lunedì 25 febbraio 2019

Il Bruto. - Michel Onfray



Michel Onfray, filosofo e saggista francese, confronta la risposta, brutale, del regime di Macron nei confronti del movimento dei gilet gialli con l’atteggiamento tenuto da Polizia e ministero dell’Interno in occasione della rivolta delle banlieue del 2005. La strategia della repressione brutale fin qui seguita da Macron – contrapposta a quella di allora, di contenere le violenze e attenersi al mantenimento dell’ordine –  tradisce la volontà politica di fomentare i disordini per poter scatenare la violenza di Stato in difesa estrema dell’ordine liberale fortemente contestato dal popolo.   

“Io sono il frutto di una forma di brutalità della storia.” Macron, 13 febbraio 2018, di fronte alla stampa.

Certo, lo Stato incarna bene questo Moloch che ha il monopolio legittimo della forza: ma per fare cosa?

A parte l’irenismo radicale, essendo la natura umana quella che è, non si tratta di immaginare un mondo in cui non ci sia più bisogno di esercito o polizia, tribunali o prigioni, legge e giustizia. Se siamo d’accordo che il molestatore non è l’abusato, l’aggressore l’aggredito, il ladro il derubato, il rapinatore il rapinato, occorre che una serie di meccanismi sociali permettano di fermare il molestatore, l’aggressore, il ladro, il rapinatore, per portarli davanti ai tribunali che giudicano i fatti dal punto di vista della legge e del diritto, e  mandare le persone giudicate colpevoli a scontare la pena in nome della riparazione del danno subito dall’aggredito, dal derubato, dal rapinato, dal molestato, ma anche per proteggere gli altri cittadini dalla pericolosità di questi criminali. Dando per acquisito che possono esistere delle circostanze aggravanti o attenuanti, e che tutti, a prescindere dalla loro imputazione, hanno il diritto alla difesa e alla riabilitazione una volta scontata la pena.

Che l’uso legittimo della forza presupponga che essa possa essere usata per mantenere la legalità – questa dovrebbe essere una verità ovvia… Ma quando, a metà settembre 2018, i gilet gialli proclamano, all’inizio delle loro giornate di rabbia, che il loro potere d’acquisto non permetterà loro di pagare le ulteriori tasse obbligatorie per legge che aumentano il prezzo del carburante alla pompa, non mettono in pericolo la democrazia e la Repubblica, poiché fanno appello agli articoli 13 e 14 della Carta dei diritti l’uomo e, non dimentichiamo, del cittadino. Con il loro movimento, essi rivendicano uno di quei diritti che questo testo fondamentale concede loro. L’ho già menzionato, ma va ricordato che l’articolo 13 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo recita: “Per il mantenimento della pubblica forza e per le spese d’amministrazione è indispensabile una comune contribuzione, la quale dev’essere ugualmente ripartita fra tutti i cittadini in ragione delle loro facoltà“. E il seguente articolo: “Tutti i cittadini hanno il diritto di comprovare o da se stessi o tramite i loro rappresentanti la necessità della pubblica contribuzione, di approvarla liberamente, di seguirne l’applicazione, di determinarne la quota, la riscossione e la durata.” I gilet gialli non hanno rifiutato l’imposta, come la propaganda dei media ripete da settimane per assimilarli al populismo fascista, ma solo dichiarato che non hanno più i mezzi finanziari per pagarla! Una risposta appropriata da parte del governo avrebbe soffocato la rabbia sul nascere. Invece, la risposta è stata immediatamente bellicosa: da qui l’origine della violenza.

Questo spirito bellicoso ha preso la forma che sappiamo; elementi del linguaggio del potere macroniano sono stati trasmessi e poi abbondantemente diffusi dalle “élite”: il movimento dei gilet gialli era una rivolta di estrema destra, una rivendicazione populista che sapeva di camicie brune, un movimento che puzzava di “fascio”. Bernard-Henri Lévy ne ha parlato da subito in questo modo, insieme a … Mélenchon e Clémentine Autain, Coquerel e la CGT (Confederazione sindacale del lavoro, ndt), che hanno partecipato al coro “populicida” insieme a tutti gli editorialisti della stampa di Maastricht.

[…]

Questa violenza simbolica, il cui braccio armato è costituito dai media del sistema, si accompagna a una violenza poliziesca. Si sa che le parole uccidono, ma, per farlo, hanno bisogno di attori violenti: il potere dispone di un certo numero di agenti di polizia e di funzionari di giustizia i quali, sapendo di beneficiare di una copertura da parte del ministro dell’Interno e quindi dell’Eliseo e di Macron, si abbandonano alla violenza.

Mi sono ritrovato in una dibattuito televisivo con Jean-Marc Michaud, l’uomo che ha perso un occhio a causa di una flash-ball. Ha espresso tutta la sua rabbia contro il tiratore, e lo posso comprendere. La prima reazione di chi ha subito violenza è di voler rispondere nello stesso modo. Si riceve un colpo, e non si ha voglia d’altro che di restituirlo moltiplicato per cento. Il cervello rettiliano comanda, quando la corteccia non fa il suo lavoro.

Ma certamente c’è una responsabilità del tiratore: se egli sa che dovrà rendere conto alla giustizia per non essersi comportato secondo le procedure – tra cui quella, fondamentale, di non mirare alla testa – allora probabilmente si comporterà diversamente.

Ma quando si sa che si può beneficiare dell’impunità del potere, allora si tira o si colpisce senza esitazione, e, come ho potuto constatare io stesso a Caen, in mezzo ad un’esaltazione non dissimulata da parte di chi assiste alle percosse, ai pestaggi, alle persone sbattute violentemente a terra, ammanettate, ma anche, in alcuni casi, denudate e palpate…

Ho già detto altrove che supponevo che alcuni agenti di polizia si stessero infiltrando tra i cosiddetti casseur per alimentare la teoria del potere secondo la quale tutti i gilet gialli sono violenti. Dopo aver dato questa informazione, alcuni gilet gialli mi hanno fatto sapere per posta che ne avevano le prove. Tornerò su questo argomento quando verrà il momento.

Ma senza concentrarsi su questo caso particolare, si può leggere quanto scrive un sindaco di destra, quindi non un gauchista, Xavier Lemoine, che fornisce un’informazione interessante. Afferma su Le Figaro che, come sindaco di Montfermeil, ha scoperto che “la polizia ha represso in minor misura le rivolte delle banlieue nel 2005 rispetto ai gilet gialli” (29 gennaio 2019). E questo dice tutto.

