giovedì 16 novembre 2017

Il «whistleblowing» è legge: tutelato il dipendente che segnala illeciti.



Via libera definitivo della Camera dei deputati con 357 voti (contrari Fi e Di con 46 voti; 15 gli astenuti) alla legge che introduce in Italia il cosiddetto whistleblowing, vale a dire la segnalazione di attività illecite nell'amministrazione pubblica o in aziende private, da parte del dipendente che ne sia venuto a conoscenza per ragioni di lavoro. La norma che si compone di tre articoli mira soprattutto alla tutela dei lavoratori.
Pubblica amministrazione. L'articolo 1 modifica l'articolo 54-bis del Testo unico del pubblico impiego (Dlgs n. 165 del 2001), introdotto dalla legge Severino che aveva già accordato un prima forma di tutela per il segnalante, prevedendo un vero e proprio sistema di garanzie per il dipendente. La nuova disciplina stabilisce, anzitutto, che colui il quale - nell'interesse dell'integrità della Pa - segnali al responsabile della prevenzione della corruzione dell'ente (di norma un dirigente amministrativo; negli enti locali il segretario) o all'Autorità nazionale anticorruzione o ancora all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile le condotte illecite o di abuso di cui sia venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto di lavoro, non possa essere - per motivi collegati alla segnalazione - soggetto a sanzioni, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto a altre misure organizzative che abbiano un effetto negativo sulle condizioni di lavoro.
L'eventuale adozione di misure discriminatorie va comunicata dall'interessato o dai sindacati all'Anac che a sua volta ne dà comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica e agli altri organismi di garanzia. In questi casi l’Anac può irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria a carico del responsabile da 5.000 a 30.000 euro, fermi restando gli altri profili di responsabilità. Inoltre, l’Anac applica la sanzione amministrativa da 10.000 a 50.000 euro a carico del responsabile che non svolga le attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute. La misura della sanzione tiene conto delle dimensioni dell'amministrazione.
Spetta poi all'amministrazione l’onere di provare che le misure discriminatorie o ritorsive adottate nei confronti del segnalante sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione. Gli atti discriminatori o ritorsivi adottati dall'amministrazione o dall'ente comunque sono nulli. Il segnalante licenziato ha diritto alla reintegra nel posto di lavoro e al risarcimento del danno. Le tutele invece non sono garantite nel caso in cui, anche con sentenza di primo grado, sia stata accertata la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque reati commessi con la denuncia del medesimo segnalante ovvero la sua responsabilità civile, nei casi di dolo o colpa grave.
Il settore privato 
L'articolo 2 estende al settore privato la tutela del dipendente o collaboratore che segnali illeciti o violazioni relative al modello di organizzazione e gestione dell'ente di cui sia venuto a conoscenza per ragioni del suo ufficio. La disposizione dunque modifica l'articolo 6 del Dlgs 231 del 2001 sulla “Responsabilità amministrativa degli enti”, con riguardo ai modelli di organizzazione e di gestione dell'ente idonei a prevenire reati. In particolare, sono aggiunti all'articolo 6 tre nuovi commi. Il comma 2-bis, relativo ai requisiti dei modelli di organizzazione e gestione dell'ente prevede uno o più canali che, a tutela dell'integrità dell'ente, consentano a coloro che a qualsiasi titolo rappresentino o dirigano l'ente, segnalazioni circostanziate di condotte costituenti reati o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell'ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte. Tali canali debbono garantire la riservatezza dell'identità del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione, e la modalità informatica è uno strumento necessario, e non eventuale, del canale a tutela della riservatezza dell'identità del segnalante.
Inoltre si chiarisce che le segnalazioni devono fondarsi su elementi di fatto che siano “precisi e concordanti”.
I modelli di organizzazione devono prevedere sanzioni disciplinari nei confronti di chi violi le misure di tutela del segnalante. Mentre si è previsto l'obbligo di sanzionare chi effettua, con dolo o colpa grave, segnalazioni che si rivelino infondate. 
Il comma 2-ter prevede che l'adozione di misure discriminatorie nei confronti dei soggetti segnalanti possa essere oggetto di denuncia all'ispettorato Nazionale del Lavoro. Il comma 2-quater sancisce la nullità del licenziamento ritorsivo o discriminatorio del segnalante. Sono altresì nulli il mutamento di mansioni o qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del segnalante. Come nel settore pubblico è onere del datore di lavoro dimostrare che l'adozione di tali misure siano estranee alla segnalazione mossa dal dipendente.
La rivelazione del segreto 
L'articolo 3, introdotto nel corso dell'esame al Senato, con riguardo alle ipotesi di segnalazione o denuncia effettuate nel settore pubblico o privato, introduce come giusta causa di rivelazione del segreto d'ufficio, professionale (art. 622 c.p.), scientifico e industriale, nonché di violazione dell'obbligo di fedeltà all'imprenditore, il perseguimento, da parte del dipendente pubblico o privato che segnali illeciti, dell'interesse all'integrità delle amministrazioni (sia pubbliche che private) nonché alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni. La giusta causa opera dunque come scriminante, nel presupposto che vi sia un interesse preminente (in tal caso l'interesse all'integrità delle amministrazioni) che impone o consente tale rivelazione.
Costituisce invece violazione dell'obbligo di segreto la rivelazione con modalità eccedenti rispetto alle finalità dell'eliminazione dell'illecito. In questi casi non trova dunque più applicazione la giusta causa e sussiste la fattispecie di reato a tutela del segreto.

