venerdì 2 ottobre 2020

Reddito di demenza. - Marco Travaglio















Gli storici chiamati fra cent’anni a raccontare l’Italia del 2020 si arrenderanno subito, in preda a terribili emicranie, e cederanno il passo agli psichiatri. Solo un esperto in patologie mentali potrà tentare di spiegare il dibattito pubblico del nostro manicomio quotidiano. Appena sopita, per manifesta demenzialità, la polemica sullo stipendio del presidente dell’Inps, che guadagnava un quarto di decine di suoi dirigenti e ora va a prendere poco più della metà, s’è riaccesa quella sul Reddito di cittadinanza, che dà da mangiare a 3 milioni di persone alla fame più alcune migliaia di ladri e truffatori che risultano sul lastrico e invece guadagnano benissimo in nero e aggiungono pure i 500 euro al mese del Rdc ai loro introiti clandestini. Le perdite per lo Stato, che vanno comunque recuperate con controlli a campione (chi sgarra rischia fino a 6 anni di carcere), sono irrisorie: una manciata di milioni. Nulla al confronto dei danni fatti da altri furbastri, come gl’imprenditori che potrebbero riaprire l’attività, ma preferiscono arraffare i soldi pubblici della cassa integrazione: l’Inps ne ha già beccati 2.700, per un costo complessivo di 2,6 miliardi di euro (un quarto della spesa annua del Rdc). Ma di questi non si parla mai perché sono amici e colleghi dei padroni dei giornali. Molto meglio continuare a riempire paginate sul tal ladrone o assassino o mafioso col Reddito e dedurne che “i controlli non ci sono o non funzionano” (“Verifiche mancate. La bandiera della legalità sacrificata per il consenso”, Carlo Nordio, Messaggero). Oh bella: ma se i controlli non ci fossero o non funzionassero, non sapremmo mai che il tal ladrone o assassino o mafioso percepiva il reddito. Ogni caso che finisce sui giornali è un controllo che ha funzionato e per giunta è già chiuso: con la sospensione del sussidio e la restituzione del maltolto.

Siccome poi la madre dei cretini è sempre incinta, la polemica si concentra su altri aspetti, ovviamente negativi anzi nefasti, del Reddito: “Non fa trovare lavoro” (Pietro Garibaldi, La Stampa) e lo prende “chi non lavora” (Messaggero). Oh bella: ma, se uno lavora, si suppone che guadagni, dunque non ha diritto all’assegno. Il guaio è che il lavoro non c’è, o è scarso, e proprio per questo esiste il Rdc: per chi il lavoro non ce l’ha e non lo trova. Siccome però ci sono pure quelli che non ce l’hanno perché non lo cercano, il Rdc è stato studiato anche per collegare i disoccupati ai centri per l’impiego, assistiti dai navigator, per “attivarli” con proposte di lavoro (quando ce n’è) e, se le rifiutano, escluderli dal sussidio. I sabotaggi di molte Regioni e i ritardi dell’Anpal, dell’Inps, delle Regioni e degli ex-uffici di collocamento sono noti.

E tutt’altro che scandalosi: la misura è in vigore da 17 mesi appena. Eppure hanno già trovato lavoro – stabile o precario – 196mila percettori del Reddito. Mica pochi, vista la stagnazione del mercato del lavoro (-500mila posti in un anno). Ma non passa giorno senza che qualcuno chieda di abolire il Reddito perché qualcuno ne approfitta. Come se lo Stato fosse un negozietto e potesse affiggere il cartello: “Per colpa di qualcuno non si fa credito a nessuno”. Ma, se la logica (si fa per dire) è quella, abolire solo il Rdc sarebbe riduttivo.

Un mio amico la mattina accompagna sulla sua Smart la figlia alla scuola materna, per cui paga la retta intera, e viene regolarmente sorpassato da altri genitori col Suv, a cui vorrebbe tanto forare le gomme perché la retta non la pagano, risultando nullatenenti. Per non indurlo in tentazione, io abolirei il bonus-asilo per i non abbienti.

