sabato 12 dicembre 2020

Vaccino anti Covid: quando arriverà in Italia, come prenotarsi e chi avrà le prime dosi. - Biagio Chiarello

 

Ci sarà una app per telefonini per prenotare e controllare le vaccinazioni e le prime dosi andranno al personale sanitario e agli anziani nelle residenze, che saranno vaccinati attraverso delle unità mobili anche con l’aiuto di medici in pensione e gli specializzandi. Ecco come avverrà la somministrazione di massa del vaccino anti Covid (gratuito e non obbligatorio).

Quando arriverà il vaccino Covid in Italia? Chi lo farà per primo? Quali sono le categorie privilegiate? Sarà obbligatorio? Le risposte degli addetti ai lavori non sono sempre concordanti, quindi è opportuno fare chiarezza. Il 29 dicembre dovrebbe comunque essere la data da cerchiare in rosso, come confermato anche dal commissario straordinario all’emergenza, Domenico Arcuri.

Quando arriverà il vaccino in Italia.

C'è attesa per l'okay definitivo dell'Ema, l'agenzia europea del farmaco, per la distribuzione. Il "sì" finale dovrebbe arrivare, appunto, il 29 dicembre, il successivo "semaforo verde" della Commissione Europea è atteso per i primi di gennaio e poi si potrebbe partire con il piano vaccini del governo per portare le "202 milioni di dosi nel primo trimestre del 2021" annunciate dal ministro della Salute Roberto Speranza. "Noi siamo pronti per qualsiasi giorno dopo il 29 dicembre, e siamo contenti se sarà più prima che dopo" ha spiegato Arcuri. "Noi facciamo il tifo perché la vaccinazione possa partire lo stesso giorno in tutta Europa – ha aggiunto il commissario –  e confidiamo che questo accadrà e verrà reso ufficiale nei prossimi giorni".

Chi avrà le prime dosi del vaccino.

Sono quasi quasi 6,5 milioni gli italiani che rientrano nelle categorie ‘prioritari' da vaccinare:  1.404.037 operatori sanitari e socio sanitari, 570.287 personale e ospiti di Rsa, 4.442.048 anziani sopra gli 80 anni. Più nello specifico, le 3,4 milioni di dosi del vaccino della Pfizer (che necessitano di una catena del freddo estrema, tra i -20 e i -70 gradi) dovrebbero essere disponibili entro la fine di gennaio e saranno consegnate direttamente dall'azienda produttrice nei 300 siti indicati dal governo, ospedali e case di riposo, per la prima fase della campagna che riguarderà appunto il personale sanitario e gli anziani nelle residenze, che saranno vaccinati attraverso delle unità mobili.

Come prenotarsi.

Sarà realizzata una app per smartphone per prenotarsi e monitorare eventuali reazioni avverse con un sistema di farmacovigilanza. L’applicazione manderà l’avviso sulla data del richiamo. Arcuri ha parlato della piattaforma digitale per il vaccino: “Poste Italiane ed Eni ci stanno aiutando nell’implementazione di una app, è un sistema molto complesso nel quale ci saranno molte componenti: un call center, elementi di tracciabilità, riconoscibilità e possibilità di alimentare i sistemi informativi delle regioni e del ministero della salute nell’implementazione di una sorta di anagrafe dei vaccini uguale a quella che c’è per tutti i vaccini somministrati per la popolazione italiana”.

Chi eseguirà le vaccinazioni.

Il ministero della Salute ha ipotizzato servano 20 mila persone tra medici, infermieri, assistenti sanitari, operatori socio sanitari, personale amministrativo e anche specializzandi per la somministrazione del vaccino nella prima fase. C'è la possibilità che anche i medici in pensione possano dare un contributo per sgravare il personale degli enti locali, oltre che gli specializzandi e le farmacie.

Dove si farà il vaccino.

L'hub di stoccaggio nazionale, come ha già spiegato Arcuri, sarà all'aeroporto militare di Pratica di Mare, un sito protetto dove transiteranno tutte le 202 milioni di dosi previste in arrivo in Italia da gennaio al primo trimestre del 2022. Da lì arriverà in almeno 300 centri ospedalieri per poi giungere a destinazione, ad esempio nelle Rsa. In una seconda fase il vaccino sarà presente in 1500 punti di somministrazione e le unità mobili lo faranno arrivare direttamente a casa delle persone anziane o con problemi di salute impossibilitate a muoversi.

Gratuito e non obbligatorio.

Il vaccino contro il coronavirus sarà su base volontaria e gratuito per tutti, come ha confermato il Ministro della Salute Roberto Speranza.

https://www.fanpage.it/attualita/vaccino-anti-covid-quando-arrivera-in-italia-come-prenotarsi-e-chi-avra-le-prime-dosi/

Enorme clessidra di gas taglia in due il disco della Via Lattea.

 

Vista dal telescopio eRosita, ha bolle estese fino a 50.000 anni luce.