Il sindaco nota che nel 2005 non ci sono stati morti e solo pochi feriti tra i ribelli, anche se i rivoltosi avevano scelto la violenza come loro unico mezzo di espressione. Egli ne dà una ragione: la polizia allora aveva scelto di mantenere l’ordine e non, come Macron, una logica di repressione. Mantenere l’ordine non è reprimere. Sono due scelte politiche molto diverse ideologicamente, politicamente, strategicamente, tatticamente – e anche moralmente. Emmanuel Macron ha deliberatamente scelto di reprimere e non di mantenere l’ordine. Il capo dello Stato quindi non ha voluto contenere la violenza delle rivendicazioni, ma scatenare la violenza di Stato. È un progetto.

Xavier Lemoine osserva che la scelta di mantenere l’ordine, come indicano le parole, cerca soprattutto di mantenere l’ordine, così da evitare il disordine. Tornerò su questo: non mi si farà credere che lasciare che l’Avenue degli Champs-Elysées venga disselciata davanti agli obiettivi delle telecamere di BFMTV per quasi un’ora, non rifletta il fatto che la polizia non aveva la consegna di impedire i disordini, ma, al contrario, di favorirli, lasciando che questi ciotoli dei marciapiedi diventassero proiettili da lanciare su obiettivi umani o materiali…

Parlando della sua città, Xavier Lemoine afferma: “Nel 2005 tutte (sic) le rivendicazioni sono state espresse con la violenza. All’epoca, tuttavia, le autorità di polizia hanno adottato la modalità di intervento più appropriata per reprimere questa violenza. Da un punto di vista tecnico, il loro attacco è stato flessibile ed efficace. Anche quando erano presi di mira dai rivoltosi, i poliziotti e la gendarmeria hanno mostrato grande moderazione nell’uso della forza. Oggi, al contrario, nessuno può sostenere che tutte le rivendicazioni dei ‘gilet gialli’ siano espresse con la violenza. Inoltre, nel 2005, non c’erano donne tra i rivoltosi, mentre le donne sono massicciamente presenti nei ranghi dei ‘gilet gialli’. Non tenerne conto è privarsi di un elemento fondamentale di analisi. Contrariamente a quanto può suggerire il potere delle immagini, la maggior parte dei ‘gilet gialli’ non partecipa alle riprovevoli violenze commesse durante le manifestazioni. Tuttavia, da sabato 8 dicembre la polizia privilegia la repressione, non il mantenimento dell’ordine”. Al giornalista che gli chiede di chiarire cosa distingue l’applicazione della legge dalla repressione, Xavier Lemoine risponde: “Il mantenimento dell’ordine consiste da un lato nel permettere a una manifestazione di fluire nel modo più pacifico possibile, e dall’altro nel contenere la violenza al fine di ridurla. Questo obiettivo non impedisce alla polizia di intervenire nei confronti di persone decise ad atti di violenza “- Penso a coloro che disselciano Avenue des Champs Elysées …

Egli prosegue: “Ma ai manifestanti pacifici sono sempre lasciate delle vie d’uscita. Le persone che lo vogliono possono sempre andarsene quando la situazione degenera. La repressione, invece, consiste nel combattere contro gruppi di persone senza necessariamente distinguere tra individui violenti e manifestanti pacifici, che possono anche essere lontani tra loro. Ebbene, nella crisi attuale la polizia ricorre troppo spesso alle ‘reti’, che impediscono alle persone circondate di abbandonare i luoghi. È facile quindi fare confusione tra dimostranti molto diversi tra loro. Quanti tra coloro a cui è stato cavato un occhio avevano sfasciato vetrine, automobili, saccheggiato negozi? Allo stesso modo, la distinzione tra criminali ‘confermati’ e incensurati dovrebbe essere molto più attenta.” Per Xavier Lemoine, la polizia sta obbedendo a un potere che ha scelto la repressione e la brutalità. Obbediscono. Il primo responsabile, quindi il colpevole, è colui che dà l’ordine. E poiché non si può pensare che Castaner o Philippe prendano la decisione da soli, è il capo dello Stato a cui deve essere imputata la scelta della repressione, quindi la responsabilità di ogni ferita inflitta. Quando questo stesso capo di Stato afferma in modo insensibile in Egitto che le forze dell’ordine non hanno causato alcuna morte, se non quella della signora Redoine a Marsiglia, egli mente. Ed è personalmente responsabile di questa morte [1]. Il bruto è lui.

Leggiamo ancora Xavier Lemoine: “Non incrimino la polizia, che obbedisce, come è naturale, alle istruzioni del ministro degli Interni. Ma do la colpa a queste istruzioni, che mi sembrano tradire il desiderio di spingersi agli estremi, aumentare la violenza, per giustificare una repressione. Non ho nessuna accondiscendenza verso la violenza premeditata di rivoltosi o gruppi di estremisti. Ma responsabilità della politica è anche sapere come disinnescare un grido di angoscia, invece di alimentarlo demonizzando i ‘gilet gialli’. Nel 2005 i governanti non hanno mai fatto commenti così dispregiativi sui rivoltosi del tempo. Attualmente, una parte significativa della violenza proviene da manifestanti senza precedenti penali, disperati e infuriati. Si sentono provocati dalla rigidità della risposta della polizia. Le dinamiche della folla aiutano, ‘radicalizzano’ . Le reazioni istintive si esprimono brutalmente. Nel 2005 nessuna dimostrazione era stata autorizzata dalla prefettura e tutte erano degenerate in rivolte. Tuttavia, a quel tempo a Seine-Saint-Denis non c’è stata nessuna carica dei corpi speciali antisommossa o della polizia a cavallo. Oggi, sì. Quattordici anni fa la polizia non ha fatto ricorso a tiri ad altezza d’uomo, orizzontali, e a breve distanza. Oggi, sì. Perché questi due pesi e due misure dello Stato tra le rivolte urbane del 2005 e le manifestazioni di protesta dei ‘gilet gialli’ ? Non penso che la polizia sia stata negligente nel 2005; dico che sono troppo ‘duri’ oggi.”

