venerdì 1 aprile 2016

Federica Guidi, storia dell’emendamento a favore di Tempa Rossa: dal tentativo notturno al via libera dopo ok Boschi. - Marco Palombi

Federica Guidi, storia dell’emendamento a favore di Tempa Rossa: dal tentativo notturno al via libera dopo ok Boschi

Nella notte tra il 16 e il 17 ottobre 2014, la deputata M5s Liuzzi e le opposizioni protestano per la richiesta di modifica a firma dell'ex ministro dello Sviluppo che viene dichiarata "inammissibile". Va meglio con la legge di Stabilità, la responsabile per le Riforme accetta il provvedimento che riesce a passare con il voto di fiducia.

La prima notte è quella tra il 16 e il 17 ottobre 2014, quando le commissioni Ambiente e Attività produttive di Montecitorio stanno discutendo il decreto Sblocca Italia: quel testo rende, tra le altre cose, molto più facile costruire impianti petroliferi (e inceneritori) visto che li dichiara “infrastrutture strategiche per l’interesse nazionale”. Si procede a tappe forzate ed è notte quando la deputata M5S Mirella Liuzzi si accorge di uno strano emendamento che rende “strategiche” pure tutte le opere connesse all’attività estrattiva: gasdotti, porti, siti di stoccaggio. Proprio quello che serve al progetto Tempa Rossa, come vedremo. Più interessante, adesso, è notare che quell’emendamento era stato consegnato alle commissioni dal capo di gabinetto del ministro Federica Guidi e portava la sua firma: la rivolta delle opposizioni, e forse l’imbarazzo del Pd, causano una irrituale dichiarazione di inammissibilità per quel testo (un Gronchi rosa per un emendamento governativo).
Va meglio con la legge di Stabilità
La notte è quella tra il 12 e il 13 dicembre 2014 e siamo in commissione Bilancio in Senato. L’emendamento viene consegnato – come da prassi – dal ministero dello Sviluppo economico a Maria Elena Boschi, titolare dei Rapporti col Parlamento e gestore del traffico delle proposte governative. Stavolta il testo passa e viene recepito nella manovra poi approvata con la fiducia: non è chiaro, finché Boschi non ce lo spiegherà, con quale motivazione sia stata convinta dalla collega a inserire “l’emendamento Tempa Rossa” tra quelli da approvare. Pochi minuti dopo, comunque, Guidi avverte il fidanzato e s’inguaia.
Detto delle modalità notturne d’intervento della ex ministra, resta da spiegare cos’ha fatto in pratica. 
Breve riepilogo: il progetto Tempa Rossa ha il suo cuore nel giacimento lucano la cui concessione è appannaggio di Total (al 50%), Shell e Mitsui. I sei pozzi in Basilicata (più 2 da autorizzare) a regime dovrebbero produrre 50 mila barili al giorno, aumentando del 40% la produzione nazionale di greggio. Questo progetto ha già ottenuto una Valutazione di impatto ambientale positiva nel 2011. Qual è il problema allora? Quello che si fa col petrolio una volta estratto: bisogna portarlo a Taranto, stoccarlo e raffinarlo. È una vera fortuna che Eni disponga di un impianto proprio nella martoriata città dell’Ilva. E qui, però, cominciano i guai: cittadinanza, movimenti e (fino a un certo punto) pure i politici locali si oppongono a potenziare la capacità inquinante dell’impianto del Cane a sei zampe. Il motivo lo spiegò Arpa Puglia nel 2011: “L’esercizio di questi impianti comporterà un aumento delle emissioni diffuse pari a 10 tonnellate/anno che si aggiungeranno alle 85 tonnellate/anno già prodotte (con un incremento del 12%)”.
C’erano insomma problemi a fare i lavori al punto di approdo del petrolio estratto nel giacimento di Total e soci di Gorgoglione, in Basilicata: due siti di stoccaggio, un prolungamento del pontile e altre cosette. È qui che arriva l’ex ministro Guidi: l’emendamento prevede che l’autorizzazione unica per le opere “strategiche” valga anche “per le opere necessarie al trasporto, allo stoccaggio, al trasferimento degli idrocarburi in raffineria, alle opere accessorie, ai terminali costieri e alle infrastrutture portuali strumentali” anche lontano dal giacimento. E se gli enti locali si oppongono? C’è il secondo comma: lo Sblocca Italia prevede che, in quanto strategiche, su queste opere alla fine decida il governo. Il via libera definitivo ai lavori a Taranto è arrivato il 19 dicembre 2015, quattro mesi fa. Lo ha firmato il ministro Federica Guidi. Non si sa se poi abbia avvertito il fidanzato.

mercoledì 30 marzo 2016

Padoan: "L'Ue danneggia l'Italia, così non va".

