giovedì 25 febbraio 2021

I 4 dell’Ave Mario. - Marco Travaglio

 

Sei giorni fa titolavamo: “Perché è caduto Conte?”. Ora, alla luce delle prime scelte di Draghi, possiamo cancellare il punto interrogativo. Conte non è caduto per la blocca-prescrizione (confermata dal governo Draghi). Non per i Dpcm (li fa anche Draghi). Non per le chiusure anti-Covid (elogiate, ribadite e inasprite da Draghi). Non per i vertici serali (li fa pure Draghi, ieri per la mega-rissa sui sottosegretari). Non per ministri e collaboratori incapaci (quasi tutti confermati da Draghi, con l’aggiunta di Brunetta, Gelmini, Carfagna, Garavaglia, Stefani&C. per aumentare il tasso di competenza). Non per il Mes (non lo prende neanche Draghi). Non per il Reddito di cittadinanza (non lo cancella neanche Draghi). Non per il ponte sullo Stretto (non ne parla neppure Draghi). Non per Arcuri (finora se lo tiene anche Draghi). Non perché accentrava la governance del Recovery in soli tre ministeri (Draghi l’accentra in uno: il Mef del fido Franco). E qui finiscono i pretesti ripetuti per due mesi dall’Innominabile e dai suoi pappagalli per giustificare la crisi: erano tutte balle.

Le vere ragioni del ribaltone sono altre: mettere le mani dei soliti noti sui miliardi del Recovery e dirottarli verso Confindustria&C. Per chi nutrisse ancora dubbi, basta leggere i nomi dei ministri Franco, Cingolani, Colao, Giorgetti e (a pag. 2-3) dei sottostanti boiardi e retrostanti lobbisti, su su fino al neoconsigliere economico Francesco Giavazzi: un turboliberista che predica da sempre contro l’impresa pubblica e a favore di quella privata (ma con soldi pubblici) e che neppure i giornaloni riusciranno a spacciare per “liberalsocialista”, “keynesiano” e “allievo di Caffè” (che non smette più di rivoltarsi nella tomba, tanto nessuno sa dove sia). Mentre i partiti giocano agli adulti nel cortile dell’asilo coi loro ministri e sottosegretari superflui, Draghi e i Quattro dell’Ave Mario si occupano delle cose serie. Cioè della scelta meno tecnica e più politica del mondo: a chi destinare i miliardi del Recovery. Ricordate il mantra del Piano “scritto coi piedi” da Conte e Gualtieri e “migliorato” in extremis dal provvidenziale intervento renziano? Ora Repubblica titola: “Pulizia sul Recovery Plan. Il governo taglia subito 14 miliardi di progetti… senza copertura finanziaria. Sfoltite le iniziative in eccesso previste dal Conte2, si torna a quota 209,5 miliardi”. Già: ma le “iniziative in eccesso” sono quelle chieste dal Rignanese nel celebre Piano Ciao e aggiunte da Gualtieri per tacitarlo. Quindi era meglio il Piano Conte prima della cura Iv: quello “scritto coi piedi”, senza i famosi “miglioramenti” renziani che ora Draghi deve “ripulire”. Ma questo i repubblichini si scordano di scriverlo. Vergogniamoci per loro.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/25/i-4-dellave-mario/6112986/

Governo Draghi, i sottosegretari scelti col Cencelli e il bilancino (più dei ministri). I berlusconiani si prendono Editoria e Giustizia. Ai Servizi va Gabrielli. - Martina Castigliani e Giuseppe Pipitone

 

Ancora una volta vince - anzi stravince - l’equilibrio della bilancia di precisione: 11 sottosegretari al M5s, 9 alla Lega, 6 per Pd (5 donne) e Forza Italia. Nel M5s non ci sono Fraccaro e Buffagni ma quattro news entry (tutte donne), il leghista Molteni torna al ministero dell’Interno. I berlusconiani piazzano uno dei loro all'Editoria e Sisto alla Giustizia (ma anche Mulè alla Difesa), Renzi ottiene di far rientrare Bellanova e Scalfarotto. Spazio anche per Tabacci e Della Vedova.