Che il presidente Macron abbia scelto la linea dura della repressione contro la linea repubblicana di mantenimento dell’ordine è quindi dimostrato. Egli ha al suo servizio la stampa di Maastricht, in altre parole i media dominanti, inclusi quelli del servizio pubblico televisivo, ha al suo servizio la polizia, l’esercito, quindi le forze dell’ordine, e ha anche provato a coinvolgere la macchina della giustizia. Ciò è evidenziato da un articolo del Canard enchaîné (30 gennaio 2019) intitolato “Le incredibili istruzioni dell’ufficio del pubblico ministero sui gilet gialli”, che riporta in dettaglio come il ministero della Giustizia ha comunicato per email con i giudici della Procura di Parigi su come trattare i gilet gialli: dopo un arresto, anche se è stato commesso per errore, si deve comunque mantenere l’iscrizione nell’archivio dei precedenti penali, anche “quando i fatti non costituiscono reato“. La comunicazione specifica anche che bisogna depositare gli atti, anche se “i fatti contestati sono di lieve entità” e anche nel caso provato “di un’irregolarità della procedura“! In questi casi, arresto per errore, reati non suffragati da elementi di prova, irregolarità procedurali, è consigliabile fermare le persone e non liberarle fino a dopo le manifestazioni del sabato, per impedire che ai cittadini ingiustamente arrestati sia data la possibilità di esercitare il loro diritto di sciopero, va ricordato, un diritto garantito dalla Costituzione? Punto 7 del preambolo …

Aggiungiamo che la legge anti-casseur proposta da Macron prevede semplicemente di stabilire una presunzione di colpevolezza nei confronti di chiunque sia sospettato di essere solidale con la causa dei gilet gialli. Sospettato da chi? Dalla stessa giustizia a cui il potere chiede, in primo luogo, di tenere in custodia una persona anche arrestata per errore, in secondo luogo di rilasciarla solo dopo la fine delle dimostrazioni, in terzo luogo di seguire la stessa procedura anche nel caso di errore procedurale, in quarto luogo di non preoccuparsi che i fatti siano provati e non irrilevanti, dato che la giustizia macroniana, sostenuta dalla polizia macroniana all’ordine dell’ideologia macroniana, che è puramente e semplicemente quella dello Stato di Maastricht, ha deciso che deve essere così. Mélenchon ha parlato a questo proposito di ritorno delle lettre de cachet, e non ha torto su questo.

La violenza genealogica, che è la base delle prime rivendicazioni dei gilet gialli, è prima di tutto quella imposta dal sistema politico liberale instaurato imperativamente dallo Stato di Maastricht dal 1992. 
 Quando Macron dice che le radici del male sono antiche, lo sa fin troppo bene, perché è uno degli uomini la cui breve vita è stata interamente dedicata all’instaurazione di questo programma liberale che si rivela forte con i deboli, come vediamo nelle nostre strade da dodici settimane, e debole con i forti, come dimostrato dalla legislazione a loro favore – dalla soppressione dell’ISF (l’imposta sulle grandi fortune, ndt) al rifiuto di toccare i paradisi fiscali, alla tolleranza verso l’evasione delle imposte da parte del GAFA (Google, Apple, Facebook e Amazon,ndt) .

La violenza di questo Stato di Maastricht contro i più deboli, i più disarmati, i meno istruiti, i più lontani dalle megalopoli francesi o da Parigi; la violenza di questo Stato di Maastricht sui più precari in assoluto, sulle persone modeste che portano da sole il peso di una globalizzazione felice per gli altri; la violenza di questo Stato di Maastricht su quelli dimenticati dalle nuove compassioni del politicamente corretto; la violenza di questo Stato di Maastricht contro le donne single, le madri single, le vedove con le pensioni di vecchiaia tagliate, le donne costrette ad affittare il loro utero a uno sperma mercenario, vittime della violenza coniugale derivante dalla povertà, giovani ragazzi o ragazze che si prostituiscono per pagare i loro studi; la violenza di questo Stato di Maastricht sugli abitanti delle campagne privati giorno dopo giorno dei servizi pubblici che loro ancora finanziano con la tassazione indiretta; la violenza di questo Stato di Maastricht sui contadini che si impiccano ogni giorno perché la professione di fede ecologista dei maastrichtiani delle città non si confonde con l’ecologia quando si tratta del piatto dei francesi riempito di carni avariate, di prodotti tossici, di chimica cancerogena, di cibo che arriva dall’altra parte del pianeta senza curarsi delle tracce di CO2, anche se sono bio; la violenza di questo Stato di Maastricht sulle generazioni di bambini rincretiniti da una scuola che ha cessato di essere repubblicana e che lascia alle ragazze e ai ragazzi la possibilità di uscirne non grazie ai loro talenti, ma grazie agli appoggi delle loro famiglie ben nate; la violenza di questo Stato di Maastricht che ha proletarizzato i giovani la cui unica speranza è la sicurezza di un posto di lavoro da poliziotto, da gendarme, da soldato o da guardia carceraria e il cui compito è gestire con la violenza legale i rifiuti del sistema liberale; la violenza di questo Stato di Maastricht sui piccoli padroni, i commercianti, gli artigiani che non conoscono vacanze, svaghi, fine settimana, serate fuori – questa violenza, sì, è la prima violenza. Questi sono quelli che non hanno generato violenza, ma solo in origine una protesta contro l’aumento del carburante.

La risposta del potere, quindi di Macron, a questa ammissione di povertà dei poveri è stata immediatamente la criminalizzazione ideologica. I media, agli ordini, hanno gridato al lupo fascista. Da diversi mesi, questo è il loro pane quotidiano: secondo i ricchi che li governano, i poveri sarebbero antisemiti, razzisti, omofobi, violenti, cospirazionisti – “bastardi” ha detto Bernard Henri Lévy a Ruquier. Questa è la vecchia variazione sul tema: classi lavoratrici, classi pericolose. È l’antifona di tutti i poteri borghesi quando hanno paura.

Pertanto, il capo dello Stato mobilita i media che disinformano, la polizia che dà la caccia al manifestante, la giustizia che li schiaffa dentro, la prigione che li parcheggia quando l’ospedale non li cura dopo le percosse. Quando capiremo che questi sono i pezzi di un puzzle dispotico?

http://vocidallestero.it/2019/02/12/michel-onfray-il-bruto/ 

Condivido in toto. Macron sta dando prova della sua assoluta mancanza di democraticità e di abnegazione verso chi detiene il potere economico.
Non si venga a dire, poi, che è il governo italiano ad utilizzare metodi anti democratici quando abbiamo esempi ben più fascistoidi nella UE.