mercoledì 15 novembre 2017

Consip, ecco l’email da cui partì la fuga di notizie che bruciò l’inchiesta. - Marco Lillo



Poche settimane prima della soffiata che ha bruciato l’indagine, Scafarto ha informato il vicecapo del Noe, Sessa, dell’inchiesta in corso.


Poche settimane prima che la fuga di notizie bruciasse l’inchiesta Consip un appunto scritto da Gianpaolo Scafarto, contenente gli elementi fondamentali dell’inchiesta segreta in corso, è stato inviato via mail al numero due del NoeAlessandro Sessa
Quella mail potrebbe essere fondamentale nell’indagine che la Procura di Roma svolge da più di 10 mesi per trovare riscontri alle accuse dell’ex amministratore di Consip Luigi Marroni nei confronti del Comandante dell’Arma, Tullio Del Sette, indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento. Il documento, che Il Fatto è in grado di svelare, è sequestrato perché allegato a una mail contenuta nella memoria del cellulare di Scafarto ad aprile. Le mail sono agli atti dell’inchiesta che vede indagati anche il ministro Luca Lotti e il generale Emanuele Saltalamacchia ma non sono state valorizzate dagli investigatori romani.
Il 23 giugno, alle quattro di pomeriggio, il capitano del Noe, invia una mail al colonnello Sessa. Quel giorno Scafarto aveva depositato un’informativa ai pm di Napoli nella quale ipotizzava che Marroni fosse influenzabile dal giro di Alfredo Romeo. Marroni era infatti in contatto con l’ex Ad Domenico Casalino, amico di Italo Bocchino, consulente di Romeo. Lo stesso giorno Scafarto invia al suo superiore un appunto con i contenuti essenziali dell’informativa appena consegnata. Il capo di entrambi, il numero uno del Noe Sergio Pascali, è tenuto all’oscuro perché Marroni è amico del generale Saltalamacchia, a sua volta amico di Pascali. Gli appunti inviati a Sessa quel giorno sono in realtà due. Alle 16 parte la prima mail con allegato un file word contenente un appunto di poche pagine. Scafarto descrive le intercettazioni ambientali negli uffici di Romeo e quelle telefoniche su Romeo, sul suo legale Stefano Vinti, su Italo Bocchino, sull’ex presidente della Consip Domenico Casalino e sul presidente allora in carica Luigi Ferrara. Tutto lecito, sia chiaro. La mail veicola informazioni di un sottoposto a un superiore tenuto anche lui al segreto. Il punto è un altro: che fine hanno fatto quelle informazioni delicate?
Scafarto scrive i nomi degli intercettati e i loro numeri di telefono. Marroni (che poi riceverà a luglio le prime soffiate) nell’appunto non è indicato esplicitamente come intercettato ma si capisce che i pm puntano su di lui anche se non sanno nulla ancora dei suoi rapporti con Tiziano Renzi e Carlo Russo, che entrerà in scena ad agosto. Marroni infatti in quel momento da un lato gestisce la gara da 2,7 miliardi che interessa a Romeo e dall’altro è in contatto con l’ex presidente Consip Casalino, a sua volta in rapporti con il consulente di Romeo, Bocchino. Un’ora dopo a Sessa arriva un secondo appunto senza nomi. Nel file di word modificato rispetto alla prima versione ci sono solo le iniziali e i puntini omissano i numeri di telefono. Se l’appunto fosse stato scritto per uso e consumo di Sessa, non avrebbe senso la seconda versione anonima. Dunque la domanda è: chi era il destinatario ultimo dell’appunto inviato a Sessa? Chi voleva sapere dal colonnello cosa bolliva nella pentola Consip?
I magistrati romani hanno sentito tre volte Sessa. Prima come persona informata dei fatti ad aprile 2017, poi due volte come indagato di depistaggio a giugno 2017. Le due mail del 23 giugno 2016 non gli sono mai state contestate. Eppure il punto centrale dell’indagine è capire se esista una relazione tra queste due mail del 23 giugno e la fuga di notizie che brucia l’indagine Consip a luglio 2016. Marroni al Noe il 20 dicembre 2016 racconta: “Luigi Ferrara mi ha notiziato di essere intercettato lui stesso e che anche la mia utenza era sotto controllo per averlo appreso direttamente dal Comandante Generale dei Carabinieri Tullio Del