giovedì 1 aprile 2021

Covid: Oms, vaccinazioni in Europa di una lentezza 'inaccettabile'.

 

Per l'Organizzazione mondiale della Sanità l'attuale impennata dei casi è "la più preoccupante" da diversi mesi. Negli Usa rovinate milioni di dosi d vaccino.

Il ritmo delle vaccinazioni anti Covid in Europa è di una lentezza "inaccettabile": lo ha reso noto l'Organizzazione mondiale della Sanità.

"I vaccini rappresentano il nostro modo migliore per uscire da questa pandemia... Tuttavia, il lancio di questi vaccini è inaccettabilmente lento" e "sta prolungando la pandemia", ha reso noto in un comunicato il direttore dell'Oms per l'Europa, Hans Kluge.

L'attuale impennata dei casi di coronavirus in Europa è "la più preoccupante" da diversi mesi, ha dichiarato l'Oms.

Rovinate milioni di dosi d vaccino, ritardi consegne J&J negli Usa - Un errore umano in uno stabilimento di Baltimora "rovina 15 milioni di dosi di vaccino Johnson & Johnson", causando ritardi nelle consegne negli Stati Uniti.

Lo riporta il New York Times citando fonti federali. L'impianto in causa è gestito da Emergent BioSolutions, partner di Johnson & Johnson e AstraZeneca. Gli ingredienti dei due vaccini sarebbero stati per errore uniti, rovinando milioni di dosi J&J e mettendo in dubbio le consegne del prossimo mese negli Stati Uniti, che dovevano arrivare proprio da Baltimora. Le autorità rassicurano sui vaccini J&J già distribuiti negli Usa perché sono stato prodotti in Olanda.

ANSA (foto vaccini a Roma)

Documenti ad un ufficiale russo, arrestato un militare italiano.

Nella foto l'ufficiale della Marina militare Walter Biot

Ceduti documenti su telecomunicazioni militari, 5 mila euro per le carte segrete.

Un ufficiale della marina militare italiana, Walter Biot (questo il suo nome secondo quanto apprende l'ANSA da fonti inquirenti) è stato arrestato dai carabinieri del Ros, dopo essere stato fermato assieme ad un ufficiale delle forze armate russe: entrambi sono accusati di gravi reati attinenti allo spionaggio e alla sicurezza dello Stato. L'intervento è avvenuto in occasione di un incontro clandestino tra i due, che sono stati sorpresi mentre l'ufficiale italiano cedeva all'altro dei documenti 'classificati' in cambio di soldi.

La posizione del cittadino straniero è tuttora al vaglio in relazione al suo status diplomatico. Il capitano di fregata Biot, sempre secondo quanto si è appreso, è in servizio all'ufficio Politica Militare dello Stato maggiore della Difesa.

Biot e l'ufficiale accreditato presso l'ambasciata della federazione russa sono stati fermati martedì sera in un parcheggio a Roma. L'intervento è stato effettuato dai carabinieri del Ros, sotto la direzione della Procura di Roma, e l'attività informativa è stata condotta dall'Agenzia Informazioni Sicurezza Interna, con il supporto dello Stato maggiore della Difesa.

Documenti classificati esclusivamente di natura militare. E' quanto il capitano di fregata ha consegnato all'ufficiale dell'esercito russo. Lo scambio, in base a quanto si apprende, è avvenuto in cambio di denaro in un parcheggio della Capitale dove i due sono stati bloccati. Si tratta di copie di documenti che erano all'attenzione dello Stato Maggiore della Difesa. Biot fotografava documenti classificati dal monitor del computer e li scaricava su una pennetta da consegnare al militare dell'esercito russo. Questo il modus operandi -secondo l'accusa- del militare italiano. La pennetta è stata sequestrata ieri dai carabinieri del Ros. I documenti riguarderebbero i sistemi di telecomunicazione militare. Alle carte classificate, Biot avrebbe avuto accesso in quanto era in servizio allo Stato maggiore della Difesa.

