martedì 3 dicembre 2019

Luoghi di delizia.





Renzi, per lui 40mila euro a conferenza. E’ top secret la lista delle destinazioni. - Luigi Franco e Thomas Mackinson

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ESCLUSIVO, L'ANTICIPAZIONE DI FQ MILLENNIUM IN EDICOLA DAL 14 DICEMBRE - Leader politico e oratore a pagamento: il tariffario delle sue agenzie. I nostri cronisti hanno finto di organizzare una conferenza, richiedendo l'intervento del leader di Italia Viva.
Per avere Matteo Renzi? “Forty thousand euros. Quarenta, qu-a-tro siii-ro”, scandiscono al telefono dalla Pro Motivate, una delle agenzie che propongono online l’ex premier come speaker. “Dovete contare anche un viaggio in business per una e a volte due persone”. Tanto costa ingaggiare il fondatore di Italia Viva a una conferenza che – facciamo credere all’interlocutore – sarà in programma l’anno prossimo a Barcellona, titolo “Populismo e dinamiche economiche”. Tema su cui Renzi – ci viene garantito – saprà dire la sua.
Del resto “politica globale, “affari correnti”, “finanza e tendenze future” sono solo alcuni degli argomenti elencati online di quello che è stato “il più giovane primo ministro in Italia e il più giovane leader del G7”. Analogo curriculum sponsorizza l’agenzia Chartwell Speakers, ma per “appena” 25mila euro. C’è un però: a sentire l’agente che risponde da Dublino, Renzi non è la scelta più azzeccata. Di conferenzieri che possano parlare di populismo ce ne sono altri, pure meno esosi: con 16mila euro, per esempio, ti porti a casa Anne Applebaum, un premio Pulitzer che “in quanto giornalista, e non politico, può affrontare il tema in modo più indipendente di Renzi”.
Dalla Chartwell quasi ci convincono, spendere tutti quei soldi per Renzi non conviene. È diventato troppo caro, più dei 20mila euro di cui parlava solo un anno fa Marina Leo, responsabile per l’Italia di un’altra agenzia che vende i suoi discorsi, Celebrity Speakers. “Sembrano tanti, ma la metà se ne va in tasse e lo speaker deve pagare le persone che mettiamo a disposizione, in quei soldi c’è pure il compenso dell’agenzia”, diceva alla stampa allora. Oggi che con i giornali non parla più, le si strappa solo: “È un’attività privata, non ha niente a che vedere con la sua attività di leader politico perché quando era primo ministro non poteva fare queste cose”.
Non c’entrerà la sua attività politica, ma è proprio questa ad averlo lanciato nel nuovo business. Il suo reddito dai 29mila euro dichiarati per il 2017 è salito a 830.000 euro nel 2018 e supererà il milione nel 2019. Dato per spacciato, non ha mai guadagnato tanto in vita sua. Dopo aver rottamato il Pd, Renzi è diventato una vera macchina da soldi. Altro che i 4.300 euro netti al mese percepiti come sindaco, i 6.700 che prendeva da Presidente del consiglio, ma anche i 14.634 che percepisce ora da senatore semplice.
Di quante conferenze parliamo? “Una cinquantina in due anni”, risponde il leader di Italia Viva. In media, un ingaggio ogni due settimane in giro per il mondo. Con viaggi e preparazione dei discorsi, sembra ormai un lavoro a tempo pieno, che però non lascia tracce. Non è infatti dato sapere dove sia stato di preciso, davanti a che pubblico abbia parlato, di cosa e chi l’abbia poi pagato. “La dichiarazione dei redditi è pubblica, la lista delle conferenze no”, taglia corto in uno dei messaggi che ci scambiamo nei giorni in cui la Finanza sta ricostruendo le vicende della sua fondazione Open. Dei suoi speech non c’è traccia nemmeno in rete o negli archivi dei giornali, al di là di qualche puntata a Pechino, Riad e poco altro.
A esplicita richiesta del calendario degli incontri, rivendica il diritto a non far sapere. “Capisco la vostra amarezza ma devo rispettare le regole di ingaggio”. Cioè? “Per molte conferenze vigono le regole Chatham house” dice, citando un impegno che dal 1927 vincola chi prende parte a certe riunioni a porte chiuse a non divulgare l’identità dei partecipanti. Gli incontri del gruppo Bilderberg ne sono un esempio.
Insistiamo, e non per curiosità morbosa. Fin dall’esordio nel 2018, la sua attività da oratore è fonte di polemiche. Come nel caso della visita a Riad di fine ottobre, dove al Future Investment Iniziative ha glorificato l’Arabia Saudita come “superpotenza, non solo nell’economia, ma anche nella cultura, nel turismo, nell’innovazione e nella sostenibilità”, sorvolando su bombardamenti allo Yemen e omicidio Khashoggi. Questione di opportunità, ma anche rischio di potenziale conflitto di interessi. Se va a Timbuctù o Washington pagato da industriali, fondi di investimento o lobby, lo fa privatamente o per conto del partito? “I compensi sono redditi personali, nulla va al partito”, dice Renzi. “Non c’è alcun conflitto di interessi tra l’attività di conferenziere e il ruolo di parlamentare. Né problemi di opportunità che invece ci sarebbero in caso di ruolo istituzionale come ministro in carica”. Tuttavia, a parlare non è un ex leader ma il capo di un partito che esprime due ministri e un sottosegretario, nonché 41 tra deputati e senatori.
Da qui, il legittimo sospetto. L’indomani di una “conference” in cui il loro leader è stato ospite (a pagamento) di un privato, saranno del tutto liberi e imparziali o subiranno qualche condizionamento? Anche la gestione dei soldi solleva punti di domanda. A maggio Renzi ha fondato la società Digistart, a settembre si è fatto sostituire temporaneamente nel ruolo di amministratore unico dall’amico di sempre Marco Carrai, oggi indagato nell’inchiesta sulla fondazione Open.
Come mai quel fugace passaggio a cavallo del debutto di Italia Viva? “La società è stata aperta e poi chiusa per le polemiche mediatiche – rivela -. Carrai avrebbe dovuto gestire la società ma alla luce delle polemiche e dell’annuncio della chiusura ha subito lasciato la carica”. La Digistart, sottolinea, non ha fatturato nulla. Renzi, invece, continua a farlo. E con gran profitto.

