io".
Il primo luglio ‘92, a Palermo il procuratore Pietro Giammanco firma una delega al dirigente dello Sco di Roma e al comandante del Ros dei Carabinieri per l'individuazione dell'anonimo. Il 2 luglio, Subranni gli risponde con un biglietto informale: "Caro Piero, ho piacere di darti copia del comunicato dell'Ansa sull'anonimo. La valutazione collima con quella espressa da altri organi qualificati. Buon lavoro, affettuosi saluti".
NEL LANCIO Ansa, le "soffiate" del Corvo sono definite dai vertici investigativi "illazioni ed insinuazioni che possono solo favorire lo sviluppo di stagioni velenose e disgreganti". Come ha spiegato in aula Di Matteo, "il comandante del Ros, il giorno stesso in cui avrebbe dovuto cominciare ad indagare, dice al procuratore della Repubblica: guardate che stanno infangando Mannino".
Perché Subranni tiene a far sapere subito a Giammanco che l'indagine sul Corvo 2 va stoppata? Venerdì 10 luglio ‘92 Borsellino è a Roma e incontra proprio Subranni, che il giorno dopo lo accompagna in elicottero a Salerno. Borsellino (lo riferisce il collega Diego Cavaliero) quel giorno ha l'aria "assente". Decisivo, per i pm, è proprio quell'incontro con Subranni, indicato come l'interlocutore diretto di Mannino. È a Subranni che, dopo l'uccisione di Salvo Lima, l'ex ministro Dc terrorizzato chiede aiuto per aprire un "contatto" con i boss.
È allo stesso Subranni che Borsellino chiede conto e ragione di quella trattativa avviata con i capi mafiosi? No, secondo Basilio Milio, il difensore di Mori, che ieri in aula ha rilanciato: "Quell'incontro romano con Subranni è la prova che Borsellino certamente non aveva alcun sospetto sul Ros".
Il 17 luglio, però, Borsellino dice alla moglie Agnese che "Subranni è punciuto". Poche ore dopo, in via D'Amelio, viene messo a tacere per sempre. Nell'autunno successivo, il 3 ottobre, il comandante del Ros torna a scrivere all'aggiunto Aliquò, rimasto solo ad indagare sull'anonimo: "Mi permetto di proporre - lo dico responsabilmente - che la signoria vostra archivi immediatamente il tutto ai sensi della normativa vigente".
(art. del 14 luglio 2013)

http://www.infiltrato.it/inchieste/borsellino-ucciso-perche-indagava-sulla-trattativa-trovato-il-fascicolo-e-spuntano-nomi-pesanti#sthash.caqvABFm.dpuf

La truffa dei fondi comuni - di Beppe Scienza

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Come imbrogliare i risparmiatori. Ovvero: Mini-guida ai fondi comuni - di Beppe Scienza

"Molti italiani hanno qualcosa da parte, anche senza essere ricchi. Peccato che una bella fetta dei loro risparmi sia in fondi comuni e simili. Tali prodotti attualmente hanno molto successo. 
Quasi 1.500 miliardi di euro sono nelle mani del risparmio gestitoOvvero in cattive mani.Il successo di vendita non è infatti frutto di buoni rendimenti. Ma piuttosto di una sistematica manipolazione della realtà da parte di banche e promotori finanziari; e ultimamente anche di impiegati delle Poste e cosiddetti consulenti finanziari indipendenti.
Quelli che seguono non sono segreti, per chi è addentro nel mondo finanziario. Sono cose che gli addetti ai lavori sanno benissimo e su cui, parlando fra di loro, concordano. Ma le tengono nascoste ai risparmiatori, perché tutta l'industria del risparmio gestito prospera ingannando i clienti; e i suoi dirigenti si arricchiscono rifilando porcherie e porcheriole.
Sono cose notissime anche ai giornalisti economici, che però di regola sono culo e camicia con banche, società di gestione ecc. E anche volessero scriverle, quasi nessuna testata gliele pubblicherebbe.
Per fortuna si possono però pubblicare in questo blog.
Ecco dunque i principali artifizi per abbindolare i risparmiatori e rifilargli fondi comuni.

