venerdì 25 settembre 2020

Andrea Scanzi




Eccolo, il branco. Eccoli, i bravi ragazzi. I bambini immacolati, bianchi e italiani, protetti e viziati, non criticabili e iper-giustificati.

È una storia di bullismo durata un anno, finita con un’ultima esplosione di violenza. La vittima ha 13 anni. La sua colpa? Il colore della pelle.

Roma, quartiere Collatino. Tutto inizia nel settembre 2019 quando la vittima, allora dodicenne, viene presa di mira da compagni di scuola superiore più grandi di lei. La bambina ha così paura che smette di andare a scuola.

Il lockdown, paradossalmente, le ridà sicurezza. Poi la scuola riparte e le vessazioni pure. Offese razziste. E poi violenza.

Fino allo scorso 16 settembre. Racconta il Fatto: “Un’amica invita la tredicenne alla sua festa di compleanno. La ragazzina passa a prendere una terza compagna e insieme si avviano al locale per la festa. Per arrivarci passano davanti a un parco. E’ qui che incrociano la coppia di compagni di scuola che l’hanno presa di mira da un anno.

“Araba di m… Tornate al vostro Paese. Figli di pu….”. Dalle parole ai fatti: uno schiaffo, la caduta a terra, una dei due aggressori le salta addosso, la colpisce al volto. Il gruppo di amici dei due bulli violenti non li ferma, anzi: li incita. Ci sono sputi. E un filmato che poi girerà sulle chat della scuola, racconta la 13enne ai carabinieri”.

Siamo al crepuscolo del genere umano. 

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M5s, i tre scenari che Crimi ha presentato ai parlamentari: dal voto online per la leadership al percorso per gli Stati generali.

 

La riunione congiunta di deputati e senatori è stata convocata per parlare di riorganizzazione del Movimento, alla luce della sconfitta alle Regionali e in vista del rinnovo della carica di capo politico. La maggioranza dei presenti ha scartato l'opzione di ricorrere alla piattaforma Rousseau e chiesto l'avvio di un percorso di condivisione dei temi con i territori. Nei prossimi giorni gli eletti saranno consultati via mail sulla road map da seguire.

Votare subito online per una nuova leadership, che sia un singolo leader o un organo collegiale, oppure iniziare un percorso di avvicinamento agli Stati generali. E’ stato il capo politico Vito Crimi, aprendo l’assemblea dei parlamentari del Movimento 5 stelle, a illustrare i tre scenari possibili per il futuro del M5s. “Su questi vi chiedo di riflettere”, il suo esordio. La strada preferita dal gruppo è anche quella che chiedono da mesi: l’avvio di una fase congressuale. Crimi ha chiesto comunque un dibattito e annunciato che, nei prossimi giorni, saranno raccolti via mail i contributi dei portavoce. Una consultazione e non un voto. “Anziché”, ha spiegato, “decidere autonomamente, come prevede lo Statuto ho avviato un percorso di confronto con tutte le realtà“. “Il metodo è quello del coinvolgimento della nostra assemblea degli iscritti, da cui non si può prescindere”.

Il confronto, arrivato dopo la sconfitta alle Regionali, è stato reso necessario anche dai forti malumori dei gruppi verso i vertici del Movimento. “Vi chiedo di fare in fretta, perché mi sento delegittimato”, è il concetto espresso dal leader che sostituisce Luigi Di Maio da sette mesi. Ad emergere è stata soprattutto la necessità di tornare sui territori e confrontarsi con tutti i portavoce, evitando “i soliti caminetti”. Si è chiesta una soluzione “politica” e non solo tecnica. E ancora una volta si è evidenziata la necessità di far tornare la piattaforma Rousseau al Movimento. Intanto lunedì prossimo Crimi vedrà prima i rappresentanti regionali del M5s e poi la squadra di governo. La road map, insomma, che dovrebbe portare al primo vero congresso del Movimento 5 stelle è iniziata.