Il bonus di 80 euro al mese inventato dall’Innominabile andava a tutti i lavoratori con redditi inferiori ai 28mila euro annui e ora va fino a 40mila. Ma siccome un conto è quanto guadagni e un altro quanto dichiari, milioni di evasori lo intascano senza diritto. Quindi aboliamo gli 80 euro.

Siamo pieni di gente in cassa integrazione o in disoccupazione che arrotondano con lavoretti da idraulici, elettricisti, carpentieri, falegnami ecc. Dunque aboliamo Cig e sussidio di disoccupazione.

I falsi invalidi con pensione ad hoc non si contano: ergo cancelliamo le pensioni di invalidità e non ne parliamo più.

Ospedali, scuole, strade, autostrade, caserme, posti di polizia, autobus, discariche ecc. sono finanziati dalle tasse. Ma molti non le pagano e beneficiano ugualmente dei servizi pubblici: chiudiamoli tutti.

Le truffe più diffuse sono quelle sui fondi europei: quindi l’Italia li rifiuti, compresi i 209 miliardi del Recovery Fund (per non parlare del Mes, che andrebbe alla sanità, gestita dalle Regioni: brrr), e il problema è risolto alla base.

E le truffe alle assicurazioni? Via anche le assicurazioni, mica si può andare avanti così.

E la corruzione negli appalti, nelle nomine e nei concorsi? Via, aboliamo tutto: appalti, nomine e concorsi.

Gli sportelli bancari sono spesso teatro di rapine a mano armata: chiudiamoli tutti, così i rapinatori imparano.

Alla fine, quando avremo abolito tutto, con la stessa logica di Angelina Jolie che si amputa i seni per fregare il cancro alla mammella, ci accorgeremo che il problema non sono questa o quella norma: siamo noi italiani, popolo più avvezzo di altri all’illegalità per la certezza dell’impunità. E a quel punto avremo due strade: o combattere finalmente l’illegalità e l’impunità; o abolire l’Italia.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/02/reddito-di-demenza/5951349/

giovedì 1 ottobre 2020

A chi non piace la Raggi. La sindaca colpevole a prescindere

 















Non piace alla gente che piace. Nei salotti, ai piani alti, tra i notabili di Roma c’è un solo nome che mette d’accordo tutti: Virginia Raggi, la sindaca colpevole a prescindere, fosse anche dei peccati millenari della città. I trasporti, per dire, da quando c’è lei sono una piaga d’Egitto, e si fa una fatica inutile a spiegare che l’azienda dei bus ha chiuso il primo bilancio in utile dai tempi di Romolo e Remo, e perciò sta acquistando centinaia di nuovi mezzi, che andranno a sostituire quelli vecchi, pericolosi e spesso andati a fuoco. Incassato il colpo, per chiudere la discussione arriva sistematicamente chi sentenzia che la Capitale fa schifo!

Eppure non è che prima splendesse, ed è fin troppo ovvio che continuando a dare ai privati centinaia di milioni per il trattamento dei rifiuti – come si è sempre fatto in passato – poi non resta un soldo per la pulizia e il decoro affidati al servizio pubblico. Solo aver resistito al monopolio privato e alle intimidazioni di chi ha dato a fuoco gli impianti comunali e centinaia di cassonetti varrebbe una medaglia e può darci una possibilità di avere in futuro una città migliore. A questo punto diventa divertente guardare le facce di chi sta sudando per cercare nella memoria qualche altro disastro della prima cittadina, fin quando dai ricordi più lontani tornano le buche. Avete presente?

Fino a qualche anno fa erano proverbiali, ne scrivevano pure i giornali stranieri e ci si facevano più battute che sui carabinieri. Facendo un po’ di pulizia, togliendo sprechi e ruberie, nonostante i debiti ereditati dalle Giunte precedenti, l’amministrazione grillina ha riasfaltato gran parte delle strade, facendo lavorare un mucchio di imprese e riportando su livelli fisiologici i rischi della viabilità. A questo punto scatta quindi la domanda: ma perché una sindaca così non piace? E la risposta non è mai sincera. C’è chi farfuglia, chi ammette di poterci ripensare, chi continua a cercare il pelo nell’uovo, ma il motivo vero è uno solo: la Raggi ha un peccato originale, è dei Cinque Stelle, fa le cose sul serio e non fa rubare.

https://www.lanotiziagiornale.it/editoriale/a-chi-non-piace-la-raggi-la-sindaca-colpevole-a-prescindere/

Conte ha detto cose di sinistra. - Daniela Ranieri

 














I “moderni”. Eravamo abituati ad ascoltare “premier” che, citando a vanvera La Pira, parlavano col vocabolario della banca d’affari JP Morgan e del Centro Studi Confindustria e flirtavano con la finanza.