BBC – L’occupazione britannica tocca un altro record. - Rododak

Risultati immagini per lavoro occupazione britannica

Un articolo della BBC riporta – con una certa qual cautela – i nuovi, ottimi dati sul record di occupati nel Regno Unito, che hanno toccato il livello più alto dal 1971, con un effetto particolarmente favorevole sulla disoccupazione femminile. Naturalmente, i commenti – in casi come questo – sottolineano che gli effetti della Brexit non si fanno ancora sentire (fossero dati negativi, però, sarebbero stati attribuiti alla Brexit senza fallo) e non demordono dal lanciare fosche previsioni per i prossimi mesi. Ma continuare a discutere di ipotesi è ormai diventato perfino noioso: limitiamoci ai fatti, che oggi dicono che la disoccupazione nel Regno Unito è calata e – soprattutto – che i salari di conseguenza crescono al di sopra del livello dell’inflazione, più di quanto è avvenuto negli anni scorsi. Il potere d’acquisto dei lavoratori quindi aumenta, i salari reali hanno raggiunto il livello più alto da marzo 2011: non è interessante? 

Il numero di persone che lavorano nel Regno Unito ha continuato a salire, con un record di 32,6 milioni di occupati tra ottobre e dicembre, come mostrano le ultime cifre dell’Ufficio per le statistiche nazionali.

La disoccupazione è variata di poco nel trimestre, attestandosi a 1,36 milioni.

Il tasso di disoccupazione, fermo al 4%, è al livello minimo dall’inizio del 1975.

I salari medi settimanali sono aumentati del 3,4% toccando le 494,50 sterline, calcolando fino a dicembre, – tenuto conto dell’aggiustamento per l’inflazione, è il livello più alto dal mese di marzo 2011.

I salari reali più alti da marzo 2011. Salario medio settimanale, aggiustato per l’inflazione. Fonte: Office for National Statistics, UK.

Il numero delle persone occupate tra ottobre e dicembre è aumentato di 167.000 unità rispetto al trimestre precedente, e di 444.000 unità rispetto allo stesso periodo del 2017.

Il tasso di occupazione – definito come la percentuale di persone di età compresa tra 16 e 64 anni che hanno un lavoro – è stato stimato pari al 75,8%, superiore al tasso del 75,2% registrato l’anno precedente e a pari livello con il tasso più alto mai toccato da quando si è iniziato a confrontare i livelli di occupazione in modo comparabile, nel 1971.

Il ministro per l’Occupazione Alok Sharma ha dichiarato: “Mentre l’economia globale sta affrontando diverse sfide, in particolare nei settori come il manifatturiero, queste cifre mostrano la resilienza di fondo del nostro mercato del lavoro – che ancora una volta offre livelli record di occupazione”.

Matt Hughes, vice capo del settore che si occupa del mercato del lavoro dell’ONS (Office for National Statistics, l’istituto nazionale di statistica britannico, ndt) ha dichiarato: “Il mercato del lavoro rimane solido, con il tasso di occupazione rimasto ai massimi livelli e le posizioni vacanti che raggiungono un nuovo livello record. Anche il tasso di disoccupazione è diminuito, e per le donne è sceso sotto il 4% per la prima volta in assoluto.”

Tasso di occupazione massimo dal 1971. Percentuale della popolazione UK tra 16-64 anni con un lavoro. Fonte: Office for National Statistics, UK. Margine di errore: +/- 0.4%

Tuttavia, Andrew Wishart, economista britannico di Capital Economics, ha avvertito che i dati del mese prossimo potrebbero non essere così vivaci:

“I dati sul mercato del lavoro, con l’occupazione in aumento, non rispecchiano lo scivolone registrato nelle inchieste sulle assunzioni a dicembre “, ha affermato.

“Tuttavia, i risultati delle indagini sono peggiorati in modo più marcato a gennaio, quindi un effetto Brexit potrebbe iniziare a indebolire la crescita dell’occupazione nella prossima serie di dati ufficiali”.

Analisi. 

di Dharshini David, giornalista economico della BBC. 
Il mercato del lavoro rimane in forma robusta nonostante la perdita di slancio dell’economia verso la fine dello scorso anno – tuttavia l'”effetto nebbia” della Brexit potrebbe non essere ancora stato registrato.

Proseguendo le recenti tendenze, la maggior parte di coloro che sono entrati nel mercato del lavoro erano precedentemente inattivi (studenti, persone a casa per accudire familiari, malati a lungo termine ecc.).

La domanda di lavoro continua a sostenere la crescita dei salari. I salari reali sono aumentati di oltre l’1% all’anno, complessivamente meglio rispetto agli ultimi anni, sebbene ancora circa la metà rispetto all’era pre-crisi.

Finora quindi non ci sono grandi tracce del fatto che l’incertezza sulla Brexit ostacoli le assunzioni – ma va detto anche che la domanda nel mercato del lavoro ha una marcata tendenza a non tenere il passo con le variazioni della produzione.

Indagini più recenti sull’occupazione mostrano un deciso deterioramento a gennaio, quindi l’effetto Brexit potrebbe iniziare a indebolire la crescita dell’occupazione nella prossima serie di dati ufficiali.

E la produttività – produzione oraria – è diminuita dello 0,2% nel quarto trimestre del 2018 rispetto a un anno prima, poiché la produzione è aumentata più lentamente dell’occupazione. La mancanza di progressi in questo settore potrebbe pesare sulla crescita dei salari nel lungo periodo.

Carenza di specializzazione. 

Guardando le cifre medie dei guadagni, Samuel Tombs, capo economista britannico di Pantheon Macroeconomics, ha dichiarato: “Con un surplus di lavoro estremamente scarso e le offerte di lavoro che toccano un nuovo massimo storico, i lavoratori hanno più successo nell’ottenere aumenti salariali al di sopra dell’inflazione. Guardando al futuro, dubitiamo che la crescita dei salari scivolerà al di sotto del 3% quest’anno”.

Nonostante gli aumenti salariali e il basso tasso di disoccupazione, Suren Thiru, capo del settore economico delle Camere di commercio britanniche, non ritiene che una High Streets in difficoltà ne trarrà benefici.

Ha affermato: “L’aumento della spesa dei consumatori derivante dal recente miglioramento della crescita dei salari reali sarà probabilmente limitato dalla scarsa fiducia dei consumatori e dagli elevati livelli di debito delle famiglie. L’aumento del numero di posti vacanti a un nuovo massimo storico conferma che la carenza di manodopera e di competenze specializzate è destinata a rimanere un significativo ostacolo per le attività economiche per un certo tempo a venire, impedendo la crescita e la produttività del Regno Unito”.