Sette; questa notizia l’ho appresa dal Ferrara non ricordo con precisione ma la notizia la colloco tra luglio e settembre 2016 e comunque non ad agosto in quanto ero in ferie”. Poi ai pm napoletani Marroni aggiunge: “Fu Lotti a dirmi che l’attività di indagine e le intercettazioni che riguardavano il Romeo avevano riguardato anche il Casalino, e che io ero stato investito da tali operazioni di intercettazione come successore del Casalino”. Sia il contenuto (indagini partite su Casalino ed estese a Marroni, intercettazioni ambientali e telefonino di Ferrara ascoltato dal Noe) sia la data della fuga di notizie a luglio sono compatibili con l’appunto inviato da Scafarto e finito nelle mani di Sessa a fine giugno.
Come se non bastasse i pm romani hanno già nelle loro carte un messaggio whatsapp del 7 settembre di Scafarto a Sessa che si spiega valorizzando le mail del 23 giugno ignorate finora dagli investigatori. In quel messaggio c’è la prova che Sessa e Scafarto si scrivono di avere informato il Capo di Stato Maggiore Maruccia di ‘tutto‘ quello che accadeva nell’inchiesta Consip. Due mesi e mezzo dopo l’appunto di Scafarto del 23 giugno a Sessa, lo stesso Scafarto sembra accusare il generale Maruccia e Del Sette di avere avuto un ruolo nella trasformazione della sua notizia legittima ai superiori in una fuga di notizie devastante per l’inchiesta Consip.
Il 7 settembre 2016 Scafarto scrive: “Io credo sinceramente … che sia stato un errore parlare direttamente di tutto con il capo attuale (…) adesso la situazione potrebbe precipitare, con fuga di notizie, che potrebbero farci passare un brutto quarto d’ora”. Cosa era accaduto? Marroni e Ferrara non parlavano più al telefono. In pm erano infuriati e Scafarto, che ricordava bene l’appunto del 23 giugno a Sessa, confidava allo stesso Sessa i suoi sospetti su Maruccia perché a lui era stato detto ‘tutto’.
Perché Scafarto scrive il 7 settembre 2016 a Sessa? Perché quel giorno scopre che Marroni e il comandante Del Sette si sono incontrati. “A me – scrive Scafarto – sembra strano questo incontro. Mi sa che dobbiamo mettere sotto Gaetano (Maruccia, ndr). E mettergli anche un ambiente luce in ufficio, sia a lui che a Tullio (Del Sette, ndr)”. Del Sette e Maruccia hanno sempre affermato di non avere avuto informazioni precise sulle intercettazioni in corso. La fuga di notizie descritta da Marroni non sarebbe quindi farina del loro sacco perché non sapevano abbastanza. Sessa, che è un sottoposto di Maruccia e Del Sette, recentemente trasferito dal Noe, non ha smentito la loro versione. I carabinieri di Roma che indagano sulla fuga di notizie sono anche loro sottoposti di Maruccia e Del Sette, confermato al suo posto con una scelta scellerata da Paolo Gentiloni a gennaio. Finora non hanno fatto molto per smentire la versione dei loro capi. Vediamo cosa farà la Procura.

Usa, primo Dna modificato su un paziente. "Così cureremo alcune malattie metaboliche".

Usa, primo Dna modificato su un paziente. "Così cureremo alcune malattie metaboliche"
Brian Madeux, 44 anni, con la sua compagna Marcie Humphrey, in attesa di ricevere il trattamento (ap).

L'esperimento a Oakland (California) su un 44enne affetto da una rara malattia metabolica. L'esito del trattamento sarà noto fra tre mesi. La tecnica verrà testata anche per l'emofilia. Novelli: risultato straordinario e non vedo grossi rischi.

Un 'nuovo' Dna per curare un paziente. Il primo esperimento al mondo su un adulto è stato fatto lunedì scorso a Oakland, in California, su Brian Madeux, 44enne affetto da una rara malattia metabolica congenita chiamata sindrome di Hunter. 
I medici sono intervenuti con l'editing dei geni con l'obiettivo di 'aggiustare' il gene che ha causato la patologia di cui soffre sin dalla nascita. Bisognerà attendere circa un mese per avere i primi segnali di successo mentre in tre mesi i test confermeranno o meno il risultato. "Sono disposto a correre questo rischio e spero di aiutare altre persone malate", ha detto il paziente all'Associated Press.

