lunedì 22 marzo 2021

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio

 

Fa tutto lui. “Abbiamo fatto più noi in poche settimane che Conte in un anno” (Matteo Salvini, segretario Lega, 14.3). Tipo il condono.

Testa di Chicco. “Lutto a casa del Fatto” (Chicco Testa dopo l’assoluzione dell’Eni al processo sulle tangenti alla Nigeria, Twitter, 17.3). “Congo, l’accordo Eni-pm: patteggiamento da 11 milioni per induzione indebita internazionale” (Corriere della sera, 19.3). Risate a casa del Fatto.

Spezzatino. “Renzi è euforico per l’effetto Draghi sulla politica italiana: ‘Nel 2023 il M5S non ci sarà più’” (Foglio, 19.3). Ci pensa bin Salman?

Senti chi parla/1. “Smartworking, contributo baby sitting… chissà perché dobbiamo sempre usare tutte queste parole inglesi: mah!” (Mario Draghi, presidente del Consiglio, 12.3). Li ha usati lei e lo domanda a noi?

Senti chi parla/2. “Draghi irritato per lo stop ad Astrazeneca” (Claudia Fusani, Riformista, 18.3). È incazzato nero con se stesso.

Pronti via. “Italia Viva risponde a Letta: noi ci siamo” (Gennaro Migliore, deputato ex Sel, ex Pd, ora Iv, Riformista, 16.3). Pronti a fare fuoco.

Priorità. “Letta vuole un nuovo centrosinistra: ‘Sentirò anche Renzi e poi i 5Stelle’” (Corriere della sera,15.3). Prima il piacere, poi il dovere.

Largo ai giovani. “A 87 anni entro nel Pd di Letta” (Giuseppe Guzzetti, ex presidente Dc della Lombardia, ex presidente Fondazione Cariplo, 17.3). È in corsa per la nuova Fgci.

Un apostolo, un santo/1. “Draghi lascia i giornalisti fuori dalla porta. Giusto così” (Renato Farina, Libero, 18.3). Com’è umano, lui.

Un apostolo, un santo/2. “Draghi parla agli italiani perché non va in televisione” (Francesco Merlo, Repubblica, 19.3). Una specie di medium.

Un apostolo, un santo/3. “Draghi mi ha fatto un’impressione eccellente” (Urbano Cairo, editore La7 e Corriere, Rai Radio1, 17.3). In effetti il ragazzo è promettente: si farà.

I giorni del Merlo. “Letta sarebbe un pelato di prudenza con il tignone di governo, che è il pensiero che si è fatto strada” (Francesco Merlo, Repubblica, 16.3). Lo portano via.

Minzolingua. “Rischio il processo per le buche della Raggi” (Augusto Minzolini, Giornale, 17.3). No, perchè le hai dato della “demente”.

Ius Sòla. “Ius Soli un primo passo, sui migranti bisogna fare di più. Ora eliminiamo la Bossi-Fini” (Matteo Mauri, deputato Pd, Repubblica, 16.3). Potresti parlarne col nuovo alleato Salvini.

Pisachi? “Il centrodestra chiede giustizia celere, ma nei processi usa tutti gli strumenti dilatori per evitare che si giunga a sentenza o far scattare la prescrizione. Vogliono condanne veloci e pene certe solo per deboli ed emarginati” (Giuliano Pisapia, avvocato di parte civile per Carlo De Benedetti contro Berlusconi e Previti nei processi Sme e Mondadori, 1.4.2001). “Un conto sono i diritti di difesa, un altro l’uso sistematico e strumentale di impedimenti per bloccare il corso della giustizia, allungare i tempi e arrivare alla prescrizione” (Pisapia, 23.4.01). “Previti non vuole l’accertamento della verità, ma solo l’impunità con la prescrizione” (3.11.01). “Berlusconi s’è salvato dal rinvio a giudizio solo per prescrizione grazie alle attenuanti generiche… Il premier aveva la possibilità giuridica, oltre che il dovere morale, di rinunciare alla prescrizione, che è cosa ben diversa dal proscioglimento per non aver commesso il fatto” (17.11.01). “Berlusconi è fuori dal processo per effetto della prescrizione. Però… leggendo la sentenza è facilmente intuibile che, se fosse rimasto nel processo, avrebbe avuto una sorte analoga a quella degli altri imputati condannati” (7.8.03). “La sentenza Sme conferma la responsabilità di Berlusconi per il grave reato di corruzione di un magistrato e lo salva da condanna certa solo in quanto, per l’ennesima volta, gli vengono concesse le attenuanti generiche con conseguente prescrizione del reato” (10.12.04). “La cancellazione della prescrizione è uno scempio dello Stato di diritto, un’assurdità giuridica in contrasto con la Costituzione” (Giuliano Pisapia, eurodeputato Pd, Dubbio, 18.3. 2021). Come passa il tempo.