Peggio dei ministri, almeno di quelli politici. E d’altra parte questa volta le scelte erano tutte in mano ai partiti. Se esistesse qualcosa di più partitocratico dell’ormai mitologico manuale Cencelli di sicuro sarebbe stato utilizzato per nominare i sottosegretari di Mario Draghi. Già quando aveva letto la lista dei suoi ministri le scelte dell’ex presidente della Bce avevano deluso chi da settimane parlava del “governo dei migliori“. Niente da dire, fino alla prova dei fatti, sugli otto tecnici piazzati nei dicasteri chiave. Musica molto diversa sulle 15 poltrone divise col bilancino tra la maggioranza a larghe intese che appoggia il governo. Stesso spartito per le lista dei 39 sottosegretari, arrivata a dieci giorni dal giuramento: 11 poltrone vanno ai 5 stelle, primo gruppo in Parlamento, 9 alla Lega, 6 per il Pd e 6 per Forza Italia, due per Italia viva. Un incarico a testa per i partiti piccoli e quindi Leu, +Europa (con Benedetto Della Vedova), Centro democratico (Bruno Tabacci) e perfino Noi con l’Italia, quella che alle politiche del 2018 doveva essere “la quarta gamba” del centrodestra e poi è sparita dai radar. Ricompare con la nomina di Andrea Costa, consigliere regionale, alla Salute. Non ha un seggio in Parlamento anche Alessandra Sartore, assessore al Bilancio in Regione Lazio che Nicola Zingaretti ha promosso al governo per sopperire alla contestatissima mancanza di donne del Pd al governo. Alla fine su sei posti per i dem, questa volta solo uno va ad un uomo.

Una lista composta col bilancino dell’orafo – Anche sul fronte delle quote genere la lista dei sottosegretari del governo Draghi è stata stilata mixando il Cencelli e il bilancino di precisione dell’orafo. Alla fine su 39 incarichi (sei da viceministro) le donne sono una leggerissima maggioranza: 20 contro 19 uomini. Tra questi ultimi rientra anche l’unico tecnico della partita: Franco Gabrielli lascia l’incarico di capo della Polizia per prendere la delega ai servizi segreti. Lo stesso cursus honorum seguito a suo tempo da Gianni De Gennaro che però tra il vertice della Polizia e l’incarico di governo guidò il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. Gabrielli, invece, cambia veste in 24 ore e prende la delega contestata da Matteo Renzi quando a reggerla era Giuseppe Conte. Precisione finissima è stata poi utilizzata per quanto riguarda gli schierementi: per ogni delega ci sono sempre almeno due componenti, uno della ex maggioranza del governo Conte 2 e uno della vecchia opposizione. Resta da capire come faranno a lavorare insieme persone che fino a due settimane fa non se le mandavano a dire. E anche ultimamente non si sono trattenute. Bilancino e sostanziale pareggio anche per le provenienze geografiche (anche se tra i ministri c’era un’ampia maggioranza di “nordisti”): i sottosegretari provenienti dal Sud e dalle isole sono in totale 16 (6 solo dalla Puglia). In sette sono originari dalle Regioni del Centro Italia, mentre altri 16 provengono dalle Regioni settentrionali (7 sono lombardi).

Ai berlusconiani Editoria e Giustizia – Per il resto fa rumore lo scippo dei berlusconiani che riescono a mettere le mani sulla delega all’Editoria, fondamentale per i destini dell’impero di Arcore. Forza Italia avrebbe voluto piazzare lì addirittura Giorgio Mulè, berlusconianissimo ex direttore di Panorama: i 5 stelle e il Pd hanno fatto muro, provocando a un certo punto la sospensione del Consiglio dei ministri. Alla fine la quadra è stata trovata spostando Mulè alla Difesa, ma mantenendo la preziosissima delega a giornali e informazione: finisce a Giuseppe Moles, non un pretoriano ma comunque berlusconiano della prima ora. Ex assistente di Antonio Martino all’università e poi nel primo governo Berlusconi, è alla seconda legislatura in Parlamento. È al quinto giro, invece Francesco Paolo Sisto, una sorta uomo-immagine della giustizia made in Arcore: l’avvocato pugliese fu uno degli scudi umani del capo durante la legislatura delle leggi ad personam e delle nipoti di Mubarak. Negli ultimi tempi non è cambiato. Quando per esempio il leghista Armando Siri dovette dimettersi perché era indagato per corruzione, Sisto tuonò in Parlamento: “Il Paese è nelle mani della magistratura. Le Procure decidono la composizioni del governo, questo è un attacco alle istituzioni. Ce ne rendiamo conto? Sveglia, sveglia”. Dove poteva finire oggi? Ovviamente alla giustizia. Tenterà, con ogni probabilità, di bombardare in ogni modo le riforme anticorruzione e sulla prescrizione del Movimento 5 stelle.