Cinquemila euro in contanti. E' quanto il militare dell'esercito russo avrebbe dato al capitano di fregata in cambio dei documenti. In base a quanto si apprende i soldi gli sono stati consegnate in piccole scatole. Il denaro è stato sequestrato al momento dello scambio. Sembrerebbe che due si fossero accordati anche su una cifra più bassa, circa quattromila euro, per la cessione di documenti avvenuta in passato. Nei confronti del militare italiano, attualmente detenuto, l'accusa è di procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato, spionaggio politico e militare, diffusione di notizie di cui è vietata la divulgazione.

L'indagine. La Procura militare di Roma aprirà oggi formalmente un fascicolo d'inchiesta sull'arresto degli ufficiali italiano e russo. Lo ha confermato all'ANSA il procuratore militare di Roma, Antonio Sabino. Si terrà domani l'udienza di convalida di Walter Biot. L'atto istruttorio, a causa dell'emergenza coronavirus, si svolgerà da remoto dal carcere di Regina Coeli. Nei suoi confronti le accuse sono di di procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato, spionaggio politico e militare, spionaggio di notizie di cui è stata vietata la divulgazione.

In relazione a quanto riportato dagli organi di stampa circa l'operazione condotta dai carabinieri del ROS, sotto la direzione della Procura della Repubblica di Roma, la Farnesina rende noto che il Segretario Generale del Ministero degli affari esteri, Elisabetta Belloni, ha convocato al Ministero questa mattina - su istruzioni del Ministro Luigi Di Maio - l'Ambasciatore della Federazione Russa presso la Repubblica Italiana, Sergey Razov.

"Confermiamo il fermo il 30 marzo a Roma di un funzionario dell'ufficio dell'Addetto Militare. Si verificano le circostanze dell'accaduto. Per adesso riteniamo inopportuno commentare i contenuti dell'accaduto. In ogni caso ci auguriamo che quello che è successo non si rifletta sui rapporti bilaterali tra la Russia e l'Italia". Lo riferisce in una nota l'ambasciata russa a Roma.

"In occasione della convocazione al Ministero degli Affari Esteri dell'ambasciatore russo in Italia, abbiamo trasmesso a quest'ultimo la ferma protesta del governo italiano e notificato l'immediata espulsione dei due funzionari russi coinvolti in questa gravissima vicenda. Ringrazio la nostra intelligence e tutti gli apparati dello Stato che ogni giorno lavorano per la sicurezza del nostro Paese". Lo scrive su Fb il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

La cessione di documentazione classificata da parte di un ufficiale italiano a un ufficiale delle Forze Armate russe di stanza in Italia "è un atto ostile di estrema gravità" per il quale "abbiamo assunto immediatamente i provvedimenti necessari". Lo ha detto il ministro Di Maio durante una comunicazione al Senato. "Su mie istruzioni - ha ricordato Di Maio - , la Segretario Generale Belloni ha convocato al Ministero questa mattina l'Ambasciatore della Federazione Russa Razov per trasmettere con forza la nostra ferma protesta e notificare l'espulsione di due funzionari russi accreditati presso l'ambasciata a Roma. 

Russia e Cina "sono attori che hanno sistemi politici e valori diversi dai nostri", da cui "provengono anche sfide, e talvolta minacce. Lo dimostrano le accuse di spionaggio nei confronti degli ufficiali italiani e russi", ha aggiunto il ministro. Allo stesso tempo, ha sottolineato, "continueremo ad agire in linea con la nostra collocazione geopolitica e i nostri valori, ma anche a salvaguardare i nostri interessi fondamentali, che richiedono di mantenere un'interlocuzione critica ma costruttiva con la Russia e la Cina".

La Russia spera che i legami con l'Italia possano essere "preservati" nonostante la vicenda di Roma. Lo auspica il Cremlino citato da RIA Novosti.