Pier Carlo Padoan © ANSA

Il ministro dell'Economia: "Modalità di calcolo impongono al nostro Paese aggiustamenti dolorosi, ma rispetteremo le richieste".

Lo sforzo richiesta dall'Ue all'Italia è "deformato da considerazioni statistiche" e "queste regole, imponendo all'Italia aggiustamenti dolorosi, le recano maggior danno che ad altri Paesi, e questo non mi va bene''. Così il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan in una intervista a Le Figaro nella quale conferma che ''l'Italia rispetterà lo sforzo di aggiustamento che le è richiesto''. Anche la Commissione europea, spiega Padoan, "ammette che questo metodo di calcolo potrebbe essere differente, ma non si cambiano le regole durante il gioco".

Padoan risponde ad una domanda su come si difenderà l'Italia rispetto alla possibilità che Bruxelles apra contro il Paese una procedura di infrazione per deficit eccessivo. "L'Italia rispetterà lo sforzo di aggiustamento che le è richiesto", premette Padoan spiegando che ''manteniamo con Bruxelles un dialogo continuo''. ''Si rimprovera a volte all'Italia - aggiunge - di chiedere troppa flessibilità, di mostrarsi insaziabile, dimenticando che questa domanda è del tutto legittima, perché si iscrive nelle regole europee". Il nostro Paese, sottolinea ancora, "è quello che ha fatto gli sforzi di aggiustamento più intensi della sua politica di bilancio".

"Serve un ministro delle Finanze unico della zona euro", sottolinea Padoan. "In primo luogo, un ministro unico delle Finanze servirebbe a garantire la messa in atto di una politica di bilancio europea più equilibrata - spiega - Dovrebbe anche gestire eventuali azioni di sostegno che implichino risorse comuni, come la gestione dei flussi migratori o del rafforzamento della sicurezza europea. L'Europa deve dotarsi di risorse proprie. E' difficile immaginare che si continuino a spendere tante energie per arrivare ad accordi come quello con la Turchia sui migranti".


C'è da domandarsi se i nostri pseudo-rappresentanti siano ingenui o facciano solo finta di non capire. 
Quando decisero l'entrata in UE firmarono un contratto contenente delle regole che avrebbero dovuto rispettare, perché adesso scendono dalle nuvole? Pensavano di poter gestire l'evento come hanno gestito il governo del paese?
Pensavano che la UE, come una madre permissiva, avrebbe perdonato le loro marachelle proteggendoli sotto il manto azzurro?
Oltre che dannosi ed inadeguati al compito loro affidato, quello della gestione e conduzione del paese, stanno dimostrando di essere anche incompetenti sulle faccende internazionali.
Ci hanno danneggiato, sono la nostra vergogna, ma continuano spudoratamente ed imperterriti ad aprir bocca ed elargire idiozie.
Aspettiamoci altri dolorosi tagli al nostro potere d'acquisto, perchè è bene che si sappia, a pagare lo scotto della loro inadeguatezza, della loro incapacità e della corruzione della quale si servono per mantenere potere e poltrone, saremo solo noi, i cittadini che producono, ma ai quali hanno tolto ogni potere, secondo la loro "libera interpretazione di democrazia"!
La stessa democrazia che esportano altrove danneggiando intere popolazioni, rendendole schiave. 

sabato 26 marzo 2016

Buona Pasqua!


A tutti! Nessuno escluso!
Cetta.

Alla sbarra vigilessa "annulla multe". - Martino Villosio



"Dimenticati" nel cassetto i ricorsi del figlio e degli amici Decorsi 60 giorni la sanzione veniva automaticamente annullata.