La netta differenza. “Berlusconi assicura ‘massima lealtà e il massimo spirito costruttivo’ al governo restando, però, ‘sentinelle dell’efficienza, della serietà e della credibilità dell’azione di governo. Dobbiamo dimostrare nei fatti, con la nostra azione, l’unicità di Forza Italia, la profonda differenza fra noi e gli altri’…” (Giornale, 10.3). Tranquillo, si vede a occhio nudo che siete unici.

Il titolo della settimana/1. “Giustizia, riaperture, ponte sullo Stretto. Le affinità inattese tra Iv e centrodestra” (Corriere della sera, 19.3). Inattese da chi?

Il titolo della settimana/2. “Serve il coraggio di fare del Partito democratico il ‘partito degli immigrati’” (Enrico Deaglio, Domani, 19.3). In effetti ci vuole proprio un bel coraggio.

Il titolo della settimana/3. “Spirlì confessa: a vent’anni mi hanno stuprato” (Libero, 17.3). Quindi il reato l’ha commesso lui?

Il titolo della settimana/3. “Cartabia: ‘Superare il carcere’” (Dubbio, 16.3). Ehi, si dice scavalcare. O evadere.

IlFattoQuotidiano


domenica 21 marzo 2021

Caduto Conte, Marcucci apre a 4 renziani le porte del Pd.


Il capogruppo Pd al Senato Andrea Marcucci non ha alcuna intenzione di lasciare la sua poltrona e rimettere il mandato nelle mani del neo-segretario Enrico Letta, come si sarebbero aspettati dal Nazareno. Non una mossa obbligatoria ma sarebbe stato un beau geste, come quello di Brando Benifei al Parlamento Ue, dopo l’elezione del nuovo segretario. E così, in vista di martedì, quando Letta riunirà i senatori dem, Marcucci non solo non si dimette ma prova a convincere il segretario che a capo dei senatori deve restarci lui. Entro martedì, infatti, Marcucci dovrebbe ufficializzare l’arrivo di tre senatori renziani che tornano a casa: Eugenio Comincini, Leonardo Grimani e Mauro Marino. Si parla anche della fuoriuscita dal gruppo di Iv per tornare nel Pd del deputato Camillo D’Alessandro che nelle ultime settimane aveva chiesto il congresso nel piccolo partito di Renzi. A metà gennaio, quando i giallorosa cercavano “responsabili” per salvare il governo Conte tra i senatori di Iv, era stato proprio Marcucci (spesso considerato una colonna renziana tra i dem) a frenare i nuovi arrivi ,mentre oggi apre loro le porte.

La mossa di Marcucci non serve solo a mostrare a Letta il suo controllo sul gruppo ma anche ad aumentare i voti per farsi rieleggere capogruppo: al momento su 35 senatori Pd, quelli di Base Riformista sono 22 e altri due voti potrebbero far comodo. Un attivismo, quello di Marcucci, che ha irritato il Nazareno proprio ora che Letta propone una norma contro il “trasformismo parlamentare”. Ieri intanto Renzi ha riunito l’assemblea nazionale di Iv e lanciato la “primavera delle idee”: tre mesi di dibattiti web per “entrare in sintonia col Paese” in vista della Leopolda autunnale. Poi l’ex premier ha sfidato Letta e il Pd: “Su giustizia, sud, cantieri e lavoro decida se stare con noi o con il M5S” ha detto. Infine ha fatto capire che qualcuno potrebbe andarsene: “Chi non vuole stare con noi lo salutiamo”. Nei prossimi giorni, a inizio settimana, Letta e Renzi si incontreranno.

IlFattoQuotidiano

Dragon Ball. - Marco Travaglio

 

Problema: il Governo dei Migliori riesce a resuscitare i No Vax dall’agonia, a infilare nel Cts un esperto un po’ meno autorevole del Divino Otelma e a impiegare un mese per fotocopiare il dl Ristori-5, chiamarlo Sostegni-1 e aggiungerci un condono che non porta un euro allo Stato, anzi ci costa 200 milioni, ma fa litigare la maggioranza e costringe Draghi a rinviare il Cdm e la prima conferenza stampa di tre ore. Che fare per evitare brutti pensieri sul Governo dei Peggiori? Soluzione: spacciare il cattivo per buono, il vecchio per nuovo, il brutto per bello; sostituire i pianti coi sorrisi, i fischi con gli applausi, le pernacchie coi peana; e, se proprio non c’è niente da ridere, attribuire la vaccata a padre ignoto, al caso, al fato, o dire che abbiamo limitato i danni. Tipo che l’attacco alle due Torri e al Pentagono poteva andare peggio perché la Casa Bianca è rimasta in piedi.

