domenica 7 dicembre 2014

Marino: «Mai parlato con Buzzi». Ma parlano le foto.



Marino e Buzzi

Buzzi e Marino

Il sindaco a 'Otto e mezzo', su La7, dice (dal minuto 13' 58''): «Mai parlato con Salvatore Buzzi». Non è vero. Queste le foto presenti sul sito della cooperativa 29 Giugno.  “Non ho mai avuto conversazioni con Salvatore Buzzi” ha detto, chiarito e ribadito il sindaco di Roma Ignazio Marino intervistato da Lilli Gruber cercando così di prendere le distanze da Buzzi, condannato per omicidio negli anni ’70, presidente della coop “29 giugno” e secondo gli inquirenti braccio destro del Re di Roma Massimo Carminati e anello di congiunzione fra Legacoop, il Pd e  i 37 arrestati e 100 indagati con l’accusa di associazione mafiosa nell’inchiesta “Mafia capitale”.
Ma alcune foto pubblicate proprio sul sito della cooperativa di Buzzi smentiscono il sindaco di Roma. Negli scatti si vede Marino nel corso di una visita alla sede della cooperativa di Buzzi. Nella foto compaiono lo stesso Buzzi, Marino e il vicesindaco Luigi Nieri.

http://www.linkiesta.it/buzzi-marino

Dalla Melandri a Veltroni, da Zingaretti ad Alfano. La carriera di un pregiudicato per spaccio che diventa Capo della polizia provinciale di Roma ma non può portare la pistola. - Fabio Carosi




Zingaretti, Gabrielli, Odevaine, Paluzzi

Sul caso Odevaine, l'uomo che il re delle Coop e reggente di Mafia Capitale Salvatore Buzzi diceva di stipendiare con 5 mila euro al mese, le carte parlano chiaro. Nell'aria c'era qualcosa che non funzionava ma tutti tacevano o facevano finta di non sentire, trincerandosi dietro l'alibi della battaglia politica o dietro quell'espressione "macchina del fango" che è stata usata dalla politica per difendersi dagli attacchi scomodi.
TRASPARENZA ALLA ROMANAChe Luca Odevaine non fosse un esempio di specchiata limpidezza non poteva non accorgersene Nicola Zingaretti. Il "suo" capo della Polizia Provinciale, passato indenne dal rapporto fiduciario con Giovanna Melandri ministro per i Beni Culturali e poi chiamato a fare il Vice capo di Gabinetto con Veltroni, secondo la regola che i più efficienti, venivano premiati, già al Campidoglio si infila nei guai. 
E' il 2011 e secondo le indagini della magistratura la "macchina infernale" di Massimo Carminati e del socio Salvatore Buzzi è già in azione. Luca Odevaine finisce sotto processo per abuso d'ufficio. Al centro dell'inchiesta condotta da Maria Cordova c'è l'affitto di un fabbricato per alcune famiglie senza casa che sarebbe stato "noleggiato" a prezzi superiori a quelli di mercato. Il business per chi affitta è notevole: ogni anno il Campidoglio spendeva oltre 33 milioni di euro che lieviteranno ancora sotto Alemanno. Odevaine si difenderà dall'accusa sostenendo che per quel contratto era stata fatta una "regolare gara tra privati". La tecnica è quella in uso da sempre nella pubblica amministrazione: la somma urgenza giustifica una richiesta di offerta a pochi soggetti e in un batter d'occhio il lavoro è aggiudicato.
Nel frattempo Odevaine è già alla Provincia di Roma. A chiamarlo è stato Nicola Zingaretti che gli affida la Polizia Provinciale e la Protezione Civile. Ma qualcuno sente puzza di bruciato sul personaggio e spedisce al presidente una serie di interrogazioni. Affaritaliani.it le ha rintracciate in un vecchio scatolone, poiché negli archivi pubblici non ce n'è più traccia. C'è il nodo del cognome cambiato; c'è il dubbio sul perché un comandante di polizia Giudiziaria non porti la pistola, la richiesta di sapere come sono stati spesi i soldi della sala operativa provinciale della Protezione Civile, le società che ne curano la manutenzione e il motivo per cui oltre allo stipendio di 120 mila euro l'anno lordi, Odevaine riceve anche un assegno ad personam di altri 14 mila euro l'anno.
IL COMANDANTE SENZA PISTOLA. Due sono gli atti in cui l'allora consigliere Roberto Petrocchi chiede al presidente Zingaretti di spiegare il perché il "capo della guardie" non ha la pistola d'ordinanza come i suoi colleghi sottoposti.
Il primo atto è del 5 novembre del 2009. Scrive l'interrogante: ".. per conoscere per quale motivo il Comandante della Polizia Provinciale non figuri nell'elenco dei dirigenti dotati di arma o abilitati all'uso".
Ancora il 24 novembre del 2011: Petrocchi interroga Zingaretti e chiede il motivo per cui Odevaine è pur essendo il "capo" non ha la qualifica prevista dalla legge regionale di "ufficiale di pubblica sicurezza" e poi aggiunge: "Se l'attribuzione della su indicata qualifica sia impedita da pregressa obiezione do coscienza o da quali impedimenti legali o precedenti vicende di qualsivoglia natura". E' un dubbio che rimane sospeso perché negli archivi non c'è traccia di risposta. E' evidente che se Nicola Zingaretti fosse in grado di produrre copia della replica, affaritaliani.it pubblicherebbe volentieri il documento. Aiuterebbe a fare chiarezza.
LUTTO IN CASA ODEVAINE. Le cronache della Provincia narrano di una vicenda surreale legata al cognome del dirigente. In occasione della morte del padre compaiono sui giornali una serie di necrologi bizzarri. Nato nel 1929 a Barcellona, José Ramòn Larraz viene ricordato anche come José Ramón Larraz Gil, Joseph Braunstein, Joseph L. Bronstein, Jos L. Gil, J. R. Larrath, Joseph Larraz, Jos R. Larraz, Jos Larraz, J. R. Lazzar e, infine, come Remo Odevaine. Beato chi ci capisce in una selva di nomi o pseudonimi che impediscono la riconducibilità del lutto familiare a Luca Odevaine, che avrebbe già cambiato il suo cognome per via della condanna per droga rimediata in gioventù, poi cancellata con l'indulto.
Dopo dieci anni di prima linea con Melandri, Veltroni e Zingaretti, ora la carriera del 58 enne affabile e con la faccia da attore, sembra conclusa. Ci ha pensato Salvatore Buzzi: "Lo sai a Luca quanto gli do? Cinquemila euro al mese... ogni mese... ed io ne piglio quattromila". 
E' in carcere. Secondo il gip era pronto a fuggire in Venezuela, paese d origine della moglie o dell'ex moglie, dove avrebbe trasferito il suo "tesoro".
http://www.net-parade.it/cgi-bin/link.aspx?utente=informare