Di Maio, Macron o il PD? Chi fa l’europeo col c..o degli altri? - Marco Giannini



Marcucci (PD) imputa il recente smottamento dell’industria italiana al Reddito di Cittadinanza che ancora deve entrare in vigore. Allo stesso tempo, come fanno anche molti altri del monopartito PD-FI, afferma che a causa dello spread gli italiani dilapidano soldi pubblici.
In realtà se la BCE svolgesse il suo lavoro in modo efficace e non nazionalista (Aquisgrana), ma onesto, lo spread non dovrebbe proprio esistere, ma questo ai poveri cittadini non viene detto.
Non viene detto nemmeno che quando Di Battista ha informato sul doping con cui la Francia riesce a resistere nella moneta unica (cioè lo sfruttamento dei paesi africani che ancora colonizza e che paghiamo anche noi italiani, economicamente e socialmente), lo spread si è impennato e questo perché molto probabilmente soggetti finanziari francesi amici di “Didì” Macron hanno venduto titoli decennali italiani (magari comprandone di tedeschi). Una ritorsione quindi di nazionalista oltre che, ovviamente, di stampo speculativo. Sarebbe interessante che in questo splendido contesto di identità europea “spinelliana” (spero si colga l’ironia) nell’Europarlamento qualcuno si incaricasse di chiedere una indagine su come si sono mossi i capitali in questione.
Adesso autorevoli figure politiche francesi affermano che la recessione italiana mette in pericolo la Francia (www.italiaoggi.it/news/le-maire-altro-che-brexit-il-pericolo-e-la-recessione-in-italia-201902202030577987), restituisco tanta gentilezza e tanto spirito “europeo” informandoli che “spread” è un termine anglosassone che significa “ampiezza” nel senso di “dislivello” e ricordo loro che senza quel rifornimento immorale chiamato neocolonialismo la Francia nell’euro sarebbe forte quanto la sua nazionale di calcio senza giocatori oriundi africani.
Sono sicuro che anche i non addetti all’economia possono farsi una idea in questo modo.
Vorrei anche tranquillizzare Marcucci informandolo che lo spread si alza e si abbassa e che, nel secondo caso, gli italiani risparmiano, cosa che stranamente non rimarca quando avviene, come se, restando sul concetto di “dislivello”, fosse un geografo che riuscisse a leggere le isoipse (cioè linee con la stessa altitudine) solo in un senso.
A tal proposito mi chiedo cosa aspetti il Governo a vietare la truffa, a spese dei contribuenti, delle “aste marginali”.
Se l’Industria italiana è “finalmente” (ironia) franata (deindustrializzazione), le ragioni risiedono in questi 8 anni di austerity targata PD-FI-Sindacati (cui il Governo Conte ha cercato di porre un freno in modo stoico ma parziale) e ad una valuta che sul finire degli anni ’90 (Ecofin) fu imperniata su un rapporto di cambio Marco-Lira per noi devastante, con effetti che agiscono in modo irreversibile (quello di cui sto parlando è il “doping tedesco”unitamente alla violazione del TFUE sulla bilancia commerciale che gonfia peraltro il Target-2, paradossalmente e falsamente imputato a noi “romani” dai “teutoni”!).
A questo punto avendoci preso gusto con le questioni finanziarie voglio dare qualche dritta ai lettori: noi italiani siamo i legittimi proprietari della terza riserva d’oro più grande al mondo (circa 100 miliardi di euro). Tale riserva è gestita dalla Banca d’Italia e qualcuno sta cercando di sfruttare questa situazione per trasferire il “malloppo” nelle tasche della finanza privata e sarebbe il più grande scippo della storia.
Siccome il Governo sta cercando di legiferare per rendere trasparente il campo cercando di impedire che con qualche interpretazione di comodo questo “esproprio proletario al contrario” avvenga (anche se il Presidente Conte non mi risulta abbia ancora dichiarato “l’oro è degli italiani”, mi auguro per una svista) il PD e la Bonino, fieri difensori della finanza internazionale, stanno già starnazzando gridando alla lesione dell’Indipendenza di Bankitalia manco se una banca di natura opposta (non indipendente cioè socialdemocratica) equivalesse a qualcosa di sovietico, fascista o mafioso. A proposito la Bonino di speculazione se ne intende essendo legata a Soros.
Ricordo che per valutare l’indipendenza di una BC si devono utilizzare dei coefficienti teorici che tengono conto di variabili politiche (responsabilità finale della politica economica, presenza di un funzionario governativo nel Consiglio, facoltà di nominare Consiglieri indipendentemente dal Governo) e finanziarie (autonomia di bilancio, autodeterminazione delle retribuzioni dei Consiglieri, potere decisionale sulla redistribuzione degli utili, responsabilità formale in materia di politica monetaria) e che ci sono fior fior di BC occidentali poco indipendenti (Regno Unito, Usa ecc vedasi www.rspi.uniroma1.it/index.php/monetaecredito/article/viewFile/10961/10836 …).
Ciò che non vi dicono è che la “indipendentissima” BCE ha emesso quantità folli di danaro (stampa) e l’inflazione non si è mossa dal suo stato quasi deflattivo (ma anzi la BCE ha creato le condizioni per una immane bolla finanziaria che pagheremo noi “cittadini del mondo”) perché il QE è stato una forma di finanziamento verso le banche private in difficoltà (il denaro non è percolato nell’economia reale come ampiamente prevedibile). In pratica Robin Hood al contrario (cioè francese o tedesco).