Una gigantesca clessidra di gas caldo, le cui bolle si estendono fino a 50.000 anni luce, sta attraversando la Via Lattea. Descritta sulla rivista Nature, è stata immortalata nel corso della sua prima scansione completa del cielo dal telescopio a raggi X eRosita, a bordo della missione spaziale russo tedesca ‘Spectrum-Roentgen-Gamma’ (Sgr), lanciata nel luglio 2019.

Il telescopio eRosita ha effettuato una scansione profonda del cielo in meno di sei mesi. Gli autori dello studio, tra i quali i ricercatori italiani dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), descrivono “un’enorme struttura gassosa a forma di clessidra, i cui lobi si dipartono dal centro della Via Lattea, al di sopra e al di sotto del piano del disco galattico”. Secondo gli esperti, “le sterminate bolle di eRosita sarebbero onde d’urto generate dall’attività energetica passata al centro della nostra galassia”.

L’energia necessaria per alimentare la formazione di queste strutture potrebbe essere stata innescata in passato dal buco nero gigante al centro della Via Lattea, un mostro con massa pari a circa quattro milioni di volte quella del Sole. La scoperta delle bolle di eRosita, concludono gli esperti, è un passo avanti importante verso la comprensione del ciclo cosmico della materia all’interno e attorno alla Via Lattea e in altre galassie.

[nella foto: Immagini dell’enorme clessidra di gas caldo che taglia in due il disco della Via Lattea. (fonte: MPE/IKI)]

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/spazio_astronomia/2020/12/10/enorme-clessidra-di-gas-taglia-in-due-il-disco-della-via-lattea_a2e35e05-ca3d-4fb3-89b8-b73a52c2f093.html

La vignetta di Vauro. ilFQ

 


Conte vuole guidare la crisi, Renzi teme il voto e le fughe da Iv. - Wanda Marra e Paola Zanca

 

Come al Papeete - Il premier decide di convocare i partiti: vuole “trasparenza” sulla fiducia reciproca. Il leader di Italia Viva adesso corteggia Di Maio.

A qualcuno ricordano i giorni dell’estate 2019. Solo che qui, anziché i mojito al Papeete c’è il Natale col Covid. E per qualcuno è anche una consolazione: “Nessuno ci manderà a votare in piena pandemia”. Non è il messaggio che ha fatto recapitare il capo dello Stato, per cui dopo il Conte 2 ci sono solo le urne. Messaggio che tutti hanno ben chiaro, oramai. Anche se molti confidano nell’ancestrale capacità del Parlamento di trovare altre maggioranze, pur di non sciogliersi. Ma quel che è evidente a tutti è che, appena varata la legge di Bilancio, si scatenerà il putiferio. Quello vero, non le schermaglie di adesso. Prima di ripartire da Bruxelles, dopo il vertice europeo che ha dato il via libera al programma Next Generation, Giuseppe Conte ha deciso di non fare più finta di nulla e di provare a “guidare la crisi”. Il messaggio gliel’ha recapitato via El Paìs lo stesso Renzi, in mattinata: un’intervista in cui si è detto pronto a far cadere il governo, proprio mentre il premier italiano era impegnato a trattare al Consiglio europeo. Conte perde la pazienza: “Ci sono istanze critiche, che sono state rappresentate in modo molto vocale, molto sonoro, in varie trasmissioni tv e vari giornali. Sono molto impegnato, ma non è che non cerco di tenermi aggiornato”. E allora chiede “trasparenza”, vuole “capire che cosa nascondono, quali obiettivi”. Un confronto con i partiti che finora lo hanno sostenuto, per chiarire se la fiducia c’è ancora oppure no. Il calendario è ancora da fissare, ma avverrà “presto”, dicono da Palazzo Chigi.

La crisi è profonda. E ha Matteo Renzi come testa d’ariete, ma una marea di giallorosa dietro di lui. Alcuni perfino assetati di vendetta: “Sapevamo dall’inizio che Iv sarebbe stata una spina nel fianco: ma cosa abbiamo fatto per fermarla? Niente, abbiamo continuato a sfamarli, accontentandoli su ogni singolo dossier. E adesso ci presentano il conto”.

Per la verità, non è che il premier avesse molta scelta, visto che Iv conta 18 senatori e il Conte 2 non sarebbe mai stato possibile senza l’avallo di Renzi, allora ancora nel Pd. Lui lo sa bene e ancora una volta si trova a una curva pericolosa della sua carriera, dove la cosa che reputa più inaccettabile è finire nell’irrilevanza politica. Quindi ancora una volta si gioca l’azzardo. E mentre il premier è ancora a Bruxelles, dicevamo, lo attacca frontalmente dalle colonne di El País. Continua a sostenere, Renzi, che “non si va al voto”, perché “bisogna prima verificare che non ci sia una maggioranza alternativa”. Renzi in realtà sa benissimo due cose. La prima è che tutti stanno lavorando per un assetto diverso – senza l’attuale presidente del Consiglio – a partire dal Pd, che pure ieri, prima con Goffredo Bettini, poi con Andrea Orlando agita la minaccia del voto (“No a Papeete di Natale, o si va a votare”). Ma la seconda è che la parola elezioni deve essere disinnescata il prima possibile: perché davanti a questa eventualità, la maggior parte dei parlamentari di Iv sarebbero pronti a lasciarlo solo nella sua decisione di sfiduciare Conte, consapevoli del fatto che a rientrare in Parlamento sarebbero forse meno di una decina di loro, stando ai sondaggi. Anzi, molti si sfogano con i colleghi del Pd, alcuni vorrebbero rientrare. Insomma, Renzi potrebbe non avere i numeri per staccare la spina.