Ritardi buoni. Ricordate tutte le menate sui ritardi di Conte, le conferenze stampa durante o dopo i tg, i Cdm col favore delle tenebre? Ora con Draghi è tutto diverso: “Le tre ore di ritardo hanno rischiato di proiettare sul suo esordio le ombre del passato”, “di una coalizione litigiosa”, ma niente paura: colpa di “una lunga trattativa, soprattutto con la Lega” e altri partiti “miopi” che non hanno ancora capito “la fase nuova apertasi nel Paese” (Massimo Franco, Corriere). Litigano e ritardano pure questi, ma per un piccolo problema di diottrie. E comunque a fin di bene.

Incertezze buone. Un altro premier, uno a caso, che ripetesse “vediamo”, “vedremo”, “si vedrà”, “aspettiamo”, “non so”, “questa domanda mi trova impreparato” sarebbe accusato di non rispondere ed essere incompetente. Lui invece dà “risposte rapide, nette, volutamente ipersintetiche”, “persona molto sicura di sé e di quel che deve fare”, lontano dal “passato caotico” (Franco); “capisci che ti sta dicendo la verità, quando non sa lo dice chiaro e tondo”, “solida fede nel pragmatismo e nell’efficienza”, “ti parla da pari a pari” (non a dispari) dal “palcoscenico sobrio”, “non si crede il salvatore della patria”, ma il suo “format Salva Italia è al tempo stesso modesto e superbo” (Sebastiano Messina e la sua lingua, Repubblica).

Debito buono. Da quando Draghi svelò che “c’è un debito buono e un debito cattivo” (sai che scoperta), appena il governo Conte faceva debiti per ristorare le categorie penalizzate, tutti strillavano al “debito cattivo”: reddito di cittadinanza e di emergenza, “bonus a pioggia”, “Sussidistan”. Il debito buono erano i soldi alle imprese e quello cattivo i soldi ai poveri. Ora Draghi acciuffa i 32 miliardi lasciati lì da Conte e, come lui, li destina alle imprese e ai poveri, perché “nel 2021 i soldi si danno, non si chiedono”.

E i fischi diventano applausi. Il debito degli altri è cattivo, il suo è buono.

Condono buono. Draghi non lo vuole, ma poi cede a Salvini che minaccia l’addio della Lega. Quindi: “Draghi ha saputo imporsi su una recalcitrante Lega, aiutata da FI”, “una vittoria per l’ala sinistra”; e poi “Draghi lo chiama per nome, viva la sincerità” (Francesco Bei, Rep). Ecco: se fa il condono per darla vinta al centrodestra (col demenziale appoggio 5S), vincono Draghi e il centrosinistra che non lo volevano; e per trasformare un condono da cattivo a buono basta chiamarlo condono. Se uno, puta caso, rapina una banca, la chiami “rapina” e viva la sincerità.

No Vax buono. Ema dice che Astrazeneca è sicuro. Ma Draghi si accoda alla Merkel e lo sospende per 3 giorni, finché Ema ribadisce ciò che diceva 72 ore prima. Risultato: disdette fino al 10%. Ghisleri (Stampa): “Scende la fiducia nelle immunizzazioni, l’effetto Astrazeneca allarga il partito No Vax: 1 italiano su 5 contrario o tentato dalla rinuncia, 60% dubbioso”. Pagnoncelli (Corriere): “Il 52% è pronto a farlo subito”, quindi il 48% no. Numeri devastanti, altro che vaccinare tutti entro l’estate. Ma basta un giochetto per farli sembrare irrisori. Rep: “Poche disdette”, “appena uno su 10 ha dato forfait”. Corriere: “Riparte la corsa, disdette sotto il 10%”. Che saranno mai 5 milioni di No Vax nuovi di zecca.

Sovranista buono. Baciata la pantofola della Merkel, Draghi attacca l’Ue: “Se il coordinamento non funziona, andiamo per conto nostro”. A parte il fatto che non si capisce che vuol dire “andare per conto nostro” sui vaccini (li fabbrica lui? Li compra? E dove?), un altro verrebbe accusato di sovranismo da Italexit. Invece Lui è un “europeista pragmatico”, “approccio realista senza inutili condiscendenze verso l’Ue e senza bisogno di baciarle ogni volta la pantofola”. Il che non vale per “il filo-Putin Salvini o l’ala ‘cinese’ del precedente governo” (il famoso Xi JinConte). Quindi una cosa non è giusta o sbagliata in sé: dipende da chi la dice.

Mes cattivo. Sul Mes dice che è un debito, per giunta non conveniente con questi tassi: stesse parole ripetute da Conte&C. per un anno. Ma Lui è diverso: “puro pragmatismo, senza veleni ideologici”, “cambiamento di stile e di linguaggio oggettivo” (Franco).