Avrebbe fatto annullare decine di multe, «dimenticando» nel cassetto i ricorsi degli automobilisti senza trasmetterli alla prefettura come previsto dalla legge e facendo in questo modo decadere le sanzioni. 
Una distrazione sospetta, quella imputata a una vigilessa romana, visto che tra i «graziati», secondo la procura, ci sarebbe anche il figlio della donna oltre ad una pattuglia di suoi conoscenti. L’ultimo agguato al fegato dell’automobilista capitolino medio senza santi in paradiso, da tempo avvezzo a trasalire ed a sgranare il rosario ad ogni visita del postino dopo aver inondato più volte al mese di calde lacrime il parabrezza "battezzato" da vigili e ausiliari del traffico, si è consumato ieri in un’aula di piazzale Clodio. A processo davanti tribunale collegiale, accusata di abuso d’ufficio continuato, c’era una donna di 52 anni, istruttore di Polizia Municipale presso il XIII Gruppo Aurelio. 
Secondo quanto ricostruito nel capo di imputazione, nello svolgimento delle mansioni di responsabile dell’attività istruttoria delle pratiche d’ufficio svolte dal Reparto Elaborazione Sanzionatorio, avrebbe omesso di trasmettere al prefetto di Roma gli atti relativi a 29 ricorsi contro multe comminate tra il 2011 e il 2012. In questo modo avrebbe procurato intenzionalmente agli autori delle violazioni un «ingiusto vantaggio patrimoniale, consistente nel mancato pagamento della sanzione amministrativa in assenza di qualsivoglia valutazione sulla fondatezza dell’accertamento». Il tutto «in violazione degli obblighi di lealtà, correttezza e trasparenza incombenti sul pubblico ufficiale».
Il Codice della Strada infatti, all’articolo 203, prevede che il responsabile del comando cui appartiene l’organo «accertatore» trasmetta al prefetto gli atti del ricorso ricevuto contro un verbale di multa entro 60 giorni dal deposito. Se questo termine perentorio non viene rispettato il ricorso, secondo la legge, è da considerarsi automaticamente accolto. Nel caso specifico, come detto, i ricorsi degli automobilisti non sarebbero neppure stati inviati in prefettura: una versione aggiornata dell’antica prassi del «verbale stracciato», italianissima cortesia riservata all’amico o al parente ormai divenuta impraticabile e facile da smascherare negli uffici pubblici.
Ieri in aula, davanti al pm Francesco Scavo, hanno sfilato come testimoni alcuni colleghi della vigilessa a processo. È stato proprio il pm a sottolineare come, nella lista dei ricorsi che sarebbero stati nascosti, ce ne sia anche uno relativo ad una multa presa dal figlio dell’imputata ed altri riferiti a sanzioni elevate a carico di alcuni conoscenti della donna. In base a quanto ricostruito ieri in aula, la vigilessa sarebbe stata smascherata per puro caso dagli stessi colleghi del suo reparto ad ottobre 2013. Un giorno in cui lei era assente dal lavoro, la procura di Roma chiamò nel suo ufficio per chiedere urgentemente la pratica di un accertamento demaniale. Un collega avrebbe allora contattato la donna al telefono, per sapere dove potesse trovarsi il fascicolo che stava seguendo proprio lei. La signora avrebbe risposto di guardare dappertutto, anche nella vaschetta con le cartelle di sua competenza sistemata - insieme a quelle degli altri vigili dell’ufficio - sopra una mensola. Proprio lì il suo collega avrebbe rinvenuto una busta con la scritta «ricorsi 2012»: all’interno c’erano le multe ormai da tempo scadute e mai trasmesse al prefetto. «Sono cose mie», avrebbe replicato la donna alla richiesta di chiarimenti sul contenuto del plico come ha raccontato ieri in aula il pubblico ufficiale autore della scoperta. Da quella risposta evasiva sarebbe quindi partita l’inchiesta coordinata proprio dall’ex comandante del XIII Gruppo Aurelio Davide Orlandi, anche lui ascoltato ieri dal pm Scavo in qualità di testimone di polizia giudiziaria.