I tre scenari previsti da Crimi: “Se Stati generali, il percorso deve iniziare entro il 15 ottobre” – L’assemblea è stata convocata da Crimi poche ore dopo i risultati dell’election day e aveva come obiettivo prioritario quello di sbloccare una situazione di impasse che dura da troppi mesi. Il capo politico, con tanto di slide, ha spiegato cosa potrebbe succedere ora e chiesto ai parlamentari di esprimere osservazioni. Il primo scenario prevede il voto su Rousseau sul capo politico; il secondo prevede “una votazione esclusivamente sul tema governance con due step: governance monocratica o collegiale”. E se collegiale, dovrà essere scelto il modello. Infine il terzo scenario, prevede che “entro il 15 ottobre” siano convocate “assemblee regionali o provinciali con l’obiettivo di proporre un documento sintetico con l’indicazione delle questioni su cui il M5s deve interrogarsi. Nello stesso termine” ci sarà la “costituzione di una commissione composta da 10 persone, da individuare tra i portavoce Camera, Senato, Europa, regionali, comunali e membri del governo, scelti direttamente dalle singole realtà”. La commissione entro 10 giorni, utilizzando il lavoro già svolto nelle varie assemblee regionali, i documenti pervenuti, “predisporrà un compendio delle questioni su cui l’assemblea degli iscritti del Movimento si ritiene debba esprimersi: questioni organizzative; eventuali questioni che necessitano di argomento e studio”. Le questioni oggetto di votazione “saranno sottoposte al capo politico” che predisporrà una consultazione online.

Chiedevate un percorso dal basso“, ha detto Crimi nel suo intervento, “ed è quello che sta avvenendo. Non state vedendo un post direttamente sul Blog con una decisione”. Ma, Crimi ha anche ricordato l’importanza della comunità di iscritti della piattaforma Rousseau per il Movimento: “Noi possiamo dare degli indirizzi, ma c’è, ricordiamocelo, l’assemblea degli iscritti è la nostra linea vitale e che ha l’intelligenza, collettiva, di capire e valutare cosa sta succedendo e dove andare. Anche a ferragosto ci sono stati quasi 50 mila votanti, abbiamo una forza potentissima”. E, ha concluso: “Questo dibattito è necessario”, però “vorrei ricordare anche che fuori il Paese ci chiede altro“. Quindi, “la stessa veemenza con cui dibattiamo tra di noi usiamola per parlare di come dovremo spendere i 209 miliardi del Recovery Fund”.

Il dibattito in assemblea – Subito dopo l’intervento di Crimi, si è aperto il dibattito. In generale, raccontano a ilfattoquotidiano.it alcuni dei presenti, i parlamentari si sono schierati per l’avvio degli Stati generali e contro il voto subito sulla leadership. Tra i primi a intervenire c’è stata la deputata Dalila Nesci che si è presentata come esponente della corrente Parole guerriere (di questa fanno parte tra gli altri Giuseppe Brescia e Luigi Gallo). Nesci ha definito “irricevibili” le proposte di voto online: la gestione della piattaforma Rousseau nelle mani di Davide Casaleggio è uno dei nodi che una parte dei parlamentari chiede di risolvere al più presto. Si chiede un confronto che coinvolga in maniera attiva i territori e i portavoce.

Un concetto condiviso anche dai senatori Emanuele Dessì Primo Di Nicola. “Non è il momento della rissa… diamoci il tempo necessario per parlare alla nostra gente, i contenuti hanno bisogno di mesi”, ha detto Di Nicola. Le perplessità, espresse da alcuni dei parlamentari, riguardano il rischio che a un problema “politico si dia una risposta tecnica”. Per questo è stato chiesto che gli Stati generali inizino “il prima possibile” e che siano in un certo senso “permanenti”. “Se il tema”, ha detto ancora Di Nicola, “è la mancanza di identità, l’identità non te la dai facendo gli Stati generali in tre giorni”. Il gruppo ha quindi chiesto una “riflessione” su quanto fatto finora, sui successi e gli insuccessi. Una autoanalisi che, in maniera assembleare, non è mai stata fatta finora. Tra gli altri ha preso poi la parola il senatore Nicola Morra: ha parlato di “un tradimento degli ideali M5s con il metodo verticistico” e ha chiesto di rivitalizzare i Meetup.