Cazzaro buono. Dimettendosi dal Cts appena nominato per le risate sul suo “sistema previsivo” sballato, l’ingegner Gerli svela chi l’ha chiamato: “Ringrazio la Presidenza del Consiglio per la nomina”. Meglio fare i vaghi con titoli da notizia di colore. Rep: “E nel Cts arriva l’ingegnere che sbaglia tutte le previsioni”. Ecco: non è Draghi che l’ha nominato, è lui che è “arrivato” con mezzi propri. L’avrà portato la cicogna.

IlFattoQuotidiano

Sputnik, sperimentazione allo Spallanzani sul vaccino russo. - Antonella Scott



Un vaccino giramondo. I promotori di Sputnik hanno lanciato un’aggressiva campagna di diffusione del farmaco anti-Covid

Il Forum di dialogo tra le società civili riunirà attorno a un tavolo scienziati e accademici dei due Paesi per spiegare le prospettive del farmaco anti-Covid

I punti chiave


È stato circondato da controversie fin dall’inizio: dal momento in cui, l’estate scorsa, Vladimir Putin ne ha annunciato la registrazione prima di ogni altro vaccino, Sputnik V - V per “vittoria” - è stato visto come uno strumento di propaganda del Cremlino, prima ancora che come un contributo alla battaglia globale contro il Covid.

E ora che alcuni Paesi europei, a cominciare dall’Ungheria, lo hanno scelto senza aspettare il parere dell’Agenzia europea del farmaco, mentre altri iniziano a guardare con favore alla possibilità di stringere accordi produttivi con i russi una volta ottenuta l’autorizzazione dell’Ema, gli interrogativi si moltiplicano: proprio di fronte alla possibilità che presto anche Sputnik possa entrare nella rosa dei vaccini tra cui scegliere, in Europa, c’è un bisogno assoluto di fare chiarezza.

Forum italo-russo.
È la ragione per cui il Forum di dialogo italo-russo per le società civili - progetto di nomina governativa nato per favorire lo sviluppo delle relazioni tra Italia e Russia - ha organizzato per il 23 marzo un convegno online che metterà i protagonisti della ricerca e della promozione di Sputnik - l’Istituto di ricerca Gamaleya di Mosca e il Fondo sovrano russo per gli investimenti diretti (Rdif) - a confronto con ospiti italiani quali Massimo Galli, primario infettivologo e professore ordinario di Malattie infettive all’Università di Milano; Francesco Vaia, direttore dell’Istituto Spallanzani; Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa Italiana; Marcello Cattani, presidente del Gruppo Prevenzione Farmindustria, Pierluigi Petrone, presidente di Assoram, Alessio d’Amato, assessore sanità della Regione Lazio.

Spallanzani sperimenterà efficacia Sputnik su varianti.
Nella giornata di sabato, poi, proprio l’assessore d’Amato ha annunciato: «Presto ci sarà la firma dell'accordo di collaborazione scientifica tra l'Istituto Spallanzani di Roma e l'Istituto Gamaleya di Mosca per valutare la copertura delle varianti di Sars-CoV-2 anche del vaccino Sputnik V».

Insieme all’ambasciatore d’Italia nella Federazione Russa, Pasquale Terracciano, e a Serghey Razov, ambasciatore russo in Italia, si cercheranno risposte alle molte domande sulle caratteristiche di Sputnik, le prospettive di un suo utilizzo in Europa, i problemi logistici. E quelli geopolitici.

Ferlenghi: condivisione aperta delle informazioni.
«Ho pensato che fosse necessaria una condivisione aperta, che coinvolgesse la comunità scientifica, i tecnici, il privato e il pubblico ma anche i media - spiega Ernesto Ferlenghi, copresidente del Forum di dialogo italo-russo insieme a Vladimir Dmitriev -. E ora credo che francesi, tedeschi e altri vogliano seguire il nostro esempio».

Tra i temi che sarà possibile approfondire, immagina Ferlenghi, ci sono le diverse tipologie di accordi tra i governi e le case farmaceutiche, che in Russia come in Cina sono tutte statali; la catena tecnologica industriale in cui individuare le particolari competenze italiane, per esempio nella fase dell’infialamento; il confronto tra gli investimenti in ricerca e sviluppo e i brevetti che ne derivano. «E poi naturalmente il tema politico, la strategia delle diplomazie internazionali al lavoro».

Chiarire i dubbi su Sputnik e come funziona.
Nel convegno, spiega il presidente del Forum di dialogo, sarà possibile esporre agli interlocutori russi tutti i dubbi che circolano riguardo a Sputnik: come funziona, le ragioni della diffidenza che sembra suscitare in patria, il percorso avviato con l’Ema, le ispezioni. «Sicuramente le verifiche vanno fatte - osserva Ferlenghi - come il processo di acquisizione dei dati. Garantendosi nello stesso tempo eventuali forniture. Ho pensato che fosse giusto che di tutto questo parlassero direttamente l’Istituto Gamaleya, detentore delle competenze e il fondo Rdif. Si potrà produrre in Italia? Quanto tempo serve? Quanti investimenti? Che accordi avete stretto in Germania, in Francia?».