Appalti pubblici, 80 rinviati a giudizio. - Andrea Ossino

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A processo per false attestazioni di requisiti il numero uno dell’Axsoa, Calcagni. Dovrà rispondere ai giudici anche l’ex presidente dell’Autorità di Vigilanza Brienza.

Politici, dirigenti, attrici e imprenditori. 
Sono circa 80 le persone rinviate a giudizio nell’ambito dell’inchiesta sulle false attestazioni rilasciate dalla società Axsoa, l’azienda investita dall’inchiesta condotta dal sostituto procuratore Giancarlo Cirielli e dal procuratore aggiunto Nello Rossi. 

I magistrati contestano, a seconda delle posizioni, i reati di associazione per delinquere, corruzione, falso e abuso d’ufficio. Secondo gli inquirenti, la Axsoa, società specializzata nella certificazione dei requisiti per la partecipazione agli appalti pubblici, era in grado di accontentare anche le imprese non in regola. 
Naturalmente occorreva elargire del denaro. 
Non si trattava certo di pochi spiccioli. Le tariffe per una falsa attestazione infatti, stando a quanto ricostruito dai magistrati romani, potevano arrivare ad attestarsi su cifre che si aggiravano intorno a 700 mila euro. Nonostante si trattasse di una cifra importante, questa sarebbe apparsa ragionevole. 
In ballo c’erano infatti alcuni tra i più corposi appalti pubblici banditi da aziende del calibro di Ama, Atac e Cotral, delle Poste, dei ministeri, del provveditorato per i Lavori pubblici o dei grandi ospedali. 
In questa storia dove i controllori si piegano agli interessi dei controllati, secondo quanto emerge dagli atti a disposizione della procura di Roma, la posta in ballo era rappresentata dalle Soa. Compito delle Società organismo di Attestazioni era quello di rilasciare documenti che fino a due anni fa, erano essenziali per le imprese che intendevano partecipare a gare d’appalto pubbliche. Nell’ordinanza il gip Simonetta D’Alessandro parla di un sistema criminoso basato su «un collaudato ed organizzato sistema, mascherato dietro l’attività di carattere pubblicistico esercitato dall’Axsoa spa, volto a vendere ai clienti della società di attestazione non già un servizio corretto ed imparziale di verifica dei requisiti e di successiva attestazione, bensì un pacchetto completo costituito dalla vendita dei requisiti di attestazione solo cartolare». Il prossimo 14 settembre, tra i numerosi imputati chiamati a difendersi dalle accuse mosse dalla procura di piazzale Clodio, c’è anche l’ex presidente dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, Giuseppe Brienza. L’attività di indagine delle Unità speciali Nucleo Tutela Mercati della Guardia di Finanza aveva condotto i magistrati capitolini a ritenere che Brienza, grazie alle pratiche «addomesticate» sarebbe riuscito ad ottenere consistenti benefit. 
Negli atti dell’inchiesta, spunta infatti un box auto pagato da un imprenditore e un attico a viale Nizza. Un immobile che Mario Calcagni aveva messo a disposizione, a titolo completamente gratuito, per la figlia di Brienza. 
Poi c’è la vicenda relativa ad un posto di lavoro per la sua compagna, e quella che riguarda una consulenza da 5000 euro al mese di cui lo stesso Brienza avrebbe beneficiato nella stessa Soa, ente che avrebbe dovuto controllare. Mario Calcagni, 64 anni, doveva essere un comune impiegato dell’Axsoa, ma in realtà, sarebbe stato una sorta di padre padrone dell’azienda. Era lui, secondo i pubblici ministeri, a ridistribuire le mazzette. Anche la moglie, Raffaella Bigonzi, in arte Raffaella Bergè, era finita nella bufera giudiziaria. La protagonista della soap opera «Centovetrine», secondo il gip avrebbe compiuto «operazioni atte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa» di un assegno circolare di 200mila euro. Anche Alfredo Gherardi, sempre della società Axsoa spa avrebbe gestito il presunto business illecito. Tra i nomi iscritti sul registro degli indagati spunta quello di Massimo Colletti, del direttore generale della Vigilanza, Maurizio Ivagnes, del funzionario dell'Ufficio Qualificazione Maria Grassini e del deputato di Scelta Civica, Angelo D'Agostino. Per il primo, ieri, il giudice per l’udienza preliminare ha dichiarato il non luogo a procedere. Nel caso di altri 3 indagati: Ivangnes, Francesco Di Svevo e Tiziana Carpinello, come nei confronti di Brienza il giudice ha dichiarato il non luogo a procedere limitatamente al reato di rivelazione del segreto d’ufficio. La posizione dell’ex presidente della Corte dei conti, Luigi Gianpaolino, era già stata archiviata. In abbreviato invece Gino Sorvillo è stato condannato a tre anni di reclusione. Mentre Bernardino Ciccarella è stato assolto. Per le circa 80 persone rinviate a giudizio, il prossimo appuntamento è fissato al 14 settembre, giorno in cui avranno la possibilità di difendersi raccontando la loro verità.