Unicredit, piano taglia 8.000 dipendenti e 500 filiali.


Il palazzo dell'Unicredit a Milano (ansa)

Unicredit ridurrà il personale di circa 8.000 unità nell'arco del piano 2020-2023 mentre l'ottimizzazione della rete di filiali porterà alla chiusura di circa 500 sportelli. Lo si legge in una nota della banca.

Gli 8.000 tagli del personale Unicredit si concentreranno soprattutto in Italia, Germania e Austria, dove il personale verrà ridotto complessivamente del 12% e verrà chiuso il 17%  delle filiali. Il nostro Paese appare destinato a sostenere la parte più consistente degli esuberi: degli 1,4 miliardi di euro di costi di integrazione stimati per la loro gestione, infatti, 1,1 miliardi riguarderanno l'Italia (pari al 78% del totale) e solo 0,3 miliardi l'Austria e la Germania. Lo si legge nelle slide sul piano strategico.

Unicredit punta a creare 16 miliardi di valore per gli azionisti nell'arco del piano 2020-2023 e aumentare al 40 per cento la distribuzione di capitale per il 2019.

Il piano strategico di Unicredit prevede di realizzare un utile di 5 miliardi di euro nel 2023, con una crescita aggregata dell'utile per azione di circa il 12% nel periodo 2018-2023. Il ritorno sul capitale tangibile (rote) sarà "pari o al di sopra dell'8%" per tutto il piano, si legge in una nota.

"Preferiamo il buyback alle fusioni e solo piccole acquisizioni bolt-on", cioè che integrano le attività della banca, "saranno prese in considerazione". Lo dice il ceo di Unicredit, Jean Pierre Mustier nella call con le agenzie.

'Pensiamo che in certi settori sia importante raggiungere una massa critica, in questi campi la nostra strategia è di lavorare con dei partner piuttosto che di fare da soli". Lo sottolinea il ceo di UniCredit, Jean Pierre Mustier, nella call con l'agenzie ad una domanda su quale sia la strategia del gruppo sulla bancassurance. "Il contesto regolamentare è favorevole per le banche grazie al Danish compromise, ma probabilmente non durerà per sempre" e per questo "non vogliamo prenderci rischi sul fronte regolamentare", sottolinea Mustier.


http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2019/12/03/unicredit-piano-taglia-8.000-dipendenti-e-500-filiali_c5f703d9-d314-4066-bd75-0bd4768c7223.html

In un mondo in cui si taglia sul valore di un'azienda per rimpinguare le tasche degli azionisti, non c'è molto da sperare.