I 5 stelle tra new entry e uscenti blindati. Ma non ci sono Fraccaro e Buffagni – Toccherà alla grillina Anna Macina provare a neutralizzare Sisto. Pure lei legale originaria della Puglia, è firmataria della legge sul conflitto di interessi (uno dei provvedimenti più importanti per il M5s), siede in commissione Affari costituzionali e nella Giunta per il regolamento. A ottobre 2019 era in corsa per diventare capogruppo, ma finì nel tritacarne dei veti incrociati (era un nome gradito a Di Maio) e decise di ritirarsi. Macina è una delle deputate alla prima legislatura su cui i 5 stelle cercano di puntare per ricomporre un gruppo massacrato da polemiche e guerre interne. È lo stesso caso di Rossella Accoto, fino a oggi capogruppo in commissione bilancio del Senato (molto attiva sul fronte Ristori) e da domani sottosegretaria al Lavoro: cercherà di preservare l’influenza 5 stelle in un dicastero in cui sono passati prima Di Maio e poi Nunzia Catalfo. Tra i nuovi ingressi: Barbara Floridia all’Istruzione, senatrice che già l’ex capo politico aveva scelto per il suo “team del futuro” come facilitatrice per l’area “formazione e personale”; Ilaria Fontana, deputata laziale conosciuta nel Movimento per le sue battaglie su ambiente ed economia circolare: sarà sottosegretaria del nuovo superministero alla Transizione ecologica. Primo incarico al governo, ma seconda legislatura, per Dalila Nesci: calabrese, neo sottosegretaria al Sud. E’ considerata vicina a Roberto Fico, ma soprattutto è la principale esponente della corrente Parole guerriere (come Gallo e Brescia) e tra le prime a spingere per il sostegno al governo Draghi. Confermata dal precedente esecutivo la presenza di Giancarlo Cancelleri ai Trasporti (il siciliano era viceministro, ora sarà sottosegretario), Giampaolo Sileri alla Salute e Alessandra Todde allo Sviluppo Economico. Sono al terzo incarico (facevano parte anche del Conte 1) Laura Castelli all’Economia, Carlo Sibilia agli Interni e Manlio Di Stefano agli Esteri. In particolare su Castelli, Di Stefano e Cancelleri sarebbe arrivata la blindatura di Di Maio, ma in generale i registi delle trattative sono stati il capo politico reggente e i due capigruppo (tutti e tre per scelta esclusi dalle nomine). Fuori dal governo, invece, resta Riccardo Fraccaro, sottosegretario alla presidente con Conte, considerato molto vicino all’ex premier. E pure Stefano Buffagnirumors raccontano che sull’ex sottosegretario lombardo sia calato il veto di Vito Crimi, ma anche la Lega rivendica la sua esclusione come un successo del Carroccio.

Il ritorno dei leghisti e dei renziani – Dopo l’esperienza gialloverde il partito di Matteo Salvini riporta al governo Claudio Durigon al Lavoro, Vannia Gava alla Transizione ecologica e Lucia Borgonzoni ai Beni culturali: nel 2018, quando venne nominata per la prima volta, disse di non leggere un libro da tre anni. Chissà se nel frattempo ha migliorato la sua media. L’anno scorso fu protagonista della campagna elettorale per le Regionali in Emilia-Romagna: dopo aver giurato che anche in caso di sconfitta sarebbe rimasta in Regione, perse le elezioni contro Stefano Bonaccini ritornò in Senato. Ma non è il tasto più dolente: è ancora consigliera comunale a Bologna e nel 2020 ha disertato tutte le sedute (anche se erano da remoto). Rientra all’ultimo agli Interni Nicola Molteni, co -firmatario dei decreti Sicurezza di Salvini, sul quale era stato posto un veto del Pd: senza successo a quanto pare. Inascoltata pare sia stata la richiesta di Stefano Patuanelli che non voleva come sottosegretario all’Agricoltura Gian Marco Centinaio. Tra i leghisti sarà il primo giuramento invece per Alessandro Morelli, ex presidente della commissione Trasporti, ex direttore di Radio Padania e attuale numero uno del giornale online Il Populista: è considerato molto vicino all’uomo del Carroccio a Mosca, Gianluca Savoini. Esordio al governo pure per Stefania Pucciarelli, piazzata alla Difesa: una volta mentre viaggiava in treno ci tenne a sottolineare di essere “l’unica italiana in un vagone pieno di stranieri, tutti di colore. Tutti sprovvisti di biglietto”. Aneddoto simile per Rossano Sasso, all’Istruzione: anni fa organizzò un flash mob per una violenza sessuale in spiaggia chiamando “bastardo irregolare” il presunto violentatore, che però si è poi rivelato innocente. Squadra completamente confermata, invece, per Italia viva: dopo la ministra Elena Bonetti, tornano al governo Teresa Bellanova Ivan Scalfarotto, che questa volta si occuperanno – rispettivamente da viceministra e sottosegretario – di Trasporti e Interni. Sono praticamente le stesse persone che facevano parte del governo Conte e che lo fecero cadere dimettendosi. Per settimane Matteo Renzi si è vantato urbi et orbi che per lui “non era una questione di posti”, che il suo partito era l’unico ad aver “fatto dimettere i propri ministri”. Quaranta giorni dopo le dimissioni sono di nuovo lì.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/02/24/governo-draghi-i-sottosegretari-scelti-col-cencelli-e-il-bilancino-piu-dei-ministri-i-berlusconiani-si-prendono-editoria-e-giustizia-ai-servizi-va-gabrielli/6112661/