Se uno è povero e disoccupato è un po’ colpa sua. Bisogna lasciar fare al mercato. Il Reddito di cittadinanza crea un esercito di fannulloni. Dobbiamo aiutare le imprese, basta sussidi a pioggia. Quanto vi urtano queste asserzioni? Se poco, è perché ormai le abbiamo introiettate; ce le hanno somministrate per via intramuscolare per quarant’anni.

Il 27 settembre, in collegamento col Festival nazionale dell’Economia civile di Firenze, Giuseppe Conte ha fatto un discorso al cui centro erano invece queste parole: giustizia sociale; sviluppo sostenibile; spesa pubblica; valorizzazione della dignità del lavoro opposta al consumismo individualista. “Negli ultimi decenni – ha detto – il capitalismo si è avviluppato in una prospettiva neoliberale, inadeguata ad affrontare le crisi recenti”. Noi eravamo rimasti che il capitalismo era l’igiene del mondo e il neoliberismo lo Spirito del Tempo, e non bisognava mostrarsi schizzinosi ad abbracciarlo, altrimenti si finiva come in Cina.

“Distruzione del valore d’impresa, massimizzazione del profitto di breve periodo, l’uomo ridotto a una visione economicistica”, ha proseguito, impongono di “rimeditare il nostro agire in politica economica e sociale”, per rompere il “fallace incanto del benessere” secondo “l’obiettivo della giustizia sociale”. Sono parole da tempo impronunciabili, anche a sinistra; a parte Bersani, che infatti dal Pd è uscito, governanti e oppositori del centro(-)sinistra, dal D’Alema di Nanni Moretti in poi, si sono ben guardati dal dire “cose di sinistra”, convinti dai guru della comunicazione che ogni idea radicale fosse “massimalismo” e “pregiudizio ideologico” (del resto già De Gasperi, nel 1958, veniva accusato dai liberali e dal Sole 24 Ore di aver concesso all’opposizione, in nome della giustizia sociale e del solidarismo cristiano, troppe restrizioni all’economia di mercato); parimenti, i politologi spiegavano che “si vince al centro”, e intanto vinceva la Lega. Berlusconi ha insegnato a generazioni di servitori dello Stato che l’elettore appena sente l’espressione “giustizia sociale” pensa alla patrimoniale, e non bisogna spaventare il ceto medio produttivo, sennò poi quello si offende e porta i soldi all’estero (intanto i ricchi lo facevano lo stesso, impuniti o condonati, e la politica servile e cieca creava 8 milioni di poveri assoluti). Eravamo abituati a sentire “premier” che, citando a vanvera La Pira e vantandosi di guidare “il governo più di sinistra degli ultimi 30 anni”, parlavano col vocabolario della banca d’affari JP Morgan e del Centro Studi Confindustria e flirtavano coi magnati e gli squali apolidi della finanza, mentre la destra additava ai poveri i poverissimi quali causa della loro miseria, così da spezzare ogni solidarietà tra disgraziati. Non era solo questione di linguaggio: secondo alcuni leaks stranoti, la nostra Costituzione andava rivista in senso meno “socialista”, manovra peraltro tentata e per fortuna fallita. Norberto Bobbio, in Destra e Sinistra (1994), scrisse che la diade destra/sinistra va vista nell’ottica della dicotomia tra eguaglianza e diseguaglianza; per ironia crudele della sorte, l’edizione del 2014 uscì con un commento di Matteo Renzi, che dichiarava “superati” i confini stabiliti da Bobbio e li sostituiva con altri: “Aperto/chiuso”, come “dice oggi Blair. Avanti/indietro, chissà, innovazione/conservazione, movimento/stagnazione”. E invece no: la pandemia ha reso vieppiù chiaro che esiste una destra, nazionalista, individualista, antiscientifica, che difende il profitto a ogni costo ed è tarata sul singolo (persino sulla sua presunta libertà di infettare), e una sinistra che tutela la collettività e i diritti sociali, prevede l’intervento