Dell'Utri, che fu condannato per concorso esterno, da domani in libertà. - Aaron Pettinari


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Pena conclusa ma i fatti non possono essere dimenticati.
Da domani l'ex senatore Marcello Dell'Utri, ex senatore di Forza Italia che fu condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, finirà di scontare la pena e sarà un uomo libero.
Già è possibile immaginare i titoli dei soliti giornaloni o gli interventi di chi parlerà di persecuzione mediatica e giudiziaria. Del resto solo pochi giorni addietro l'ex premier Silvio Berlusconi, in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera, ha parlato di "affetto" e "profonda stima" nei confronti dell'ex braccio destro, addirittura dicendosi convinto che Dell'Utri, dopo la condanna in primo grado a 12 anni, sarà assolto in appello al processo sulla trattativa Stato-mafia. E pensare che ad inizio mese, chiamato a testimoniare dalla difesa Dell'Utri, davanti alla Corte d'assise d'appello si avvalse della facoltà di non rispondere di fatto, come sottolineato da diversi addetti ai lavori, abbandonando a sé stesso l'amico di un tempo. Anche la moglie di Dell'Utri aveva espresso il proprio rammarico quando già si prefigurava la via del silenzio.
Il "povero Silvio" si è subito smarcato dall'accusa di "tradimento" rilasciando dichiarazioni ed interviste a destra e a manca per ricucire il rapporto. "Ero disponibilissimo a rispondere a qualsiasi domanda ma i miei avvocati me lo hanno tassativamente vietato. Io non ho nulla da temere, ma i miei difensori ritenevano che essendovi un’indagine in corso (quella come mandante delle stragi del 1993, aperta a Firenze, ndr) - indagine che non potrà che concludersi con un’archiviazione, com’è già accaduto precedentemente - non fosse quella la sede corretta dove rendere dichiarazioni. Del resto avevo detto pubblicamente più volte che non vi era mai stata alcuna pressione o minaccia, né diretta né indiretta, da parte della mafia o di chicchessia durante i miei governi. Se fosse accaduto avrei immediatamente avvertito l’autorità giudiziaria". Quindi ha escluso "che vi sia stato qualsiasi intervento da parte di Marcello Dell’Utri, così come escludo totalmente e categoricamente che si volesse favorire la criminalità organizzata. Certamente Marcello non mi chiese mai nulla in tal senso e altrettanto certamente non chiese nulla neppure a nessuno dei protagonisti di quel decreto (il decreto Biondi, ndr), che altrimenti l’avrebbero già dichiarato. Sono convinto che Marcello, per il quale ho da sempre un grande affetto e una profonda stima, sarà assolto".
Non è difficile immaginare che la difesa Dell'Utri, così come ha fatto per un'intervista andata in onda su Rai News 24 dopo la sentenza dell'aprile 2018, ne chiederà l'acquisizione in dibattimento.
Sentenza canta.
Al di là dell'esito del processo di Palermo sicuramente non può essere dimenticato quanto è sancito dalla Cassazione. Nelle motivazioni della sentenza di condanna a sette anni per concorso esterno si legge chiaramente che per diciotto anni, dal 1974 al 1992, l’ex senatore è stato il garante “decisivo” dell'accordo tra Berlusconi e Cosa nostra con un ruolo di “rilievo per entrambe le parti: l’associazione mafiosa, che traeva un costante canale di significativo arricchimentol’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica”. Inoltre “la sistematicità nell'erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell'Utri a Cinà (Gaetano Cinà, boss mafioso, ndr) sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all'accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra”.
La Cassazione ha poi evidenziato come “il perdurante rapporto di Dell'Utri con l'associazione mafiosa anche nel periodo in cui lavorava per Filippo Rapisarda e la sua costante proiezione verso gli interessi dell'amico imprenditore Berlusconi veniva logicamente desunto dai giudici territoriali anche dall'incontro, avvenuto nei primi mesi del 1980, a Parigi, tra l'imputato, Bontade e Teresi, incontro nel corso del quale Dell'Utri chiedeva ai due esponenti mafiosi 20 miliardi di lire per l'acquisto di film per Canale 5”.
Inoltre i giudici della Suprema corte, più che di una polizia privata assunta per proteggere sé e la sua famiglia, parlano di un “patto di protezione andato avanti senza interruzioni”. E Dell’Utri era il garante per “la continuità dei pagamenti di Silvio Berlusconi in favore degli esponenti dell’associazione mafiosa, in cambio della complessiva protezione da questa accordata all’imprenditore”.
Ora Dell'Utri ha scontato la pena, seppur nell'ultimo periodo non in carcere, dopo le detenzioni a Parma ed a Rebibbia, ma ai domiciliari per ragioni di salute.
Lo ha fatto mantenendo l'assoluto silenzio. Ora però non si apra quel "processo di beatificazione" solita del popolo italiano che spesso dimentica i fatti ed il peso della storia. Del resto le vicende giudiziarie dell'ex manager di Publitalia non si sono ancora concluse: oltre ad essere imputato al processo Stato-mafia, ed indagato a Firenze per le stragi con lo stesso Berlusconi, è anche sotto processo a Napoli e Milano per la sottrazione di centinaia di libri antichi.

