sabato 19 agosto 2017

I figli dei preti.

boston-globe

Il team "Spotlight" del Boston Globe – quello del film – ha pubblicato la sua ultima inchiesta: sul celibato nella Chiesa cattolica e sui sacerdoti diventati padri.

Il Boston Globe, storico quotidiano di Boston fondato nel 1872, ha pubblicato ieri l’ultima inchiesta di “Spotlight”, il suo team di giornalismo investigativo, uno dei più famosi al mondo. L’inchiesta, divisa in due parti (qui e qui), riguarda i figli dei sacerdoti cattolici, figli “illegittimi” visto che da nove secoli la Chiesa cattolica impone il celibato ai suoi sacerdoti: racconta la storia di alcuni di loro, di come sono venuti a sapere nel corso della loro vita di essere figli di preti, delle difficoltà e problemi che hanno dovuto affrontare e delle risposte che la Chiesa ha dato sul tema negli ultimi anni. L’inchiesta è stata molto ripresa anche per la notorietà ottenuta dal team investigativo del Boston Globe dopo l’uscita del film Il caso Spotlight, nel febbraio 2016, che tra le altre cose ha vinto l’Oscar come miglior film.
Michael Rezendes, autore dei due articoli del Boston Globe e membro del team Spotlight (nel film Spotlight è il giornalista interpretato da Mark Ruffalo), ha raccontato alla trasmissione CBS This Morning di avere cominciato l’inchiesta dopo essere venuto a conoscenza della storia di uno dei molti figli di sacerdoti negli Stati Uniti, Jim Graham, e di avere capito che non era un episodio isolato – un’eccezione, come sostiene la Chiesa da molti anni – ma di una situazione che probabilmente coinvolge migliaia di persone in tutto il mondo: «Capii che era una cosa sistematica e meritava tutta la mia attenzione», ha detto Rezendes. Gli articoli del team Spotlight partono da qui, dalla storia di Graham e dalle sue ricerche – iniziate ormai più di vent’anni fa – per scoprire qualcosa di più sul suo padre biologico.
Graham, ha raccontato il Boston Globe, passò la sua giovinezza e parte della sua vita adulta a chiedersi come mai quello che credeva essere suo padre – John Graham, proprietario di una pompa di benzina a Buffalo, nello stato di New York – lo detestasse così tanto. Nel 1993, quando i suoi genitori erano già morti, Graham tornò a Buffalo, dove incontrò i suoi zii per sapere la verità sul suo passato. Sua zia Kathryn tirò fuori una lettera di un ordine religioso cattolico: mise il dito sulla fotografia che ritraeva un uomo calvo, con lo sguardo triste, che indossava il collarino ecclesiastico, il collarino bianco dei preti: «Solo i tuoi genitori lo sanno per certo, ma quest’uomo potrebbe essere tuo padre». Quell’uomo era il reverendo Thomas Sullivan, che si era laureato al Boston College e che poi aveva studiato da sacerdote a Tewksbury, in Massachusetts. Tempo dopo Graham venne a sapere che quello che aveva creduto per molto tempo essere suo padre, John Graham, aveva scoperto che sua moglie lo aveva tradito con Sullivan, e per questo voleva il divorzio: «Assomigliavo così tanto a mio padre [a Sullivan], devo essere stato [per John Graham] un costante ricordo dell’uomo che gli aveva portato via la moglie».
Oggi Graham sta ancora aspettando la conferma ufficiale che suo padre fosse Sullivan.
Un’alta storia molto intensa raccontata dal Boston Globe è quella di Chiara Villar, una donna di 36 anni che vive nella periferia di Toronto, in Canada. Villar sa di essere figlia di un prete da quando era molto piccola, ma sua madre le ha sempre detto di riferirsi a lui solo come a uno zio: «Mi chiedevo perché non poteva essere mio padre, così ho cominciato a sentirmi in colpa». La madre di Villar, Maria Mercedes Douglas, incontrò Anthony Inneo all’inizio degli anni Settanta a Buffalo. Douglas non sapeva che Inneo era un sacerdote; quando l’aveva conosciuto non indossava il collarino bianco. Dopo essere tornata a Madrid per un periodo, Douglas andò di nuovo a Buffalo, dove aveva degli amici, e iniziò una relazione con Inneo. Quando Inneo le disse di essere un sacerdote, Douglas non ci poteva credere: «Sembrava uno scherzo di cattivo gusto», ha raccontato al Boston Globe. I due continuarono comunque la loro relazione e Inneo le promise che avrebbe lasciato presto il sacerdozio. Poi, un giorno, lei scoprì di essere incinta: «Fu uno shock. Non sapevo cosa fare». Lo disse a Inneo, ma lui rispose che non era ancora pronto a lasciare la sua vita religiosa. Lei cominciò a credere che non l’avrebbe mai fatto.
Fin da quando era piccola, Chiara Villar – la figlia di Douglas e Inneo – sapeva la verità sul padre, ma non poteva dirla a nessuno: «Non penso che loro [i miei genitori] capissero il trauma psicologico che mi avrebbe provocato il fatto di dirmi che dovevo mentire», ha raccontato Villar. Negli anni successivi Inneo andò regolarmente a vedere sua figlia, con la quale aveva un ottimo rapporto, ma Villar era costretta a continuare a mentire: «In privato lui era mio padre, ma in un attimo, quando uscivamo dalla macchina di mia madre, era una cosa tipo, “Ok, Chiara, che Dio ti benedica”. Era tutto un Dr. Jekyll e Mr. Hyde». Quando fu più grande, Villar cominciò a sentirsi in colpa e a considerarsi non meritevole dell’amore di suo padre: cominciò a farsi regolarmente dei tagli sul corpo. Villar non ebbe mai la possibilità di avere una relazione normale e pubblica con suo padre: dopo che Inneo si ammalò di Alzheimer, la sua famiglia lo mise in una casa di cura senza dirle niente. Lei trovò l’indirizzo e andò a trovarlo, ma la malattia era già in fase avanzata e lui non la riconobbe: «Mi ha nascosto tutta la sua vita e poi si è ammalato di Alzheimer, e mi ha dimenticata», ha raccontato Villar al Boston Globe.
