domenica 17 maggio 2020

Chi può e chi non può. - Marco Travaglio

Csm, le trame tra Lotti e Palamara su Ielo: «Il dossier va spinto ...
Siamo tutti distratti da problemi di sopravvivenza (anche se ormai ci siamo mitridatizzati a ingoiare 250 morti al giorno). Dunque certe notizie cadono nel vuoto. Perciò questa merita di essere sottolineata: l’altroieri i nostri Marco Lillo e Antonio Massari, che stanno leggendo le intercettazioni dell’inchiesta sul pm Luca Palamara, hanno fatto due scoop. Il primo sono gli imbarazzanti colloqui di un anno fa tra il pm indagato e il suo collega Fulvio Baldi, capo di gabinetto di Alfonso Bonafede al ministero della Giustizia, su come sistemare lì due magistrate vicine a Palamara, potente capocorrente di Unicost (che però restarono dov’erano). Nulla di illegale o di inusuale: ma imbarazzante sì, almeno per il braccio destro del ministro che voleva scardinare le correnti togate col sorteggio alle elezioni del Csm.
Il secondo riguarda la cena segreta organizzata il 25 settembre 2018 nella propria casa romana da Giuseppe Fanfani, avvocato aretino, allora consigliere uscente del Csm in quota Pd, molto legato a Renzi&Boschi, col solito Palamara e tre parlamentari turborenziani Pd: Luca Lotti (indagato per Consip), Cosimo Ferri (magistrato in aspettativa, già potente capocorrente di MI) e David Ermini (allora candidato alla vicepresidenza del Csm). Due giorni dopo l’allegro convivio, il deputato uscente Ermini viene eletto a sorpresa alla carica elettiva più alta dell’autogoverno dei magistrati (sopra di lui c’è solo il presidente di diritto Mattarella), grazie ai 13 voti delle correnti conservatrici MI (quella di Ferri) e Unicost (quella di Palamara), a quelli dei due capi della Cassazione, al suo e all’astensione di FI. Il tutto in barba alle raccomandazioni del capo dello Stato sull’indipendenza richiesta per quella carica, che avrebbero consigliato di eleggere l’altro candidato: il prof. Alberto M. Benedetti, giurista apolitico e apartitico indicato come laico dal M5S e sostenuto anche dai togati di Area, dai davighiani di AeI e dai leghisti (11 voti). Lo stesso giorno il Fatto rivela che la Procura di Perugia indaga su Palamara (ancora non iscritto), il quale si consola esultando su Whatsapp con Fanfani per aver piazzato Ermini con un sobrio “Godo!!!!!!! Insieme a te!!!!” (11 punti esclamativi).
Risultato dei due scoop. Ermini è sempre vicepresidente del Csm. Lotti è sempre deputato (ex?) renziano del Pd. Ferri è sempre magistrato in aspettativa e senatore renziano di Italia Viva. Baldi non è più capo di gabinetto di Bonafede, che l’ha dimissionato ieri. Dunque il 20 maggio i renziani minacciano di votare in Parlamento una mozione del centrodestra. Contro Lotti? Contro Ferri? Contro Ermini? No, contro Bonafede.