Intanto gli abboccamenti si moltiplicano. Gli uomini di Iv fanno circolare la possibilità di un governo con Di Maio premier. Tanto è vero che spuntano post Facebook di fedelissimi renziani in difesa del ministro degli Esteri “massacrato” per un congiuntivo. Ma per lui sostituire Conte avrebbe non pochi ostacoli: difficile da reggere per il Pd, insopportabile per parte del Movimento, ostativo per l’entrata di FI. E infatti dalla Farnesina smentiscono che quest’ipotesi possa mai realizzarsi.

La carta vera sarebbe un governo a guida Pd. I nomi che si fanno circolare sono quelli di Dario Franceschini e Lorenzo Guerini. Ma anche qui: M5S reggerebbe? Al Nazareno sanno che si tratta di un gioco pericoloso. Per questo, dopo aver mandato avanti per giorni l’ex premier, ieri Nicola Zingaretti l’ha stoppato: “Nessuno deve chiedere marcia indietro a nessuno”. Non è piaciuto al Nazareno l’attacco a Conte in pieno Consiglio, non è piaciuto il suo voler dettare le regole. Il Pd teme che il gioco gli sfugga di mano. E che magari anche un approdo “light” come il Conte-ter a più evidente trazione Pd ormai non sia più a portata di mano.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/12/conte-vuole-guidare-la-crisi-renzi-teme-il-voto-e-le-fughe-da-iv/6034714/

venerdì 11 dicembre 2020

Ponte Morandi, “falsi report su ispezione e verifiche antisismiche. Da ex vertici Autostrade falsità a Mit sullo stato della rete”. - Paolo Frosina e Giovanna Trinchella

 

"È eclatante - sottolineano i giudici del Riesame - la connessione qualificata tra tutte le indagini (dal crollo del Morandi, ai falsi report sui viadotti passando per le barriere e la manutenzione delle gallerie oltre alla tentata truffa), tutti riguardanti omessi e lacunosi controlli, con le correlate manutenzioni sulle strutture autostradali, al fine di risparmio sulle spese e di aumento degli utili da distribuire, con ovvio riconoscimento di rilevanti incentivi economici ai dirigenti che li permettevano - concludono -, il tutto in totale spregio della sicurezza degli utenti delle autostrade".

L’ultima inchiesta della procura di Genova su Autostrade, quella sulle barriere fonoassorbenti che ha portato temporaneamente agli arresti domiciliari anche l’ex ad Giovanni Castellucci, continua a riservare colpi di scena su altre inchieste che hanno riguardato la gestione della sicurezza di Aspi. L’ultimo riguarda il ponte Morandi, collassato il 14 agosto 2018, per cui, secondo i magistrati, vennero redatti falsi report sulle “ispezioni, sulla valutazione di sicurezza richiesta dall’ordinanza del presidente del Consiglio e sulle verifiche di sicurezza antisismiche“. Sono i i giudici del Tribunale del Riesame di Genova che lo scrivono nelle motivazioni con cui hanno revocato gli arresti domiciliari a Paolo Berti, ex direttore Operazioni centrali di Aspi, disponendo l’interdittiva per 12 mesi. Il manager, condannato in primo grado per la strage di Avellino (40 morti), intercettato diceva di aver coperto con le sue dichiarazioni le responsabilità di Castellucci. Per i giudici della Libertà inoltre “è stato artatamente inquadrato come intervento locale il progetto di retrofitting (il rinforzo delle pile 9, quella caduta, e la 10), con elusione dei controlli e avallando affermazioni inveritiere”. Fu la pila 9 a cedere. Il crollo si portò via 43 vite e provocò danni in tutta la zona, mettendo in ginocchio la città di Genova.

Falsità al ministero sullo stato effettivo del patrimonio autostradale” – Un altro capitolo riguarda le bugie e le omissioni destinate al ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture. “Le condotte di dissimulazione e falsità”, poste in essere dalla vecchia dirigenza di Aspi, “erano destinate anche a mantenere il ministero delle Infrastrutture nell’ignoranza circa lo stato effettivo del patrimonio autostradale. È eclatante – sottolineano i giudici del Riesame – la connessione qualificata tra tutte le indagini (dal crollo del Morandi, ai falsi report sui viadotti passando per le barriere e la manutenzione delle gallerie oltre alla tentata truffa), tutti riguardanti omessi e lacunosi controlli, con le correlate manutenzioni sulle strutture autostradali, al fine di risparmio sulle spese e di aumento degli utili da distribuire, con ovvio riconoscimento di rilevanti incentivi economici ai dirigenti che li permettevano – concludono -, il tutto in totale spregio della sicurezza degli utenti delle autostrade“. Una lunga serie di omissioni e falsi.