dello Stato in economia e a soccorso dell’indigenza e valuta le autonomie regionali nell’ottica di un’amministrazione pragmatica e funzionale, non di un’egemonia monetaria su questioni fondamentali di salute pubblica. Ci voleva un evento mondiale di portata catastrofica per demolire le farneticazioni su terze vie e “problemi né di destra né di sinistra”, perché se è vero che il virus non fa distinzioni di ceto, i suoi effetti sono diversi su fasce diverse della popolazione (e per fortuna il Reddito di cittadinanza dei “grillini” ha attutito il colpo per 3 milioni di cittadini), e le soluzioni per contenerlo e limitare i danni economici del lockdown sono eccome di destra o di sinistra. Ci sono gli squinternati, i minimizzatori devoti al Pil, Bolsonaro e Trump, Gallera e Fontana, “Milano non si ferma” e “Bergamo non fermarti”; oppure c’è la soluzione di Speranza e Conte di ascoltare gli esperti e adottare misure d’emergenza e di Sanità pubblica mettendo in secondo piano il Pil. Ogni terza via ambigua, come quella di Macron in Francia, si è rivelata non efficace. L’ha capito pure il premier inglese Johnson: “Non risponderemo a questa crisi con ciò che la gente chiama austerità”, e ha specificato: “Non sono un comunista”. Ci voleva tanto, per pronunciare l’indicibile: esiste un problema di distribuzione della ricchezza, di sfruttamento schiavistico del lavoro, di erosione del welfare e quindi dell’uguaglianza e della dignità umana. Questo perché la sinistra ha fallito proprio nell’interpretazione nel suo ruolo dentro la globalizzazione, omettendo di rappresentare la sua base d’elezione – i poveri, gli operai, i disoccupati, i precari, gli insegnanti – e consegnandola allegramente agli aguzzini dei finti contratti e dell’indegno salario, condividendone e ricalcandone pedissequamente il lessico e i non-ideali. Così la giustizia sociale, sotto la scure di una manipolazione progressiva, è diventata “invidia sociale”, mentre il lavoro è (ri)diventato una concessione dei padroni e il mero luogo della riproduzione della loro ricchezza, in una sudditanza psicologica che gli elettori hanno fatto pagare, da ultimo, al Pd di Renzi, il più alacre nel rinforzo ai forti col sacrificio dei deboli (vedi Jobs Act). La Lega di Salvini, che aveva preso i voti come forza di aggregazione dei popoli contro le élite e i poteri forti, si è rivelata invece una propaggine neoliberista del potere a guardia dello status quo, con, in più, innesti di furbo provincialismo finanziario. In un momento in cui i soliti rottweiler competitivisti (spesso “progressisti”) attaccano quotidianamente e con ferocia i lavoratori, il settore pubblico, il blocco dei licenziamenti e le misure di sostegno al reddito (anche con volgari spiritosaggini da bar, come fa il dottor Bonomi) e assolvono bonariamente gli imprenditori che hanno finto la Cassa integrazione per rubare soldi pubblici, Conte ha pronunciato parole-tabù, liberandole da decenni di interdizione; sarebbe bene che il M5S e il Pd le facessero proprie e le traducessero in politica vera, invece di allontanare sempre più il popolo con astratti bizantinismi identitari.

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Da Natangelo...

 


Costituzione italiana.

 


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Coronavirus, Conte: 'Proporremo proroga dello stato d'emergenza'.

 















La proposta riguarda uno slittamento dei termini fino al 31 gennaio.

Il Governo starebbe valutando l'ipotesi di una proroga dello stato d'emergenza per il Covid-19 fino al 31 gennaio.
La proroga al momento scade il 15 ottobre, ma il perdurare dell'emergenza ha suggerito agli esperti del Cts di allungare i tempi dello stato d'emergenza.