giovedì 24 marzo 2016

Sicilia, pasta e latte in cambio di voti: indagati due esponenti di Ncd. Procura generale di Palermo avoca inchiesta. - Giuseppe Pipitone

  
  Cascio e Gualdani                                                                

Si tratta di due figure di spicco del partito di Angelino Alfano in Sicilia: sotto inchiesta è finito infatti il coordinatore di Ncd sull’isola, Francesco Cascio, deputato regionale ed ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana, e Marcello Gualdani, eletto alla Camera dei deputati nel 2013. Nel settembre 2014 i pm avevano chiesto l'archiviazione, respinta dal gip.

Pacchi di pasta, latte e intere buste della spesa distribuiti in un quartiere popolare in cambio di voti per le elezioni regionali in Sicilia. È per questo motivo che due esponenti del Nuovo Centrodestra sono indagati per voto di scambio dalla procura di Palermo. Si tratta di due figure di spicco del partito di Angelino Alfano in Sicilia: sotto inchiesta è finito infatti il coordinatore di Ncd sull’isola, Francesco Cascio, deputato regionale ed ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana, e Marcello Gualdani, eletto alla Camera dei deputati nel 2013.
L’indagine prende spunto da alcune intercettazioni telefoniche, registrate durante la campagna elettorale per le elezioni regionali dell’ottobre del 2012. È in quei giorni che il Gico della Guardia di Finanza s’imbatte nelle conversazioni di alcuni galoppini, in passato indagati per spaccio, che si danno un gran da fare al Villaggio Santa Rosalia, un quartiere popolare palermitano. Attaccano i manifesti elettorali, distribuiscono le derrate alimentari destinate ai meno abbienti tra i propri clientes, e poi prendono nota dei seggi elettorali in cui andranno a votare. “Mi devi fare avere le sezioni: nome e cognome di queste persone” , dice al telefono uno degli otto indagati, a pochi giorni dal voto. L’inchiesta va avanti per due anni nel più assoluto riserbo. Poi il 30 settembre del 2014 i pm Alessandro Picchi e Sergio Barbiera chiedono l’archiviazione, negata dal gip Lorenzo Jannelli. Quindi, a tre anni e mezzo di distanza dai fatti, interviene la procura generale che decide di avocare l’inchiestaIl motivo? “Le indagini fin qui espletate appaiono incomplete e all’attività d’intercettazione non è seguita alcuna indagine volta a riscontrare le informazioni acquisite”, scrive il sostituto procuratore generale Luigi Patronaggio nel suo decreto d’avocazione. Per il pg risultano inoltre “incomplete le iscrizioni nel registro delle notizie di reato” e “non sono stati approfonditi i rapporti tra i procacciatori di voto, i beneficiari e la malavita organizzata”.
Nell’udienza camerale fissata dal gip per il 24 marzo, dunque, il pg Patronaggio chiederà di potere ritirare la richiesta d’archiviazione depositata un anno e mezzo fa dai colleghi della procura, ordinando quindi nuove indagini. “Se già la procura della Repubblica, al termine delle indagini, aveva riconosciuto la mia assoluta estraneità a qualsiasi ipotesi di reato, la richiesta di avocazione delle indagini da parte della procura generale non mi turba e anzi farò immediata richiesta per essere sentito in merito a quanto mi viene contestato”, dice Cascio, difeso dall’avvocato Enrico Sanseverino. E in attesa di capire quale sarà il futuro l’inchiesta sui due esponenti di Ncd, le intercettazioni delle Fiamme gialle ricostruiscono il contesto dei rapporti nell’autunno del 2012 all’interno del Pdl, dal quale provengono i due politici indagati. Come quando Cascio, proprio durante le operazioni di voto, chiede ad uno dei suoi fedelissimi: “Gli abbiamo rotto il culo a Scoma? È questo che mi vuoi dire?”. Francesco Scoma, dal 2013 senatore del Pdl (e poi rimasto in Forza Italia) fu eletto sua volta all’Ars nell’ottobre del 2012 con ottomila voti: cinquemila in meno rispetto a quelli ottenuti Cascio. Che nella stessa telefonata, motivava così la possibile debacle del collega di partito: “Secondo me la gente gli ha fottuto i soldi a Scoma. C’è gente che si è pagata le campagne elettorali prossime con i soldi di Scoma”.