Nominati 39 sottosegretari, le donne sono 19, i viceministri 6.

 

I veti reciproci e il pressing dei partiti della larga maggioranza complicano fino all'ultimo la partita dei sottosegretari che, comunque, alla fine viene chiusa, attraverso un Consiglio dei ministri non privo di tensioni. La riunione è caratterizzata da turbolenze sui nomi, da veti incrociati e da qualche richiesta disattesa.

Tanto che a un certo punto il Cdm viene sospeso, addirittura con l'ipotesi di uno slittamento al giorno dopo. Poi, finalmente, la chiusura del cerchio. Della squadra fa parte il capo della Polizia, Franco Gabrielli, che ha la delega ai servizi segreti. Mentre sulla casella dell'Editoria lo scontro va avanti fino all'ultimo minuto. Nutrita la compagine femminile: quasi la metà, 19, sono donne. Anche lo sport resta uno dei nodi da sciogliere: la delega, viene spiegato, sarà assegnata successivamente. In giornata, il presidente del consiglio Mario Draghi decide di accelerare e nel pomeriggio modifica l'ordine del giorno di un Consiglio dei ministri già convocato, per inserire la decisione sulla squadra di governo.

La lista, limata a Palazzo Chigi a partire dalle rose di nomi presentate dai partiti, viene resa nota solo all'ultimo, ma non tutto quadra: in Cdm emergono dubbi su alcuni nomi e caselle, la riunione viene sospesa per trovare una sintesi. Riuniti attorno a un tavolo a Palazzo Chigi, i ministri cercano di trovare la sintesi di un lavoro che va avanti ormai da giorni, fra le attese dei partiti, le aspirazioni dei singoli, la necessità di mantenere gli equilibri. Trapelano dei rumors. Il primo a sollevare obiezioni sarebbe stato il ministro della Difesa Lorenzo Guerini: c'è l'intenzione di assegnargli un solo sottosegretario, ma lui avrebbe obiettato che, alla luce del lavoro che spetta al ministero, questo tipo di formula non è tecnicamente sostenibile. Alla fine l'avrà vinta. Nel gioco dei pesi fra i partiti, il conto vede 11 sottosegretari per il M5s, 9 per la Lega, 6 per FI e Pd, 2 per Italia Viva, uno di Leu, uno del centro democratico, e uno di più Europa.

Questa la squadra. Presidenza del Consiglio • Deborah Bergamini, Simona Malpezzi (Rapporti con il Parlamento) • Dalila Nesci (Sud e coesione territoriale) • Assuntela Messina (Innovazione tecnologica e transizione digitale) • Vincenzo Amendola (Affari europei) • Giuseppe Moles (Informazione ed editoria) • Bruno Tabacci (Coordinamento della politica economica) • Franco Gabrielli (Sicurezza della Repubblica) Esteri e cooperazione internazionale Marina Sereni - viceministro Manlio Di Stefano, Benedetto Della Vedova Interno Nicola Molteni, Ivan Scalfarotto, Carlo Sibilia Giustizia Anna Macina, Francesco Paolo Sisto Difesa Giorgio Mulè, Stefania Pucciarelli Economia Laura Castelli - viceministro Claudio Durigon, Maria Cecilia Guerra Alessandra Sartore Sviluppo economico Gilberto Pichetto Fratin - viceministro Alessandra Todde - viceministro Anna Ascani Politiche agricole alimentari e forestali Francesco Battistoni, Gian Marco Centinaio Transizione ecologica Ilaria Fontana, Vannia Gava Infrastrutture e trasporti Teresa Bellanova - viceministro Alessandro Morelli - viceministro Giancarlo Cancelleri Lavoro e politiche sociali Rossella Accoto, Tiziana Nisini Istruzione Barbara Floridia, Rossano Sasso Beni e attività culturali Lucia Borgonzoni Salute Pierpaolo Sileri, Andrea Costa. Sarà successivamente designato il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega allo Sport.