Il Boston Globe ha scritto che probabilmente ci sono migliaia di figli di sacerdoti in tutto il mondo: Irlanda, Messico, Polonia, Paraguay, Stati Uniti e molti altri paesi, dovunque ci sia la Chiesa cattolica (quindi ovviamente anche in Italia). Il numero esatto non si può sapere, ma negli ultimi anni molti di loro sono entrati in contatto grazie a un sito internet creato da Vincent Doyle, figlio di un prete cattolico irlandese che ha scoperto la verità sulla sua famiglia quando aveva 28 anni. Grazie al sito, che si chiama Coping International, Doyle ha conosciuto decine di figli di preti, tra cui molte persone che a causa della loro storia – a volte perché costrette a mentire, altre per la mancanza di un sostegno finanziario da parte del padre biologico – hanno avuto problemi psicologici ed economici. Doyle ha anche cercato di rivolgersi direttamente al papa. Nel giugno 2014 andò a San Pietro per assistere alla messa della domenica: quando papa Francesco passò davanti a lui, gli baciò l’anello e gli diede una lettera tradotta in spagnolo che parlava della situazione dei figli dei sacerdoti. A Doyle sembrò che il papa leggesse il primo paragrafo della lettera: «Aveva uno guardo sincero e profondo sul suo viso. Poi strinse la lettera vicino al cuore e disse: “Sì, sì, la leggerò”». Doyle però non ricevette mai una risposta. Nel frattempo la Chiesa cattolica continuò a trattare i figli dei sacerdoti come situazioni negative ma “eccezionali”, minimizzando la dimensione del fenomeno.
Il diritto canonico, il sistema di leggi, regole e principi che la Chiesa usa per governare il mondo cattolico, non spiega come dovrebbe comportarsi la Chiesa nel caso in cui un sacerdote faccia dei figli. Il contributo economico alla madre del bambino dipende dalla generosità del sacerdote, non esiste nessun obbligo:
«Alcuni sacerdoti nei casi analizzati dal Globe hanno preso le loro responsabilità seriamente. Sono padri devoti, anche se in privato. Alcuni hanno promesso alle donne madri dei loro figli che avrebbero lasciato il sacerdozio, ma pochi l’hanno fatto; altri le hanno confortate dicendo che sarebbe stato solo questione di tempo prima che la Chiesa abbandonasse l’obbligo del celibato, decisione che però papa dopo papa, compreso papa Francesco, non è mai stata presa.»
In molti casi i sacerdoti non hanno assunto la responsabilità finanziaria o legale per i loro figli. Dei 10 casi analizzati approfonditamente dal Boston Globe, solo due madri hanno deciso di rivolgersi a un tribunale per ottenere un qualche tipo di sostegno per i loro figli, mentre tutte le altre hanno lasciato che fosse il padre a decidere quanto dare ed essere presente. In altri casi, ha scritto il Boston Globe, non c’è stato nemmeno bisogno che il sacerdote chiedesse segretezza: le madri profondamente cattoliche lo considerano non solo come il padre dei loro figli, ma anche come un rappresentante di Dio. Questo ha fatto sì che le donne vittime di abusi sessuali siano state riluttanti a riportare alle autorità quello che era successo, perché si assumevano spesso la colpa della violenza.
Negli ultimi anni sono stati pochi i leader della Chiesa cattolica che hanno parlato della situazione dei sacerdoti con figli. Uno di loro è stato l’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, che tra le altre cose ha aiutato Doyle a lanciare il suo sito, Coping International. Martin ha detto: «Un bambino ha il diritto di conoscere suo padre e ogni padre ha obblighi fondamentali nei confronti di suo figlio o sua figlia». Di recente la Conferenza episcopale dei vescovi irlandesi ha approvato delle linee guida che chiedono a ogni sacerdote con figli di «affrontare le proprie responsabilità personali, legali, morali e finanziarie», ma non chiedono la rinuncia al sacerdozio. Doyle sperava che una decisione simile fosse presa anche dal Vaticano, ma le cose sono andate diversamente. Il cardinale Sean O’Malley, importante consigliere di papa Francesco e capo della Commissione pontificia per la protezione dei minori, ha scritto un breve comunicatosulla questione in risposta all’inchiesta del Boston Globe. In un passaggio si legge che ciascun sacerdote che ha fatto un figlio ha «un obbligo morale di farsi da parte dal sacerdozio e provvedere alla cura e ai bisogni della madre e del figlio». O’Malley ha aggiunto che la commissione che guida non si occuperò di queste situazioni, perché andrebbero oltre il suo mandato.
Tre anni fa, la commissione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino ha parlato dei casi in cui sacerdoti cattolici avevano costretto le donne incinte dei loro figli a rimanere in silenzio per evitare lo scandalo, in cambio di sostegno finanziario. La commissione aveva chiesto al Vaticano di dire quanti fossero il numero dei bambini figli di sacerdoti, aveva chiesto di scoprire chi fossero e di prendere tutte le misure necessarie per assicurare che i diritti di questi bambini venissero garantiti. Il Vaticano dovrà farlo entro l’1 di settembre di quest’anno.