La modifica del Dna 'in corsa', direttamente nel corpo di un uomo, non era mai stata tentata fino ad ora. Il rischio è che il gene 'correttivo' si inserisca in modo imprevisto nella sequenza del genoma, causando nuove anomalie - e quindi altre possibili patologie, come il cancro - invece di sanare il difetto all'origine. 
E poiché, una volta inserita nel Dna, la modifica diventa irreversibile è chiaro che se qualcosa dovesse andar male non ci sono margini per tornare indietro. La tecnica, già sperimentata con successo sugli embrioni degli animali, verrà testata anche per altre malattie metaboliche, inclusa l'emofilia.

LEGGI La famiglia Crispr si allarga: è possibile modificare anche l'Rna

È come avere inviato un mini chirurgo nel corpo del malato per intervenire su di lui, ha spiegato il dottor Sandy Macrae, presidente della Sangamo Therapeutics, società californiana che sta testando la terapia per curare due malattie metaboliche, oltre all'emofilia.

La tecnica di manipolazione del genoma umano, usando Crispr-Cas9è stata applicata con successo in Cina per curare un malato di cancro. In quel caso, il codice genetico era stato mutato in modo efficace, senza produrre mutazioni indesiderate.
''Stiamo davvero giocando con Madre Natura" e i rischi reali non sono del tutto sconosciuti, ma la scienza non può fermarsi di fronte alle malattie incurabili, ha spiegato il dottor Eric Topol dello Scripps Translational Science Institute di San Diego. Finora gli esperimenti condotti sugli animali sono incoraggianti, come ricorda anche il dottor Howard Kaufman del National Institutes of Health di Boston che ha approvato gli studi, sottolineando che i test sulla sicurezza fanno ben sperare e che la posta in gioco è troppo alta per non tentare questa strada. Ed è entusiasta Giuseppe Novelli, genetista e rettore dell'università romana di Tor Vergata. "E' la prima volta al mondo che si tenta un gene editing su una malattia metabolica e su un uomo adulto - spiega - ed è una notizia straordinaria. L'unico rischio potenziale è quello che noi definiamo starget, con una s davanti alla parola target: vuol dire che durante le procedure di modifica del Dna ottieni una modifica anche dove non avevi intenzione di operarne. Quando lo abbiamo fatto con i virus lo starget ha attivato dei geni che hanno innescato dei tumori. Ma normalmente non accade nulla, perché la stragrande maggioranza del nostro Dna non è strettamente necessario. Come facciamo a vedere che c'è stato uno starget? Bisogna leggere tutto il Dna, con le tecniche di sequenziamento, per operare una verifica. Comunque, come disse un collega presentando la tecnica a Berkley, è più probabile che ci cada un meteorite sulla testa che si verifichino problemi con questa tecnica".

Circa 10mila persone nel mondo soffrono di malattie metaboliche, come quella di Madeux, molte delle quali sono spesso causa di morte prematura. La sindrome di Hunter, in particolare, è causata dall'assenza di un gene in grado di produrre un enzima che permette l'omeostasi dei tessuti, provocando raffreddori e infezioni frequenti all'orecchio, deformazioni al viso, danni a vie respiratorie e a vari organi, fino a colpire intestino e cervello. 

La terapia consiste nel rimpiazzare l'enzima mancante, ma è invasiva (si effettua con trasfusioni) e costosa (da 100 a 400mila dollari all'anno). Una soluzione diversa - e definitiva - come il gene editing, risolverebbe i problemi di tanti malati, che oggi muoiono in giovane età.

Brian Madeux, laureato e proprietario di due ristoranti nello Utah, ora vive vicino a Phoenix ed è fidanzato con un'infermiera, Marcie Humphrey, incontrata 15 anni fa in uno studio che ha testato questa terapia enzimatica all'ospedale pediatrico UCSF Benioff di Oakland, dove è stato eseguito l'esperimento di manipolazione genetica. Durante il trattamento, Madeux ha raccontato la sua via crucis ai media Usa, spiegando di avere subito continuamente interventi chirurgici a causa della sua malattia e di avere rischiato di morire poco tempo fa per una polmonite. La sua passione, quando la sua malattia glielo permette, è cucinare per le celebrità, ha spiegato Madeux. E spera di tornare a farlo quanto prima, così come andare a cavallo nel tempo libero.


http://www.repubblica.it/salute/2017/11/15/news/usa_scienziati_provano_a_modificare_dna_in_un_paziente-181147279/

Salta l'ultimo blitz del fisco: niente premio a chi ci tassa. - Antonio Signorini



Ritirata in extremis la norma che prevedeva per l'Agenzia delle Entrate lo 0,8% sugli incassi. Stop a bollette di 28 giorni.