mercoledì 23 marzo 2016

La nostra risposta agli attentati di Bruxelles richiede pazienza e moderazione. - Simon Jenkins




Lo scopo del terrorismo non è distruggere o uccidere persone. Il suo scopo è perseguire una causa politica attraverso la pubblicità massiccia che è collegata al terrificante incidente. Le bombe di oggi a Bruxelles , a quanto pare collegate agli attacchi di Parigi lo scorso anno e la cattura di Salah Abdeslam venerdì scorso, sono palesemente lo scopo di fare proprio questo. Uccidere passanti non serve ai terroristi. Ciò che serve deriva dalla nostra reazione ad esso, dalla attenzione del pubblico polarizzata sull'atto e dalla risposta della comunità politica. Pubblicità e risposta sono "idiozie utili" dei terroristi.
Analisi attacchi Bruxelles: erano la loro vendetta per l'arresto di Abdeslam?


Non c'è possibilità che la comunità si renda immune dagli attacchi terroristici. Dal momento che sono casuali, nessuna protezione sarà mai adeguata. Nessuna quantità di lavoro di polizia o di sorveglianza, nessun impiego di eserciti o flotte, per non parlare di missili o armi nucleari, saranno in grado di proteggerla dai loro attacchi. L'Investigazione e la sorveglianza possono fare molto, ma i bombardieri e gli assassini vanno oltre.
Terrore politico è vecchio quanto la guerra. Dalle legioni romane a Bomber Command, instillare orrore nelle popolazioni civili è un'arma standard. "La lotta al terrorismo" non è "la pistola da combattimento".
Ciò che non è stupido (ciò che andrebbe fatto) è cercare di alleviare, e non aggravare, la rabbia che dà luogo ad atti di terrorismo, per diminuire la potenza dell'incidente stesso. Il primo richiede una politica estera più saggia di quanto la maggior parte delle nazioni occidentali hanno mostrato verso il mondo musulmano negli ultimi dieci anni. Il secondo è ancora più difficile da raggiungere. Esso richiede pazienza e moderazione nel pubblicizzare attentati terroristici e nel rispondere alle loro.



E' imprudente ciò che i media fanno, far credere che la sorveglianza e l'investigazione possano evitare le violenze. I media devono fare "report", ma non è necessario farlo con frenesia, quasi godendo morbosamente della violenza causata, come manifestamente ha fatto per la brutalità dello Stato islamico. L'intenzione del terrorista è chiaramente quello di fermare la società occidentale, dimostrando che la democrazia liberale è una farsa e per mettere in evidenza la persecuzione dei musulmani. 
E l'unica risposta per garantire la sicurezza per questi incidenti è smorzare gli animi. 

Ma, il potere, convinto della sua potenza, non osa ammettere che ci sono alcune cose contro le quali non ci può proteggere. 
Così, quando si verificano incidenti da una spinta con il ginocchio e richiede sempre più soldi e sempre più potere. 

Non gli si devono dare.

(traduzione di google e aggiustatine mie)