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2021/02/24/il-cdm-slitta-alle-18-allodg-la-nomina-dei-sottosegretari_34ad4387-4c1f-48ca-a2fa-167adf960ca5.html

mercoledì 24 febbraio 2021

Senza la scorta nel regno dei ribelli: assassinato l’ambasciatore Attanasio. - Massimo A. Alberizzi

 

Repubblica Democratica - Il diplomatico ucciso con un carabiniere e l’autista, altri tre rapiti da un gruppo ruandese.

L’attacco è stato improvviso in pieno parco nazionale del Virunga ed è sembrato un’esecuzione in piena regola. L’auto su cui viaggiava l’ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, Luca Attanasio, è caduta in un’imboscata tesa dai ribelli dell’Fdrl (Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda) sulla strada che collega Goma – città rivierasca sulla sponda nord del lago Kivu – a Ritshuru, in direzione del Lago Alberto, zona ricca di petrolio ancora non del tutto sfruttato. La dinamica dell’aggressione non è ancora chiara, ma dai primi riscontri ci sono due versioni: quella di un attentato e quella di un sequestro finito in tragedia. Stando alla prima – come ha raccontato lo stringer del Fatto Quotidiano a Goma – non sembra ci siano dubbi che l’obiettivo fosse l’ambasciatore. Un commando di miliziani armato ha assalito il convoglio sparando contro l’auto. Il nostro rappresentante diplomatico e il carabiniere di scorta, Vittorio Iacovacci, sono rimasti gravemente feriti. Morto sul colpo, l’autista congolese, dipendente Onu.

Via walkie-talkie i passeggeri delle altre auto del piccolo convoglio hanno avvisato sia i ranger del parco, sia i militari del contingente Monusco. Intanto i due italiani sono stati caricati su un pick-up e trasferiti all’ospedale da campo delle Nazioni Unite ma sono spirati durante il tragitto. “È come se gli aggressori sapessero già chi viaggiasse in quell’auto”, sostiene lo stringer. La seconda versione invece parla del sequestro dell’ambasciatore italiano e del carabiniere costretti a seguire gli aggressori nella foresta: durante la sparatoria con i ranger, nel frattempo intervenuti, i rapitori avrebbero ucciso gli italiani. Altri quattro uomini del convoglio sono stati rapiti: tre sono rimasti nelle mani della banda, il quarto invece è stato ritrovato. Sulla vicenda la Procura di Roma ha aperto un fascicolo per attentato per finalità terroristiche.

Attanasio il giorno prima era stato a Bukavu e aveva incontrato i maggiorenti e i leader della zona. Era un uomo cordiale e molto alla mano. Anche a Ritshuru, dove era diretto, avrebbe dovuto vedere i capi locali e inaugurare alcune strutture donate dall’Onu, tra cui una scuola. Ma tra la popolazione qualcuno ce l’aveva con gli italiani. “Molta gente è convinta che siano stati firmati dei contratti di estrazione petrolifera tra Eni e governo centrale di Kinshasa. E i notabili del posto, rimasti a bocca asciutta, hanno minacciato ritorsioni e vendette”. L’ambasciatore Attanasio, originario di Saronno e laureato in Bocconi, viaggiava su una 4×4 del World Food Programme, l’agenzia delle Nazioni Unite incaricata di combattere la fame, sulla pista che da Goma porta a Ritshuru, attraverso il parco nazionale del Virunga, zona incantevole e surreale, circondata da vulcani attivi, come l’imponente e spettacolare Nyiragongo. Nell’agosto scorso Attanasio aveva richiesto un’auto blindata: come spiega l’agenzia Dire la procedura per l’assegnazione non era ancora stata completata.

L’area è pattugliata dalle forze del contingente internazionale della Monusco, ma non è per niente sicura. La foresta tropicale pullula di gruppi di ribelli, per lo più criminali senza scrupoli, il cui compito principale è taglieggiare le popolazioni assalendo i poveri villaggi, ammazzando gli uomini, stuprando le donne e rapendo i bambini che vengono arruolati a forza nelle milizie. “Sembra un attentato ben pianificato – è stato il commento di un italiano raggiunto per telefono a Goma –. Chi sapeva che l’ambasciatore sarebbe passato di lì questa mattina? È vero che quella strada è pericolosa e non si capisce bene perché l’ambasciatore l’ha percorsa senza scorta”. Secondo il ministero dell’Interno congolese “le autorità provinciali non erano a conoscenza della presenza dell’ambasciatore italiano nella zona”, motivo per cui non gli hanno fornito misure di sicurezza. Un documento diffuso dal Wfp chiarisce invece che “l’attacco è avvenuto su un percorso dove era stata concessa l’autorizzazione di viaggiare senza scorta di sicurezza”. Quel tratto di strada è battuto dalle milizie ruandesi dell’ Fdlr, i resti dell’esercito ruandese, formato da hutu, responsabile del genocidio del 1994. Sconfitti allora dai ribelli del Fronte Patriottico Ruandese a maggioranza tutsi, si erano rifugiati in Congo e da lì hanno lanciato attacchi verso il loro Paese.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/23/senza-la-scorta-nel-regno-dei-ribelli-assassinato-lambasciatore-attanasio/6110406/