Per portare a livelli “fisiologici” l’inflazione bastava emettere quantità relativamente modeste di moneta unica per finanziare la costruzione di nuovi ospedali con posti letto disponibili, per acquistare TAC e RSM e ridurre le file (e il cancro negli italiani), per costruire scuole, assumere insegnanti e ricercatori, per l’S&I (Sviluppo & Innovazione) e per riportare l’IVA italiana al 20%. (Capito Beppe cosa deve fare il MoVimento?).
L’inflazione sarebbe salita perché sarebbero cresciuti i salari e l’occupazione (benessere) e con essi l’economia avrebbe ripreso a girare (consumi e crescita) senza contraccolpi “friedmaniani”. Ma l’Europa è dei ricchi!
A proposito di ricchezza e di Robin Hood non deve stupire che oggi la UE abbia attaccato il Reddito di Cittadinanza (misura notoriamente rivolta a persone altolocate).
Ironia a parte mi ha reso felice constatare il ritiro di quell’emendamento leghista (che avevo segnalato nel mio precedente articolo) che voleva trasformare il RDC in un mero sussidio (perché lo avrebbe reso limitato nei rinnovi); questo significa che il 5s sta cercando con le poche risorse a disposizione (scellerato vincolo esterno europeo che sta ammazzando il Movimento) di fare il massimo.
Sono felice altresì di apprendere l’approvazione di alcuni emendamenti: quello che impone il vagliare che gli stranieri non abbiano beni incompatibili col RDC nei paesi di origine, quello che non esclude dall’erogazione i coniugi con un partner che si è licenziato, quello inerente l’invalidità di parenti stretti e quello riguardante la vigilanza sulle separazioni “strategiche”.
Come di buona abitudine quindi, per sostenere il M5s in vista delle Europee, propongo alcuni approcci programmatici sui quali, a partire dalle sedi europee, i futuri europarlamentari mi auguro interverranno:
Il primo è di stampo mediatico i successivi no:
  • Il M5s dovrebbe comunicare pubblicamente che è lieto (positività che non appaia però forzata) di lavorare per il paese e con la Lega, che deve lealtà alla Lega e che la Lega si è dimostrata a sua volta leale con il MoVimento, che le sconfitte ci stanno ma che si va OLTRE le polemiche, consapevoli del proprio impegno che è nell’interesse del paese e degli italiani; aggiungendo infine che quando si perde significa che il cittadino ha comunicato di pretendere di più, magari un rinnovamento (affinché l’innamoramento non diventi amore (Cit.Alberoni) ed infine minestra riscaldata, ma questo non va detto).
  • Riformare Bankitalia come espresso nel pezzo (l’oro). Lo so, lo scrissi anche nei miei due pezzi precedenti ma a quanto pare è servito!
  • Questione “aste marginali”.
  • L’abolizione dei Senatori a vita.
  • Lo scioglimento ed il divieto di formazione di correnti politiche interne alla Magistratura. E’ conflitto di interesse bello e buono il solo sentir citare “Magistratura Democratica”, “Magistratura Azzurra” ecc; queste concrezioni non sono nell’interesse dei cittadini.
  • Legiferare affinché la retroattività riguardante le pensioni, i vitalizi dei politici, in futuro non rappresenti un precedente per incidere sulle pensioni dei cittadini comuni.
  • Ristrutturare totalmente gli acquedotti italiani (che perdono 1/3 della risorsa e non sono sicuri) ed assumere tecnici, chimici, geologi, naturalisti per i controlli al fine di porre fine al business dell’acqua in bottiglia che costa agli italiani parecchi soldi.
  • Ristrutturare le decine e decine di ospedali abbandonati sparsi sul territorio italiano trasformandoli ove possibile in carceri (magari per i detenuti non pericolosi) o in…Ospedali, o altro.
Concludo riferendomi ad una vicenda su cui non sono praticamente intervenuto dato che lo facevano anche in troppi: la vicenda Salvini.
Dobbiamo chiederci quale sia stato il criterio che il Legislatore ha seguito quando creò la garanzia dell’immunità parlamentare. Voleva per caso permettere a corrotti, mafiosi, “fiscalmente fraudolenti” di farla franca o piuttosto, grazie alle conoscenze che la storia ha trasmesso (conflitti secolari tra politica e giustizia), è stato visto come un peso-contrappeso creato affinché la Magistratura non invadesse il campo, minacciasse, si sostituisse alla Democrazia elettiva? Non creasse cioè forzature?
C’è una certa differenza tra la legalità e l’eccesso di zelo (legalismo) cioè la negazione della legge utilizzando le trappole presenti nei meandri dei commi e nelle interpretazioni. Salvini sequestratore e che magari chiede pure riscatti è talmente una cazzata che solo menti Magistralmente Democratiche potevano partorire. Menti perbeniste, superiori intellettualmente, menti così umaniste da essere…reazionarie. Se mi chiamassi Matteo d’estate eviterei di mettere il VAPE anti zanzare in camera per non essere querelato per maltrattamento animali.
Anche se non mi chiamo così e ragiono con serenità, ho come la sensazione (e mi sa l’abbia avuta pure lui…) che se Salvini si fosse fatto processare lo avrebbero condannato ed avrebbero gettato la chiave e con lui sarebbe sparito dalle cronache pure… il 5s.
Con buona pace di Soros, di Fico, di Nugnes, di Fattori, di Raggi e di Nogarin (si ricordino chi erano prima del MoVimento) che sono costati molti voti, il MoVimento ha sbagliato ma non in modo letale.
Lunga vita al MoVimento, lunga vita a Di Maio (meriteresti una birra).