Quando Matteo Renzi rottamò Equitalia sembrava che l'era della lotta all'evasione con incentivo all'incasso fosse finita.
Chiusa la stagione degli accertamenti facili e della «compliance», che nella versione italiana sembra tanto una minaccia al contribuente: paga, magari più del dovuto, oppure iniziano i controlli veri.
E invece no. Il fisco versione fundraising molesto piace ancora. La sinistra che tuona contro il neoliberismo continua a proporre metodi tipici del privato applicati alla riscossione di imposte, tasse e accise. Come con l'aggio, che è sopravvissuto alla fine della società di riscossione.
L'ultimo capitolo di questa saga è contenuto in un emendamento del relatore in commissione Bilancio del Senato al decreto fiscale, dentro la riforma delle «agenzie fiscali», quindi Entrate, Dogane e Monopoli. Emendamento che, in corner, è stato ritirato grazie alle pressioni di Ala, il movimento di Denis Verdini, ma che ci ha fatto rischiare un ennesimo sfregio del Fisco.
La proposta ispirata dal governo prevede che i tre bracci operativi del ministero dell'Economia si mantengano autonomamente con una provvigione sui rispettivi tributi, cioè con una quota del gettito, che nel caso dell'Agenzia delle entrate è fissata allo 0,823% mentre per Dogane e Monopoli allo 0,1338%. 
Oggi il sistema è misto. Su circa 3,3 miliardi di costi operativi delle Entrate solo 300 milioni arrivano dalle provvigioni, con il decreto fiscale tutto bilancio delle agenzie dipenderà dalla provvigione. La percentuale è stata tarata per garantire alle agenzie gli stessi fondi di oggi, con limiti alle variazioni (mai più o meno del 3% del bilancio precedente). Ma l'idea alla base dell'emendamento è «una follia», ha commentato Enrico Zanetti, ex viceministro dell'Economia oggi segretario di Scelta Civica. Per proporla «bisogna essere al tempo stesso completamente sganciati dalla realtà e comunisti nell'anima». «Il sistema di incentivi legati al gettito produce inevitabilmente un meccanismo che spinge a sparare in alto sugli accertamenti per fare una buona performance di incasso», spiega Zanetti. 
In altre parole, le Agenzie in base all'emendamento bloccato sarebbero state spinte a incassare il più possibile, non il dovuto. Tutto pur di fare crescere il bilancio. Ma c'è anche un problema di «credibilità», segnala Zanetti. Come si può «continuare a spacciare il ruolo di garanzia» delle agenzie fiscali quando il loro bilancio dipende da un aumento del gettito?
Oltre ai problemi tecnici ci sono quelli politici. Intanto la paternità dell'emendamento, che sembra scritto più dai bersaniani di Mdp che dal Pd di Renzi. Poi il rischio che le tre agenzie fiscali del ministero dell'Economia si trasformino in lobby contro i tagli alla pressione fiscale. La pubblica amministrazione ha un potere notevole nell'indirizzare scelte che spetterebbero esclusivamente alla politica.
La commissione Bilancio del Senato ha approvato l'emendamento Pd, riformulato dal relatore Silvio Lai, che ferma la fatturazione a 28 giorni per i servizi delle imprese telefoniche, delle pay tv e internet, stabilendo scadenze mensili o per multipli del mese. Aumentate le sanzioni a carico delle società che non si adegueranno entro 120 giorni e indennizzi forfettari per i consumatori. Lo stop ai 28 giorni riguarda anche i piani tariffari in modalità prepagata e per la clientela business, grandi clienti affari e partite Iva. Escluso gas ed energia, settori per i quali è già intervenuta l'Authority per l'energia.

i colori del tempo, i vestiti della terra.