Bertolaso astronauta. - Marco Travaglio

Coronavirus, Lombardia al collasso: arriva Bertolaso. Conte ...
I barbieri riaprono domani, ma Guido Bertolaso ha riaperto ieri. Con un’intervista al Foglio. Così si è riformato il duo fra lui, noto nell’ambiente cabarettistico come Bertolesso, e il suo ultimo capocomico, Attilio Fontana in arte Umarell, che purtroppo non aveva mai chiuso. Resta invece in lockdown la lingua del terzo caratterista del trio: il popolare Giulio Gallera, noto anche come Compro-una-Consonante, silenziato ormai da un mese da chi gli vuol bene per risparmiargli guai peggiori. Ma andiamo con ordine. Triste, solitario y finàl, Bertolesso si è concesso al ragionieri Cerasa in un imperdibile colloquio su “La protezione che manca all’Italia”: quella civile, che non s’è ancora riavuta dopo il suo passaggio. Dice dunque il salvatore della patria, richiamato d’urgenza due mesi orsono dal Sudafrica (con gran sollievo delle popolazioni indigene) per fare il “consulente personale del governatore della Lombardia”, che se ce la faremo dovremo “ringraziare un po’ meno il popolo e un po’ meno chi lo rappresenta”. Resta da capire chi dovremo ringraziare un po’ di più, ma la risposta è implicita: Lui.
Le apparenze non ingannino: è vero che, appena arrivato per creare nuovi posti letto, ne occupò subito uno perché incontrava questo e quello senza distanziamento né mascherina, stringeva mani senza mettere i guanti e si avvicinava pericolosamente a chi gli parlava per via di un calo d’udito, ragion per cui si contagiò e spedì in quarantena plotoni di collaboratori in Lombardia e pure nelle Marche. Però, anche se nessuno se n’è accorto, ne ha fatte di cose. “Ho costruito un’astronave”, cioè il leggendario ospedale Covid alla Fiera di Milano, ma poi “se gli astronauti chiamati a pilotarla non sono stati capaci, credo che la colpa sia di chi li ha scelti”. Cioè di chi ha scelto lui: l’Umarell. Il fatto che l’“astronave” sia costata 50 milioni e sia arrivata a ospitare 14 malati nelle ore di punta e 4 negli ultimi giorni, roba da 3,5-12,5 milioni per letto, e sia diventata lo zimbello della comunità scientifica mondiale, non lo tange. Lui l’astronave l’ha fatta, tant’è che è richiestissimo dalla Nasa. Ma non solo: “Nei giorni in cui ho collaborato con la Regione Lombardia un piano lo avevo proposto”. Ecco, pure il piano. E che diceva? “Fare tamponi a tappeto e screening sierologici a 4 milioni di persone entro la prima settimana di maggio”, insomma “le tre t (tamponi, tracciamento, terapia)”, che però si scontrarono con le “tre d” di Fontana “distanza, dispositivi, digitalizzazione”, peraltro mai viste). Ma, osserva amaro il nostro eroe, “ancora non ho capito perché non mi è stato permesso di farlo”.
E domandarlo all’Umarell e all’Avanzo di Gallera pareva brutto. Vabbè, dài, è andata così. Spiace per gli incolpevoli sudafricani, che ora se lo riciucciano. Invece Fontana resta. E, se non fosse per il record mondiale di morti (15.450 grazie alla sua “sanità modello”), sarebbe uno spasso. L’altroieri, stufo del doppio gioco dei sedicenti governatori del Nord, pompieri al chiuso e incendiari all’aperto, Conte li ha responsabilizzati sulle nuove riaperture. Ed è accaduto ciò che accadde nella striscia di Gaza quando Israele la lasciò ai palestinesi, che iniziarono a scannarsi fra loro. Il vertice dei 20 presidenti era meglio del circo Togni: Fontana, tremante all’idea di metter la faccia su misure restrittive e impopolari, tentava di ripassare il cerino al governo (“Deve darci linee guida uguali per tutti”) e Zaia lo zittiva (“Non se ne parla neanche”).
A quel punto, siccome è più facile assumere un Bertolaso che una responsabilità, ha sganciato un’arma di distrazione di massa. E, non potendo invadere le Falkland, ha iniziato a strillare al terrorismo per una scritta e un falcemartello contro di lui su un muro di Milano. “Virus comunista”, ha titolato il fu Giornale, intervistando il povero Umarell che sbraitava lì e su La Stampa: “C’è un piano politico contro di me”, “un clima antilombardo”, “critiche non sul merito ma perché io sono della Lega” e “questo clima si riversa contro la Lombardia”, noto paradiso terrestre: “la sanità in Lombardia ha funzionato bene e si è dimostrata efficiente”, grazie anche al Bertolaso Hospital (“un’opera di programmazione, fatta anche nelle Marche, in Emilia, a Berlino”: infatti sta per chiudere). Insomma, “io credo che i numeri si debbano anche interpretare. Se guardiamo il tasso di infezione, scopriamo che da noi è fra i migliori in Italia” (nessuno si infetta come in Lombardia: sono soddisfazioni). Ergo “siamo riusciti a contenere il virus”, che peraltro “si è diffuso perché c’è una grande densità, mobilità”: invece le altre regioni sono desertiche e i pochissimi aborigeni non hanno ancora inventato la ruota. Sallusti e altre pregiate firme del Giornale elencano i mandanti del vile attacco terroristico a mezzo spray: la Sciarelli, Currò del M5S, Gad Lerner e il sottoscritto, rei di aver criticato il miracolo sanitario lombardo. Mancano, alla lista dei mandanti delle Vernici Rosse, gli Ordini dei medici di tutta la Lombardia, autori di un referto definitivo sui disastri sanitari regionali. I famosi Camici Rossi che Fontana&Gallera accusarono di “fare politica al servizio del Pd”. Appena riaprono pure i cabaret, questi ci ammazzano dal ridere.