Io mi rifiuto di credere che nessuno sapesse....

Mafia Capitale: le immagini dell'arresto dell'ex terrorista Carminati

Scoperta eccezionale in Sicilia: a Selinunte emerge la più grande fabbrica di ceramiche greche del mondo antico.

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Sicilia – Scorcio dell’industria di ceramiche greche scoperta a Selinunte (Trapani) – Ph. Martin Bentz

Scoperta eccezionale in Sicilia: a Selinunte emerge la più grande fabbrica di ceramiche greche del mondo antico. Tornate alla luce ottanta fornaci.

Durante la sessione estiva di scavi affidata all’Istituto archeologico germanico di Roma e dell’Università di Bonn, guidato dal professore Martin Bentz, all’interno del parco archeologico siciliano di Selinunte è stato compiuto uno dei più eccezionali ritrovamenti mai effettuati nell’area mediterranea. Ad essere tornata alla luce – con le sue ottanta fornaci, un’estensione di 1.250 metri quadrati nella valle del fiume Cottone, ed una lunghezza di 80 metri – è l’industria di produzione di terrecotte e ceramiche più grande del mondo antico mai ritrovata finora.

Il rinvenimento è stato effettuato durante uno degli scavi estivi che puntualmente si ripetono dal 2010 e che in virtù dei finanziamenti dell’Istituto germanico di Roma potranno proseguire per altri due anni. Lo scavo, effettuato utilizzando stavolta anche il georadar, ha riguardato tre sezioni dell’area, con esiti che hanno permesso di ricostruire il quartiere industriale dell’antica colonia greca.
I reperti ritrovati sono stati datati al V secolo avanti Cristo. E’ probabile che la fornace più grande servisse per la produzione di tegole in terracotta mentre le più piccole fossero destinate alla realizzazione di vasi, statue e altre suppellettili. Già nel 2013 era venuta alla luce un’area ancora molto ben conservata, pavimentata con tegole in terracotta e munita di un pozzo profondo dal quale, molto probabilmente, veniva prelevata l’acqua necessaria a lavorare l’argilla. In quell’occasione era emersa anche una zona più arcaica del quartiere, con ceramiche e terrecotte figurate prodotte sul posto.
Il direttore del parco archeologico di Selinunte e delle Cave di Cusa Giovanni Leto Barone ha dichiarato che proprio in previsione della prosecuzione degli scavi per altri due anni c’è da aspettarsi con certezza che l’area riservi ancora molte sorprese.

giovedì 4 dicembre 2014

Evasione fiscale, 65 milioni di euro sequestrati agli eredi di Grossi.