In Tennessee si offrivano sconti di pena ai detenuti in cambio della loro sterilizzazione.

Christel Ward tennessee
Christel Ward, una delle donne che avevano accettato di farsi impiantare un contraccettivo a lungo termine in cambio di una riduzione della propria pena in un carcere del Tennessee, fuori dal tribunale federale di Nashville, il 17 agosto 2017 (AP Photo/Jonathan Mattise)

Un giudice e uno sceriffo credevano potesse impedire la nascita di bambini con dipendenze da droga, e ora sono sotto processo.

Negli Stati Uniti è cominciata una causa contro un giudice, uno sceriffo e una vicesceriffa del Tennessee che lo scorso maggio offrirono a un gruppo di detenuti un breve sconto di pena se si fossero sottoposti a procedure di sterilizzazione. Gli interventi sarebbero stati definitivi nel caso degli uomini, con una vasectomia, e temporanei ma a lungo termine nel caso delle donne, con il Nexplanon, un impianto contraccettivo ormonale sottocutaneo: un bastoncino di plastica che viene inserito sotto la pelle e rilascia ormoni che per circa tre anni inibiscono l’ovulazione.
Secondo il suo ideatore, il giudice Sam Benningfield, l’iniziativa sarebbe stata proposta per combattere il problema del consumo di droghe, in particolare di farmaci a base di oppiacei, il cui abuso è uno dei più gravi problemi sociali degli Stati Uniti contemporanei. Benningfield sperava di impedire che le donne e gli uomini tossicodipendenti, che una volta usciti di prigione in molti casi tornano a consumare droghe, potessero generare figli a loro volta con dipendenze.
Il 27 luglio Benningfield aveva cancellato l’iniziativa, dopo che i giornali nazionali ne avevano parlato, attirando sul giudice e sull’ufficio dello sceriffo della White County molte critiche e accuse di aver introdotto una pratica di eugenetica. Benningfield aveva in realtà detto di aver cancellato l’iniziativa solo perché il dipartimento della Sanità dello stato del Tennessee si era rifiutato di pagare per le vasectomie dei detenuti e l’impianto dei Nexplanon per le detenute. Molti dei 221 detenuti della prigione di White County avevano comunque accettato lo scambio: a 32 donne sono stati impiantati i Nexplanon, mentre non c’era stato tempo per effettuare le vasectomie ai 38 uomini prima che l’iniziativa venisse cancellata. Lo sconto di pena promesso dal giudice era di 30 giorni.
Nella White County vivono circa 26mila persone, bianche per il 90 per cento, di orientamento politico principalmente conservatore e perlopiù cristiane. In media ogni anno vengono commessi 1.500 crimini, soprattutto furti e reati connessi alle droghe. Le persone che finiscono nel tribunale di Benningfield hanno commesso reati minori, come possesso di droga, guida in stato di ebbrezza, furti per un valore minore di 1.000 dollari o mancati pagamenti degli alimenti per un figlio: la pena massima che il giudice può imporre è di 11 mesi e 29 giorni.
La causa è stata intentata per conto di Christel Ward, una delle donne a cui era stato impiantato il Nexplanon, e di altri 15 detenuti. Ward chiede che l’iniziativa del giudice Benningfield sia dichiarata incostituzionale e che le sia rimosso gratuitamente il Nexplanon che le è stato impiantato; se dovesse pagarsi da sé la rimozione dell’impianto dovrebbe spendere 250 dollari, circa 210 euro. Gli avvocati di Ward e degli altri detenuti ritengono che il vero ideatore dello scambio offerto ai detenuti però non sia Benningfield, ma lo sceriffo della White County Oddie Shoupe e il suo ufficio.
Un’altra delle detenute che si è fatta impiantare il Nexplanon in cambio di uno sconto di pena di trenta giorni è Kristi Seibers, che non aveva precedenti legati alle droghe. È stata intervistata in un lungo articolo di BBC, in cui ha raccontato che il Nexplanon le ha causato una serie di spiacevoli effetti collaterali, tra cui mestruazioni lunghe due mesi, un’infezione vaginale, crampi, aumento del peso e calo del desiderio sessuale, cosa di cui si è accorta dopo essere stata liberata e essere tornata a vivere con il proprio compagno. Inoltre, dopo che l’iniziativa è stata cancellata, sia Seibers che Ward non hanno ottenuto lo sconto di pena promesso: si è scoperto che le loro condanne non prevedevano questa possibilità, cosa che ha messo ulteriormente in discussione lo scambio. Seibers e altre detenute che si sono fatte impiantare il Nexplanon non avevano problemi di consumo di droghe, e per questo molti critici di Benningfield lo hanno accusato di voler semplicemente impedire che detenuti avessero dei figli in generale, e non soltanto dei figli con dipendenze.
L’American Civil Liberties Union del Tennessee ha criticato l’iniziativa dicendo che «una scelta tra la sterilizzazione o i metodi contraccettivi e uno sconto di pena non è una vera scelta», soprattutto perché per molti dei detenuti stare in prigione anche solo per alcuni giorni può portare alla perdita della custodia dei figli, del lavoro o del proprio alloggio. In propria difesa Benningfield e l’ufficio dello sceriffo locale hanno detto che nessuno dei detenuti è stato costretto ad accettare lo scambio.
Gli Stati Uniti hanno una lunga storia di sterilizzazioni forzate degli indigenti, delle persone affette da patologie psichiatriche (al tempo in cui l’omosessualità era ritenuta una malattia) e delle minoranze etniche. In totale 32 stati hanno avuto un programma di sterilizzazioni finanziate dal governo federale nelle proprie prigioni o nei propri manicomi, e in alcuni casi la sterilizzazione era una condizione per essere rilasciati dalle prigioni.
Alcune di queste pratiche sono state portate avanti fino agli anni Ottanta. Nel 2014 il governatore della California ha espressamente vietato le sterilizzazioni nelle prigioni dopo che decine di donne si erano fatte chiudere le tube in carcere senza aver dato un consenso informato legittimo.

Attentato a Barcellona, perché dopo 13 anni la Spagna è tornata nel mirino. - Alberto Negri

Img Description

L’attentato sulle Ramblas di Barcellona , una delle più celebri arterie metropolitane del mondo, il cuore della vita e della movida catalana, è sconvolgente ma non imprevedibile. Soprattutto se, come la rivendicazione dell’Isis fa pensare, venisse accreditata la matrice jihadista.

A parte gli avvertimenti veri o presunti della Cia alle autorità spagnole sulle possibilità di un attentato a Barcellona, la Spagna è da lungo tempo nel mirino. In Spagna sono stati arrestati 636 jihadisti dopo gli attentati ferroviari alla stazione di Madrid del marzo 2004 in cui rimasero uccise circa duecento persone e più duemila ferite. Al Qaeda e lo Stato Islamico hanno una rete di propaganda diffusa e penetrante con cui hanno reclutato diversi jihadisti per andare a combattere in Siria e in Iraq. Un recente studio dell’Instituto Elcano ha rilevato che dei 150 jihadisti arrestati in Spagna negli ultimi quattro anni 124 (l’81,6%) erano collegati allo Stato islamico e 26 (il 18,4%) ad Al Qaeda.

Non bisogna mai dimenticare che cosa significa la penisola iberica nell’immaginario del mondo musulmano su cui puntano le organizzazioni terroristiche di matrice islamica: questo è Al Andalus, il nome che gli arabi hanno dato a quei territori della Spagna, del Portogallo e della Francia occupati dai conquistatori musulmani (conosciuti anche come Mori) dal 711 al 1492. Molti musulmani credono che i territori islamici perduti durante la riconquista cristiana della Spagna appartengano ancora al regno dell’Islam e i più radicali sostengono che la legge islamica dia loro il diritto di ristabilirvi la dominazione musulmana.
Un concetto che emerge in maniera molto chiara nei materiali di propaganda dell’Isis. «Riconquisteremo Al Andalus, col volere di Allah. O carissimo al-Andalus! Pensavi che ti avessimo dimenticato ma quale musulmano potrebbe dimenticare Cordoba e Toledo», si afferma in un video dello Stato islamico. In un opuscolo diffuso dallo Stato islamico si legge che dalla creazione dell’Inquisizione spagnola nel 1478, la Spagna «ha fatto di tutto per distruggere il Corano». Si dice poi che la Spagna ha torturato i musulmani e li ha bruciati vivi. Pertanto, secondo i jihadisti, «la Spagna è uno Stato criminale che usurpa la nostra terra». Il testo esorta esplicitamente i militanti al terrorismo e a «perlustrare rotte aeree e ferroviarie per compiere attentati».