Articolo 21. - Massimo Erbetti

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Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure
Per cui ben venga la protesta del 2 giugno. Ma siccome l'articolo 21 non è solo per alcuni, tutti hanno il diritto di dire la loro, per cui, diritto di protestare? Si, sacrosanto, ma anche il diritto di critica verso chi quella manifestazione l'ha indetta, deve essere accettato. E io rivendico il mio diritto a farlo, rivendico il diritto di ricordare a questi signori affetti dalla sindrome della memoria corta, quanto accaduto negli ultimi tempi. Cari "amici del popolo italiano", vi ricordate che con la finanziaria dello scorso anno l'attuale governo è riuscito ad evitare l'aumento dell'Iva? Ve le ricordate le clausole di salvaguardia? Vi ricordate che il governo Conte è riuscito a scongiurarlo? Ve lo ricordate si, che quello che voi chiamate capitano, ma altro non è che un mozzo, ha deliberatamente fatto cadere il governo precedente? E vi ricordate che avrebbe voluto andare al voto, proprio quando si sarebbe dovuta fare la manovra economica? Cosa sarebbe successo, se le cose fossero andate come voleva lui? Lo sapete vero che i mercati speculano su queste cose e che sfruttano i momenti di incertezza per lanciare attacchi agli stati e lo spread sarebbe aumentato e il taglio dell'Iva non si sarebbe potuto effettuare? Come sarebbe oggi la nostra economia con un'iva al 25%? E ve lo ricordate che il vostro mozzo, ha attaccato il governo perché secondo lui bisognava chiudere già dal 31 gennaio? (Non voglio entrare nella polemica di dire che un giorno affermava una cosa e quello successivo un'altra, non è questo il mio scopo) Non diceva di non chiudere, anzi lui avrebbe chiuso prima, e cosa sarebbe cambiato rispetto ad ora? Non avremmo avuto gli stessi problemi? Attività in difficoltà, lavoratori senza stipendi, molti cittadini senza neanche soldi per fare la spesa, ci sarebbero state comunque no? Oppure pensate che lui i soldi li avrebbe trovati? E se pensate che li avrebbe trovati, ditemi dove. Li avrebbe stampati? Li avrebbe creati dal nulla? Con la bacchetta magica? Oppure se li sarebbe fatti dare dall'Europa? Perché se mi dite che sarebbe l'Europa a doverci aiutare, mi dovete anche spiegare per quale assurdo motivo l'altro giorno, in Europa non avete votato il Recovery Fund, e mi dovete anche spiegare perché fate comunella con i partiti nazionalisti europei che sono i primi a non volerci aiutare. Volete soldi e avete ragione a volerli, volete i soldi della cassa integrazione e avete ragione, ragione da vendere, ma spiegatemi come mai, le vostre regioni, quelle governate da voi, sono indietro con la lavorazione delle pratiche, lo sapete che dipende da loro se i soldi non arrivano? Siete così indietro che per far arrivare quei benedetti soldi questo governo, sta togliendovi questo compito per darlo direttamente all'INPS, così da accelerare le pratiche. Sapete? La gente ha fame davvero e il giochetto delle tre carte prima o poi verrà scoperto.


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sabato 16 maggio 2020

Palamara&Company e quella cena a casa Fanfani: nel menu Ermini vicepresidente Csm. - Antonio Massari

Palamara&Company e quella cena a casa Fanfani: nel menu Ermini vicepresidente Csm