Ecco perché è nato il governo Draghi: Gentiloni “confessa.” - Wanda Marra e Marco Palombi

 

Garante per i rigoristi - Con l’ex Bce l’Italia farà le riforme europee, ma (un po’) meno austerità. Le partite di Mr Ue: nomine, Colle, soldi.

Paolo Gentiloni ha avuto un ruolo determinante nel passaggio dal governo Conte-2 a quello di Mario Draghi: è evidente dalle sue mosse negli ultimi mesi, dalle nomine nel nuovo esecutivo e, ora, anche dalle sue parole. In una lunga intervista rilasciata ieri a La Stampa il commissario Ue chiarisce perché l’ex presidente della Bce è a Palazzo Chigi e per fare cosa. Partiamo proprio da qui: la recessione innescata dal Covid, com’è noto, non ha paragoni in tempo di pace e ora bisogna stare attenti a “evitare gli errori fatti nella crisi del 2008 e non tarpare le ali alla ripresa”, eliminando gli aiuti troppo presto. In particolare, dice Gentiloni, “nelle prossime settimane decideremo (a livello europeo, ndr) se e come prolungare il congelamento del Patto di Stabilità, mentre nei prossimi mesi avvieremo una riflessione cruciale su come ricalibrarlo”.

Tradotto: l’Italia deve evitare in ogni modo che tornino i vecchi vincoli di bilancio che ci costringerebbero a fare forti avanzi primari (austerità) fin dal 2023. Il governo Conte – è il ragionamento – non dava abbastanza garanzie ai rigoristi del Nord Europa: “Un’Italia finalmente virtuosa può spostare gli equilibri interni all’Ue”, essendo “più concentrata sulle riforme strutturali per una crescita sostenibile e meno disattenta alla dinamica del debito” (si tratterebbe, par di capire, di fare da soli quel che dice Bruxelles per evitare che ce lo chiedano dopo). Al di là di questo, Draghi – sempre secondo Gentiloni – dà maggiori garanzie sulla collocazione internazionale dell’Italia, insomma piace di più agli Usa: “Il governo Draghi è fortemente atlantista ed europeista”, mentre Conte da premier gialloverde aveva “avuto alcune gravi sbandate. Il nuovo governo ha ora le carte in regola non solo per farsi accettare, ma anche per farsi valere in Europa. Una differenza notevole”. Per non fare che un esempio, “l’atlantismo” di Draghi conterà assai su una partita come quella del 5G, centrale nel Recovery Plan, che gli americani vogliono “depurare” della presenza cinese: le deleghe sul tema a Giancarlo Giorgetti e Vittorio Colao – che Gentiloni già “impose” a Conte ai tempi della famigerata task force – sono una garanzia per Washington.

Questa sorta di “confessione” di Gentiloni permette di rileggere in controluce le mosse del commissario europeo dalla fine dell’anno scorso: attento a non sbilanciarsi, Gentiloni ha fatto da sponda all’operazione Draghi, disseminando segnali più forti via via che Conte si indeboliva. D’altra parte, Gentiloni e Draghi si conoscono da tempo e sono tra i principali punti di riferimento (informali) di Sergio Mattarella su quanto si muove sullo scenario internazionale. Era ancora novembre quando il Corriere pubblicò stralci di un documento del capo di gabinetto di Gentiloni, Marco Buti, che insisteva sulla necessità di una cabina di regia per il Recovery Plan, ma esprimeva anche una serie di preoccupazioni sulle fragilità italiane. Due giorni dopo, il commissario Ue smentiva ritardi del nostro paese. Una sorta di gioco delle parti che, comunque, puntava i riflettori sulla gestione dei fondi da parte di Conte.