All’assemblea non hanno partecipato molti dei big del Movimento. Non c’erano ad esempio Luigi Di Maio e Roberto Fico. Tra i pochi ministri presenti Fabiana Dadone e Federico D’Incà. E pure Lucia Azzolina che uscendo, ha commentato: “È una discussione complessa, è normale che sia così. Il Movimento ne ha bisogno”.

I malumori e le tensioni delle ultime settimane, Buffagni: “Basta fare gli struzzi” – Negli ultimi giorni l’impressione dentro e fuori il Movimento è che si sia arrivati a un punto di non ritorno: non è più possibile evitare una riorganizzazione e per farlo bisogna fare i conti con problemi troppe volte ignorati. Anche per questo, nei soli ultimi quattro giorni, molti dei principali esponenti si sono esposti più volte per chiedere un cambio di passo. Oggi lo ha ribadito Roberto Fico: “Basta con le battaglie intestine, dobbiamo avere una collegialità maggiore, perché alcuni problemi ancora vivi nel M5S derivano da verticismo troppo spinto che c’è stato”. E quelle parole, in molti, le hanno lette come un attacco all’ex capo politico (ancora molto presente) Luigi Di Maio. Un’altra riflessione che oggi ha fatto molto discutere è quella di Stefano Buffagni, viceministro M5s: “Io continuo la mia lotta”, ha scritto su Facebook, “anche se spesso è sfiancante e demotivante: l’inadeguatezza di certe scelte, di talune persone, e dei toni nel Movimento 5 stelle è alla base della situazione che stiamo affrontando. Spero finiremo di fare gli struzzi, capendo nei modi e nelle sedi giuste come cambiare, cacciando anche ‘i mercanti dal tempio'”.

Conte: “Io leader M5s? L’impegno di governo è assorbente”. E Zingaretti auspica una soluzione – In questi delicati equilibri interni, si inserisce la figura di Giuseppe Conte. Che oggi, intervistato da la Stampa, ha risposto a una domanda sulla possibilità che sia lui a guidare il Movimento. “Parliamo di una straordinaria esperienza che ha profondamente innovato la politica italiana e che ora è chiamata a compiere un salto che auspico avvenga all’esito di un confronto franco e sereno fra le varie anime. Per quanto mi riguarda, l’impegno di governo è assorbente e richiede la mia massima concentrazione”. Insomma, diventare guida del Movimento non è nei suoi piani imminenti, ma non esclude categoricamente di poter avere un ruolo (anche in vista della prossima legislatura). La principale preoccupazione dalle parti del governo è che, le dinamiche interne del Movimento, possano avere una cattiva influenza sulla maggioranza. Tanto che oggi in merito si è espresso anche il segretario Pd Nicola Zingaretti: “Non voglio fuggire alle domande”, ha detto, “ma non è corretto che sia io a mettere bocca, nel Movimento c’è dibattito ed è confermato che M5s è composito, non è un monolite da regalare alla destra di Salvini. Mi auguro che l’esito del confronto interno porti a capire che ora abbiamo una missione comune, abbiamo salvato l’Italia, ora abbiamo la missione di rilanciare l’economia, rimettere in campo un progetto, creare lavoro e combattere disuguaglianze”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/09/24/m5s-i-tre-scenari-che-crimi-ha-presentato-ai-parlamentari-dal-voto-online-per-la-leadership-al-percorso-per-gli-stati-generali/5942479/

M5S, tre exit strategy: capo politico, organo collegiale o avvio stati generali. - Dario Borriello

 



Divisioni interne. Crimi descrive i possibili scenari.

Sono tre le carte sul tavolo che il Movimento Cinque stelle può giocarsi per assicurarsi un futuro e dare il via ad un percorso che faccia compiere il salto definitivo al M5S, soprattutto a livello territoriale. E' Vito Crimi, attuale capo politico, a descrivere i possibili scenari dopo l'assemblea congiunta dei parlamentari: mantenere lo status quo eleggendo un nuovo leader tramite la piattaforma Rousseau; virare verso un cambio dello Statuto e selezionare, sempre online, un organo collegiale e infine, la terza via verso gli Stati Generali, ovvero nominare un comitato composto da 19 persone, da scegliere tra gli eletti di Camera, Senato, Europarlamento, Consigli regionali e Consigli comunali, per avviare un percorso 'congressuale' entro il 15 ottobre, coinvolgendo anche i territori.