Berti era finito ai domiciliari a metà novembre nell’ambito dell’inchiesta sulle barriere antirumore pericolose, barriere che era completamente da sostituire perché gravate da un errore di progettazione, come ha raccontato diversi testimoni. Ma i vertici di Aspi non avevano nessuna intenzione di sostituirle, sarebbe stato troppo oneroso. Eppure l’ex direttore delle operazioni centrali di Aspi, “era consapevole dell’inadeguatezza e pericolosità delle barriere fono assorbenti” ma non intervenne. Come del resto gli altri indagati Ma non solo, il dirigente seguì “la linea dell’azienda” ovvero quella del massimo risparmio sulle manutenzioni per distribuire più profitti tra i soci. “Una articolata condotta costellata – scrivono i giudici – di sapienti silenzi e inganni espliciti mantenendo nel tempo la pericolosità della circolazione. A lui spettava di fermare il treno“.

La chat cancellata dopo il crollo del ponte: “Sti cazzi…” –Non sussistendo più il pericolo di inquinamento probatorio i giudici hanno deciso di disporre l’interdizione revocando gli arresti domiciliari, ma nelle 30 pagine con cui motivano la loro decisione c’è spazio per il caso della chat cancellata. Si tratta di messaggi scambiati tra Berti ed ex responsabile manutenzioni, Michele Donferri Mitelli (per cui invece sono stati confermati i domiciliari nei giorni scorsi). È il 25 giugno del 2018, quindi due mesi prima del crollo del ponte. “Berti – scrivono i giudici asseritamente in Usa per un convegno dove sarebbero state illustrate tecniche per salvaguardare i ponti, inviava a Donferri Mitelli la proposta di iniettare aria deumidificata nei cavi del viadotto Polcevera per levare l’umidità, ma l’altro rispondeva che i cavi erano già corrosi. A quel punto Berti ribatteva: “sti cazzi ….. io me ne vado”, evidentemente conscio della possibilità di sciagure delle quali sarebbe stato chiamato a rispondere, visto che non emerge da nessuna parte che egli già sapesse del trasferimento ad Aeroporti di Roma, che sarebbe avvenuto oltre sei mesi dopo, a sua tutela, in connessione con l’imminente condanna nel procedimento di Avellino”.

L’intercettazione tra Donferri a Berti: “T’ha pagato” – 

Proprio sul processo per la morte di 40 persone – giudizio in cui l’ex ad Castellucci era stato assolto – i giudici del Riesame ricordano come il reddito di Berti nel 2017 era triplicato e che era stato “tutelato” da Castellucci “che alla vigilia della lettura della sentenza” lo aveva fatto trasferire società Aeroporti di Roma dove il top manager era stato consigliere. Nella telefonata del 15 gennaio 2019 – quattro giorni dopo il verdetto – Berti in una telefonata intercettata dice e Mitelli: “Io ho promesso che avrei fatto delle cose .. devi fare quelle cose che hai promesso che dovevi fare… lui ha promesso che farà di tutto per alleviare .. se ne è avvantaggiato … per evitare che qualcosa arrivasse a lui, non abbiamo potuto fare quello che potevamo fare …. mi cambiava”. In una altra conversazione Berti e e Marrone, anche lui condannato in primo grado, concordano che devono farsi promettere per iscritto da Castellucci che, comunque, nonostante la condanna penale anche definitiva, non saranno stati licenziati. E nella telefonata del 30 gennaio Donferri, si legge nel provvedimento del Riesame, “ricorda a Berti che non è stato usato da Castellucci perché questi lo ha compensato adeguatamente facendogli fare carriera, ripetendo più volte: ‘T’ha pagato‘”.

L’estromissione di Tomasi dal caso delle barriere – I giudici, nel provvedimento, ricordano solo quanto tutti gli indagati fossero consapevoli della pericolosità delle barriere difettate e non in grado di sostenere il vento ma come avessero estromesso dalla vicenda Roberto Tomasi, attuale ad di Autostrade, che aveva cercato di intervenire. In una nota i magistrati riportano una intercettazione di Donferri Mitelli che dice “allora … Tomasi ha chiamato me e l’ho mandato a fare in culo, Tomasi ha chiamato Berti e l’ha mandato a fare in culo Tomasi è andato da Castellucci … Castellucci lo ha mandato a fare in culo“. In un’altra conversazione è lo stesso Tomasi che parla intercettato sul caso che dice “… gestito sempre dai soliti due (Berti e Donferri, ndr) … e gestito francamente non in modo … in modo rigoroso ……. a luglio 2017 noi facemmo delle prove sulle nuove opere e … evidenziammo … guardate … però sembra che ci sia un problema di dimensionamento su queste barriere … ecco i due … Berti e Donferri … io ne parlai con Castellucci e Berti e Donferri dissero … no la gestione la prendiamo noi … non è tua Tomasi ….. è stato uno scontro abbastanza feroce … perché Berti ha detto .. tu vuoi entrare a fare la gestione nostra …”.