Nei due mesi successivi, Gentiloni ha buttato lì i suoi timori sulla situazione italiana, senza attaccare mai Conte. Il 29 dicembre a Repubblica, Gentiloni esprimeva preoccupazione per la “qualità” del Recovery Plan italiano e sulla capacità di attuarlo, invocando procedure straordinarie; all’Eurogruppo del 18 gennaio esprimeva l’esigenza di un suo rafforzamento con obiettivi e riforme. Intanto in Italia, la linea del commissario europeo era quella di Luigi Zanda, stavolta distante sia dal suo capo-corrente Franceschini che dal segretario Zingaretti: il 3 gennaio invitava Conte ad affrontare “le fratture” aperte da Renzi; il 17 – mentre il Pd si attestava sulla linea “o Conte o voto” – si esprimeva contro le elezioni; il 1° febbraio, mentre Roberto Fico “esplorava”, lanciava un governo di “alte personalità”. E così, di fatto, il congresso del Pd si è aperto in mezzo alla crisi.

Anche nell’esecutivo non mancano le impronte di Gentiloni: il capo di gabinetto di Draghi è lo stesso che fu con lui a Palazzo Chigi, Antonio Funiciello; lo stesso Colao è passato dalla task force a un ministero; un pezzo della burocratja ministeriale è stata suggerita da lui. Draghi non ha certo bisogno di king maker, ma l’aiuto lo avrà gradito di sicuro.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/23/ecco-perche-e-nato-il-governo-draghi-gentiloni-confessa/6110371/

Lesa Draghità. - Marco Travaglio

 

A parte Crozza, gli unici divertimenti in tv sono le rassegne stampa. Ma solo quando mostrano la prima pagina del Fatto, quasi sempre totalmente diversa dalle altre. A quell’orribile vista, i rassegnisti sono colti dalla sindrome di Fantozzi col megadirettore galattico: lingua felpata, salivazione azzerata, sudorazione a mille, le mani due spugne. E si sentono subito in dovere di prendere le distanze. Il bizzarro fenomeno si deve, temiamo, a un fraintendimento del concetto di “rassegna stampa”, che li induce a temere che lo spettatore attribuisca a loro i nostri titoli. Il precursore della rassegna con excusatio non petita incorporata è Maurizio M’Annoi, quello di Lineanotte, sempre un po’ assonnato per la fase digerente post-abbacchio e peperonata: “Questo naturalmente lo dice il Fatto”, è il suo mantra, come se qualcuno potesse mai pensare che lo dica lui. E, almeno in questo, ha fatto scuola.

L’altra sera, alla rassegna di Rainews 24, la brava presentatrice mostrava una ventina di titoli misto-bava & saliva senza fare un plissé. Poi le toccava il Fatto: “Draghi, un Conte-3 senza opposizione” a proposito delle scelte in totale continuità su chiusure, prescrizione, Aspi, Ilva e Servizi. E sprofondava nella più cupa costernazione, scambiando per insulti sanguinosi i nostri elogi a Draghi che conserva il buono fatto dal predecessore e le critiche ai voltagabbana che lo lodano per le stesse cose che rimproveravano a Conte. Infatti cercava conforto in Tonia Mastrobuoni di Stampubblica: “Tonia, insomma, un po’ duro questo titolo del Fatto… Non è un po’ presto per tracciare già i primi bilanci?”. Tonia, pronta, l’aiutava a denunciare il delitto di lesa draghità: ”Ma è ovvio. Quello è, come si suol dire, un giornale d’area, insomma (il suo invece è, come si suol dire, il giornale della Fca e di tante altre cose, insomma, ndr). E quindi avendo avuto sempre spiccate simpatie per i governi Conte, non riesce a sganciarsi da questo prisma attraverso cui guarda l’agire di Draghi”. In cui, prismi a parte, ella vede “un rigore meraviglioso”, “persone straordinarie”, “grandissimi professionisti”, insomma“adesso le cose stanno andando bene. Però, come dimostra anche quest’apertura del Fatto, la politica non sta mai zitta. E quindi speculazioni, indiscrezioni, interpretazioni completamente fuori dal mondo…”. In attesa di sapere dal direttore di Rainews24 Andrea Vianello a che titolo il “servizio pubblico” chieda alla concorrenza di darci le pagelle, temiamo di dover deludere la Tonia e la sua spalla: noi non staremo zitti e seguiteremo a scrivere quel che ci pare senza il loro permesso. Se però ci dicono dove tengono lezioni di giornalismo, magari passiamo a prendere qualche ora di ripetizione.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/24/lesa-draghita/6111672/

Conte pronto a guidare M5S. Manca solo il via del Garante. - Luca De Carolis e Paola Zanca

 

Il movimento al bivio. Il progetto. L’ex premier e l’ipotesi di fare il “capo” del Movimento (ma aperto alla società civile). Ora per candidarsi serve il sì di Grillo.