La 'parola magica', dunque, è stata pronunciata. Perché è proprio dal livello locale che diversi big hanno indicato di ripartire. Primo tra tutti Luigi Di Maio, che da settimane sta girando le piazze, soprattutto del Sud, per riprendere il contatto con attivisti, elettori e simpatizzanti. Peraltro riscontrando un buon livello di partecipazione, cosa non affatto scontata dopo due anni di governo e un traumatico cambio di maggioranza.

Prima, però, bisogna sciogliere i nodi più difficili. Perché in questa partita il M5S rischia di giocarsi l'osso del collo. Le truppe, infatti, sono divise, anche se esistono almeno quattro 'macro-aree'. Quella più popolata vede ancora in Di Maio il leader giusto, oltre che una garanzia di tenuta del governo. Ma c'è anche chi guarda a Roberto Fico come guida politica, come la capogruppo in Consiglio regionale del Lazio, Roberta Lombardi, che apertamente sceglie il presidente della Camera nella contesa tra Di Maio e Alessandro Di Battista. La terza carica dello Stato, però, è orientato verso una leadership collegiale, condivisa e larga e non crede a un'ipotetica scissione del Movimento.

Poi c'è 'l'area Dibba', anche se al momento è la più debole numericamente. I rumors interni raccontano che l'ex deputato 'pasionario' stia tentando un riavvicinamento a Beppe Grillo (l'altra 'area vasta' dei Cinquestelle, anche se concava e convessa con tutte le altre), ma l'operazione presenta più intoppi del previsto. Di sicuro un raffreddamento con Davide Casaleggio c'è stato, dopo un lungo periodo in cui sembravano viaggiare sulla stessa lunghezza d'onda, soprattutto nella 'crisi di rigetto' all'alleanza con il Pd. I due non hanno ancora cambiato idea sul tema, ma prima di avviare una campagna di cannoneggiamento aspettano di capire come andranno i ballottaggi alle comunali e se l'asse con i dem funzionerà sui territori.

Così si torna al punto di partenza, perché tra i vertici è ormai chiaro a chiunque il bisogno di attivare una struttura capillare, per cambiare la condizione del Movimento, un 'gigante dai piedi di argilla' capace di ottimi risultati a livello nazionale e flop assoluti nei voti locali. L'anno prossimo, infatti, si voterà in Comuni chiave come Napoli, Milano, Bologna, Roma e Torino. Le contromisure vanno prese prima che sia troppo tardi. Già agli stati generali, anche se, al di là delle parole, una data non c'è e nemmeno l'accordo sul futuro del simbolo, ancora di fatto nelle mani di Grillo.

https://www.lapresse.it/politica/m5s_tre_exit_strategy_capo_politico_organo_collegiale_o_avvio_stati_generali-2995826/news/2020-09-25/

Gli Stati Generici. - Marco Travaglio





                                “Portavoce, facilitatori, garanti, capi politici uscenti e aspiranti, ex pentumviri, mandati 0, mandati 1, mandati 2, mandati affanculo, scappati di casa, do inizio agli Stati generali 5Stelle: la parola alla Mozione 1”.

“Dobbiamo ridiscutere le alleanze locali e quella di governo, perché siamo più ganzi da soli”.

“Le alleanze nazionali e locali le han votate gli iscritti. Questo governo ha più membri e punti programmatici nostri di quanti ne avranno quelli dei prossimi 30 anni. Ed è guidato da un premier scelto da noi, molto più popolare di decine di predecessori. Quindi i ganzi solitari continuino a fare le loro cosine allo specchio, ma la Mozione 1 è bocciata. La 2?”.

“Dobbiamo spingere la Raggi a ritirarsi perché è perdente, così il Pd prende Roma e ci dà il Lazio”.

“Senti, Roberta, Virginia s’è candidata a sindaco e ha stravinto. Tu ti sei candidata a presidente della Regione Lazio e hai perso. Mozione 2 bocciata. La 3?”.