«Ho detto ai russi - conclude Ferlenghi - dovete spiegare bene cosa avete in mente di fare». «Questo evento - aggiunge Alberto Conforti che con Livolsi&Partners ha collaborato all’organizzazione della Tavola Rotonda - è importante perché vuole rappresentare lo stato dell’arte delle relazioni tra Italia e Russia nella collaborazione istituzionale e industriale, per la gestione della pandemia, attraverso uno scambio di informazioni tra tutti i soggetti coinvolti, per garantire un coordinamento efficace e l’ottimizzazione delle risorse industriali nazionali dell’Italia e della Federazione Russa»

IlSole24ore

sabato 20 marzo 2021

“Era un collaboratore riservato di Falcone e fu testimone dell’abbraccio tra Stato e mafia: ecco perché è stato ucciso Nino Agostino.” - Giuseppe Pipitone

 

L'INTERVISTA - L'avvocato Fabio Repici è il legale della famiglia del poliziotto ucciso il 5 agosto del 1989 insieme alla moglie Ida Castelluccio. Per tre decenni un duplice omicidio senza colpevoli e privo di mandanti. Fino a ieri quando è stato condannato all'ergastolo il boss Nino Madonia. "Un risultato storico che arriva dopo 25 anni di depistaggi e di una vera e propria distruzione della verità", dice il legale. Che racconta quello che ha scoperto la procura generale di Palermo: il poliziotto aveva un "rapporto fiduciario" con il giudice ucciso a Capaci. E faceva parte di un "gruppo riservato" che si occupava di cacciare i latitanti.

C’erano i buoni che in realtà erano cattivi. E poi c’erano i cattivi che erano pure peggio. In mezzo c’era lui: un comune poliziotto che lavorava al servizio Volanti del commissariato San Lorenzo di Palermo. Apparentemente Nino Agostino si occupava di posti di blocco e contravvenzioni. In realtà dava la caccia al latitanti. Quelli di Cosa nostra, che all’epoca si chiamavano Totò Riina e Bernardo Provenzano e comandavano un esercito completamente mimetizzato nella vita di ogni giorno. Al bar, per strada, in banca: nel 1989 a Palermo la mafia non era un’anomalia, era routine. “Quest’omicidio è stato fatto contro di me“, dirà davanti alla bara di quell’agente di polizia, il magistrato Giovanni Falcone: avevano ucciso un investigatore che lavorava con lui, seppur in via riservata. Troppo riservata: fino a oggi di quella collaborazione non si sapeva nulla. Non si poteva: il principale testimone di tutta quella storia, cioè lo stesso Falcone, è stato fatto saltare in aria. E sull’omicidio di Nino Agostino e di sua moglie, Ida Castelluccio, sono calati tre decenni di silenzio.

Sembra una storia da film, di quelli americani col finale a sorpresa che arriva dopo, molto dopo, quello ufficiale. Questo, però, non è un film ma la storia di un duplice delitto quasi dimenticato, ingoiato dalle cronache di bombe e morte degli anni ’90. Agostino e la moglie li ammazzano poco prima, alla fine di una giornata di mare: il 5 agosto del 1989, davanti casa dei suoi genitori, a Villagrazia di Carini, spuntano in due su una motocicletta e cominciano a sparare. Nino apre il cancello e col suo corpo fa scudo a Ida. Che si volta, guarda in faccia i motociclisti e grida: “Io vi conosco“. Quelli rispondono e la colpiscono al cuore: era incinta da tre mesi e sposata da uno.

Trentadue anni: tanto ci è voluto per portare a processo e condannare all’ergastolo Nino Madonia, uno di quei killer che Cosa nostra usava per i delitti particolari. Quello di Agostino era particolarissimo, senza movente e senza colpevoli: perché assassinare in quel modo un semplice agente in servizio alla sezione Volanti del commissariato di San Lorenzo, a Palermo? Perché farlo mentre si trova insieme alla moglie nella casa sul mare? E poi: come è possibile che ci siano voluti 32 anni per arrivare a una condanna di primo grado? “Questa sentenza è un miracolo“, dice l’avvocato Fabio Repici, legale della famiglia Agostino. Vincenzo, il padre del poliziotto ammazzato, in Sicilia lo conoscono tutti perché ha una lunghissima barba bianca. Non la taglia dal 1989, dal giorno in cui gli hanno ammazzato il figlio e la nuora davanti casa: una sorta di fioretto laico che rispetterà, dice, fino a quando non emergerà tutta la verità.