L'immagine può contenere: uccello
Primavera

L'immagine può contenere: oceano, acqua e natura
Estate

L'immagine può contenere: frutta e cibo
Aututtno

L'immagine può contenere: montagna, cielo, spazio all'aperto e natura
Inverno

Il mistero della stella KIC 8462852: una grande anomalia nello Spazio e l’ipotesi della mega-struttura aliena. - Beatrice Raso



Un bizzarro sfarfallio di luce dallo spazio ha portato alla scoperta di una stella ancora misteriosa chiamata KIC 8462852, altrimenti conosciuta come “Tabby’s Star”, “Boyajian’s Star” o la stella circondata da una “megastruttura aliena”.
La stella e il suo strano sfarfallio hanno generato titoli dal 2015, quando l’oggetto è stato osservato per la  prima volta. Quell’anno, il Kepler Space Telescope, che percorre la Terra come il pianeta orbita il sole, stava cercando pianeti simili alla Terra intorno a migliaia di stelle quando scoprì KIC 8462852.
Di norma, un pianeta che passa davanti ad una stella riduce la luce che raggiunge la Terra da quella stella, una piccola flessione che si ripete a intervalli regolari. KIC 8462852 non ha avuto questo tipo di oscuramento. Per cominciare, la stella si è oscurata più di quanto sarebbe successo se un pianeta stesse passando davanti ad essa; i pianeti potrebbero tagliare la luminosità di una stella dell’1% se sono enormi, come Giove. La luce di KIC 8462852 è calata fino al 22%. Inoltre, il modello dei cambiamenti non è stato regolare, come sarebbe successo se un pianeta stesse passando davanti alla stella.
   
Ci sono diverse idee su quale potrebbe essere la fonte dei cambiamenti di luminosità. Le spiegazioni includono frammenti di comete, un pianeta ad anelli come Saturno o un campo asteroidico prodotto come se un pianeta si disintegrasse. Generalmente, gli astronomi non pensano siano alieni. E ultimamente, alcuni ricercatori hanno proposto che si tratti di una nuvola di polvere irregolare.

Inizialmente, però, alcuni pensarono che la stella avrebbe potuto ospitare una megastruttura: una costruzione gigantesca costruita da una civiltà aliena che orbitava intorno alla stella. Una tale struttura potrebbe spiegare i modelli nella luce della stella.
Ma gli appassionati di fantascienza vogliono sapere – se fosse una struttura aliena – quanto dovrebbe essere grande per creare l’oscuramento della luce che gli scienziati hanno osservato? KIC 8462852 è una stella di tipo F, più calda del sole e a circa 1,300 anni luce dalla Terra, dove un anno luce corrisponde a circa 5.9 trilioni di miglia (9.5 trilioni di kilometri). Tuttavia, tale distanza è una stima, e la stella potrebbe essere distante da 1,680 anni luce a 1,030. La stella è circa 1.43 volte la massa del sole e 1.58 volte il suo diametro – quindi è circa 1.37 milioni di miglia (2.2 milioni di kilometri). (Per avere un’idea di quanto sia grande, circa i 455 Stati Uniti, considerati in lunghezza, potrebbero essere inseriti all’interno di questa megastruttura aliena.)
Qualsiasi struttura costruita intorno a questa stella dovrebbe essere abbastanza grande da bloccare la luce della stella in ogni modo evidente. L’astronomo David Kipping della Columbia University, che ha cercato le lune esoplanetarie, ha stimato che se tutto ciò che sta passando davanti alla stella è un oggetto o una serie di oggetti discreti, dovrebbe essere nell’ordine di cinque volte il raggio del sole, e più grande della KIC 8462852 stessa.
In prospettiva, immaginate qualcosa di talmente grande che se passasse tra il sole e la Terra, l’eclissi durerebbe per diversi giorni, forse settimane, mentre la struttura si sposta. Il raggio del sole è di circa 432,288 miglia (695,700 km). Per una struttura cinque volte più grande – 2.16 milioni di miglia (3.4 milioni di kilometri) in tutto, un segnale radio impiegherebbe 11.6 secondi per viaggiare da un’estremità all’altra (occorrono 1.3 secondi per lo stesso segnale per viaggiare dalla Terra alla luna).
Nel 1960, il fisico Freeman Dyson ha proposto che una civiltà sufficientemente avanzata potrebbe costruire una sfera intorno ad una stella e sarebbe in grado di catturare tutta l’energia radiante della stella (gli osservatori terrestri lo avrebbero rilanciato come luce infrarossa, quindi la stella sarebbe simile a una gigante fonte di calore). Ma Tabby’s star chiaramente non è circondata da una sfera solida, considerato che possiamo vedere la luce della stella. Il tipo di megastruttura aliena che si potrebbe immaginare intorno a questa stella sarebbe uno sciame di piccoli corpi disposti in una formazione sferica, o forse un grosso oggetto o un insieme di oggetti che passa regolarmente davanti alla stella.