Che un attentato fosse nell’aria lo confermano anche i recenti arresti in Spagna di jihadisti di origine marocchina, una cellula dell’Isis che agiva tra Palma di Maiorca, Madrid, la Gran Bretagna e la Germania. Uno degli arrestati si era recato in varie occasioni a Palma di Maiorca per avviare la struttura terroristica che avrebbe dovuto seminare il terrore nell’isola delle Baleari. Tre dei membri della cellula inoltre sono protagonisti come attori di un video di propaganda, pubblicato su un canale con oltre 12mila sottoscrittori, che mostra il processo di radicalizzazione di un giovane musulmano in Spagna che decide di andare a combattere in Siria. Ma questo non è stato certo l’unico caso. In primavera proprio a Barcellona erano stati arrestati alcuni jihadisti marocchini che erano presenti il 22 marzo 2016 a Bruxelles, nel giorno del duplice attentato dell’Isis all’aeroporto Zaventem e alla metro.


La Spagna tra l’altro è considerata dai gruppi jihadisti uno degli alleati degli americani nella lotta al terrorismo: presenti in Medio Oriente con le truppe in Iraq e in Libano, gli spagnoli hanno il loro fronte più vulnerabile nel Maghreb per la vicinanza geografica al Marocco e le enclave di Ceuta e Melilla, proprio nel territorio del regno alauita. Le statistiche sono abbastanza esplicite: oltre il 45% di tutti i jihadisti arrestati in Spagna è nato in Marocco, il 39% in Spagna e solo il 15% in altri Paesi. Consapevole della centralità della lotta al terrorismo il governo spagnolo nel 2014 ha persino avviato un’applicazione per smartphone, AlertCops, per coinvolgere i cittadini nella segnalazione alla polizia di sospetti jihadisti. Ma restano tutte le difficoltà da parte dei servizi di sicurezza di prevenire un attacco terroristico da parte di piccole cellule o di “lupi solitari”, come hanno dimostrato gli eventi di Parigi, Londra, Manchester, Nizza, Colonia, Berlino, Stoccolma. E ora la ferita del terrore insanguina Barcellona, su quella Rambla, lunga più di un chilometro, che collega Plaça de Catalunya al vecchio porto. Rambla, un nome che deriva proprio dall’arabo e che in queste ore segna un tragico destino.

venerdì 18 agosto 2017

Ecco chi finanzia la cassaforte di Renzi: 2 milioni in un anno. - Stefano Feltri e Carlo Tecce



(il fatto quotidiano) – Per vincere il referendum Matteo Renzi aveva avviato una raccolta fondi senza precedenti: la sua fondazione Open nel 2016 ha quadruplicato il bilancio, i contributi incassati sono passati da 487.635 a 1,9 milioni di euro, più dell’intero Pd che di donazioni ha raccolto soltanto un milione e mezzo. Sono i conti dello scorso anno che la fondazione Open guidata dall’avvocato Alberto Bianchi (che grazie al governo Renzi siede, tra l’altro, nel cda Enel) ha approvato poche settimana fa e che il Fatto ha esaminato.
Per la partita decisiva –poi persa – Renzi aveva scatenato i suoi fundraiser. E alla chiamata molti grandi finanziatori hanno risposto: 48 “persone giuridiche”, cioè aziende e associazioni, hanno versato un milione di euro e 63 persone fisiche 909 mila euro. Poi ci sono 5.800 euro arrivati tramite Pay Pal, contributi classificati come “non identificabili”. Ma i donatori che accettano di essere identificabili sono pochi. E oltre la metà delle risorse raccolte da Open nel 2016 arriva da finanziatori che vogliono restare anonimi. Per non essere collegati a Renzi, si suppone.
LA PARTE della lista conosciuta comprende, tra gli altri, l’armatore Vincenzo Onorato, che versa 50.000 euro a titolo personale e 100.000 euro con la sua Moby. Non solo un atto di generosità: Onorato, negli ultimi due anni, ha lanciato un’offensiva di lobby per imporre sulle navi battenti bandiera italiana solo marittimi italiani (una mossa contro i concorrenti di Grimaldi). La battaglia ha trovato una sponda molto collaborativa tra i deputati renziani. Facile da intuire anche la contropartita per il Gruppo Getra che versa ben 150.000 euro in due tranche: l’11 giugno 2016, Renzi è andato a visitare gli stabilimenti dell’azienda produttrice di trasformatori elettrici (100 milioni di fatturato) a Marcianise. E il presidente Marco Zigon ha dichiarato che “l’ampliamento degli stabilimenti è stato reso possibile dalla virtuosa collaborazione tra azienda, istituzioni e Invitalia”.
Non manca la Alicros, l’azienda del Campari, che sostiene Renzi con 30.000 euro come altri anni. Pagano il loro obolo anche i poteri forti (o quasi) toscani. I fratelli Fratini con Renzi a Firenze hanno buoni rapporti da sempre, nel 2013 hanno perfino venduto palazzo della Gherardesca per 150 milioni di euro all’emiro Al-Thani del Qatar, padre di quello che sarebbe poi diventato assiduo interlocutore dell’ex premier. Dalla loro Fingen arrivano 100.000 euro.
Poi c’è la Karat dei fratelli Bassilichi che ci mette 50.000 euro, e la Corporacion America Italia dell’argentino Eduardo Eurnekian che, forte del suo investimento in Toscana Aeroporti, contribuisce alla causa con altri 50.000 euro. La Big Spaces srl partecipa con 30.000 euro: è una società di Andrea Baccuini che si occupa di eventi ma anche e soprattutto di locali in montagna, a Courmayeur, dove Renzi ha trascorso il capodanno 2015. Ci sono versamenti più misteriosi, come quello da 75.000 euro che arriva dalla “Associazione culturale Azimut”. Esiste a Torino un ente con quel nome che promuove giovani artisti emergenti ma, contattato dal Fatto, non ha risposto.
Sono soltanto due le persone fisiche che scelgono di apparire con nome e cognome, a parte l’armatore Onorato: Dario Parrini, deputato del Pd e segretario del partito in Toscana, che versa giusto una cifra simbolica, 1.050 euro, e Ernesto Carbone, altro onorevole dem che per Renzi tiene i rapporti con molte lobby importanti (lui è più generoso e paga 7.200 euro).
La fondazione Open ha speso questi denari per le attività tipiche di un partito politico, perché Open non ha altra missione che sostenere le iniziative politiche di Renzi, dentro il Pd ma non solo. Nel 2016 Open ha speso ben 126.176 euro per servizi fotografici e ricerche video, poi 243.487 per l’organizzazione di eventi, 503.162 euro per “consulenze tecniche di comunicazione, sondaggi, servizi e social network”, il grosso però è andato per le “campagne promozionali”, ben 872.580 euro. Per le spese telefoniche se ne sono andati 37.768 euro, altri 48.878 per affittare sale, parchi e teatri, 60.000 per le licenze per i software.
Fino al 2015 la fondazione Open non aveva dipendenti. Nel 2016 invece stipula 26 contratti a progetto – una delle forme di precariato che il Job Act renziano aveva promesso di abolire – per la fase più calda della campagna referendaria: dal 20 ottobre al 10 dicembre 2016. Spesa complessiva per il personale: 52.859 euro. Che significa 2000 euro di media a testa, nell’ipotesi che questi siano stati gli unici collaboratori che Open ha pagato nel 2016 (i vertici della fondazione non prendono gettoni per esercitare le proprie cariche).
ALLA FINE dello scorso anno, dopo la sconfitta referendaria, le casse della fondazione Open sono quasi vuote: il bilancio si chiude con una perdita di 165.967 euro e sui conti correnti sono rimasti soltanto 76.511 euro dei 373.396 che c’erano a gennaio. Ripetere gli stessi successi di raccolta tra i finanziatori che dal 2012 appoggiano Renzi sarà ora molto più difficile, visto che la prospettiva del ritorno a Palazzo Chigi dei renziani è assai più remota di quanto poteva sembrare possibile un anno fa la vittoria del “Sì” nel referendum.