“Persistente totale mancanza di scrupoli” – Come per l’ex ad Castellucci anche per Berti i giudici sostengono che “emerge in tale quadro la persistente totale mancanza di scrupoli per la vita e l’integrità fisica degli utenti delle autostrade mediante azioni ed omissioni in concorso relative, praticamente, a tutti i tipi e gli oggetti di manutenzione ed adeguamento nell’ambito della gestione delle autostrade, condotte volte tutte a una poliedrica e persistente politica del profitto aziendale, soprattutto risparmiando le spese dovute ma anche cercando di imputarle a capitoli non pertinenti perché potessero essere in parte detratte dai debiti verso la controparte, perseguito anche attraverso condotte delittuose. Ovviamente – rimarcano i magistrati – neppure può dirsi che le condotte illecite siano state da lui tenute solo nell’interesse di terzi, in quanto l’aumento a quasi il triplo delle sue già consistenti entrate emergente dalle dichiarazioni dei redditi dà la misura della tangibile riconoscenza a lui manifestata. Si noti in particolare che le condotte contestate nel presente procedimento sono state da lui tenute, nonostante l’evidenza dei cedimenti delle barriere già accaduti e nonostante che egli fosse stato in precedenza già rinviato a giudizio nel processo di Avellino, relativo alla caduta da un viadotto autostradale di un autobus pieno di viaggiatori anche a causa dell’inadeguatezza delle barriere, che non ne avevano contenuto lo sbandamento laterale verso l’esterno”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/11/ponte-morandi-falsi-report-su-ispezione-e-verifiche-antisismiche-da-ex-vertici-aspi-falsita-al-mit-sullo-stato-della-rete-autostradale/6034201/

Accordo Mittal-Invitalia, torna l'acciaio di Stato.

 

La società del Mef entra al 50% nella gestione degli impianti.

Il futuro ha un cuore antico per la ex Ilva di Taranto. Lo Stato imprenditore torna nella gestione del siderurgico più grande d'Europa e di tutti gli impianti siderurgici che il gruppo possiede in Italia.

La firma dell'intesa è arrivata a tarda sera e prevede un deciso investimento pubblico che consentirà di garantire alla fine la piena occupazione dell'impianto e di ridurre l'inquinamento per la produzione di acciaio. La mano pubblica entra nella società italiana Am Investco con un doppio aumento di capitale: un primo aumento da 400 milioni di euro darà a Invitalia, che è controllata dal ministero dell'Economia, il 50% dei diritti di voto della società.

Le condizioni sospensive al closing (dell'ingresso di Invitalia in AM InvestCo, controllata ArcelorMittal) comprendono "la modifica del piano ambientale esistente per tenere conto delle modifiche del nuovo piano industriale; la revoca di tutti i sequestri penali riguardanti lo stabilimento di Taranto; e l'assenza di misure restrittive, nell'ambito dei procedimento penali in cui Ilva è imputata, nei confronti di AM InvestCo. Lo precisa in una nota ArcelorMittal.

A maggio del 2022 è programmato, poi, un secondo aumento di capitale, che sarà sottoscritto fino a 680 milioni da parte di Invitalia e fino a 70 milioni di parte di Arcelor Mittal. Il ministro del tesoro, Roberto Gualtieri e dello Sviluppo, Stefano Patuanelli hanno espresso soddisfazione per l'intesa che avrà un doppio impatto. Si prevede alla fine del processo il completo assorbimento di 10.700 lavoratori.

E partirà da subito un piano di decarbonizzazione attraverso l'avvio della produzione di acciaio con processi meno inquinanti. È prevista la creazione di una nuova linea di produzione esterna al perimetro aziendale (DRI) e di un forno elettrico interno allo stabilimento che a regime potrà realizzare 2,6 milioni di tonnellate annue di prodotto. "Circa un terzo della produzione di acciaio - sostengono Mef e Mise - avverrà con emissioni ridotte, grazie all'utilizzo del forno elettrico e di una tecnologia d'avanguardia, il cosiddetto "preridotto", in coerenza con le linee guida del Next Generation EU. La riduzione dell'inquinamento realizzabile con questa tecnologia è infatti del 93% a regime per l'ossido di zolfo, del 90% per la diossina, del 78% per le polveri sottili e per la CO2". Sarà ora necessario vedere se l'intesa raggiunta soddisfa il territorio, con il sindacato di Taranto e di molti comuni limitrofi che avevano ipotizzato altri interventi. Il governo ha annunciato che darà vita a un tavolo con gli enti locali per accompagnare e monitorare la transizione.