Perugia - Il vertice 2 giorni prima della nomina al Csm con Lotti e Ferri e le chat del pm con Minniti.
Quattro versioni per una cena. E che cena. È il 25 settembre 2018. Mancano 48 ore alla nomina di David Ermini a vicepresidente del Csm. Una nomina che non troverà l’appoggio della corrente di Area, ma quello di Magistratura Indipendente e di Unicost. Ed è proprio durante quella cena che viene sancito l’appoggio di MI e Unicost per il candidato laico sostenuto dal Pd. A confermare al Fatto che la sua investitura, a 48 ore dalla nomina, sia stata suggellata a tavola, in quella cena riservata, con 5 o 6 ospiti al massimo, è proprio il vicepresidente del Csm, David Ermini.
Il padrone di casa è Giuseppe Fanfani, laico del Csm ormai uscente, nipote del celebre Amintore, eletto a Palazzo dei Marescialli nel 2014 in quota Pd. A un altro lato del tavolo siede Cosimo Ferri, altro parlamentare del Pd. E soprattutto uomo forte di MI. Accanto a lui, Luca Palamara, leader indiscusso di Unicost e, in quel momento, apparentemente scevro da problemi giudiziari. Apparentemente, perché da qualche settimana la Procura di Roma ha inviato a Perugia un fascicolo che lo riguarda e per il quale, in quel momento, non è stato ancora indagato. Al quartetto si aggiunge infine un altro commensale che appare spesso nell’inchiesta che riguarda Palamara: Luca Lotti. Se quest’ultimo non smentisce la sua presenza, ma preferisce non commentare, è proprio Fanfani a negare l’avvenuto appuntamento: “Lo escludo”. Proviamo a fornirgli dei dettagli. Ovvero il contenuto di alcune chat depositate alla Procura di Perugia ed estratte dal telefono di Palamara e ritenute irrilevanti dalla Procura umbra. Decidiamo di pubblicare perché riguardano personaggi pubblici e fatti di pubblico interesse.
Il 19 settembre, Fanfani scrive a Palamara: “Confermo martedì ore 21 a casa mia cena riservata. Io te Cosimo e David”. Pochi minuti dopo Palamara gli risponde: “Ok un abbraccio”. Una settimana dopo, il 25 settembre, Fanfani ricorda a Palamara il suo indirizzo romano. Anche Ferri conferma di aver partecipato a quella cena – l’unico a non ricordarlo è quindi il solo Fanfani – ma, a differenza di Ermini, esclude che si sia parlato della nomina del vicepresidente del Csm.
Due giorni dopo, Ermini ottiene i voti per il secondo scranno più alto di Palazzo dei marescialli. Fanfani invia a Palamara un’immagine attraverso whatsapp. E il pm romano risponde: “Strepitosi”. Sempre il 27 è invece Palamara a scrivere due messaggi a Ermini: “ Godo!!!!!!!”. E ancora: “Insieme a te!!!!”. In serata Ermini prova a chiamare Palamara su whatsapp ma non ci riesce. Altra cena prevista per il 12 ottobre: “Caro David” scrive Palamara a Ermini “puoi bloccare se non hai altri impegni 22 o 24 ottobre sera volevo organizzare cena ristretta con Cafiero de Raho (procuratore nazionale antimafia, ndr)? Un abbraccio e quando vuoi caffè”. “Ok” replica Ermini, “per ora sono libero tutte e due le date. Fammi sapere”. I due convengono per il 22 ottobre.
In quelle settimane, a differenza della cena del 25 settembre, che ci fosse un fascicolo su Palamara a Perugia era ormai noto poiché, ad averlo rivelato, era stato proprio un articolo del Fatto Quotidiano pubblicato il 27 settembre, il giorno della nomina di Ermini. Il 18 ottobre Ermini chiede una mano a Palamara per un suo intervento: “Mi mandi un paio di punti per la traccia dell’intervento di domani?”. “Mi hanno assicurato entro mezz’ora arriva tutto”, conferma Palamara, che in pochi minuti conferma: “Inviata”. “Grazie” risponde Ermini. Navigando in Internet si scopre che il 19 ottobre Ermini partecipa a un seminario di Magistratura Indipendente.
Il 26 ottobre 2018, Palamara si congratula per un’intervista rilasciata da Ermini. “Grande David, ottima intervista, precisa, chiara, puntuale, un abbraccio. Ci vediamo a pranzo martedì con Riccardo”. La notte del 26 ottobre fissano un appuntamento dopo l’incontro (dal tenore del messaggio si presume di Ermini, ndr) con il presidente della Repubblica. “Ciao David ci vediamo dopo Mattarella? Notte un caro saluto”. “Mi aveva detto alle 8.30”. “Non ci eravamo capiti io e Cosimo. Ti crea problemi se facciamo quando finisci tu?” scrive Palamara. “No no per ma va bene. Allora ci vediamo dopo le 12.15. Per me ok”. E Palamara: “Perfetto a domani”. Il giorno dopo commentano un apparizione di Piercamillo Davigo leader della corrente AeI: “Anche stasera Davigo debole…” scrive Palamara. “Va troppo spesso in tv… secondo me così si inflaziona…” risponde Ermini. “Sì, hai ragione si sta bruciando” continua Palamara. “Alla fine non fa più notizia” conclude Ermini.
Il 21 gennaio 2019 altra cena: “Confermato domani sera ore 21 a casa mia ci saranno Cafiero Riccardo e Cosimo un abbraccio” scrive Palamara. “Ok” risponde Ermini. E del futuro procuratore nazionale antimafia Palamara parla anche con l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti. È il 26 luglio 2017: “Situazione su Cafiero ancora in evoluzione ma faticosissima spero trovare ultima mediazione a dopo”. “Perfetto. Grazie” risponde Minniti. “Fallito anche ultimo tentativo” scrive Palamara il 27 luglio. E ancora: “Oramai si vota a breve”. “Ok grazie” la risposta. Cafiero non riesce a diventare procuratore di Napoli. Palamara scrive a Minniti i voti: “9 voti Cafiero, 14 Melillo, 2 astensioni, Votato ora”. “Perfetto” risponde Minniti, “Cerchiamo adesso di salvare il soldato de Raho. Il risultato in qualche modo lo consente”.
E Palamara conferma: “Si il mio intervento in plenum è stato in questo senso”. “Perfetto. Lavoriamoci” conclude Minniti. Il 5 ottobre la commissione incarichi direttivi del Csm propone Cafiero de Raho procuratore nazionale antimafia. Palamara torna a fornire i voti a Minniti: “Votato De Raho 5 voti Scarpinato 1”. In sostanza, il pg di Palermo Roberto Scarpinato ottiene un solo voto, quello di Piergiorgio Morisini, di Area, mentre Cafiero de Raho ottiene l’incarico. “Eccellente. Grazie” risponde Minniti. Il plenum nomina Cafiero de Raho procuratore nazionale antimafia l’8 novembre. La stima per il nuovo procuratore è ampia: ottiene infatti l’unanimità.

venerdì 15 maggio 2020

Inchiesta Csm, dopo l’articolo de ilfattoquotidiano.it si dimette il capo di gabinetto del ministero della Giustizia.