Avvocato Repici, con la sentenza di oggi arriva un pezzettino di verità sul caso Agostino?
No, non è un pezzettino di verità. È un risultato storico per il distretto giudiziario di Palermo perché arriva dopo 25 anni di depistaggi e di una vera e propria distruzione della verità.

In che senso distruzione della verità?
Un collega di Nino Agostino fece scomparire gli appunti scritti dallo stesso Agostino, che prevedeva il suo assassinio, dormiva con la pistola sul comodino, e per questo si era tutelato. Ecco perché va sottolineato il risultato storico della procura generale di Palermo guidata da Roberto Scarpinato e dai sostituti Domenico Gozzo e Umberto De Giglio. Sono arrivati alla sentenza di condanna di Nino Madonia, il più pericoloso esponente della stagione corleonese di Cosa nostra a Palermo. Uno che ha avuto come principale capitale sociale le relazioni privilegiate con gli apparati deviati dello Stato e del Sisde.

Per molto tempo il caso Agostino è stato liquidato come un duplice omicidio senza colpevoli e senza moventi. Perché si dovuti attendere 32 anni prima di arrivare a una sentenza?
Perché l’omicidio Agostino è stato eseguito da due uomini di Cosa nostra, legati ad apparati dello Stato, e cioè Nino Madonia e Gaetano Scotto. Ma è stato commesso anche nell’interesse di apparati deviati dello Stato che poi sono intervenuti nell’attività di depistaggio.

In che modo?
L’attività di occultamento della verità è stata posta in essere in una maniera così spregiudicata tale da occultare e far sparire delle informazioni che erano emerse fin da subito. La sera stessa dell’omicidio un collega di Agostino, il poliziotto Domenico La Monica, aveva riferito al capo della Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, che proprio Nino Agostino si occupava della ricerca di latitanti. Informazione che è stata recuperata solo recentemente.

Già il giorno dopo, davanti alle bare di Agostino e della moglie, Falcone disse al commissario Montalbano: “L’omicidio di questi due ragazzi è stato commesso contro di me”. Che cosa significa?
Che fin dall’immediatezza il magistrato più esperto nei fatti di Cosa nostra aveva capito cosa fosse l’omicidio Agostino. Falcone era il principale testimone di quel duplice assassinio. Purtroppo venne eliminato il 23 maggio del 1992 con la strage di Capaci. E per la verità su Nino e Ida sono serviti altri trent’anni.

Chi era Nino Agostino? E perché è stato assassinato?
Era un umile agente di Polizia desidoroso di servire lo Stato. Ed era un poliziotto coraggioso. Negli ultimi tempi della sua carriera è stato accertato che aveva accettato di partecipare alla ricerca dei latitanti di Cosa nostra. Un’attività borderline, ma istituzionalmente organizzata col coordinamento dell’Alto commissariato antimafia, dei servizi di sicurezza e della polizia.

Un terreno minato.
Esatto. E infatti, mentre era impegnato in quest’attività, Nino Agostino divenne testimone scomodo delle contiguità di alti funzionari della polizia e dei servizi sicurezza con i mafiosi del mandamento di Resuttana, cioè quello di Nino Madonia, il suo killer. Bisogna considerare che il mandamento di Resuttana, per delega diretta di Riina, si occupava delle relazioni tra Cosa nostra e gli apparati istituzionali. Accadevano cose incredibili in quella zona di Palermo.

Per esempio?
Alcuni anni fa vennero intercettati due poliziotti della squadra Contrada che raccontavano dell’esistenza di un poligono di tiro in cui andavano a sparare poliziotti, mafiosi e uno come Pierluigi Concutelli, il neofascista che è stato “covato” personalmente dalla famiglia Madonia e che poi uccise il giudice Vittorio Occorsio.

Cosa nostra, apparati dello Stato ed eversione neofascista: tutti insieme nello stesso spicchio di Palermo.
Già, per questo io ho parlato di una trinità a monte dell’omicidio Agostino. Ma c’è un’altra cosa.

Quale?
Negli ultimi mesi di vita Nino Agostino, così come è stato dimostrato dalle indagini, era entrato in rapporti di collaborazione con il giudice Falcone.

Che tipo di collaborazione?
Collaborava sia nell’attività prestata per la scorta di un testimone che veniva sentito in quel momento da Falcone, cioè l’estremista di destra Alberto Volo. Sia per le attività di cui si occupava personalmente Falcone, che si era circondato in modo riservato dell’aiuto di alcuni esponenti della Polizia.

Tra questi Nino Agostino?
È stato accertato che Falcone aveva un rapporto fiduciario con Agostino. L’uccisione del poliziotto avviene nel momento più incandescente dell’estate del 1989, cioè l’estate in cui ebbe la stura la stagione stragista. Fu il periodo in cui a causa di uno scontro feroce che scoppiò all’interno degli apparati dello Stato, uomini come Falcone – a cui tutti i cittadini italiani sono debitori – si trovarono in condizioni di sovraesposizione. Furono obbligati a doversi tenere al riparo dall’attività di altri organi istituzionali e allo stesso tempo dovettero affidarsi alla collaborazione di soggetti fiduciari. Tra questi, sicuramente, c’era Nino Agostino.