Il primo è chiamato uno sciame di Dyson, e sarebbe più facile da costruire rispetto ad una sfera. Se la stella fosse circondata da uno sciame Dyson, ogni satellite dovrebbe avere almeno la grandezza di un asteroide, e ne servirebbero molte migliaia. Se stanno orbitando a distanze paragonabili ai pianeti interni del nostro sistema solare, i loro periodi, o il tempo che serve loro per fare una rivoluzione intorno alla loro stella ospite, sarebbe da qualche mese a qualche anno, seguendo le leggi di Keplero sul moto dei pianeti.
Tabby’s star potrebbe essere circondata da una struttura ad anelli simile ai romanzi “Ringworld” di Larry Niven? Un tale anello, se costruito intorno al sole, dovrebbe essere di circa 93 milioni di miglia (149 milioni di km) come raggio, o circa 584 milioni di miglia (940 milioni di km) come circonferenza. È così grande che nessun materiale conosciuto potrebbe sopravvivere alle sollecitazioni; Niven dovette trovare un materiale fittizio chiamato scrith. L’astrofisica Katie Mack, ha riferito alla BBC che servirebbe qualcosa che fosse legato in maniera più forte rispetto ai legami molecolari ordinari. I libri di Niven portano un Ringworld che è largo circa un milione di miglia (1.6 milioni di km), abbastanza grande da bloccare la luce dalla sua stella madre se fosse nella linea di vista di un osservatore. Ma il modello di luce eclissante di Tabby’s star non sembra adattarsi a ciò che si vedrebbe come un anello; l’oscuramento non mostrerebbe le irregolarità che mostra con una tale struttura, secondo Mack.
Si potrebbe immaginare un vasto anello di Dyson, però, con satelliti larghi miglia collocati ad intervalli intorno a Tabby’s star. Ma anche in questo caso, per essere visibili, i satelliti avrebbero bisogno di un ordine di grandezza più ampio rispetto a qualunque spazio che l’uomo abbia mai cercato di costruire o colonizzare, secondo Mack – anche l’ISS misura solo 368 piedi (108 metri), ed è troppo piccola per poter essere vista da “vicino” quanto Marte, per non parlare di distanza in anni luce.
Il più piccolo esopianeta che Keplero ha trovato è più grande della luna della Terra. Chiamato Kepler 37b, è anche molto più vicino alla Terra rispetto a Tabby’s star, distante solo 215 anni luce. Se Tabby’s star è circondata da satelliti, dovrebbero essere persino più grandi della Death Star di “Star Wars”, che è riportata in diverse fonti correlate al franchise come 60 miglia (100 kilometri) in tutto.
Allora perché gli scienziati pensano che non siano gli alieni la spiegazione dell’oscuramento di Tabby’s star? Uno dei motivi è che una megastruttura aliena emetterebbe la radiazione nell’infrarosso in modo specifico. Qualsiasi oggetto che viene illuminato da una stella vicina riflette una certa luce e assorbe il resto, e quella luce assorbita viene riavvolta in lunghezza d’onda più lunga. Fondamentalmente, gli oggetti si riscaldano. In un discorso al Search for Extraterrestrial Intelligence (SETI) Institute di Mountain View, California, nell’agosto 2016, l’astronomo Jason Wright della Penn State University ha detto che gli studi sulla luce della stella non hanno mostrato alcun segno di tale “spreco di calore” con Tabby’s star.
L’altra questione è che tali megastrutture sarebbero difficili da mantenere stabili. Uno sciame di satelliti in orbita alla fine si sarebbe sistemato in una disposizione simile ad un disco assente ai controlli attivi ,perché qualsiasi oggetto che orbita intorno a un altro o ruota ha una forza centripeta – ecco perché la Terra è leggermente appiattita. Lo stesso vale per anelli e sciami di Dyson. Il futurista Anders Sandberg osserva sul suo sito che illustra i principi della sfera di Dyson che una struttura che potrebbe rimanere stabile è una bolla di Dyson, fatta di satelliti giganteschi di miglia quadrati che rimangono in posizione a causa della pressione delle radiazioni, in vele solari enormi.  Ma per rimanere in posizione, quei satelliti dovrebbero essere stazionari rispetto alla stella madre, in modo da non causare oscuramenti anomali nel tempo come visto con Tabby’s star.

http://www.meteoweb.eu/2017/11/stella-mega-struttura-aliena-spazio/1002053/#xQhlC6smcqxuSIq8.99

lunedì 13 novembre 2017

Paradise papers: i trust di Jersey dei Bonomi, il tesoro dei Rovelli, Vitrociset e i Legionari di Cristo. - Angelo Mincuzzi

Gli uffici della Appleby a St Helier, Isola di Jersey (Afp)
Gli uffici della Appleby a St Helier, Isola di Jersey (Afp)