"Ci dispiace per l'espulsione da Roma di due dipendenti dell'ambasciata russa. Stiamo approfondendo le circostanze di questa decisione. Faremo un ulteriore annuncio sui nostri possibili passi in relazione a questa misura, che non corrisponde al livello delle relazioni bilaterali". Lo ha fatto sapere all'ANSA il ministero degli Esteri russo.

Mosca dovrà rispondere in modo simmetrico alla decisione di Roma di espellere due diplomatici russi dall'Italia: lo ha detto il vice presidente della Commissione della Duma per gli Affari internazionali, Alexiei Cepa, ripreso dall'agenzia Interfax. "Naturalmente saremo costretti a rispondere in modo analogo. Vi sarà una risposta simmetrica", ha detto Cepa a Interfax.

La decisione delle autorità italiane di espellere i due funzionari russi è infondata e avrà un impatto negativo sulle relazioni italo russe. Lo ha detto il presidente della commissione della Duma per gli Affari Internazionali Leonid Slutsky. "La 'spiomania' è arrivata anche in Italia. L'espulsione dei diplomatici è un passo estremo. Sono sicuro che per questo non vi erano ragioni così forti", ha detto Slutsky a Interfax. A suo parere "un tale gesto non corrisponde ad un alto livello di relazioni bilaterali e, purtroppo, imporrà la sua impronta negativa sul dialogo russo-italiano".

ANSA

mercoledì 31 marzo 2021

Quelle tragedie fatte sparire per non perdere consensi. - Andrea Bonanno

Ruggero Razza ex assessore sanità Sicilia

 Ruggero Razza, l'uomo a cui il presidente Musumeci aveva affidato i dodici e passa miliardi di euro di spesa sanitaria, l'avvocato penalista di grido, l'ultimo enfant prodige della politica siciliana. Prima che pronunciasse la frase intercettata quando parlava al telefono con la dirigente regionale dei morti di Covid dello scorso 4 novembre: "Spalmiamoli un poco", diceva l'assessore. Quasi che quelle 19 persone (questo il dato fornito dalla Regione quel giorno) fossero il burro sui crostini, o la crema solare sulla schiena. E invece erano i dati sulle vite spezzate dal coronavirus, che impietoso dilagava pure in Sicilia. Per difendere la faccia, lo smalto, il prestigio politico di un assessore e del suo staff che avevano voglia di fare bella figura con lo Stato e con i siciliani evitando la zona rossa.

E impedire le restrizioni impopolari, dare un'immagine di efficienza di una macchina organizzativa scalcinata, in cui regna l'improvvisazione. "Spalmiamoli un poco", dice l'assessore di Diventerà bellissima, nel tentativo di far quadrare le cifre dei morti. Non era questo l'atteggiamento che ci si aspettava dall'assessore alla Salute in un momento drammatico come quello che la Sicilia e tutto il mondo sta vivendo. Il cinismo dimostrato da Razza e dal suo staff somiglia più a un goffo tentativo di mascherare la verità con una bufala di proporzioni stratosferiche. Una sorta di "non ce n'è Coviddi" ai più elevati livelli.

LaRepubblica

Gran record di bombe dove arriva il bomba. - Tommaso Rodano e Gianni Rosini

 

Corsi e ricorsi. I frequenti viaggi del senatore tra Africa e Paesi del Golfo dove è schizzato il commercio di armamenti sotto il suo governo: da 2,1 nel 2013 a 14,6 miliardi nel 2016.

Matteo Renzi viaggia come se non avesse mai lasciato Palazzo Chigi. La sua carriera da conferenziere attinge al network di rapporti coltivati negli anni da premier. Le aree visitate nell’ultimo periodo, Africa e Golfo Persico, sono le stesse in cui il suo governo ha costruito un record storico in uno specifico settore: l’export di armi. “In tre anni, dal 2014 al 2016, il suo esecutivo ha sestuplicato le autorizzazioni per esportazioni di armamenti”, spiega Giorgio Beretta, analista dell’osservatorio Opal. L’Italia è passata dai 2,1 miliardi di euro del 2013 ai 14,6 miliardi del 2016. Le cifre riguardano tutto il mondo, ma la crescita è concentrata nelle due aree citate: Golfo Persico e Africa Subsahariana.