1. Spacciare per successi i fallimenti
Banche e venditori porta a porta sbandierano i rendimenti dei fondi dal 1984, quando sono partiti in Italia. Certo che i soldi messi nei fondi sono mediamente aumentati; e ci mancherebbe altro in 30 anni. Ma ha ottenuto regolarmente di più chi ha fatto da solo, semplicemente rinnovando i Bot (lo dimostra un'indagine di Mediobanca). E ancora di più chi ha sottoscritto buoni fruttiferi postali. Due investimenti semplici, praticamente alla portata di tutti.

2. Barare sui rendimenti
È una tecnica truffaldina classica. Attualmente un risparmiatore non sa che pesci pigliare, perché Bot, Cct, Btp, Buoni postali rendono pochissimo. Allora il venditore gli mostra alcuni fondi dicendo: "Questi rendono più del 4%". È una truffa: tutt'al più hanno reso il 4% nell'ultimo anno. Mentre adesso i fondi monetari e obbligazionari sono sintonizzati su rendimenti futuri vicini allo zero e anche sottozero. Però i giornali, per favorire le vendite, non lo dicono e anzi pubblicano tabelle del tipo "I fondi che rendono di più". Imbroglioni: non "che rendono", bensì "che hanno reso", senza nessun merito dei gestori.

3. Creare allarmismi infondati
I venditori di fondi spaventano i risparmiatori raccontandogli che i fondi sono più sicuri, perché ora i titoli di Stato italiani possono ridurre il tasso d'interesse, rinviare il rimborso ecc. Li autorizzerebbero le cosiddette Cacs: Clausole di azione collettiva. È una frottola. Anche i titoli tedeschi prevedono tali clausole, che non sono contro i risparmiatori, bensì contro i fondi avvoltoio (vedi Argentina). E non aumentano il rischio di fallimento.

4. Ingigantire le difficoltà
Banche e promotori raccontano che i mercati finanziari sono difficili, insidiosi ecc., quindi inadatti al normale risparmiatore. C'è del vero, peccato che i gestori dei fondi regolarmente facciano figure barbine: i fondi azionari fanno peggio delle Borse, gli obbligazionari peggio del reddito fisso ecc. Anche questo appare dalla ricerca di Mediobanca. Per altro esistono investimenti certo non complessi e alquanto sicuri, come i buoni fruttiferi postali.

5. Frasi ingannevoli
Una furbizia dei venditori di fondi azionari, ma anche di fondi pensione, sono le espressioni capziose del tipo: "Con un fondo azionario si può ottenere di più che coi titoli di Stato o i buoni postali". Senza dire che si può ottenere anche molto meno; e anche subire crolli disastrosi. Ugualmente i giornali: "Coi fondi pensione si può battere il TFR". Ma si può anche finire in pesante perdita, cosa che non viene mai detta.

6. Nessuna trasparenza
Che i fondi comuni italiani siano trasparenti è una delle tante frottole dei loro venditori e propagandisti. Vedi il Sole 24 Ore che ripete da anni: "La chiave del successo dei fondi comuni presso le famiglie italiane è la trasparenza" (21-6-2003, Plus p. 9) e a ruota gli altri giornali. Per confutare tale bufala basta dire che i partecipanti non hanno mai diritto di conoscere i dati (prezzo, giorno ecc.) delle compravendite fatte coi loro soldi. Non solo, inizialmente (1984) c'era più trasparenza e poi (1993) è stata ridotta. Ma certo! Al buio si ruba meglio.

7. Lo sporco sotto il tappeto
La banda del risparmio gestito si vanta di avere evitato per esempio le Parmalat, i titoli della Grecia ecc. Tutto falso. Ai fondi è bastato vendere, dopo il crollo, ma prima della fine del semestre, quando debbono elencare i principali titoli posseduti. Altra tecnica truffaldina: quando un fondo precipita, lo chiudono, lo fondono con un altro o lo spostano di categoria e così sparisce dalle graduatorie.

8. Urgenza fasulla
Tipica furbata di banche e promotori è presentare le proposte come occasioni irripetibili, con scadenza brevissima. "Questo condizioni valgono solo per una settimana". Tutte frottole per non dare tempo per approfondimenti. La settimana dopo ci sarà un altro prodotto-immondizia, simile a precedente, e così via per i prossimi cinquant'anni.