Tre trust domiciliati nell'isola di Jersey controllano la holding lussemburghese Investindustrial Sa, il fondo che ha gestito alcune delle più importanti operazioni di acquisizioni, riassetto e ricollocamento societari degli ultimi anni in Italia. 
Dalla Ducati a Permasteelisa, da B&B Italia al colosso del gioco d'azzardo legale Snaitech. Il fondo è guidato da Andrea Bonomi, classe 1965, il finanziere che nel 2016 ha perso la sfida (vinta da Urbano Cairo) per il controllo del Corriere della Sera. 
Ciò che si sapeva finora è che Investindustrial era una società lussemburghese controllata, appunto, da Andrea Bonomi. Ma le carte dei Paradise Papers sottratte alla società di consulenza Appleby aggiungono un ulteriore tassello a questa storia.
Si scopre, infatti, che al livello superiore di Investindustrial Sa ci sono tre società operative, la Grosvenor Street Holdings Sa, la De Combinatae NV, e la Zafrikidis Oil & Ship Ltd. E che andando ancora più su lungo la catena di controllo, le tre società sono state conferite all'interno di tre trust registrati nell'isola del Canale della Manica. A Jersey appunto. I trust si chiamano The George Trust, The Budda Trust e The 1987 Settlement Trust. Operazioni e schemi societari perfettamente legali e senza ombra di irregolarità.
Secondo quanto risulta al settimanale L'Espresso (che pubblica in esclusiva per l'Italia insieme al programma d'inchiesta di Rai 3 Reporti Paradise Papers), i trust sono stati costituiti nel 1987 da Carlo Bonomi, padre di Andrea, che aveva indicato come beneficiari i suoi nipoti, oggi saliti a otto, alcuni dei quali ancora minorenni. 
Interpellato dall'Espresso e da Report, lo stesso Andrea Bonomi ha confermato l'esistenza dei trust e delle società che controllano la holding lussemburghese Investindustrial Sa. Bonomi ha precisato che il padre scelse Jersey (isola nel Canale della Manica) come sede dei trust «quando si ritirò a Londra dopo la scalata ostile del 1985 alla sua Bi-Invest» e ha aggiunto che non c'è «alcuna ragione fiscale nell'istituzione dei trust», che sono vigilati dalle autorità di Jersey». Bonomi ha anche sottolineato di essere «solo cittadino americano e svizzero», e di non avere obblighi fiscali in Italia.
Jersey, in effetti, potrebbe essere definita la “patria dei trust”: ve ne sono registrati migliaia da cittadini facoltosi provenienti da tutto il mondo.
I trust e le società dei Bonomi emergono nei Paradise Papers quasi per caso. Nel gennaio 2016, infatti, il gruppo della famiglia milanese chiede un finanziamento bancario per l'acquisto di un jet Dassault Falcon 900DX del valore di 13,5 milioni di dollari. La Appleby consiglia allora di costituire una società all'Isola di Man per evitare di pagare l'Iva: se l'aereo viene utilizzato per lavoro e non per svago, l'imposta del 20% può essere (legalmente) rimborsata. La banca che finanzia l'acquisto del jet vuole però informazioni sulla solidità patrimoniale del gruppo e così dalla società inviano una email in cui spiegano dell'esistenza dei tre trust, specificando che «valgono 218 milioni di dollari» perché controllano il fondo lussemburghese. Nessuno può immaginare che quella email finirà qualche mese dopo nelle mani dei giornalisti di mezzo mondo.
Vitrociset e la società di Curacao 
Dai Paradise Papers spuntano anche i documenti che raccontano la storia del trust milionario della famiglia Crociani. Una vicenda anticipata dal Sole 24 Ore lo scorso 5 novembre. La storia parte nel 1976 quando Camillo Crociani, allora presidente e amministratore delegato di Finmeccanica, viene travolto dallo scandalo Lockheed: tangenti pagate dalla multinazionale americana per piazzare i suoi aerei in Italia. Crociani fugge in Svizzera e poi in Messico prima della condanna a due anni e quattro mesi per corruzione aggravata. Ma prima di lasciare il paese cede la sua azienda, la Ciset, all'amico e braccio destro Girolamo Cartia. I beni di Crociani (che è insolvente) vengono sequestrati. Ma non la Ciset, che formalmente non gli appartiene più, essendo stata ceduta.
Crociani muore in Messico nel 1980. Sette anni dopo, nel 1987, la vedova Edoarda Vessel, una ex attrice che ha lavorato con Federico Fellini in “8 e mezzo”, costituisce un trust alle Bahamas, il Grand Trust, i cui beneficiari sono le due figlie Camilla e Cristiana. Tra i beni del trust c'è una promissory note che assicura alle eredi Crociani i dividenti sostanziosi provenienti dalla Ciset, una società che controlla la Vitrociset (formalmente cosituita soltanto il 29 dicembre 1992).