Inchiesta Csm, dopo l’articolo de ilfattoquotidiano.it si dimette il capo di gabinetto del ministero della Giustizia

Le dimissioni dopo l'articolo di Marco Lillo e Antonio Massari: "Csm, nelle carte lo strapotere della corrente di Palamara pure dentro al ministero". Fonti vicine al Guardasigilli fanno sapere che Bonafede non ha apprezzato le logiche correntizie rivendicate da Baldi nelle conversazioni telefoniche con Luca Palamara.
Il capo di gabinetto del Ministero di Giustizia Fulvio Baldi si è dimesso. Le agenzie di stampa riferiscono “ragioni personali” molto sinteticamente. La reggenza è stata affidata al capo dell’ufficio legislativo, Mauro Vitiello.
Le dimissioni arrivano poco dopo la telefonata con Il Fatto quotidiano (e la pubblicazione sul sito de ilfattoquotidiano.it dell’articolo di Marco Lillo e Antonio Massari: “Csm, nelle carte lo strapotere della corrente di Palamara pure dentro al ministero”) che ha letto a Baldi le intercettazioni delle conversazioni con Luca Palamara del periodo aprile-maggio 2019. In quelle conversazioni Baldi parlava di raccomandazioni in favore di una pm e di una giudice che volevano andare a lavorare al Ministero di via Arenula. Intorno alle 20, terminata la telefonata, Baldi ha avuto un colloquio con il Ministro Alfonso Bonafede. Alla fine del colloquio si è deciso a dare le dimissioni dal suo incarico che ricopriva dal 28 giugno del 2018.
Fonti vicine al ministro fanno sapere che Bonafede non ha apprezzato le logiche correntizie rivendicate da Baldi nelle conversazioni telefoniche con Luca Palamara. Il Capo di Gabinetto (ovviamente mai indagato) parlava con il suo amico e compagno di corrente nel periodo in cui Palamara era indagato e intercettato dal Gico della GdF di Roma in un’inchiesta segreta dei pm di Perugia che da poche settimane si è chiusa con il deposito degli atti e l’accusa di corruzione nei confronti dell’ex consigliere del Csm. All’epoca Baldi, che ha militato per moltissimi anni in Unicost, corrente centrista della quale Palamara era leader e consigliere Csm uscente, non poteva sapere che Palamara era indagato, ma poteva conoscere l’esistenza del fascicolo perugino (allora senza indagati) che fu svelata dal Fatto il 27 settembre del 2018.
Il posto di capo gabinetto resta vacante, ma Alfonso Bonafede ha per ora affidato la reggenza proprio a Mauro Vitiello, il capo dell’ufficio legislativo citato nelle intercettazioni di Palamara con Baldi.
Mauro Vitiello, a detta di Baldi, dopo un colloquio ad aprile 2019 con una pm di Modena che voleva venire al ministero, non aveva voluto prenderla. La dottoressa Katia Marino era stata raccomandata a Baldi da Luca Palamara. Tuttora lavora alla Procura di Modena e ovviamente non ha nessuna colpa in questa vicenda, avendo solo chiesto all’amico Luca Palamara che stava a Roma se c’era bisogno di una persona nello staff del Ministero. Baldi nelle intercettazioni sosteneva che Vitiello fosse contrario anche perché di area MD, la corrente progressista della magistratura contrapposta di Unicost. Però, come ha spiegato Baldi ieri al Fatto durante il colloquio precedente alle sue dimissioni, “io pensavo allora fosse di Md poi ho scoperto che Vitiello non ne fa parte”.
Ora Alfonso Bonafede deve decidere chi sarà il suo nuovo capo di gabinetto, una posizione nevralgica per il funzionamento del ministero.

Csm, nelle carte lo strapotere della corrente di Palamara pure dentro al ministero. Il capo di gabinetto: “Che cazzo li piazziamo a fare i nostri?” - Marco Lillo e Antonio Massari

Csm, nelle carte lo strapotere della corrente di Palamara pure dentro al ministero. Il capo di gabinetto: “Che cazzo li piazziamo a fare i nostri?”