E se la piena occupazione promessa alla fine del processo riuscirà a dissipare le preoccupazioni delle 'tute blu', anche se nel prossimo quinquennio gli esuberi temporanei sarebbero coperti - ma i comunicati diffuso in serata non ne fanno menzione - dagli ammortizzatori sociali dei quali lo Stato si fa garante. L'annuncio ufficiale dell'accordo è destinato ad alzare il velo anche su altri aspetti della vicenda, a cominciare dalla governance che dovrebbe essere inizialmente paritaria con presidente e amministratore delegato espressi l'uno da Invitalia e l'altro dalla Mittal. Anche su questo punto non ci sono comunicazioni ufficiali. Per l'impianto di Taranto si profila comunque in ritorno al passato. Nata nel 1905 l'Ilva passò all'Iri nel 1929 e venne ceduta ai Riva solo nel 1995, con il piano di privatizzazioni. Il commissariamento è datato 2012. ArcelorMittal arriva nel 2018 e ora arriva una nuova svolta.

https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2020/12/10/accordo-mittal-invitalia-torna-lacciaio-di-stato_5787a0af-96dc-44d5-9290-917bdfb6b991.html

“I super-ricchi alla base delle crisi. Come evitarlo? Misure fiscali”. Parla l’autore del libro che lega guerre commerciali e lotta di classe. - Mauro Del Corno

 

Intervista a Matthew Klein, editorialista del settimanale finanziario Usa Barron's e autore di "Trade Wars are Class Wars". Tra le altre cose spiega come scelte politiche di paesi come Cina, Germania, Stati Uniti che hanno favorito una distribuzione della ricchezza a favore di ceti più abbienti siano alla base degli squilibri commerciali e finanziari globali. E che i correttivi stanno nella redistribuzione delle ricchezze.

L’editorialista del settimanale finanziario Barron’s Matthew Klein e l’economista Michael Pettis sono gli autori di Trade Wars are Class Wars, edito da Yale University Press. Il libro spiega come una distribuzione della ricchezza troppo sbilanciata a favore dei ceti più abbienti sia alla base delle tensioni finanziarie e commerciali tra Stati. Una situazione che in una certa misura dipende da scelte politiche che negli ultimi decenni hanno interessato la Germania come la Cina o gli Stati Uniti, pur nella particolarità e differenza dei rispettivi sistemi. Se non verrà corretta, anche con interventi di natura fiscale, questa condizione presenta e presenterà rischi notevoli e crescenti, di natura sia economica che sociale. Ilfattoquotidiano.it ha intervistato Klein.

Come si intuisce già dal titolo, la tesi di fondo sviluppata nel vostro libro è quella secondo cui le tensioni commerciali internazionali dipendono, in ultima analisi, da una distribuzione disarmonica della ricchezza all’interno dei singoli Paesi. Ma esattamente come funziona questo meccanismo?
Questa è la questione cruciale, e infatti per spiegarla bene abbiamo dovuto scrivere un intero libro (ride, ndr). Ad ogni modo, la “versione breve” è che oggi tutti siamo interconnessi, attraverso il commercio internazionale e il sistema finanziario. Quello che accade e che cambia all’interno di una società, avrà inevitabilmente conseguenze per persone che vivono altrove indipendentemente dal fatto che questi effetti siano intenzionali o meno. Un buon esempio per cogliere bene il concetto è quello che accade con l’inquinamento.

Il secondo aspetto chiave della nostra tesi è che i ricchi, e le imprese che controllano, sono molto differenti da tutti gli altri. La maggior parte delle persone spende più o meno tutto quello che guadagna nel corso della vita. I ricchi no e questo accade in qualsiasi Paese del mondo. Le persone che si trovano al vertice della piramide della ricchezza risparmiano una buona fetta di quel che guadagnano. Guardato da un’altra prospettiva risparmiare significa comprare asset (come fondi, immobili, azioni, etc, ndrinvece che beni o servizi. Il motivo è semplice: per quanto i gusti possano essere raffinati e costosi, c’è un limite alla quantità di beni necessari per la loro soddisfazione (es non ha senso comprarsi 5 yacht o 10 Ferrari, ndr). Quindi cambiamenti significativi nella distribuzione del reddito dalla gente comune ai ricchi, spostano risorse da persone che spendono molto in beni e servizi a persone che acquistano molti asset.

Non dimentichiamo che ogni reddito proviene dalla spesa di qualcun altro. A livello globale questo significa che per chi è già ricco, arricchirsi ulteriormente è molto difficile, se si cerca di farlo unicamente comprimendo il reddito degli altri. La spesa complessiva diminuirebbe e così, in proporzione, calerebbero i ricavi delle imprese. Ciò che consente ai consumatori di continuare a spendere anche quando i redditi sono stagnanti, sono i prestiti. E infatti quello a cui abbiamo assistito a livello globale è che la crescente concentrazione del reddito ha coinciso con un forte aumento dei debiti di famiglie e governi. Se guardiamo a queste dinamiche dal punto di vista del commercio quello che vediamo è che un cambiamento della distribuzione del reddito in un Paese può avere conseguenze negative anche altrove, riducendo gli acquisti dall’estero di beni e servizi e spingendo così le persone che vedono calare i loro ricavi, a contrarre debiti che spesso non sono in grado di sostenere.