domenica 24 febbraio 2019

Reggio Emilia, 18 dirigenti indagati per “violazioni nell’assegnazione di incarichi esterni”. C’è la moglie del sindaco Pd. - Paolo Bonacini

Reggio Emilia, 18 dirigenti indagati per “violazioni nell’assegnazione di incarichi esterni”. C’è la moglie del sindaco Pd

I dipendenti erano in servizio nel 2013, quando il primo cittadino era l'attuale deputato Graziano Delrio. La Procura della Repubblica contesta a loro i reati di falso ideologico e abuso d’ufficio. Nel 2016 i 5 stelle presentarono una serie di esposti alla Corte dei Conti e si rivolsero all'Anac per segnalare le presunte anomalie.

Diciotto dirigenti del Comune di Reggio Emilia, in servizio nel 2013, indagati dalla Procura della Repubblica per i reati di falso ideologico e abuso d’ufficio. Tra gli altri la moglie dell’attuale sindaco Pd Luca VecchiMaria Sergio, dirigente all’urbanistica di allora, quando a vestire la fascia tricolore era l’attuale capogruppo democratico alla Camera Graziano Delrio. La materia del contendere è il regolamento comunale per l’assegnazione degli incarichi esterni, realizzata per anni nella Città del Tricolore, come rilevava la Corte dei Conti già nel 2008, senza la necessaria “procedura comparativa per la valutazione dei curricola con criteri predeterminati, certi e trasparenti, in applicazione dei principi di buona andamento ed imparzialità dell’amministrazione sanciti dall’art.97 della Costituzione”. Sette anni dopo, nel 2015, la sezione emiliano-romagnola della Corte dei Conti scriveva nuovamente al Consiglio Comunale di Reggio Emilia evidenziando che il regolamento, non modificato dopo la prima contestazione, era da considerarsi “illegittimo”, poiché escludeva la previsione di procedure comparative con avviso pubblico rivolto a tutti i potenziali interessati. Il presidente facente funzioni della Corte, dott. Marco Pieroni, trasmise gli atti anche alla Procura regionale della medesima Corte e, in seguito, la Guardia di Finanza, coordinata dalla Procura della Repubblica di Reggio Emilia, ha sviluppato indagini su quegli anni sfociate negli avvisi di garanzia. Il Comune di Reggio Emilia nel 2015 ha poi modificato le procedure, ma resta da capire perché non lo abbia fatto prima, lasciando inascoltati quei rilievi della Corte dei Conti. Procedendo invece in centinaia di casi, tra il 2008 e il 2015 e per un valore complessivo di oltre 10 milioni di euro, ad affidare incarichi senza i necessari criteri di trasparenza e comparazione.
Il primo fronte caldo aperto a Reggio Emilia riguarda dunque gli avvisi di garanzia inviati dal sostituto procuratore Giacomo Forte. Martedì 26 febbraio sono previsti i primi interrogatori da parte della Guardia di Finanza dei 18 dirigenti. Diversi di loro, stando alle prime dichiarazioni dei legali, si avvarranno presumibilmente della facoltà di non rispondere in attesa di conoscere i dettagli delle contestazioni. Perché i reati ipotizzati sono cosa diversa dalla messa in discussione di un regolamento illegittimo la cui stesura è però di competenza del Consiglio Comunale. Il secondo fronte è lo scontro politico che la notizia ha immediatamente aperto in città. Il Movimento 5 stelle attacca la giunta e il sindaco rivendicando di essere stata la prima e unica forza politica, con i propri consiglieri comunali, a segnalare il problema degli incarichi affidati senza adeguate procedure con esposti alla Corte dei Conti nel settembre 2016 e all’Autorità Nazionale anticorruzione nell’ottobre dello stesso anno. La candidata sindaco del movimento, Rossella Ognibene, e la consigliera Alessandra Guatteri che firmò gli esposti alla Corte dei Conti, annunciano una richiesta di accesso agli atti per spulciare tutti gli incarichi affidati fino al 2015.
L’attuale sindaco Vecchi, all’epoca dei fatti, era capogruppo del Pd in quel Consiglio Comunale che deliberava i regolamenti per l’affidamento degli incarichi esterni, e la presenza della moglie nell’elenco degli indagati complica la sua posizione in piena campagna elettorale. La prima voce che si alza dalla coalizione di maggioranza che governa il Comune è quella del vicesindaco Matteo Sassi (Mdp, non si ricandida) che attacca i dirigenti in una intervista alla Gazzetta di Reggio. Sassi sostiene (senza fare nomi) che “hanno tramato per non fare aggiornare il regolamento”, e aggiunge che “qualcuno di loro andrebbe sospeso”. Ma dice anche che serve “una posizione più netta della maggioranza, a tre mesi dal voto, rispetto alle frasi di circostanza pronunciate dal sindaco”. Il riferimento è a Luca Vecchi, che ha commentato la vicenda limitandosi ad esprimere fiducia nell’operato della magistratura e contemporanea fiducia nell’operato dei dirigenti comunali. Difficile tenerle assieme le due fiducie, secondo il vicesindaco Matteo Sassi, ma altrettanto difficile è credere all’idea che fossero i dirigenti a fare il bello e cattivo tempo, senza rendere conto a chi governava. Cioè ai partiti di maggioranza in quel consiglio comunale al quale, fino a prova contraria, toccava il compito di stendere e approvare i regolamenti. Anche di modificarli se avessero voluto, soprattutto per gli incarichi esterni.

Mammografia addio, basta un test del sangue per la diagnosi precoce del tumore al seno.

Mammografia addio, basta un test del sangue per la diagnosi precoce del tumore al seno

La procedura richiede solo poche gocce di sangue e si basa sul controllo di alcuni biomarcatori spia della presenza del tumore. Mentre uno studio danese basato sull’analisi metabolica predice il rischio di sviluppare la malattia già 5 anni prima.


Un test del sangue sarà in grado di fornire una diagnosi del tumore al seno. La nuova scoperta destinata a rivoluzionare la medicina e la prevenzione in campo oncologico è opera di un team di ricerca di Heidelberg, di cui ha dato notizia in Germania la Bild. Il nuovo test, ritenuto "sensazionale" sarebbe in grado di fornire indicazioni "con lo stesso grado di probabilità di una mammografia".

Studio tedesco: biopsia liquida.

La procedura richiede solo poche gocce di sangue e si basa sul controllo di alcuni biomarcatori spia della presenza del tumore. Gli scienziati spiegano di aver analizzato il sangue della donne malate di tumore e di aver rilevato la presenza di 15 diversi biomarcatori grazie ai quali è possibile diagnosticare la presenza dei tumori, anche più piccoli. Nello specifico, gli esperti spiegano che l’esame del sangue è basato su un’innovativa procedura di biopsia liquida in grado di identificare la presenza della malattia senza essere invasivo. “Il test del sangue sviluppato dal nostro team di ricerca è un modo nuovo e rivoluzionario per rilevare il cancro al seno in modo non invasivo e rapidamente utilizzando biomarker nel sangue. La procedura dovrebbe essere disponibile già quest'anno, dopo però la pubblicazione dello studio.

In attesa della valutazione.

"Quanto il test sia sicuro nella prassi, si dovrà verificare in studi più ampi", hanno spiegato i ricercatori intervistati dal tabloid. "I nostri risultati si basano sui test a 650 donne, la metà delle quali era ammalata, l'altra no". Su 500 pazienti affetti da cancro al seno il test ha riconosciuto la malattia nel 75% dei casi. I risultati tuttavia non possono essere ancora giudicati. Secondo il centro tedesco di ricerca sul cancro (DKFZ) finora non è uscita alcuna valutazione dello studio su una rivista di settore. Per questa ragione il responsabile del Centro tedesco per la ricerca sul cancro si è astenuto dal commentare il test, dicendo che ogni valutazione sarebbe al momento solo una semplice speculazione.

Studio danese: l'analisi metabolica.