Africa. I numeri elaborati da Beretta mostrano una tendenza cristallina: negli anni di Renzi, in parallelo alle numerose visite del premier ai leader del continente, le esportazioni di armi verso gli Stati africani sono aumentate in modo esponenziale. Le aziende italiane hanno fatto affari in Etiopia, Congo, Nigeria e Angola, ma il record è in Kenya (dove il senatore ha programmato uno dei prossimi viaggi). Il traffico in direzione Nairobi è iniziato nel 2015 per poi esplodere nel 2017, l’anno in cui l’Italia ha consegnato al governo kenyota tre aerei da trasporto tattico C-27J Spartan prodotti dalla Alenia (per oltre 160 milioni di euro), tre elicotteri AW-109 per impiego militare di Agusta-Westland (44 milioni di euro), 1.500 fucili d’assalto Arx-200 e mille pistole mitragliatrici Mx4 fabbricate dalla Beretta (3,7 milioni di euro). Al governo c’era Gentiloni, ma le autorizzazioni per questi tre grandi contratti risalgono tutte all’anno precedente, l’ultimo di Renzi a Palazzo Chigi.

Qatar. I flussi verso il Golfo Persico sono ancora più consistenti. Nel 2014, la ricca monarchia qatariota era al centro del dibattito internazionale per le accuse di sostegno ai gruppi dell’Isis in Siria – protagonisti di crimini brutali anche contro civili e occidentali – per rovesciare il regime di Assad. Il canale con Doha viene aperto dalla visita del 2014 dell’ex vice ministro degli Esteri, Lapo Pistelli: “Il Qatar non è solo un attore imprescindibile per la stabilizzazione della regione – dichiara –, ma anche un Paese molto ricco, dove è più che opportuno esplorare ogni possibilità di collaborazione”. Nello stesso periodo, nel Paese è volata anche la ministra della Difesa, Roberta Pinotti. A gennaio 2016, l’emiro Tamim bin Hamad al-Thani viene ricevuto a Roma da Renzi e dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Nemmeno sei mesi dopo, a metà giugno, la ministra Pinotti e il suo omologo, Khalid bin Muhammad al Attiyah, siglano il Memorandum per la cooperazione nel settore navale, con la Difesa qatariota che firma anche un contratto con Fincantieri e Mbda per la fornitura di cinque navi militari per circa 5,3 miliardi di euro. L’accordo farà schizzare il valore delle autorizzazioni del 2017 verso il Qatar a oltre 4,2 miliardi e quelle del 2018 a oltre 1,9 miliardi di euro (nel 2015 erano appena 35 milioni, nel 2016 invece 341).

Arabia Saudita. Il commercio di armi è fiorente anche verso l’Arabia Saudita, il Paese del “Nuovo Rinascimento” e di Mohammad bin Salman, “amico” di Renzi e mandante dell’omicidio Khashoggi secondo la Cia. La vetta è nel 2016, con il via libera al famigerato export di bombe prodotte dalla Rwm di Domusnovas verso Riyad, protagonista nel sanguinoso conflitto nello Yemen. L’accordo prevede l’esportazione di circa 20mila bombe Mk80 per un valore di 411 milioni di euro: è la maggiore commessa italiana per munizionamento pesante dal dopoguerra. Come suggerisce il numero di licenza MAE45560 l’autorizzazione è del 2014. L’affare arriva dopo una serie di intensi incontri sull’asse Roma-Riyad: nel 2015 il ministro degli Esteri Adel al Jubeir è in Italia, a novembre dello stesso anno Renzi vola nella Capitale saudita per incontrare, tra gli altri, re Salman e l’allora vice principe ereditario Mohammad bin Salman, a ottobre 2016 a Riyad arriva invece Pinotti. L’export di bombe verso l’Arabia Saudita è stato sospeso nell’estate del 2019 e revocato definitivamente nel gennaio 2021.