Nel libro scrivete che attualmente la zona euro è la principale fonte di squilibri globali. Il caso più emblematico è quello della Germania, dove i governi, sia di destra che di sinistra, hanno fatto scelte politiche a favore delle élite. Cosa dovrebbe fare Berlino per cambiare questa situazione? Pensi che una tassa sul patrimonio potrebbe essere una buona opzione?
Il problema fondamentale, per quanto riguarda la Germania, è che nel complesso i tedeschi hanno vissuto al di sotto delle loro possibilità per un ventennio. I redditi delle famiglie, gli investimenti pubblici in infrastrutture, e anche quelli aziendali, sono stati sacrificati per il benessere del bilancio pubblico. Il governo ha ripagato i suoi debiti, le aziende generano molto flusso di cassa per i loro proprietari, ma nel complesso la società tedesca sta peggio di come potrebbe stare. La notizia positiva è che questa situazione può essere corretta con decisioni piuttosto semplici. Il vincolo del pareggio di bilancio previsto dalla Costituzione tedesca dovrebbe essere sostituito con una regola più sensata, che offra margini per effettuare più investimenti pubblici.

Una volta che avessero una maggiore possibilità di indebitarsi, governo centrale e Lander potrebbero finalmente lavorare sul grande arretrato di interventi in manutenzione e sviluppo delle infrastrutture. Il governo potrebbe, ad esempio, finanziare con più risorse lo sviluppo della rete ferroviaria ad alta velocità, implementare la rete internet e favorire la transizione verso fonti di energia rinnovabili. Soprattutto governo e imprese dovrebbero considerare la possibilità di correggere alcune delle scelte fatte negli anni ’90 e 2000, mi riferisco soprattutto ai tagli al welfare che hanno aumentato l’insicurezza dei lavoratori, oltre che alla diffusione di lavori con orario ridotto. Infine, il governo potrebbe valutare un impegno nella redistribuzione diretta per trasferire il reddito dai ricchi imprenditori tedeschi, che hanno prosperato negli ultimi 20 anni, a favore della stragrande maggioranza della popolazione che viceversa non l’ha fatto. Modifiche al regime dell‘imposta sulle successioni e l’introduzione di un’imposta sul patrimonio, che tenga adeguatamente conto delle valutazioni immobiliari, sarebbero certamente utili a questo scopo.

Come spiegate bene nel vostro libro, e a proposito del fatto che le scelte di un paese producono conseguenze ben al di là dei suoi confini, quello che è accaduto negli ultimi 20 anni in Germania è alla base della crisi dei debiti sovrani che nel 2012 ha colpito Paesi come Italia, Spagna e Portogallo…
Ripeto, oggi viviamo in un mondo in cui tutti sono connessi. Nessun paese è isolato dal sistema globale, neppure paesi pariah come la Corea del Nord. La Germania è un’economia aperta e fortemente integrata con il resto d’Europa. Tutto ciò che accade qui ha quindi profonde conseguenze sui paesi vicini. Quando il governo e il mondo degli affari tedeschi hanno adottato una serie di decisioni che hanno causato una riduzione dei consumi delle famiglie e degli investimenti pubblici e privati nel paese, questo ha avuto ripercussioni anche sulle importazioni tedesche, che sono diminuiti. Nel frattempo però gli esportatori tedeschi hanno continuato a vendere senza problemi nel mondo e nei paesi vicini. I risparmi accumulati dai tedeschi più abbienti venivano infatti prestati all’estero attraverso il sistema bancario della Germania, sostenendo importazioni e consumi locali. A ricevere questi finanziamenti erano, tra gli altro, ItaliaSpagnaPortogalloIrlandaGrecia e Stati baltici. Quindi questi stati esportavano meno di quanto avrebbero potuto anche a causa di una domanda tedesca fiacca ma hanno mantenuto inalterato il loro livello di importazioni, grazie ai finanziamenti a basso costo che arrivavano dalla Germania. Il problema è che purtroppo questo sistema non è sostenibile a lungo.