Anche un team di ricercatori della Danimarca tenta la via del test del sangue per predire il rischio di cancro al seno nelle donne. Lo studio danese dal titolo “Forecasting individual breast cancer risk using plasma metabolomics and biocontours“ pubblicato sulla rivista Metabolomics sostiene, in effetti, che la rilevazione può anche essere fatta attraverso un semplice esame del sangue. Addirittura, lo stesso campione di sangue potrebbe anche prevedere la probabilità di sviluppare il cancro al seno in una periodo successivo, compreso tra due e cinque anni.

Meglio della mammografia.

“Il metodo è migliore della mammografia, che invece risulta utile solo quando la malattia è già presente” assicura l’autore dello studio, Rasmus Bro,  Per sviluppare questo metodo, gli scienziati hanno analizzato campioni di sangue di 838 donne individuate tra da un panel di 57.053 uomini e donne arruolati da sani e seguiti per 20 anni, e delle quali 400 di loro hanno sviluppato il cancro al seno tra due e sette anni dopo il prelievo di sangue conservato dai ricercatori. Lo studio mostra una precisione dell’80% nel predire il cancro della mammella attraverso il campione di sangue quando invece la mammografia individua la presenza di un tumore con una precisione del 75%.

Tumore che colpisce anche gli uomini.

Il dr. Lars Ove Dragsted, capo-team di ricerca e professore biomedicina presso il Dipartimento di Nutrizione dell’Università di Copenhagen, per questo studio ha adottato un metodo del tutto nuovo che non è ottenuto attraverso l’individuazione di un profilo di biomarcatori bensì con l’analisi metabolica nel sangue in base a livelli specifici e molteplici metaboliti.
L‘incidenza del tumore al seno in Italia, cioè il numero di donne colpite ogni anno, è molto elevata, la più alta di tutti i tipi di tumore: e del 29% nelle donne, ovvero quasi un tumore maligno su tre. E’ importante sottolineare che anche gli uomini si ammalano di cancro alla mammella: secondo il report “I numeri del cancro”preparato annualmente da AIRTUM (Registro Tumori) con l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), in Italia si prevede che si ammaleranno di tumore della mammella circa 47 mila donne (4 diagnosi l’ora) e 1000 uomini.

Cercasi commessa per panetteria. La paga? 80 euro a settimana (in nero).

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L’annuncio è apparso sul gruppo Facebook «Cerco e offro lavoro a Palermo»Chi ha chiesto informazioni, o ha effettuato la giornata di prova, racconta di condizioni da sfruttamento.

(Charlotte Matteini – open.online) – «Cercasi banconista pratica per panificio zona via Dante». Questo il brevissimo annuncio apparso pochi giorni fa su Facebook nel gruppo Cerco e offro lavoro a Palermo. L’uomo che ha pubblicato l’offerta di lavoro non ha fornito alcuna informazione ulteriore ai commentatori interessati alla posizione, nessun dettaglio su orari, paga o tipologia contrattuale applicata. Di primo acchito l’offerta sembra non destare alcun sospetto, in realtà, le condizioni proposte dalla panetteria palermitana sono al limite dello sfruttamento.

Nessun contratto di lavoro regolare, la paga ammonta a 80 euro a settimana in nero per sei giorni e 7 ore di lavoro, più la domenica pagata a parte. In sostanza, la banconista ricercata dovrebbe accontentarsi di un compenso inferiore ai due euro lordi all’ora, in nero. A raccontare pubblicamente le condizioni di lavoro offerte è stata Domenica, una ragazza che ha effettuato una giornata di prova nel negozio palermitano.
Open ha raggiunto telefonicamente Domenica, che ci ha raccontato la sua storia: «Sono calabrese e mi sono trasferita da poco a Palermo. Ho iniziato a cercare lavoro e, a un certo punto, ho trovato l’annuncio di questo Francesco che proponeva un lavoro come banconista in panificio. Mi sono presentata, ho fatto la prima delle tre giornate di prova e al termine sono rimasta d’accordo che avrei dovuto ripresentarmi anche la mattina successiva. Alle nove meno un quarto di sera, Francesco, il nipote del titolare, mi manda un messaggio dove si scusa e mi dice che lo zio aveva deciso di provare un’altra ragazza perché io, secondo lui, non avevo abbastanza esperienza. Loro offrivano 80 euro a settimana per sei giorni di lavoro più la domenica pagata a parte, circa 13 euro per la giornata. A Palermo, purtroppo, è difficile trovare un’occupazione perché la gran parte dei lavori sono in nero e sottopagati».
Cercasi commessa per panetteria. La paga? 80 euro a settimana (in nero) foto 1
«Cercano banconista in via Dante dalle 7:30 fino alle 14:30, io ho fatto la prova per un giorno. Mi hanno dato 10€ che poi non ho preso. Per dignità personale… Ecco i negozianti di Palermo», ha scritto la giovane nel gruppo Cerco e offro lavoro a Palermo. Tra i vari commenti al post pubblicato dalla ragazza ci sono anche numerose altre giovani che testimoniano la veridicità del racconto: «Sì io mi ero informata della paga, vi dico solo 1,60 all’ora !!! Vomito!!!!», scrive Damiana. «Io non ci sono andata perché appunto in privato mi avevano detto 80 euro a settimana e se facevo la domenica 20 euro in più », racconta invece Laura.
Cercasi commessa per panetteria. La paga? 80 euro a settimana (in nero) foto 2

Cercasi commessa per panetteria. La paga? 80 euro a settimana (in nero) foto 4
Alla testimonianza della giovane banconista ha risposto anche l’autore dell’annuncio di lavoro, raccontando la sua versione dei fatti e confermando però le condizioni proposte: «La ragazza non ha ricevuto 10 ero ma ben 14, rifiutati. Sapeva del prezzo di 80 euro a settimana. Ha effettuato un lavoro dalle 7:30 alle 14:30 ed ha svolto la metà delle prestazioni perché si è rivelata non pratica in tutto. Fatto sta che prima il titolare e la moglie l’hanno aiutata fino alle 12.00, poi è scesa l’altra ragazza in anticipo di due ore per aiutarla. Ma siamo tutti bravi a giudicare». Pronta la replica della giovane: «La tua cara zia mi ha messo 10€ nel bancone e poi, quando ha visto che me ne stavo andando ha messo i tre euro in più. I soldi non me li sono presi per mia dignità, ma me ne sono pentita».
Open ha provato a contattare svariate volte la panetteria in questione, ma il titolare risulta al momento irreperibile.