mercoledì 16 agosto 2017

Giulio Regeni, Nyt: “Da governo Usa a quello di Renzi prove sul ruolo dei servizi egiziani”. P.Chigi: “Nessun elemento di fatto”.

Giulio Regeni, Nyt: “Da governo Usa a quello di Renzi prove sul ruolo dei servizi egiziani”. P.Chigi: “Nessun elemento di fatto”

Secondo il quotidiano statunitense "informazioni di intelligence esplosive dall’Egitto sul fatto che funzionari della sicurezza egiziana avevano rapito, torturato e ucciso il ricercatore italiano" furono girate dallo staff di Obama all'esecutivo di Roma. La guerra dei servizi, il ruolo dell'Eni e i timori dell'allora ambasciatore italiano. Fonti dell'esecutivo Gentiloni: "Nessuna prova esplosiva". La madre: "Sempre più a lutto".

“Prove esplosive sul coinvolgimento degli apparati egiziani nel rapimento e nell’omicidio di Giulio Regeni. Prove raccolte dall’amministrazione Obama e girate al governo Renzi nelle settimane successive al ritrovamento del corpo”. La clamorosa rivelazione è riferita dal New York Times Magazine a 24 ore dall’annuncio del governo italiano di rimandare l’ambasciatore al Cairo, tra le proteste della famiglia del ricercatore italiano. Fonti di Palazzo Chigi hanno replicato sostenendo che, nei contatti tra amministrazione Usa e governo italiano avvenuti nei mesi successivi all’assassinio del ricercatore, non furono mai trasmessi “elementi di fatto”, come ricorda lo stesso giornalista del New York Times, né “tantomeno prove esplosive”.
Il corpo di Regeni fu ritrovato il 3 febbraio del 2016. Secondo la ricostruzione del New York Times, gli Stati Uniti acquisirono delle “informazioni di intelligence esplosive dall’Egitto: prove del fatto che funzionari della sicurezza egiziana avevano rapito, torturato e ucciso” il ricercatore italiano e, “su raccomandazione del dipartimento di Stato e della Casa Bianca, gli Stati Uniti passarono queste conclusioni al governo Renzi”. In un lungo articolo il giornalista Declan Walsh cita come fonti tre ex funzionari dell’amministrazione Obama. “Avevamo prove incontrovertibili della responsabilità ufficiale egiziana” e “non c’era dubbio”, ma per evitare di identificare la fonte, gli americani non condivisero per intero le informazioni di intelligence, né dissero all’Italia quale agenzia di sicurezza ritenevano fosse dietro alla morte di Regeni, spiega ancora il giornale. “Non era chiaro chi avesse dato l’ordine di rapire e, presumibilmente, ucciderlo”, ha detto al giornalista del Nyt un altro ex funzionario Usa.
“Quello che gli americani sapevano per certo l’hanno detto agli italiani, cioè che la leadership egiziana era pienamente consapevole delle circostanze intorno alla morte di Regeni”, scrive il giornale statunitense, citando poi altri virgolettati: “Non avevamo dubbi che questo fosse noto molto in alto”, dice uno dei funzionari dell’amministrazione Obama, aggiungendo che “non so se fossero responsabili. Ma sapevano. Loro sapevano”. Secondo l’articolo, alcuni funzionari di Obama erano convinti che qualcuno “di alto grado” del governo egiziano potesse avere ordinato l’uccisione di Regeni “per mandare un messaggio ad altri stranieri e governi stranieri, cioè di smettere di giocare con la sicurezza dell’Egitto”.
Fra i retroscena ricostruiti dal New York Times Magazine, inoltre, uno parla di screzi interni allo Stato italiano. “Secondo un funzionario del ministero degli Esteri italiano, i diplomatici erano giunti alla conclusione che l’Eni“, che nell’agosto 2015 “aveva annunciato la scoperta del giacimento di gas di Zohr 120 miglia a nord della costa egiziana”, “si era unita alle forze del servizio di intelligence dell’Italia nel tentativo di trovare una rapida risoluzione del caso”, si legge. Del resto, ricorda l’articolo, “nel 2014 Renzi definì Eni “un pezzo fondamentale della nostra politica energetica, estera e di intelligence”.
Ma “l’avvertita collaborazione fra Eni e servizi di intelligence italiani diventò fonte di tensione all’interno del governo italiano. Ministero degli Esteri e funzionari dell’intelligence cominciarono a essere prudenti gli uni con gli altri, talvolta trattenendo informazioni”. Al punto che un funzionario italiano citato avrebbe detto: “Eravamo in guerra, e non solo con gli egiziani“. Per il giornale americano, inoltre, “i diplomatici sospettavano che le spie italiane, nel tentativo di chiudere il caso, avessero mediato per l’intervista fatta dal quotidiano La Repubblica ad Al Sisi il 16 marzo 2016, sei settimane dopo la morte di Regeni (il direttore Mario Calabresi, autore dell’intervista, afferma che la richiesta è partita dal giornale)”. In quella intervista il presidente egiziano aveva promesso “la verità” sulla morte. Otto giorni dopo furono uccisi cinque egiziani con precedenti penali e la polizia locale sostenne di aver trovato prove che li legavano all’omicidio Regeni. Compreso il passaporto del ricercatore, rinvenuto in un appartamento di uno dei membri della gang. Presto però la narrazione ufficiale fu smentita e lo scorso autunno il procuratore capo egiziano fece sapere che due ufficiali di polizia erano stati accusati di omicidio per aver sparato a sangue freddo ai cinque.
L’inchiesta dà conto anche dei timori dell’allora ambasciatore al Cairo, Maurizio Massari, che dopo la morte di Regeni “iniziò a preoccuparsi della sicurezza dell’ambasciata” e “smise di usare email e telefono per argomenti sensibili, ripiegando, per inviare messaggi a Roma, su una vecchia macchina per la crittografia. I rappresentati italiani temevano che gli egiziani che lavoravano in ambasciata passassero informazioni alle forze di sicurezza egiziane. Notarono che le luci erano sempre spente in un appartamento davanti all’ambasciata, un buon posto dove piazzare un microfono direzionale. Massari, traumatizzato dalla memoria delle ferite sul corpo di Regeni, era diventato un recluso e evitava incontri con gli altri diplomatici”. Nell’aprile 2016 l’ambasciatore fu richiamato a Roma. 
“Fiumicello, 15 agosto 2017, sempre più lutto!”, ha scritto su Facebook la sera di Ferragosto la madre di Giulio Regeni, Paola Deffendi. Il post è accompagnato dalle foto di una bandiera italiana a lutto, che Deffendi ha anche impostato l’immagine come foto del profilo.
Il governo Usa mi fa paura, sa tutto di tutti, vuole essere l'unico a possedere armi nucleari (è anche l'unico ad averle usate), vuole imporre la "sua" democrazia a tutti i popoli della terra.
Non è che sia affetto di protagonismo acuto?
Non è che gli Usa vogliano predominare, essere egemoni?
Oltretutto ci sono le basi per dubitare fortemente di ciò che l'amministrazione Usa afferma, visti i precedenti dei casi eclatanti di prove costruite ad hoc dai servizi segreti americani. 
Mi pare di aver sentito parlare anche di Mi6 britannica invischiata nella faccenda: http://www.marcogregoretti.it/cronaca-misteri/lombra-dell-mi6-lintelligence-britannica-sulla-morte-di-giulio-regeni/