Il professore Giuseppe Conte è pronto per tornare a insegnare. Già venerdì, quando terrà la lectio magistralis che segnerà il suo ritorno all’Università di Firenze. Ma l’altro Conte, l’ex presidente del Consiglio, è pronto a rilanciarsi al tavolo della politica. Ovvero a prendere le redini del M5S lacerato dal sì al governo di Mario Draghi, il tecnico che ha preso il suo posto a Palazzo Chigi. “Giuseppe si sta convincendo” dicono fonti di peso del Movimento. Le interviste al Fatto di due big come Alfonso Bonafede e Paola Taverna gli hanno dimostrato che i contiani sono ancora forti, dentro i 5Stelle. E poi c’è il chiaro segnale lanciatogli su Facebook da Luigi Di Maio, l’unico possibile avversario interno: “Spero che il Movimento possa accogliere Conte a braccia aperte, il prima possibile”. Di Maio sa che l’avvocato può essere l’unico mastice possibile per un M5S esploso in troppe schegge. E teme che la segreteria prossima ventura, dove molti gli chiedono di entrare, possa nascere già debolissima.

Così si torna a Conte, il federatore, l’uomo naturalmente “di centro” (e questo a Di Maio non può che andare bene). L’unico che possa tenere aperto il canale con il Pd che pure non se la passa affatto bene, tra tensioni pre-congressuali e la solita guerra di correnti. “Serve Giuseppe” ripete d’altronde Beppe Grillo, il fondatore, da settimane. Ma come fare? Innanzitutto, Conte dovrebbe iscriversi. Ma serve molto altro. Fonti qualificate spiegano che, a fronte di un regolamento per la votazione della segreteria già diffuso, ora deve essere proprio Grillo a scrivere una nuova rotta per cambiare le regole e consegnare le redini all’ex premier. Nel dettaglio, serve un comunicato formale con cui il Garante annunci la volontà di fermare il percorso verso la segreteria, l’organo collegiale, nominando Conte capo politico e affidandogli il compito di riorganizzare il M5S. Un’investitura che dovrebbe essere comunque approvata su Rousseau.

Ma certo il punto non è solo quello. Perché nella riflessione che Conte sta facendo, c’è di più. C’è innanzitutto una revisione dei legami con la piattaforma: lui che non ha rapporti con Davide Casaleggio, potrebbe accelerare quel percorso già avviato verso il “contratto di servizio” che sfila il Movimento dalla casa madre milanese.

Ma soprattutto, al di là della forma, il M5S che Conte immagina di guidare è un partito “aperto”, “plurale”, che allarga il suo orizzonte alla società civile e alle “migliori energie del Paese” che in questi anni di governo si sono avvicinate all’esperienza giallorosa, ma che non possono essere strette nelle maglie di quel M5S che ora ha attivisti e meet up a fare da filtro. Deve aprirsi, in sostanza, a tutti quelli che adesso vorrebbero mettersi a disposizione, ma non sanno a chi rivolgersi. L’ex premier insomma vuole le chiavi di un progetto nuovo, che al centro abbia sì i temi fondanti dei 5Stelle – l’ambiente, la legalità, la trasparenza – ma che sia anche disposto a “contaminarsi” con la società. Un’idea maturata negli ultimi giorni, dopo la partenza in salita dell’intergruppo parlamentare giallorosa. Se prima l’ex premier, ragionava di un progetto proprio, una sua lista che facesse da ponte tra Pd e M5S, ora teme che il “suo” partito possa avvelenare il clima: non solo nei 5Stelle in crisi, ma anche nei dem dove la linea di Zingaretti uscirebbe ulteriormente indebolita dalla nascita di una formazione che andrebbe a pescare pressoché nello stesso bacino elettorale. Per questo, assumere la guida M5S potrebbe essere il modo per salvare quanto costruito nell’ultimo anno e mezzo. E sarebbe anche una via per ripescare quell’Alessandro Di Battista che si è cancellato da Rousseau. E magari anche qualcuno degli espulsi: due sere fa, nell’assemblea dei senatori, Alessandra Maiorino ha proposto una tregua: anziché espellere chi ha votato no, date le “circostanze eccezionali”, i parlamentari potrebbero essere sospesi per alcuni mesi, messi alla prova e magari riammessi nel M5S. È una proposta, a oggi non contemplata dallo Statuto. Ma chissà che Conte non abbia voglia di ricucire certe ferite.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/24/conte-pronto-a-guidare-m5s-manca-solo-il-via-del-garante/6111675/