Agli atti dell'inchiesta della procura di Perugia sulle nomine dei magistrati ci sono anche le intercettazioni di Fulvio Baldi, capo di gabinetto di Alfonso Bonafede, che l'ex pm di Roma chiama "Fulvietto". Baldi è ovviamente estraneo alle indagini, ma gli investigatori riportano le registrazioni in cui è coinvolto perché sono un elemento utile a ricostruire l'enorme potere dell'ex presidente dell'Anm. E poi perché ricostruiscono come funzionano le correnti della magistratura, come gestiscono il potere, come si muovono, come spingono per far ottenere ai loro iscritti poltrone di prestigio. La replica: "Con Palamara siamo amici da tanti anni ma i suoi problemi giudiziari emergono solo dopo le conversazioni in questione. Le intercettazioni? Non le conosco ma non vedo nessun profilo disciplinare".
Luca Palamara lo chiamava “Fulvietto”. Gli faceva dei nomi di magistrate, gli chiedeva di piazzarle in posti di staff nei ministeri. Fulvietto rispondeva: “Te la porto qua stai tranquillo, perché è una considerazione che ho per te, un affetto che ho per te e lo meriti tutto”. E quando Palamara era dubbioso Fulvietto lo rassicurava: “Se no che cazzo li piazziamo a fare i nostri?”. I “nostri” erano probabilmente i magistrati di Unicost, la corrente moderata delle toghe, il cui leader era proprio il pm indagato nell’inchiesta sulle nomine al Csm. Fulvietto, invece, è Fulvio Baldi, già sostituto procuratore generale della Cassazione, candidato nel 2012 al Comitato Direttivo dell’Anm per Unicost e da quasi due anni capo di gabinetto di Alfonso Bonafede al ministero della giustizia. Sulla sua scrivania passano tutte le pratiche più delicate: le leggi, le nomine, i fascicoli giudiziari. Tra questi ultimi anche gli atti inviati dalle procure quando a finire sotto inchiesta sono i magistrati, affinché il guardasigilli possa esercitare l’azione disciplinare. È successo anche con l’indagine su Palamara e in quel caso il ministro Bonafede non ha perso tempo e ha attivato le sue prerogative: alla fine il magistrato è finito davanti al collegio disciplinare ed è stato sospeso dallo stipendio e dalle sue funzioni da pm di Roma, in attesa che la giustizia faccia il suo corso e confermi o smentisca le ipotesi accusatorie.
Da alcune settimane i pm perugini hanno chiuso l’inchiesta che ha provocato un vero e proprio terremoto fin dentro le stanze di Palazzo dei marescialli, con le dimissioni di cinque consiglieri e l’azzeramento dell’iter per la nomina del nuovo capo della procura di Roma. Agli atti sono finite anche le intercettazioni tra Palamara e Baldi, pure lui esponente di Unicost, la corrente più rappresentata (ma non l’unica) nelle stanze del ministero della giustizia. Oltre a Baldi ne fa parte Francesco Basentini, nominato dallo stesso Bonafede a capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, fino alle dimissioni di qualche giorno fa. Nel gabinetto c’è anche Leonardo Pucci, vice di Baldi e già compagno di studi a Firenze di Bonafede. Assistente volontario del professor Giuseppe Conte dal 2002 fino al 2009, poi giudice del lavoro a Potenza dal 2009 al 2015. In Basilicata Pucci conosce oltre a Basentini anche Luigi Spina, poi divenuto consigliere del Csm di Unicost, travolto dall’indagine per le intercettazioni con l’amico Palamara.
Pucci è l’uomo più vicino a Bonafede ma il ruolo di vertice nel gabinetto è occupato da due anni da Baldi. Salernitano, 52 anni, è ovviamente estraneo alle indagini su Palamara. Le parole intercettate della Guardia di Finanza non fanno ipotizzare a suo carico alcuna fattispecie di reato. Gli investigatori le riportano perché sono un elemento utile a ricostruire l’enorme potere di Palamara, pm sotto inchiesta. Ricostruiscono, infatti, come funzionano le correnti della magistratura, come gestiscono il potere, come si muovono, come spingono per far ottenere ai loro iscritti poltrone di prestigio e poi giù giù fino ai posti minori di staff. E anche come entrano in contrasto tra loro. A questo proposito, va detto che Bonafede è autore di una proposta di legge anti-correnti che puntava a introdurre il sorteggio per le elezioni al Csm. Dopo la caduta del governo con la Lega, però, il M5s ha dovuto discutere la nuova riforma della giustizia col Pd. E la proposta di sorteggiare i membri del Csm è svanita dal tavolo.
Col sorteggio lo strapotere delle correnti sarebbe stato indubbiamente azzerato. E non si sarebbero più lette intercettazioni come quelle di Palamara. Che al capo di gabinetto di Bonafede segnala una serie di nomi per incarichi negli staff di uffici e dipartimenti. In una conversazione si cita di passaggio anche il Dap, finito di recente al centro delle cronache per il “caso Di Matteo” e le scarcerazioni di mafiosi: anche lì Baldi pensava di poter piazzare una magistrata raccomandata da Palamara. Quella manovra, però, non è andata a buon fine. Forse anche perché, due settimane dopo le ultime telefonate intercettate con il capo di gabinetto del ministro, Palamara è stato travolto dall’inchiesta di Perugia. È proprio leggendo le carte dell’indagine umbra che si scopre come le trame dell’ex presidente dell’Anm passavano anche dall’ufficio di Baldi in via Arenula.
È il 3 aprile del 2018 e Palamara chiede al capo di gabinetto di Bonafede di sistemare al ministero una magistrata a lui vicina: si chiama Katia Marino ed è sostituto procuratore a Modena. Baldi risponde ‘presente’ e dice che la donna sarà contattata nel pomeriggio da Mauro Vitiello, capo dell’ufficio legislativo: “Ho passato il nome – dice – vediamo che cazzo succede prima o poi te la porto qua stai tranquillo perché è una considerazione che ho per te un affetto che ho per te e lo meriti tutto”. “Va bene”, risponde tranquillo Palamara. Ma c’è un problema. Mauro Vitiello, il capo dell’Ufficio legislativo del ministero citato da Baldi, è di un’altra corrente: appartiene a Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe, e non ai moderati di Unicost. Già giudice fallimentare a Milano, Vitiello non è l’unico esponente di Md in via Arenula: sua compagna di corrente è la sua vice, Concetta Locurto, già coordinatrice nel capoluogo lombardo di Area, il cartello di correnti di sinistra dei magistrati. Quello può essere un problema, almeno a leggere le parole di Baldi, che chiama Palamara desolato: “Vitiello ha sentito la ragazza, Katia Marino, ed è andata come deve andare aggiungendo ‘uomini però di mala fede i soliti di Magistratura Democratica‘”. Poi Baldi sostiene che Vitiello gli avrebbe detto: “Prenditela tu”. Ma il capo di gabinetto di Bonafede ha esaurito i posti liberi: “Ho detto – continua – ma io se non ero completo non c’era nessun problema’”. A quel punto il magistrato mette a disposizione del suo capocorrente una serie di possibili incarichi al ministero della Giustizia: “Però – dice Baldi a Palamara – abbiamo varie strade. Abbiamo l’Ispettorato, abbiamo il Dap, ma la strada più praticabile a questo punto è dal 6 maggio la Casola prende possesso al Dag. E’ qui già dal 7 maggio la Casola e mattina può far partire la richiesta insomma”. Il riferimento è a un altro magistrato, Maria Casola, stimata giudice autrice di note di dottrina pubblicate sul sito di Unicost, che dopo pochi giorni effettivamente sarebbe diventata capo Dipartimento per gli Affari di Giustizia.