Sierra Leone: 400 morti e almeno 600 dispersi per l'alluvione.

Sierra Leone: 400 morti e almeno 600 dispersi per l'alluvione © AP

Il nuovo bilancio riferito alla Bbc da un portavoce del governo.

Portavoce governo a Bbc. Presidente chiede 'aiuto urgente' ROMA (ANSA) - ROMA, 16 AGO - Almeno 600 persone risultano ancora disperse dopo l'alluvione e l'ondata di fango che lunedì hanno colpito Freetown, capitale della Sierra Leone, dove il numero dei morti accertati si avvicina ai 400. Lo ha dichiarato un portavoce del governo citato dalla Bbc. Il presidente, Ernest Bai Koroma, nelle ultime ore ha lanciato un appello per un "aiuto urgente" affermando che "intere comunità sono state spazzate via".


Ora possiamo solo sperare che il Vaticano, in virtù della sua immensa misericordia, spenda parte delle sue immense ricchezze per aiutare la popolazione colpita dal disastro.

martedì 15 agosto 2017

LE RICCHEZZE DELLA CHIESA CATTOLICA. - Rossana Mela

Risultati immagini per vaticano

Il tema delle ricchezze della Chiesa Cattolica è stato da sempre oggetto di discussioni nel mondo.C'è chi inorridisce di fronte ai tanti dati che negli ultimi 50 anni sono stati dati da giornalisti e scrittori e c'è chi parla di falsità. E' un tema complesso,per cui mi limiterò a dare alcuni dati salienti,spiegando in un secondo momento l'origine di tanto grandi ricchezze.

L'Oro del Vaticano.
La Chiesa Cattolica possiede il secondo tesoro in oro più grande del mondo. La rivista italiana Oggi,nel 1952,stimò questo tesoro in 7.000 milioni di lire (=3.500.000.000 di euro odierni). Un tesoro straordinario,se comparato con i miseri 400 milioni di lire in oro dello Stato italiano e secondo solo a quello degli Stati Uniti. Sono passati quasi 50 anni. A quanto ammonterà il tesoro oggi giorno?Calcolando gli interessi, possiamo stimare l'incremento del valore del tesoro in un 63%, più del doppio quindi. Questo significa che ad oggi il tesoro in oro supererebbe i 7 miliardi di euro.
Il tesoro del Vaticano in metalli preziosi è stato stimato dalla pubblicazione United Nations World Magazine come ammontante a diversi milioni di dollari. Una gran parte di questo tesoro è immagazzinata in lingotti presso la U.S. Federal Reserve Bank, mentre il resto è custodito in banche britanniche ed elvetiche. Questa, comunque, non è che una piccola quota della ricchezza del Vaticano che, nei soli Stati Uniti, è più consistente di quella delle cinque aziende più floride della nazione. Se a questo si aggiungono proprietà immobiliari, azioni e titoli all'estero, la cospicua fortuna della Chiesa cattolica diventa così imponente che risulta impossibile darne una valutazione credibile.(39)