E il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte ha confermato quella che era fino a questa mattina solo un'ipotesi. "Andremo in Parlamento a chiedere la proroga dello stato di emergenza fino al 31 gennaio" ha detto il premier ai giornalisti a margine della visita alla scuola media 'Francesco Gesuè' a San Felice a Cancello (Caserta).

Il premier nella stessa occasione ha ribadito che per il Governo "Quota 100 scadrà nel 2021" e ha annunciato "altre formule per gestire un problema che è oggettivo". Rispondendo alla domanda di un giornalista, Conte ha detto: "Non è che ho rinunciato a quota 100, è che ho sempre annunciato che si tratta di una misura triennale, in scadenza nel 2021. Troveremo poi altre formule - ha proseguito - per gestire questo problema. Con il ministro Catalfo, siamo al lavoro sull" APE sociale e su altri provvedimenti". E sulla sua pagina Facebook, il presidente del Consiglio ha fatto sapere che "oggi entrerà in vigore la "Fiscalità di vantaggio" per tutte le aziende del Sud. Tutte le imprese che operano nelle regioni del Mezzogiorno potranno contare su un taglio del 30% del costo lavoro per tutti i loro dipendenti. I lavoratori non subiranno nessuna riduzione delle proprie retribuzioni". "E' una misura che abbiamo introdotto anche grazie all'impegno del Ministro Peppe Provenzano. Vogliamo rendere questa boccata di ossigeno stabile e duratura in modo da favorire la ripartenza e il rilancio produttivo del Sud. Un Sud più solido e competitivo renderà più forte l'Italia intera", aggiunge.

"Da quanto ho capito, si protrarrà". Così Roberto Fico, presidente della Camera, risponde in merito a una proroga dello stato di emergenza, legato alla pandemia da coronavirus. "È una cosa - ha affermato - di cui si occuperà il Governo. 

"Sulla proroga dello stato di emergenza discuteremo in Parlamento molto presto come è giusto che sia e io sarò in Aula all'inizio della settimana. Io sono sempre per la linea della massima prudenza e ho sempre mantenuto questa impostazione ma credo che sia corretto che ne discuta il Parlamento e che se ne discuta nel governo perchè in una grande democrazia si fa così". Lo ha detto il ministro della Salute, Roberto Speranza, in visita allo stabilimento Sanofi di Anagni, dove partirà la produzione del vaccino anti-Covid a cui stanno lavorando in collaborazione le multinazionali Sanofi e Gsk.

Il ministro della Sanità Roberto Speranza terrà nell'Aula del Senato comunicazioni sul nuovo DPCM sull'emergenza coronavirus nel pomeriggio del prossimo 6 ottobre. Sulle comunicazioni saranno votate risoluzioni dall'Assemblea. Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama.

(Nella foto ANSA Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in visita alla scuola Francesco Gesue' di San Felice a Cancello)

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2020/10/01/ipotesi-di-proroga-dello-stato-demergenza-al-31-gennaio_5b4c2437-a8f2-4be7-b827-299e74275cc8.html

Il governo ha deciso: revoca Atlantia, 10 giorni per cedere. - Carlo Di Foggia


 










Rottura totale. I Benetton minacciano l’apocalisse finanziaria.

Nel dossier Autostrade per l’Italia ogni giorno ha la sua pena e il suo ultimatum. La strada però sembra tracciata verso una nuova escalation. Il governo ha deciso di procedere alla revoca della concessione ed entro 10 giorni porterà la decisione in Consiglio dei ministri. In questo lasso di tempo si attende da Atlantia, la holding controllata dai Benetton, un passo indietro. Dal canto suo il colosso ha reagito ieri paventando l’apocalisse finanziaria: “Una simile mossa causerebbe un default gravissimo per l’intero mercato finanziario europeo”, ha fatto filtrare alla stampa. È l’ultima trincea dei Benetton ed è anche l’aspetto che spaventa di più il governo. In ambienti finanziari filtra che Altantia stia facendo il diavolo a quattro per spingere la Commissione europea a intervenire, tanto più che al netto dei Benetton, il 70% della holding è in mano soprattutto ai grandi fondi esteri.