“La gente non ci vota perché non abbiamo un programma”.

“Veramente la gente stravota partiti senza un programma, ma con un leader. E noi non ne abbiamo uno da quasi un anno. Partiamo di lì, visto che noi un programma ce l’abbiamo, e pure eccellente, da ancor prima di nascere, da quando andavano in giro con i meetup: ambientalismo, acqua pubblica, wi-fi gratis per tutti, tecnologie, lotta alla casta, alle mafie e alla corruzione, reddito universale. Molte cose le abbiamo fatte in due anni, l’ultima il taglio dei parlamentari, e molte restano da fare. Rivediamoci i vecchi show di Beppe, incontriamo i Verdi europei che spopolano e chiediamogli come fanno, invitiamo le migliori teste in circolazione e mettiamo su una scuola di politica per selezionare la futura classe dirigente. Mozione 3 bocciata. La 4?”.

“Ci sarebbe da discutere di Rousseau e delle nuove espulsioni dei dissidenti del No…”.

“Abbiamo problemi più seri. E non si espelle più nessuno. Mozione 4 bocciata. La 5?”.

“Noi vogliamo un capo che scaldi i cuori e riempia le piazze”.

“Noi siamo da sempre contro i capi. Abbiamo un garante, peraltro piuttosto nervosetto per le nostre beghe: ci basta. Il capo politico serviva quando c’era da indicare un premier, ma ora ce l’abbiamo e per puro culo è così bravo che non sembra neanche nostro. E, siccome noi andavamo molto meglio col direttorio, scegliamo tre persone normali tra gli eletti (inclusa Chiara: mica ha rubato, al massimo ha sbagliato una posta di bilancio), poi per due anni non vola una mosca. E tutti gli altri vanno sui territori a riorganizzare il movimento e a selezionare il meglio della società per le prossime elezioni. Mozione 5 bocciata. Adesso ci contiamo, votiamo e poi tutti al lavoro senza tante pippe. Fine degli Stati generali”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/25/gli-stati-generici/5943267/

giovedì 24 settembre 2020

Conte unico vincitore. E occhio ai 209 miliardi. - Massimo Fini


Tutti i principali media e i loro commentatori riconoscono, alcuni obtorto collo, che l’unico, vero vincitore di questa doppia tornata elettorale (referendum più Regionali e Comunali) è, per la disperazione della Trimurti (Giornale, Verità, Libero), il disprezzatissimo “Giuseppi”, vale a dire il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e con lui il suo governo giallorosa che, a dispetto di tutti gli aruspici malauguranti, finirà regolarmente la legislatura.

Ma c’è un altro partito, che esiste da decenni in Italia, ma di cui prudentemente si parla poco o preferibilmente nulla, che esce vincitore da queste elezioni ed è il più forte di tutti: il partito degli astenuti. Prendiamo il referendum. Il quesito era semplice e tale da attizzare l’attenzione dei cittadini: mandare a casa, per la prossima legislatura, un bel numero di deputati e senatori. L’affluenza è stata del 53,84%, 12 punti in meno rispetto al referendum del 2016 (65,47%) che pur poneva questioni molto più complesse. L’affluenza alle Regionali di quest’anno (57,19%) è superiore a quella delle Regionali del 2015 (53,15%), ma si avvale del balzo dell’affluenza in Toscana (quasi 3 milioni aventi diritto al voto) dove quest’anno si giocava la partita decisiva per la tenuta del governo del Paese. Nel 2015 quando questo problema non esisteva andò a votare solo il 48,3% mentre questa volta si è arrivati al 62,6%. Interessante è l’alta affluenza, sia pur sempre in termini relativi, alle elezioni comunali dove ci si attesta al 66,19% confermando, con un lieve margine di aumento, il dato del 2015. E si capisce il perché. Il voto nei Comuni e soprattutto nei piccoli Comuni è l’unico autenticamente democratico perché il sindaco è permanentemente sotto il controllo dei concittadini, poiché vive fianco a fianco con loro. Come esce di casa c’è sempre qualcuno che gli può contestare ciò che ha fatto o piuttosto non ha fatto.