Le azioni del Vaticano
Sembrerebbe incredibile ma la Chiesa possiede anche delle azioni. Le notizie a riguardo sono più facili da trovare e,frequentemente, vari giornali internazionali,come il Der Spiegel o El Pais, ne hanno parlato. Tempo fa avevo parlato degli investimenti della Banca Cattolica Pax. Il giornale Der Spiegel scoprì,nel 2010, che la banca aveva investito in azioni di aziende operanti nel mercato del tabacco, della difesa, di armi e della contraccezione. Due anni prima,nel 2008, vari giornali spagnoli riportarono la notizia degli investimenti azionari degli arcivescovati di Madrid e Burgos nel laboratorio farmacéutico Pfizer. Un'impresa che tra i tanti farmaci fabbrica anche un anticoncezionale. Come dire: quando si tratta di affari non si guarda in faccia a nessuno. Certamente le riserve finanziarie del Vaticano,non si fermano qui. "Sono principalmente concentrate a Wallstrett,la più famosa borsa del mondo. In totale il patrimonio finanziario della Chiesa Cattolica,in azioni e altre partecipazioni, ammontava nel 1958 a 50.000 milioni di marchi tedeschi. '' 4) pág. 153

Una cifra che,nel frattempo. potrebbe aver tranquillamente superato i 100 milioni di euro.
"Il Vaticano possiede enormi investimenti presso gli istituti Rothschild di Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, la Banca Hambros, il Credit Suisse di Londra e Zurigo. Negli Stati Uniti ha ingenti investimenti presso la Morgan Bank, la Chase-Manhattan Bank, la First National Bank di New York, la Bankers Trust Company e presso altri istituti di credito.
Il Vaticano possiede miliardi di quote delle più potenti multinazionali, come Gulf Oil, Shell, General Motors, Bethlehem Steel, General Electric, International Business Machines, T.W.A. etc. Facendo una stima prudenziale, nei soli Stati Uniti tali quote ammontano ad oltre 500 milioni di dollari.
In un documento pubblicato come parte integrante di un prospetto informativo relativo ad investimenti obbligazionari, l'arcidiocesi di Boston ha stimato le sue risorse in seicentotrentacinque milioni di dollari ($ 635,891,004), vale a dire 9.9 volte le sue passività. Questo significa un valore netto di cinquecentosettantuno milioni di dollari ($ 571,704,953). Non è quindi difficile risalire alla stupefacente ricchezza della Chiesa, una volta che aggiungiamo gli introiti delle ventotto arcidiocesi e delle 122 diocesi degli U.S.A., alcune delle quali sono anche più doviziose di quella di Boston.".(39)
La Chiesa di Roma, una volta sommati i suoi patrimoni, è il maggior agente di cambio del mondo. Il Vaticano, indipendentemente dai vari papi di passaggio, si è sempre di più orientato verso gli USA. Il Wall Street Journal ha affermato che le transazioni finanziarie del Vaticano nei soli Stati Uniti sono state così importanti che spesso riguardavano la compravendita di oro per lotti da uno o più milioni di dollari alla volta. (39)
Il tesoro del Vaticano in metalli preziosi è stato stimato dalla pubblicazione United Nations World Magazine come ammontante a diversi milioni di dollari. Una gran parte di questo tesoro è immagazzinata in lingotti presso la U.S. Federal Reserve Bank, mentre il resto è custodito in banche britanniche ed elvetiche. Questa, comunque, non è che una piccola quota della ricchezza del Vaticano che, nei soli Stati Uniti, è più consistente di quella delle cinque aziende più floride della nazione.(39)

Il Vaticano e i suoi consorzi.
"Il Vaticano è il più grande consorzio economico-religioso del mondo. Possiede innumerovoli imprese,negli ambiti più disparati: plastica,elettronica,cemento,acciaio,industria tessile,chimica,alimentare,senza dimenticare il settore immboliare”.. 3)
Gli interessi della Chiesa Cattolica si concentrano anche nell'ambito energetico. L'Italgas,leader nel settore in Italia, appartiene al Vaticano
e ha succursali in 36 città italiane. Senza contare che il Vaticano ha partecipazioni in imprese che fanno parte dei settori più disparati: catrame,ferro,distilleria,acqua potabile,forni a gas,forni industriali,per citarne alcuni.
Dei 180 istituti finanziari italiani almeno un terzo dispone del denaro del Vaticano.(3)pag.244
Il Vaticano è altresì proprietario di molte banche tra le più importanti in italia e possiede partecipazioni bancarie in Europa.Nord e Sud America. Il Vaticano possedeva e possiede un pacchetto azionario di maggioranza in alcune imprese italiane,come ad es. la Fiat e la ex Alitalia. 2) pág. 53
Nella lista di imprese di cui il Vaticano è azionista o proprietario del 1993 l'Alitalia era tra le imprese di cui il Vaticano era azionista,insieme ad altre imprese italiane e straniere importantissime.Olivetti,General Motors,Rotschild Bank,Canal Fox,Shell,per citarne alcune.

Il Vaticano possidente terriero.
La Chiesa Cattolica è il maggior proprietario terriero del mondo occidentale.
Alcuni esempi:
  • Germania: con 8,25 miliardi di m2,il Vaticano è il più grande proprietario terriero tedesco34) pág. 208.
    Pensate che quest'immenso territorio corrisponde alla metà dello stato tedesco di Schleswing-Holstein34) pág. 208 o allo spazio occupato dalle città di Brema.Amburgo,Berlino e Monaco,messe insieme.
  • Italia: più di 500.000 ettari di superficie agraria di proprietà della Chiesa
  • Spagna: circa il 20% di tutta la compagna spagnola
  • Portogallo: circa il 20% di tutta la campagna portoghese
  • Argentina: circa il 20% della campagna argentina
  • Stati Uniti: più di 1.100.000 ettari di superficie agraria.
Nel conto totale praterie e boschi non sono inclusi. 26) pág. 429

Come avrà acquisito la Chiesa Cattolica quest'immensa quantità di terre?