A Palamara sembra che la previsione di Baldi sia un po’ troppo semplicistica e quindi chiede: “Se la prende lei o no?”. Quasi indignato per la domanda, Baldi replica: “Eh beh ma la Casola è nostra ragazzi, gliela indichiamo noi che cazzo, e allora che cazzo piazziamo a fare i nostri?”. Una frase che dimostra meglio di cento indagini come funzionino le nomine basate sui criteri di appartenenza nel mondo della magistratura. Soprattutto perché a pronunciarla è il capo di gabinetto del ministero della giustizia. Che parlando con l’amico Palamara spiega come va il mondo: “Glielo dico io tranquillamente (a Maria Casola, Ndr) tanto abbiamo tempo fino al 6 maggio poi gliela presentiamo (la dottoressa Marino, Ndr) però glielo voglio dire che poi ci sei pure tu dietro perché vai rispettato pure tu (…) glielo diciamo tutti e due insomma”. Il capo di gabinetto è fiero del suo potere: “Quindi – dice – hai capito che cazzo questa gente deve capire che la ruota gira nella vita”. Baldi – annota il Gico della Guardia di Finanza – “continua dicendo che ha 51 anni e che per altri 19 dovrà lavorare ovvero che tutti si devono voler bene e rispettare”.
Le manovre non si fermano al ministero. Dopo aver chiuso la telefonata con Baldi, Palamara chiama Nicola Clivio, consigliere del Csm dal 2014 al 2018 in quota Area. “Ciccio me l’hanno purgata! La fonte sono quelli di Md che l’hanno bruciata però guarda che è una brava ragazza”. Clivio risponde spiegando che dopo il messaggino ha preso informazioni e gliene hanno parlato male. Palamara ribadisce: “Sono quelli di Area e Magistratura Democratica, i soliti”. L’ex pm di Roma chiude chiedendo a Clivio di parlare con Vitiello. Poi richiama Katia Marino e le dice che Fulvio Baldi gli ha detto: “Vitiello o non Vitiello Katia viene”. Anche la Marino conferma quella frase di Baldi, poi Palamara si vanta e le racconta che “lui è stato aggressivo come il suo solito dimostrando che deve forzare la mano affinché il trasferimento riesca”. Non riuscirà: oggi Katia Marino è ancora un pm di Modena e non è mai andata a lavorare la ministero.
Le manovre di Palamara non riguardano solo lei e non si fermano al ministero della Giustizia. Arrivano, infatti, anche in altri dicasteri, come alla Farnesina. È il 17 maggio 2019, esattamente un anno fa, e il pm sollecita un’altra nomina a Baldi, quella della dottoressa Francesca Russo. La definisce “vicinissima a noi”. Baldi, scrive il gip, “chiede i suoi contatti dicendo che al Ministero Affari Esteri ha questa possibilità avendo carta bianca”. Il capo di gabinetto di Bonafede, viste le difficoltà incontrate per la dottoressa Marino in via Arenula, punta sulla Farnesina. Scrivono le Fiamme gialle “chiede se a Katia Marino può interessare un posto all’ufficio Contenzioso del Ministero degli Esteri seppur senza indennità aggiuntive (…) Palamara si informerà specie sul discorso della lingua”. Evidentemente il capo di gabinetto di via Arenula ci tiene a sottolineare di avere una rete di rapporti che vanno oltre il suo dicastero: “Fulvio – continuano gli inquirenti – conclude dicendo dipende solo da me capito non da capi Dipartimento e tutto, la mando io la porto io eh eh eh”. La dottoressa Katia Marino, però, fa capire a Palamara, “che avrebbe delle difficolta con le lingue e che quindi sicuramente il posto proposto (al ministero degli Affari esteri) sarebbe per lei peggiore rispetto a dove è attualmente”. Insomma la pm non è fortissima sulle lingue, e quindi preferisce andare al ministero di giustizia, dove si parla solo italiano. “Palamara – annota la Finanza – le spiega che c’erano altre opportunità che per ora sono in stand by a causa di Vitiello che fa opposizione per privilegiare i suoi ovvero quelli di Md (…) quindi parlano di Fulvio Baldi nei confronti del quale formulano elogi e Palamara aggiunge che ha capito chiaramente che la Marino deve rientrare aggiungendo: Lo sa non solo Fulvio ma lo sanno anche quelli vicino al Ministro’”. Passano appena 12 giorni e sui giornali esce la notizia che Palamara è indagato. Tutto si ferma. La dottoressa Katia Marino e la dottoressa Francesca Russo, che non sono mai state indagate, sono ancora al loro posto al Tribunale di Roma e alla Procura di Modena. Non sono mai passate al ministero.
Sentito dal Fatto Fulvio Baldi dice: “Abbiamo già visto con il Ministro Bonafede alcune mie chat con Palamara su questa vicenda e non c’è nulla di male”. Le chat, secondo Baldi, sono arrivate all’ispettorato del Ministero competente a valutare eventuali profili disciplinari dell’inchiesta. Ovviamente non su Fulvio Baldi ma su altri. “Io non ho letto queste intercettazioni che lei mi riferisce ma non vedo nessun profilo disciplinare a mio carico nelle frasi che mi legge”, spiega Baldi al Fatto che gli chiede un parere sulle sue stesse parole. “Siamo amici con Luca Palamara da tanti anni – spiega Baldi al Fatto – ma i suoi problemi giudiziari emergono solo dopo le conversazioni in questione. Io non ho portato al Ministero la dottoressa Katia Marino. Nel novembre 2018 l’ho incontrata su segnalazione di Palamara ma non l’ho presa. Poi la ho segnalata al dottor Mauro Vitiello e lui non l’ha voluta prendere. Certo, ho detto a Palamara, ‘vedrai che te la porto‘ ma solo per non deludere un amico dicendo alcune cose negative. Anche la dottoressa Francesca Russo l’ho vista al Ministero e ho ritenuto di disporre il collocamento fuori ruolo al Mae per altre tre persone. La dottoressa Katia Marino non l’ho mandata al Mae. Al Ministero ci sono 80 persone. E sono tanti che mi segnalano persone. Io faccio colloqui e vedo se la persona segnalata è compatibile”. E le intercettazioni in cui Baldi dice a Palamara “Che cazzo li piazziamo a fare i nostri?”. Baldi replica al Fatto: “Io definivo ‘i nostri’ quelli che appartenevano a quella che era la mia corrente Unicost. Io però sono uscito da Unicost a settembre 2019”. Quanto all’ex direttore del Dap Francesco Basentini, Baldi è netto: “Basentini lo ho conosciuto al Ministero, come anche Leonardo Pucci. Io non li ho mai visti in una riunione di corrente”.