Il partito degli astensionisti è contro la politica in generale? Non credo. È contro la democrazia parlamentare? Forse. Sicuramente è contro una democrazia trasformatasi da decenni in partitocrazia, cioè in strapotere del tutto illegittimo di queste lobby di cui la nostra Costituzione si occupa in un solo articolo, il 49 (“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”) e che invece ha finito per occupare abusivamente gli altri 138, infiltrandosi nel Csm, nella Magistratura ordinaria, nella burocrazia, nelle Forze Armate, nell’industria pubblica e anche privata, negli enti di Stato e di parastato (la Rai-tv è solo l’esempio più noto e clamoroso), nei giornali, negli enti culturali, nei teatri, nei conservatori, nelle mostre, nelle banche, nelle grandi compagnie di assicurazione, nelle università, giù giù fino ai vigili urbani e agli spazzini.

Questa avversione nei confronti dei partiti è confermata anche da chi in questa tornata a votare ci è andato turandosi montanellianamente il naso. Tutti i partiti, dal Pd alla Lega ai Cinque Stelle a Forza Italia, hanno perso, solo il partito di Giorgia Meloni ha guadagnato in consensi. Prendiamo la Toscana: il Pd ha perso 12 punti, è stato salvato dalle cosiddette liste civiche cioè da cittadini che al Pd non credono più affatto, ma non si sentivano di consegnare quella regione e forse il Paese a Matteo Salvini. Non è stato quindi un voto a favore, ma un voto contro.

Mai come in questa occasione si è potuto osservare come la democrazia partitocratica sia fatta di accordi e accordicchi in funzione del proprio potere personale o di lobby senza alcuno sguardo all’interesse nazionale. L’esecutivo Conte, che ha governato bene, si è salvato perché i partiti si sono paralizzati a vicenda. Poi ci sono naturalmente le eccezioni, il governatore del Veneto Zaia è stato riconfermato perché evidentemente ha governato bene soprattutto durante l’emergenza Covid e quello della Liguria Toti per lo stesso motivo e anche perché, coadiuvato dal sindaco di Genova Marco Bucci, ha affrontato con efficacia le conseguenze del crollo del ponte Morandi che noi “stranieri” abbiamo sempre chiamato il “ponte sul Polcevera” e i genovesi “ponte Saragat” perché fu inaugurato dall’allora presidente della Repubblica e che ora si chiamerà ponte San Giorgio. E questo apre uno spiraglio di speranza per il nostro futuro che però dipende molto, almeno nell’immediato, da come verranno utilizzati i 209 miliardi che l’Europa, l’inutile Europa secondo i cretini “sovranisti”, ci ha generosamente concesso: se cioè finiranno nelle fauci dei soliti noti che le hanno già aperte o verranno distribuiti con intelligenza e soprattutto equità sociale.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/23/conte-unico-vincitore-e-occhio-ai-209-miliardi/5940736/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-09-23

La Telefonata Conte-Salvini: È il momento. - Antonio Padellaro

 



“Conte sappia che il mio cellulare è sempre acceso”, ha risposto Matteo Salvini nello speciale elezioni del Tg1 a una domanda che non gli avevamo fatto. Un messaggio che il premier forse attendeva visto che meno di un mese fa, alla festa del Fatto Quotidiano, intervistato sui rapporti con la destra, aveva detto che mentre con Giorgia Meloni c’era una qualche interlocuzione, il leader della Lega non rispondeva al telefono. Ripristinati, si spera, i collegamenti in remoto, vedremo se accantonate le battaglie elettorali, governo e opposizione troveranno il modo di parlarsi, e magari di concordare qualcosa di utile per gli italiani. Sarebbe cosa buona, giusta e opportuna per almeno tre motivi.