“Assuzioni, raccomandazioni e corruzione”, ecco le accuse al renziano Sammartino. 13 gli indagati.

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Assunzioni in aziende private, raccomandazioni per promozioni o trasferimenti in sanità o partecipate, spintarelle per la rateizzazione di cartelle esattoriali, ma anche l’ipotesi di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio per la liquidazione di un trattamento di fine rapporto. Sono le contestazioni fatte dalla Procura di Catania nell’avviso di conclusione indagine, e contestuale avviso di garanzia, nell’inchiesta per corruzione elettorale notificato al deputato regionale di Italia viva all’Assemblea siciliana, Luca Sammartino. Lo scrive La Sicilia rivelando che ci sono anche altri 12 indagati.
Tra questi, ci sono: il sindaco di Aci Castello, Carmelo Scandurra, per un episodio avvenuto prima della sua elezione; l’assessore di Mascalucia, Nino Rizzotto Salamone; l’ex consigliere comunale di Catania, Giuseppe Musumeci; il consigliere di Militello, Salvatore Cannata Galante; l’ex consigliere comunale di Caltagirone, Alfredo Scozzarella; il consigliere della seconda Circoscrizione di Catania, Giuseppe Damiano Capuano; l’ex consigliere municipale etneo Marco Mirici Cappa.
L’inchiesta coordinata dal procuratore Carmelo Zuccaro, dall’aggiunto Agata Santonocito e dal sostituto Fabio Saponara verte su indagini della Digos della Questura sulla campagna elettorale per le politiche del 2018. Luca politico, recordman delle preferenze alle elezioni regionali del 2017, era candidato alla Camera dei deputati nel collegio uninominale di Misterbianco e ottenne oltre 16mila voti, non sufficienti per essere eletto. Secondo l’accusa avrebbe fatto o promesso i ‘favori’ contestati nell’avviso di conclusione indagini in cambio di voti.
Sammartino in passato è stato indagato dalla Procura di Catania per le Regionali del 2017 in Sicilia nell’ambito di un’inchiesta sulla regolarità del voto espresso da persone anziane di una casa di cura della provincia etnea, ma il fascicolo fu successivamente archiviato.