Stampa senza speranza. - Gaetano Pedullà

MARIO ORFEO

In un Paese normale, un Governo che vara una delle manovre finanziarie più poderose di sempre raccoglie gli applausi. Ma di normale in Italia non è che ci sia rimasto molto, e così ieri in tutti i talk show televisivi, di qualunque canale, è stato un tiro al bersaglio contro il provvedimento, con la solita compagnia di giro di opinionisti riusciti ad andare oltre il senso del ridicolo, perché anche i sassi sanno che gli ultimi 55 miliardi tirati fuori da Conte, con effetti per 155 miliardi, nelle casse dello Stato prima non c’erano.
Tutto, ma proprio tutto, è stato contestato perché troppo poco, dato tardi o dato male. Con punte comiche, come i mille euro riconosciuti ai medici eroi nella guerra al Covid definiti una “mancetta” perché duemila euro erano meglio, e se la cifra fosse stata questa allora si doveva fare tremila, e così via all’infinito, tanto chi conduce quasi tutti i programmi Rai, Mediaset e La7 non c’è rischio che intervenga per spiegare che anche le fesserie hanno un limite. In questo contesto oggi la Rai toglie la direzione del Tg3 a una professionista che ne ha fatto crescere gli ascolti, Giuseppina Paterniti, per darla a Mario Orfeo (nella foto), già direttore generale della tv pubblica ai tempi di Renzi premier.
Un bel segnale a chi sui giornali e in video ci racconta il mondo come vuole la politica e il padrone, a senso unico e senza obiettività, purché non si disturbi il sistema e si assecondi il racconto mainstream, come quello che una manovra da 55 miliardi è una caccola, chi li ha trovati è debole e tra poco cade, i 5 Stelle sono pasticcioni e qui tutto va male pure per madama la marchesa.