Quella fu l’estate dell’attentato all’Addaura, delle polemiche contro Falcone accusato di essersi messo da solo l’esplosivo sotto casa, e anche delle “menti raffinatissime” come le definì lo stesso giudice. Secondo lei, a cosa si riferiva?
A quell’assetto di interessi che porterà anche all’uccisione di Nino Agostino. Putroppo dopo l’omicidio Agostino, Falcone operò riservatamente e riservatamente cercò di trovare il bandolo della verità. Ma nulla di questo venne reso ufficiale in documenti formalmente utilizzabili: con la strage di Capaci venne fatto fuori non solo il nemico numero uno di Cosa nostra, ma anche il principale testimone dell’omicidio Agostino.

Questa è una storia di ombre e luci che s’intersecano. Per esempio la procura generale sostiene che Agostino lavorasse in un “gruppo riservato”, una sorta di squadra speciale di cattura latitanti. Ma dentro questa squadra c’erano anche personaggi come Giovanni Aiello, meglio noto come “Faccia da mostro”, che prima di morire – nel 2017 – fu pure indagato per l’omicidio del poliziotto.
Se è per questo in quel gruppo c’era anche Guido Paolilli, il poliziotto intercettato mentre diceva di aver stracciato “una freca di carte” dall’armadietto di Agostino. Venne indagato per favoreggiamento e archiviato per prescrizione, ma la famiglia lo ha citato in giudizio in sede civile.

Dunque Agostino lavorava con le persone che depistarono le indagini sul suo omicidio?
Agostino iniziò l’attività di poliziotto sotto l’egida del più anziano ispettore Paolilli, che era non solo suo collega ma anche suo amico. Ed era un uomo di assoluta fiducia di Bruno Contrada. Il problema di Agostino è che iniziò a svolgere quell’attività di ricerca di latitanti sotto l’egida di Paolilli e di quello che c’era dietro Paolilli, ma la svolgeva da poliziotto onesto. Si trovava in un osservatorio che gli consentì, putroppo, di vedere quello che è stato poi raccontato da collaboratori di giustizia e testimoni istituzionali: un abbraccio continuo tra alcuni esponenti dello Stato e Cosa nostra. Questo è stato uno dei due motivi per i quali fu ucciso Nino Agostino.

Quale è l’altro?
Quello più vicino all’interesse di Cosa nostra: proteggere i latitanti. Agostino negli ultimi tempi di vita era sulle tracce di Riina e Provenzano. Dal giorno dopo il suo matrimonio andava costantemente a San Giuseppe Jato dove in quel momento si trovava latitante Riina. Tutto questo nella consapevolezza di un personaggio che era lo zio acquisito della moglie, mafioso e uomo dei Brusca. Per questo motivo l’omicidio di Nino Agostino e Ida Castelluccio è un omicidio commesso a mezzadria tra uomini di Cosa nostra e dello Stato.

Il caso Agostino è stato legato alla figura di Emanuele Piazza, ex poliziotto che collaborava col Sisde nella ricerca dei latitanti, scomparso nel nulla nel marzo ’90. Secondo gli inquirenti anche Piazza lavorava nel “gruppo riservato” di Agostino. Quanti sono i “casi Agostino” che non abbiamo capito negli ultimi trent’anni anni?
Ci furono sicuramente almeno quattro personaggi attivi nella ricerca di latitanti che furono uccisi tra il maggio del 1989 e il marzo del 1990. Si tratta di Nino Agostino, di Emanuele Piazza, di Giacomo Palazzolo, di Gaetano Genova. Agostino, però, era l’unico a indossare una divisa in quel momento.

Madonia ha preso ergastolo in abbreviato, ma il giudice ha ordinato anche un duplice rinvio a giudizio: per il boss Gaetano Scotto e per Francesco Paolo Rizzuto, un vicino di casa degli Agostino, accusato di favoreggiamento. Questo sarà un processo che sarà celebrato in aula coi testimoni.
E noi chiameremo a testimoniare tutti i soggetti istituzionali, ancora vivi, per dimostrare quella verità spaventevole che è stato l’omicidio Agostino-Castelluccio. Cioè un omicidio commesso nell’interesse anche di settori infedeli dello Stato.