1. Nelle elezioni ai tempi del Covid, i cittadini hanno confermato, e accresciuto la fiducia in quei presidenti di Regione che si sono dimostrati particolarmente attivi ed efficaci nel contrastare il virus nella fase più drammatica della pandemia. Come dimostrano le sonanti affermazioni di Luca Zaia nel Veneto, di Vincenzo De Luca in Campania, di Michele Emiliano in Puglia. Poiché purtroppo il virus non è affatto debellato, e l’emergenza economica incombe come una nube plumbea sulle nostre teste, gli elettori hanno decisamente preferito la stabilità alla propaganda. Risultato di cui ha tratto vantaggio anche il governo giallorosa che adesso, senza più temere spallate o ribaltoni, potrà affrontare con energia, e senza più alibi, la madre (e il padre) di tutte le battaglie: la salute e il portafoglio (copyright, Alessandra Ghisleri).

2. La sconfitta politica di Salvini è figlia della sua arroganza, di quei pieni poteri che non avrà, del tramonto della stagione sovranista (rispetto alle Europee dello scorso anno, domenica il Carroccio ha perso quasi un milione di voti). Purtuttavia, lui e la Meloni non hanno torto quando fanno valere il peso delle 15 Regioni governate dal centrodestra, mentre il centrosinistra ne ha soltanto cinque. Un’opposizione di destra che rischia di essere maggioranza nel Paese e conquista un così vasto potere locale (egemone nel Nord industriale), non può essere considerata un incidente della storia. Bisogna parlarci e farci i conti.

3. Conte ha l’occasione ideale per mettere alla prova le reali intenzioni di dialogo della controparte. O per dimostrare il bluff. Salvini ha elencato ieri sul Corriere della Sera tre possibili terreni di confronto col governo: “Un piano di sostegno alle aziende vero, un piano di riapertura delle scuole vero, un piano della sicurezza vero”. Crediamo che su quest’ultimo punto sarà difficile trovare un accordo, nel momento in cui il Pd di Zingaretti sollecita nuove leggi sulla sicurezza (e gli sbarchi) in sostituzione dei decreti salviniani. In ogni caso: il presidente del Consiglio ha intenzione o no di comporre il numero di Salvini? (sempre che qualcuno risponda).

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/24/la-telefonata-conte-salvini-e-il-momento/5941952/

Salvini & C.: che valle di lacrime. - Antonio Padellaro

 



“Non rimpiango nulla, rifarei tutto”, dice Matteo Salvini, e come Edith Piaf di "non, je ne regrette rien", gli scappa da piangere. A chi gli chiede se non si sia per caso slogato una spalla, a furia di spallate al governo andate a vuoto (muy dolorosa quella toscana) ritrova l’abituale ghigno di traverso ed enumera i tot consiglieri in più conquistati a vattelapesca, come un dc di una sottocorrente dorotea. Stacco.

Ecco Nicola Zingaretti, che celebra l’aver miracolosamente salvato la pelle annunciando non uno, non due bensì tre “cantieri” in confezione premio. Evocando così qualcosa che si apre ma non si chiude mai, tipo la metro capitolina. Stacco. Intercettata casualmente nella canicola di piazza Montecitorio l’onorevole Laura Ravetto coglie l’occasione per dolersi con chi, nel favoloso partito di Forza Italia, organizza “camini e caminetti, tavoli e tavolini” (e ci siamo capiti), e mai e poi mai che le facessero uno straccio di invito. Stacco. Su Skype il sottosegretario 5stelle Fraccaro compare così misurato, compito, disponibile, affabile, gentile che non si ha il cuore di chiedergli della “peggiore sconfitta nella storia dei 5stelle” (Di Battista). Del resto, transitando casualmente in piazza Montecitorio, l’onorevole Gennaro Migliore di Italia Viva esprime una tale soddisfazione per il “sette per cento conquistato in Campania”, che sarebbe una cattiveria interrompere un’emozione. Stacco. Attenzione attenzione, il presidente Conte comunica che i decreti Sicurezza andranno in Consiglio dei ministri, per poi affrontare l’iter parlamentare (ed essere approvati, se tutto va bene nell’anno del mai). E ora un’occhiata ai giornali. “Il declino dei populisti. Vincono il referendum ma perdono il paese (Domani). “Zingaretti e Di Maio vice il nuovo incubo di Conte”. Sì, non si finisce mai di soffrire in questa valle di lacrime. È tutto per oggi. Abbiamo trasmesso il documentario: “Niente di nuovo sul fronte elettorale”.

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