DAL DISCORSO DI OGGI DI CONTE CONTRO SALVINI E SUL MES. - Viviana Vivarelli

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Da alcune settimane i massimi esponenti di alcune forze di opposizione hanno condotto una insistita, capillare campagna mediatica, accusandomi di avere adottato, nel corso di questo negoziato con le Istituzioni europee, condotte talmente improprie e illegittime da essermi reso responsabile di “alto tradimento”.
Sarei, quindi, uno spergiuro. Questo perché sarei venuto meno al vincolo, assunto al momento in cui mi è stato conferito l’incarico di Presidente del Consiglio, di essere fedele alla Repubblica, di osservarne la Costituzione e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione.
Si è perfino adombrato che avrei tenuto questa condotta per biechi interessi personali, anteposti al dovere di tutelare l’interesse nazionale.
Questa accusa, possiamo convenirne tutti, non rientra nell’ambito della ordinaria polemica politica.
Quando sono venuto dinanzi a Voi per chiederVi la fiducia ho invocato, per questa nuova stagione politica, un “linguaggio mite”, ho auspicato che la Politica, con la P maiuscola, potesse riporre una particolare attenzione alla “cura delle parole”.
Le accuse che mi sono state rivolte, tuttavia, trascendono ampiamente i più accesi toni e le più aspre contestazioni che caratterizzano l’odierna dialettica politica, già di per sé ben poco incline alla “cura delle parole”.
Siamo al cospetto di un’accusa gravissima.
Se si arriva ad accusare apertamente e ripetutamente, in tutte le trasmissioni televisive e in tutti i canali social, il Presidente del Consiglio di avere tradito il mandato di difendere l’“interesse nazionale” e di avere agito per tutelare non si sa quale interesse personale, allora il piano delle valutazioni che siamo sollecitati a compiere è completamente diverso.
Se queste accuse avessero un fondamento, saremmo di fronte alla massima ferita, al più grave vulnus inferto alla credibilità dell’Autorità di Governo, con la conseguenza che chi vi parla non potrebbe esitare un attimo a trarne tutte le conseguenze: senza neppure attendere che mi venisse chiesto da chicchessia, sarei costretto a rassegnare all’istante le dimissioni da Presidente del Consiglio.
Se però queste accuse non avessero fondamento e anzi fosse dimostrato che chi le ha mosse era ben consapevole della loro falsità, avremmo la prova che chi ora è all’opposizione e si è candidato a governare il Paese con pieni poteri, sta dando prova, e purtroppo non sarebbe la prima volta, di scarsa cultura delle regole e della più assoluta mancanza di rispetto delle istituzioni. Se questo fosse il caso, infatti, saremmo di fronte a un comportamento fortemente irresponsabile, perché una falsa accusa di alto tradimento della Costituzione è questione differente dall’accusa di avere commesso errori politici o di avere fatto cattive riforme: è un’accusa che non si limita solo a inquinare il dibattito pubblico e a disorientare i cittadini, è indice della forma più grave di spregiudicatezza perché pur di lucrare un qualche effimero vantaggio finisce per minare alle basi la credibilità delle istituzioni democratiche e la fiducia che i cittadini ripongono in esse.
Pur di attaccare la mia persona e il Governo non ci si è fatti scrupolo (e mi sono sorpreso, se posso dirlo, non della condotta del senatore Salvini, la cui “disinvoltura” a restituire la verità e la cui “resistenza” a studiare i dossier mi sono ben note, quanto del comportamento della deputata Meloni) di diffondere notizie allarmistiche, palesemente false, che hanno destato preoccupazione nei cittadini e, in particolare, nei risparmiatori: è stato detto che sarebbe prevista la “confisca dei conti correnti dei risparmiatori” e, più in generale, che “tutti i nostri risparmi verrebbero posti a rischio”; è stato detto che il Mes servirebbe solo a beneficiare le banche altrui e non le nostre.
E’ stato anche detto che il Mes sarebbe stato già firmato, e per giunta di notte.


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L’Eurocazzaro - di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 3 Dicembre.

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Ce ne vorrebbe uno al giorno, di confronto Conte-Salvini in Parlamento, per far capire agli italiani da chi sono governati oggi e da chi rischiano di esserlo domani. Da una parte una persona seria e competente. Dall’altro un caso umano in stato confusionale. Ieri, alla Camera e al Senato, si è visto un premier che sa ciò che dice e conosce le materie che tratta. E un aspirante successore che palesemente denota “disinvoltura a restituire la verità e resistenza a studiare i dossier”. Conte ha puntualmente ricostruito l’iter del Mes (Meccanismo europeo di stabilità), il costante coinvolgimento del Parlamento e dei ministri dei suoi due governi fin da quando, il 27 giugno 2018, appena arrivato, il premier riferì le proposte della Commissione europea. E nessuno fece una piega. Due giorni dopo, al vertice Ue, Conte propose modifiche alla bozza del Mes e l’11 dicembre tornò a riferirne alle Camere: nessun’obiezione neppure allora. Ne riparlò al Parlamento il 19 marzo, vigilia del Consiglio europeo. E di nuovo il 19 giugno, prima dell’Eurosummit decisivo. Lì perfino il leghista No Euro Alberto Bagnai gli fece i complimenti: “Mi permetta, signor Presidente del Consiglio, di ringraziarla per il fatto che lei, in applicazione di questa norma e in completa coerenza con quel principio di centralità del Parlamento, fin dal primo giorno, affermò in questa sede di voler rispettare, sia venuto ad annunciarci che questo approfondimento tecnico ci sarà”.