Andiamo con ordine. Ieri è servito un ennesimo vertice a Palazzo Chigi. Al tavolo, il premier Giuseppe Conte e i ministri di Tesoro e Infrastrutture Roberto Gualtieri e Paola De Micheli con i rispettivi capi di gabinetto. Ieri scadeva l’ultimatum dato ad Atlantia per accettare le condizioni previste dall’accordo del 14 luglio scorso per chiudere la ferita del Morandi con la vendita di Aspi e la presa di controllo da parte della Cassa Depositi e Prestiti. La trattativa si è arenata sulla richiesta di Cdp di essere manlevata dai rischi legati ai contenziosi giudiziari sul ponte di Genova, che possono ammontare a miliardi di euro. Atlantia martedì ha risposto che la manleva è inaccettabile e si può trattare solo sul prezzo. Poi ha bollato come “illegale” la decisione del governo di subordinare tutti gli atti amministrativi, necessari ad aggiornare la concessione e chiudere il contenzioso del Morandi, alla cessione di Autostrade alla Cassa Depositi e Prestiti. Mossa che la holding ha denunciato a Bruxelles.

A Palazzo Chigi, ministri, premier e tecnici hanno fatto il punto. Ne è uscita una lettera spedita ieri ad Atlantia in cui il governo respinge le accuse, e avverte che porterà gli atti conseguenti in un Cdm che sarà convocato entro dieci giorni. In serata il premier ha fatto il punto nel Consiglio dei ministri convocato, già previsto per approvare alcuni provvedimenti in scadenza.

Nelle stesse ore, Atlantia riuniva la stampa e paventava l’apocalisse finanziaria: “La revoca – ha fatto sapere – provocherebbe un default sistemico gravissimo, esteso a tutto il mercato europeo, per oltre 16,5 miliardi di euro (i debiti di Atlantia, ndr), oltre al blocco degli investimenti. Verrebbero così messi a serio rischio 7.000 posti di lavoro di Autostrade. Bisogna assolutamente evitare questo scenario nefasto”. Il colosso si appella “all’equilibrio del premier Giuseppe Conte”, ma conferma di non voler accettare le condizioni dettate dal governo, anche perché “gli azionisti di Atlantia, dei quali il 70% è rappresentato da fondi istituzionali, hedge fund, investitori internazionali, non sono disposti ad approvare in assemblea soluzioni che non siano trasparenti e di mercato”. È questa l’ultima trincea. I grandi fondi stanno premendo a Bruxelles perché intervenga inibendo l’esecutivo italiano. Tutti guardano a Margrethe Vestager, la commissaria europea alla Concorrenza, assai sensibile alle istanze francesi. Tra gli azionisti colpiti ci sarebbero anche gruppi d’oltralpe. Tra i soci di minoranza di Aspi, per dire, oltre ai cinesi di Silk Road c’è un altro 7% detenuto da un veicolo, Appia Investment, sottoscritto dal gruppo assicurativo tedesco Allianz e dal colosso francese Edf Invest e Dif, con due suoi fondi infrastrutturali. Nei giorni scorsi Atlantia ha fatto sapere che la Commissione le ha inviato una lettera in cui spiega di star monitorando attentamente la situazione. La speranza è che un intervento più deciso blocchi la strada al governo italiano.

La palla, come sempre, è nelle mani dell’esecutivo. Se manterrà fede alla minaccia, la prossima settimana sarà convocato un Cdm per decidere sulla revoca. Tecnicamente sarà un’informativa del premier, la revoca vera e propria arriverà con un decreto interministeriale firmato da Gualtieri e De Micheli. Servirà però sciogliere il nodo di cosa fare di Aspi e della gestione dei 3mila km di autostrade in mano al concessionario. In base al decreto Milleproroghe di fine 2019 dovrebbe passare in mano all’Anas, ma si ipotizza anche di commissariare Aspi. Un primo punto verrà fatto già lunedì, quando è in programma il Consiglio dei ministri che deve approvare la Nota di aggiornamento al Def e le modifiche ai decreti Sicurezza. Parte del governo, specie i 5Stelle, premono però per decidere già in quella data.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/01/il-governo-ha-deciso-revoca-atlantia-10-giorni-per-cedere/5950014/