Chi evade in modo sistematico è un soggetto “socialmente pericoloso”. E in qualche modo può restarlo anche da morto, nel senso che la sua condotta fiscale, sotto il particolare profilo delle misure di prevenzione, ricade sugli eredi se la sproporzione tra i redditi dei figli e i capitali immessi nelle società familiari fa comprendere che i proventi dell’evasione del defunto abbiano arricchito le imprese guidate dagli eredi.

È questo il principio del sequestro da 65 milioni eseguito dai finanzieri del Comando Provinciale su ordine Tribunale di Milano, su richiesta del pm milanese Alessandra Dolci, di tre imprese del gruppo di quello che era considerato il “re delle bonifiche ambientali” Giuseppe Grossi, amministrate dopo la morte del padre dai suoi figli Andrea, Paola e Simona. Che sono recentemente finiti anche nel mirino della Squadra Mobile di Latina per la discarica di Borgo Montello.

Sigilli quindi anche a 136 immobili, 140 terreni, 268 auto d’epoca o di lusso, 160 moto,cinque motoscafi e tre barche a vela.
Secondo i giudici il procedimento di prevenzione può “essere iniziato anche in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta la confisca”, e in tal caso la misura va a colpire “i successori a titolo universale” a patto che siano trascorsi meno di cinque anni dal decesso.

Leggi anche:

Ancora intercettazioni su Mafia Capitale, il modus operandi di Carminati sul Campidoglio.


Mafia Capitale: la malavita di larghe intese. - Marco Lillo



Ci sono intercettazioni che restano nella storia criminale di un paese. Il “mondo di mezzo” evocato da Massimo Carminati entra di diritto nella top ten assieme a grandi classici come “i furbetti del quartierino”.
Il mondo di mezzo, secondo il boss arrestato come capo di Mafia Capitale, è il luogo in cui “tutto si mischia nel mezzo perché la persona che sta nel sovramondo (politico o imprenditore, ndr) ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non può fare nessuno”.
Sarebbe consolante dire che la terra di mezzo in cui sono fioriti 37 arresti è la destra romana. Invece in quel luogo si mischiano non solo i destini di Gianni Alemanno, un sindaco che sembrava volere diventare premier, e Massimo Carminati, condannato per un furto inquietante di miliardi e segreti nel Palazzo di Giustizia e coinvolto (ma sempre assolto) nei fatti più inquietanti della storia d’Italia: dall’omicidio del giornalista Mino Pecorelli al depistaggio delle indagini sulla strage di Bologna. No. Nella terra di mezzo si mischiano destra e sinistra, oltre che sovramondo e sottomondo. La “Mafia Capitale” guidata da Carminati secondo i magistrati aveva a libro paga anche politici di primo piano del Pd.
Nella terra di mezzo, il boss che ha ispirato il “Nero” di Romanzo criminale, il “fasciomafioso” Carminati ha come braccio destro un criminale svelto di mano, Riccardo Brugia, e come “braccio sinistro” il re delle cooperative sociali Salvatore Buzzi: già condannato per omicidio e poi riabilitato. Buzzi “il rosso” si vanta di pagare tutti e di dare 5 mila euro al mese all’ex vice capo gabinetto del sindaco Veltroni, poi nominato capo della Polizia provinciale, Luca Odevaine, anche lui indagato.
La notizia non è quindi Carminati, ma Buzzi: un ex detenuto simbolo della resurrezione dal carcere che presiede un impero da 50 milioni. Con la sua cooperativa aderente alla Lega delle coop rosse, già guidata dal ministro Giuliano Poletti, fa soldi nel business dei campi nomadi e dell’assistenza ai rifugiati e poi divide col “nero”. A maggio Buzzi chiudeva così la sua relazione all’assemblea della Cooperativa 29 giugno: “Un augurio di buon lavoro al ministro Poletti, nostro ex Presidente nazionale che più volte ha partecipato alle nostre assemblee; al governo Renzi, affinché possa realizzare tutte le riforme che si è posto come obiettivo, l’unico modo per salvare il nostro Paese”. 
La terra di mezzo non ha confini netti. Non è la destra, non è Roma: è l’Italia.