Intanto anche i ministri direttamente interessati, da Tria a Savona, riferivano infinite volte in Parlamento, in aula e nelle commissioni (a partire da quelle presiedute dai leghisti anti-Ue Borghi & Bagnai). E anche lì tutti muti. Per non parlare dei sette fra vertici di maggioranza e riunioni tecnico-politiche e dei cinque Consigli dei ministri convocati da Conte sul Mes o su vari temi fra cui il Mes: lì c’erano sempre il vicepremier Salvini e i suoi ministri, viceministri e sottosegretari: gli stessi che accusano il premier di aver fatto tutto di nascosto, di notte, a loro insaputa. Che facevano? Pensavano che il Mes fosse un vermouth? Dormivano? Si facevano piedino? Twittavano? Postavano su Facebook e su Instagram? Giocavano con l’iPhone? Guardavano porno sull’iPad? Se questi cialtroni straparlassero al bar o al Papeete, poco male: nessuno ne pagherebbe le conseguenze. Invece parlano ai media e in Parlamento: sono settimane che chiedono le dimissioni del premier (Salvini, già che c’è, anche l’“arresto per alto tradimento”, reato che può commettere solo il presidente della Repubblica) e scatenano risse e gazzarre in Parlamento.


Così quelle immagini e quegli sproloqui fanno il giro del mondo, screditano l’Italia e contribuiscono al rialzo dello spread, dopo mesi di bonaccia. E le conseguenze le paghiamo tutti noi. Questo è il vero, unico alto tradimento. O aggiotaggio, come suggerisce Monti. Quando Conte ha concluso il suo intervento ha parlato - anzi, ha ruttato - Salvini. Ci si attendeva che estraesse un formidabile asso dalla manica per inchiodare definitivamente il premier al suo alto tradimento e condurlo dritto e filato a Regina Coeli. Invece, come il 20 agosto - nel dibattito sulla crisi del mojito, come sempre - non aveva nulla di nulla. Nè nella manica, né nella testa.


Dopo aver calunniato Conte per giorni e giorni e mentre gli intimava di “vergognarsi” non si sa per cosa, il Cazzaro Verde si è travestito da linosotis simbolo di “umiltà” che cita Confucio senza sapere chi sia e – bontà sua – “non replica agli insulti” e “non fa querele” (solo a noi, nove in tre anni: tutte perse) perchè uso a “rispondere col lavoro”. Non avendo mai lavorato un minuto in vita sua. Si vedeva chiaramente che non ha la più pallida idea del Mes. Infatti ha attaccato un comiziaccio da bar sull’Ilva e l’Alitalia, che non c'entrano una mazza e che la Lega ha sul groppone per i suoi 10 anni al governo su 25 (il quintuplo di Conte). Poi è passato alle barzellette. Tipo questa: “Le banche in difficoltà sono in Germania, non in Italia” (ciao, core). O quella sulla raccolta firme di domenica prossima in “mille piazze d’Italia” (e perchè non centomila?) per “abrogare il Mes” (che non è stato ancora firmato e comunque non può essere abrogato) e “denunciare i papà e le mamme del trattato” (fra gli applausi dei suoi giannizzeri beotamente ghignanti, anch’essi padri e madri del Mes a loro insaputa).


In un paese normale, un politico ridotto a una figura tanto barbina si scaverebbe una fossa, ci si ficcherebbe dentro, chiuderebbe il tombino e ne uscirebbe fra quattro o cinque anni, sperando nella memoria corta della gente. Invece siamo in Italia, dunque il Cazzaro e i suoi simili continueranno a blaterare come se fossero dei politici, e non dei soggetti inabili al governo e anche al lavoro. Come quando Salvini accusò Conte di conflitto d'interessi sul caso Fiber 4.0-Retelit, poi si scoprì che il premier s'era astenuto e aveva deciso Salvini. O quando intimò al sottosegretario Spadafora di “rendere più veloci le adozioni”, poi Conte gli svelò che la delega sulle adozioni l'aveva il suo ministro Fontana. O quando accusò i giallo-rosa di aver bocciato un emendamento leghista al decreto Fiscale che prorogava le esenzioni dall’Imu agli immobili inagibili per il terremoto, poi si scoprì che era nel decreto Sisma appena approvato alla Camera. O quando strillò contro il Conte2 che imponeva ai sindaci di pignorare il conto in banca a chi “non riesce a pagare una multa”, poi si scoprì che era una balla. In questi casi, si dice che uno non c’era o, se c’era, dormiva. Il guaio di Salvini è che c’è quasi sempre, e bello sveglio. Ma purtroppo non studia, o non capisce. Dargli del cazzaro non è un insulto: è pura cronaca.


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