Il Vaticano possidente immobiliare
Il Vaticano è il più grande possessore di immobili mondiale. Pensate che la Chiesa possiede il 20-22% del patrimonio immobiliare italiano. Nel 1977 Palo Ojetti pubblicò sulla rivista l'Europeo(7.1.1977) alcuni dati incredibili sulla città di Roma,arrivando a calcolare che ¼ della città è di proprietà della Chiesa. Pagina su pagina registrò migliaia di palazzi che in parte appartengono alle 325 congregazioni delle monache cattoliche e degli ordini monastici5) Il giornalista si occupò anche sulle proprietà del Vaticano a Verona,scoprendo dalle carte del catasto che circa la metà degli immobili erano segnati di nero. Bene quegli immobili erano di proprietà della Chiesa. Ojetti,infine,sottolineò come questo metodo dovesse essere comune ad altre città. L'articolo non piacque affatto al Vaticano. Esponenti della Santa Sede qualificarono l'articolo come confuso,irresponsabile,scandaloso,anticlericale,impreciso e di basso livello. Ma non finisce qui. Il direttore del quotidiano l'Europeo fu licenziato in tronco.
Abbiamo dovuto aspettare 21 anni per avere un'altra inchiesta sul tema.Il coraggioso giornalista,Max Parisi della Padania,fece un'indagine approfondita sulle proprietà immobiliari del Vaticano a Roma. Nel suo articolo,datato 21 giugno 1998, concluse che 1/3 di tutti gli immobili della capitale è di proprietà della Chiesa Cattolica. 6)
Quest'immobili,dal valore inestimabile,si trovano,in base alla sua inchiesta, nelle zone migliori della città: "Tutta la zona da Campo dei Fiori fino a Palazzo Sant'Angelo,insieme a Piazza Navona e alle strade adiacenti, praticamente,sono di proprietà del Vaticano. Si tratta di qualcosa meno della metà del centro storico. "Solo in questa zona la Chiesa possiede più di 2500 palazzi. La totalità degli immobili non compare nei registri di proprietà del catasto,perchè sono considerate territorio straniero 6)
Ma non finisce qui. Tempo fa è tornato sull'argomento il giornale che, in quest'articolo, parlando delle proprietà del Vaticano a Roma e provincia,diede questi dati:
  • 115.000: sono gli immobili posseduti dal Vaticano a Roma e provincia
  • 1/5 degli immobili di Roma e provincia è del Vaticano
Ma non finisce qui. Tra gli aspetti più interessanti dell'articolo c'è l'elenco delle sigle religiose con il più alto numero di proprietà fra Roma e provincia:
  • la Cei ne ha 16
  • l’Opera romana per la preservazione della fede e la provvista di nuove chiese in Roma 54
  • l’Abbazia di Subiaco 102
  • l’Apsa 306 (comprese le varie sigle)
  • le Ancelle francescane del Buon pastore 55
  • Arcipretura Valmontone 350
  • Arcipretura in Vallepietra 97
  • Beneficio parrocchiale del capitolo di San Pietro-Vaticano 164+201 (oltre a 114 beni amministrati da Hoerner Arturo)
  • capitolo Subiaco 575
  • Canonici Albano Laziale 171
  • Canonici Ariccia 518
  • Capitolo Basilica S. Maria Maggiore 101
  • Caritas 70
  • Vicarie Castel Madama 158
  • Vicariato di Roma 276
  • Suore domenicane Santa Caterina 20
  • Sottocura Sant’Andrea Gallicano 92
  • Società cattolica di assicurazioni Verona 33
  • Suprema congregazione sant’Ufficio 133
  • Santa Sede Città del Vaticano 178
  • Reverenda Fabbrica di San Pietro 139
  • Propaganda Fide e suoi istituti di riferimento (1.139, come pubblicato ieri dal Giornale)
  • Congregazione di S. Vincenzo Pauli 161, Pontificio istituto teutonico 211, Pontifica opera per la preservazione della fede 683
Dati interessantissimi,a cui si aggiunge l'elenco fatto sempre dal Giornale di tutte le proprietò immobiliari della Chiesa a Roma,che ho riportato in quest'articolo. Stiamo parlando di proprietà stimate in 9 miliardi di euro di valore e di proprietà del 100% del Vaticano. 

Delle proprietà del Vaticano in Italia negli ultimi anni si sono occupati giornali e televisioni.Come dimenticare l'inchiesta sulle proprietà della diocesi bolognese fatta da repubblica l'anno scorso. Vi do solo alcuni dati:
  • 1200 immobili di proprietà della Chiesa
  • 3000 proprietà se si considerano le fondazioni. La Lercaro possiede 120 unità fra negozi e magazzini, la Gesù divino operaio arriva a 140. Fra le parrocchie più "ricche" quella dedicata ai santi Savino e Silvestro, in zona Corticella: 65 proprietà.
Numeri incredibili. Per approfondimenti vi rimando agli articoli:
  • Bologna: la classifica delle proprieta' immobiliari della Chiesa
  • Bologna, inchiesta sulle cospicue proprietà della Chiesa
E alla visione della puntata di Exit
  • Il patrimonio immobiliare del Vaticano e della Curia di Bologna
Ma non finisce qua.Il 22 gennaio 2002 sul giornale spagnolo El Mundo vengono pubblicati alcuni dati interessanti sulle proprietà immobiliari della Chiesa in Spagna. "In Spagna la Chiesa Cattolica è una grande potenza immobiliare.Non c'è paese senza chiesa,nè città senza cattedrale,nè monte senza eremita.Si calcola che il patrimonio ecclesiastico comprendo circa 100.000 immobili. O detto in altro modo,l'80% del patrimonio storico-artistico nazionale appartiene alla chiesa. Per esempio,il 70% della città vecchia di Toledo è in mano alla Chiesa. E lo stesso si può dire per Avila,Burgos o Santiago de Compostela.Nessuno sa quale sia la quantità totale del patrimonio ecclesiastico." Quindi anche in Spagna dati incredibili.

Per avere un'idea del patrimonio immobiliare della Chiesa universale, si può prendere come riferimento l'osservazione fatta da un membro della Conferenza cattolica di New York, che ha testualmente affermato: “Probabilmente la nostra chiesa è seconda solo al governo degli Stati Uniti, per quanto riguarda il volume annuo di acquisizioni.” Un'altra dichiarazione di un sacerdote cattolico e ripresa dalla stampa statunitense, è forse ancora più eloquente:”La Chiesa cattolica –ha affermato- dovrebbe essere considerata la maggiore azienda negli Stati Uniti. Abbiamo una filiale in ogni luogo. I nostri capitali ed il patrimonio immobiliare dovrebbero essere più cospicui di quelli di Standard Oil, A.T.& T. e di U.S. Steel messi assieme. Il nostro ruolo di contribuenti dovrebbe essere secondo solo a quello degli uffici delle entrate del governo degli Stati Uniti d'America”.
La Chiesa cattolica è il maggiore potere finanziario e detentore di beni oggi esistente. È il maggior possessore di ricchezze materiali, più di qualsiasi altra singola istituzione, azienda, banca, fiduciaria, governo o stato dell'intero pianeta. Il papa, in qualità di amministratore ufficiale di questo immenso Eldorado, è di conseguenza il più facoltoso individuo del pianeta. Nessuno può realisticamente stimare quanto valga il suo patrimonio in termini di milioni di dollari.(39).