Qualcosa di simile è accaduto negli Stati Uniti nel 2008. Il Paese ha dovuto assorbire un immenso flusso di denaro proveniente dall’estero, i risparmiatori di tutto il mondo vogliono comprare titoli Usa. Per soddisfarli ha emesso una grandissima quantità di titoli obbligazionari, anche di pessima qualità come quelli costruiti sui famigerati mutui subprime. Gli Usa amministrano il dollaro, la moneta di riferimento a livello globale, ma questo più che un privilegio, ha finito per diventare un peso.
Gli Stati Uniti si trovano in una situazione delicata perché, come hai ricordato, le persone, in tutto il mondo, vogliono possedere attività denominate in dollari. Tuttavia creare e distribuire quelle attività in dimensioni sufficienti per soddisfare questa gigantesca domanda finisce per avere effetti distorsivi sull’economia. E’ il motivo per cui nel libro definiamo lo status di valuta di riserva del dollaro un “fardello esorbitante” piuttosto che un “privilegio esorbitante” (definizione coniata negli anni ’60 dall’allora ministro delle finanze francese Valery Giscard D’Estaigne, ndr). Ci sono una serie di cose che gli Usa potrebbero fare per ridurre la domanda estera di asset su valori sostenibili. Se la Federal Reserve e il Fondo monetario internazionale rendessero più facile prendere in prestito dollari in caso di necessità, i governi stranieri avrebbero meno bisogno di detenere ingenti riserve. Tasse sugli investimenti esteri, e altri controlli sui capitali, potrebbero scoraggiare l’acquisto di beni statunitensi. Allo stesso tempo, il governo federale dovrebbe prendere atto di essere il soggetto più capace di soddisfare questa domanda. Essere quindi disposto ad emettere una quantità di titoli di Stato sufficiente per fare in modo che non debba essere il settore privato a farlo. Infine, vorrei sottolineare che non c’è motivo per cui il dollaro debba essere l’unica valuta di riserva. L’euro è un’alternativa valida e, in teoria, titoli di debito emessi dall’UE potrebbero essere attraente tanto quanto quelli del Tesoro degli Stati Uniti. Sarebbe un bene sia per gli europei, che potrebbero prendere in prestito e spendere più di quanto fanno ora, sia per gli americani.

Anche la Cina mostra forti squilibri nel suo modello di sviluppo, con i redditi della classe media sacrificati a favore degli investimenti decisi dal governo centrale. Voi scrivete che, in un modo o nell’altro, Pechino dovrà presto correggere questo stato di cose. Questo processo comporta dei rischi per la Cina o per gli altri Paesi?
Sì, la natura squilibrata dell’economia cinese pone sicuramente dei rischi, ma è importante capire quali sono questi rischi. Un crollo improvviso è improbabile, perché il governo mantiene uno stretto controllo sul sistema finanziario. Il risultato più probabile è che il tasso di crescita dell’economia tenderà a rallentare ancora più di quanto non abbia già fatto sinora. Il governo cercherà però di evitarlo. Come? Aumentando ulteriormente il suo surplus (differenza tra valore delle esportazioni e delle importazioni, ndr) , un comportamento molto nocivo per il resto del mondo.

Prima o poi il peso dei consumi sul Pil aumenterà. Questo potrebbe verificarsi perché la spesa delle famiglie accelera velocemente oppure, ed è più probabile, perché rallenterà la crescita degli investimenti. In una certa misura questo sta già accadendo. La crescita è rallentata notevolmente dal 2010, in parte grazie alla decisione del governo di frenare l’espansione del credito e di contenere la spesa per investimenti. Ma a questo punto tagliare ulteriormente gli investimenti, senza fare nulla per i lavoratori cinesi e i pensionati, deprimerebbe la spesa totale, e finirebbe per ridurre anche le importazioni con ripercussioni negative anche sulle economia del resto del mondo.

La pandemia come influenza e come sta cambiando la situazione che voi descrivete?
La pandemia ha causato un calo consistente sia della spesa globale per beni e servizi, sia della loro produzione. Ma i cali sono stati diversi da paese a paese, Cina e Stati Uniti in particolare hanno esperienze diametralmente opposte. In Cina, la spesa dei consumatori è diminuita drasticamente e il governo ha fatto poco per proteggere i redditi dei lavoratori. Ha invece aiutato le imprese, con prestiti a basso costo e deprezzamento della valuta. Così ha favorito l’export (una moneta svalutata fa si che i prodotti cinesi costino meno all’estero e quindi vengano venduti più facilmente, ndr) e il surplus commerciale ha raggiunto nuovi record. Viceversa il governo degli Stati Uniti ha fornito un enorme sostegno alle famiglie americane, che hanno speso i soldi in beni, molti dei quali importati. La produzione manifatturiera statunitense è invece rimasta debole, principalmente a causa della debolezza delle esportazioni. Gli squilibri di cui parliamo nel libro si sono ulteriormente esacerbati. L’unico fatto positivo che posso vedere, anche se probabilmente è prematuro dirlo, è che l’Europa ha mostrato un grado di solidarietà maggiore di quanto mi sarei aspettato. Se si dovesse affermare e consolidare la pratica di emettere debito comune per finanziare spese di interesse comune, per i singoli governi sarebbe più facile aiutare i cittadini, pur rispettando i vincoli di bilancio. Inoltre i titoli di debito comune dell’Ue sarebbe anche un’opzione di risparmio per gli europei alternativa ai titoli di stato statunitensi, favorendo così un riequilibrio tra le due sponde dell’Atlantico.

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