9. Vantaggi fiscali inventati (1)
Su La Stampa Sandra Riccio favoleggia di un "buco" nella legge che favorirebbe gli investimenti attraverso fondi comuni bilanciati e titola allegramente "Il fai-da-te paga più tasse" (5-5-2014, tuttosoldi p. 19). Un risparmiatore sarebbe tassato al 15,2% con un fondo e al 21,3% investendo da solo. Tutto falso, con gli stessi investimenti potrebbe pagare anche solo il 6,4%. Dipende dai rendimenti che ottiene, senza nessun trattamento di favore per i fondi comuni.

10. Vantaggi fiscali inventati (2)
Raccontano che i fondi comuni ora convengono di più (!?) perché sono tassati solo quando si esce, anziché di giorno in giorno come fino a metà 2011. Altra menzogna, perché va perso il recupero automatico delle imposte in caso di perdite, a fronte di una riduzione della tassazione spesso irrisoria (per esempio -0,02% annuo).

11. Prodotti della ditta o peggiori
Per ingannare meglio i clienti, banche e promotori raccontano che scelgono i fondi migliori e poi offrono quelli ai risparmiatori, anziché i prodotti della casa. Ciance: scelgono i fondi che gli rigirano più commissioni, anche a prescindere dalle facili malversazioni.

12. L'inglese per imbrogliare
Per mettere in soggezione i risparmiatori, venditori e giornalisti eccedono poi in termini inglesi. Non obbligazioni, ma bond. Non azioni, ma equity. Non immobili, ma real estate. Non venditore di investimenti, ma wealth portfolio manager. Non consulente, ma fee only planner. Non investimenti a reddito, ma income oriented. Non ripartizione, ma asset mix. Non alto rendimento, ma high yield. 
Se uno parla così, è per imbrogliare il cliente o per coprire la sua crassa ignoranza.

Conclusioni
I fondi comuni hanno un solo vantaggio rispetto ai fondi pensioni o alle polizze vita. Si può uscire qualunque giorno. Quindi non rimandare a domani quello che puoi fare oggi." Beppe Scienza

Addio al Pap test, in Liguria arriva il nuovo esame contro l'Hpv.


Addio Pap test. 
Cambia in Liguria lo screening per la diagnosi precoce del tumore del collo dell'utero: il moderno test Hpv sostituirà progressivamente il più classico esame di controllo. L'introduzione della nuova tecnica di screening nasce dall'esperienza positiva dell'Asl 2 Savonese che, "a partire dal 2012, ha attivato un programma pilota utilizzando proprio il test Hpv come esame primario, grazie a un progetto frutto di un gruppo di lavoro interdisciplinare composto da anatomo-patologi, ginecologi, igienisti, ostetriche, infermieri e citolog", ricorda l'azienda sanitaria in una nota.
L'iniziativa ha interessato e interessa "una popolazione di circa 80.000 donne residenti nella provincia di Savona, di età compresa tra i 30 e i 64 anni. Inizialmente sono state contattate le signore appartenenti alla fascia d'età 40-50 anni, ma a partire dal gennaio 2014 è stata allargata la possibilità di adesione a tutta la popolazione bersaglio.
Nel corso del 2013 sono state invitate 20.267 donne, con un'adesione media del 51%, valore ben superiore a quello nazionale. Questo dato conferma l'alto gradimento del test Hpv tra la popolazione femminile. Attualmente è in corso la stesura del progetto regionale che, con buona probabilità, individuerà come centro regionale di riferimento l'Anatomia patologica dell'ospedale San Paolo di Savona, diretta da Ezio Venturino, ideatore del progetto".
"Lo screening con il test Hpv - osserva Alessandra Franco, responsabile della segreteria organizzativa Screening dell'Asl 2 Savonese - rappresenta un passaggio fondamentale per la diagnosi precoce del tumore del collo dell'utero, consentendo di individuare un maggior numero di lesioni ed eventuali alterazioni in tempi più precoci rispetto al Pap test".
A dimostrazione dell'alta qualità del progetto, riconosciuta non solo a livello regionale ma anche nazionale, evidenzia l'Asl, il Gisci (Gruppo italiano screening del cervicocarcinoma), ha scelto Finale Ligure come sede del prossimo convegno nazionale 2015.