Il Fatto Quotidiano

9 settimane e mezzo. - Marco Travaglio

 

No, dài, sarà uno scherzo, non può essere vero. La maggioranza di extralarge intese impiega due mesi a fotocopiare e ritoccare il dl Ristori scambiandolo per nuovo solo perché lo chiama Sostegni; e poi, proprio sul filo di lana, si blocca per altre 3 ore. Il Governo dei Migliori litiga su un condonetto come un qualsiasi governo dei peggiori. Il premier Migliore convoca la stampa per la prima volta in un mese alle 17.30 e poi si presenta alle 20 col favore delle tenebre e a favore di tg, come il Conte Casalino (avvertire Mieli). Intanto il suo staff s’arrampica sugli specchi delle nuove misure anti-Covid (al posto del decreto Draghi e del Dpcm Draghi in scadenza il 6 aprile) per trovare strumenti normativi diversi dal Dpcm: sennò poi dicono che è tutto come prima e Cassese s’incazza (e, tra i Cassesi che s’incazzano e i giornali che svolazzano, sono cassi). Così si pensa a un secondo decreto. Ma c’è un problema: essendo impossibile convertire in legge il primo dl Draghi entro il 6, farne un secondo che assorbe e supera il primo significa impedire al Parlamento di discutere il primo e passare al secondo, sempreché si faccia in tempo a discutere il secondo prima che sia sostituito dal terzo, ad libitum. Perciò il governo dei peggiori faceva un decreto e poi vari Dpcm attuativi, illustrandoli al Parlamento ogni 14 giorni. Cosa impossibile coi dl perché, prima che ne venga convertito uno in 60 giorni, ne arriva un altro al posto, e poi chi lo sente Cassese?

Dunque i cervelloni di Palazzo Chigi pensano a un’ordinanza di Speranza, che però sarebbe molto meno democratica e garantista di un Dpcm: la farebbe solo il ministro della Salute, anche su materie sociali ed economiche che competono ad altri; invece il Dpcm lo firma il premier, ma “sentiti i ministri competenti e la Conferenza Stato-Regioni”, che invece sarebbero tagliati fuori da un’ordinanza Speranza. Voi direte: ma con 400 morti al giorno, boom di ricoveri e terza ondata ti scaldi tanto per così poco? Non è per me. È per le ministre italovive, anzi per l’unica superstite: Elena Bonetti. Nove settimane e mezzo fa lasciò il governo precedente con “Teresa” e “Ivan” perché “non vogliamo renderci complici di delegittimare (sic, nda) il metodo democratico”, del “mancato rispetto delle forme parlamentari”, delle “mancate convocazioni del pre-Consiglio” dei ministri, dell’“abitudine di governare con decreti” e dell’“utilizzo ridondante del Dpcm”, per non parlare della “scelta di non accedere al Mes”. Ora, siccome i decreti e i Dpcm continuano, il pre-Consiglio non c’è stato neppure ieri e il Mes è sparito dai radar, non vorremmo che la Bonetti ci lasciasse di nuovo. O che l’Innominabile la ritirasse. O, peggio, che tutto ciò fosse già accaduto e nessuno se ne fosse accorto.

IlFQ. 

Palermo, dipendente di un Confidi rubava i soldi degli associati e li versava sui conti di famiglia: arrestata.

Le somme sottratte, 200 mila euro, hanno finanziato due locali gestiti dai familiari della donna.

Avrebbe dovuto distribuire bonifici agli associati di un Confidi, invece dirottava i soldi sui suoi conti. Le indagini del nucleo di polizia economico finanziaria, coordinate dai procuratori aggiunti Sergio Demontis e Annamaria Picozzi, hanno portato ai domiciliari Ivana Lo Re, 55 anni, dipendente amministrativa del Confidi. E' accusata di furto, autoriciclaggio e reimpiego di denaro in attività d'impresa. L'impiegata aveva la disponibilità delle password di accesso ai conti correnti on line del consorzio e ne avrebbe abusato.

Le verifiche del Gruppo Tutela Mercato Capitali hanno scoperto che Ivana Lo Re avrebbe fatto bonifici per 200 mila euro. Con lei risultano indagati tre familiari e due società a loro riconducibili che gestiscono locali della movida palermitana operanti nel settore della ristorazione. Ai familiari, appunto, finivano i soldi dirottati. Il Confidi è un ente che si occupa di favorire l'erogazione di finanziamenti alle imprese consorziate, che a tal fine versano quote associative, tramite la sottoscrizione di convezioni con banche e istituti di credito.

Spiega il colonnello Gianluca Angelini, il comandante del nucleo di polizia economico finanziaria: "La tecnica utilizzata per la frode era ingegnosa: considerato che per statuto i soci del Confidi potevano richiedere la restituzione della quota sociale versata entro cinque anni, l'indagata individuava tra le aziende quelle che non avevano richiesto la restituzione e predisponeva i bonifici di pagamento che si accreditava prima della prescrizione del diritto".

Con l'ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip Claudia Rosini su richiesta del pm Eugenio Faletra, è scattato anche il sequestro delle somme di cui la dipendente si era appropriata.

La Repubblica