Kuwait. L’11 settembre 2015 – pochi mesi dopo una visita di Pinotti nell’emirato –, Renzi riceve a Roma il primo ministro della monarchia, Jaber Mubarak al Hamad al Sabah. In quei giorni viene anche firmato un accordo intergovernativo che porterà, il 5 aprile 2016, all’intesa tra Finmeccanica e Kuwait City per la fornitura di 28 caccia Eurofighter Typhoon. Un affare da oltre 7 miliardi di euro.

IlFattoQuotidiano

Letta vede Sardine e Verdi e attacca Renzi sull’Arabia. - Giacomo Salvini

 

Il segretario: “Rapporti con i dittatori da regolare”.

Enrico Letta dice che “ci sarà tempo per incontrare tutti”. E a chi gli chiede lumi sul vertice più atteso, quello tra lui e il suo grande nemico, che nel 2014 lo “accoltellò” alle spalle con un “Enrico stai sereno!”, risponde con una battuta al vetriolo: “Devo ancora incontrare Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana e Angelo Bonelli dei Verdi”. Come dire: quelli che valgono il 2%, come Matteo Renzi, dovranno aspettare. Epperò il problema è che gli appuntamenti con Fratoianni e Bonelli sono già fissati: il segretario del Pd, dopo aver visto Roberto Speranza, Carlo Calenda e Giuseppe Conte, vedrà i leader di SI e Verdi tra martedì e mercoledì. Sicuramente prima di Pasqua, per completare il giro dei leader del centrosinistra. Ma manca Renzi.

I due in queste ore non si sono sentiti e nell’agenda di Letta non è previsto un incontro con il leader di Italia Viva la prossima settimana. In serata, a Otto e Mezzo, il segretario fa sapere che incontrerà anche Renzi senza specificare quando, ma che prima deve fare “anche altri incontri”. Ma in politica i tempi e i modi contano. E tanto. Ieri Letta ha dato la precedenza anche alle Sardine che alla vigilia del suo insediamento avevano manifestato e “messo la tenda” al Nazareno per chiedere al nuovo segretario di aprirsi alla società civile. Tant’è che fonti di Italia Viva a metà pomeriggio fanno filtrare alle agenzie due righe al veleno: “Non ci sono stati contatti tra Letta e Renzi” e il segretario Pd “ha evitato di chiamare il leader di Italia Viva”. L’ex sindaco di Firenze pubblicamente dice che lo snobismo di Letta non “è un problema” e che “non ho alcun problema a incontrarlo” ma in realtà è molto irritato: “Se Letta pensa di provocarci non ha capito niente – va dicendo Renzi ai suoi fedelissimi – tanto dovrà scegliere: o noi o il M5S”. E, al momento, il segretario dem non sembra avere dubbi. E che i rapporti tra i due siano ai minimi termini lo ha dimostrato ieri sera lo stesso segretario che a La7 ha attaccato Renzi anche sull’Arabia Saudita: “C’è un vuoto normativo su temi relativi a incontri e impegni con i regimi autoritari – ha detto Letta riferendosi alla conferenza di Renzi con Bin Salman –. Noi abbiamo una posizione diversa rispetto all’Arabia Saudita, siamo vicini alla posizione dell’America di Biden”. Letta ieri è andato anche a incontrare gli iscritti nel suo circolo di Testaccio per parlare delle idee da includere nel “vademecum” di 21 punti sul Pd che verrà e ha aperto anche il dossier amministrative. Per esempio su Roma: “Penso faremo le primarie e Gualtieri è uno dei candidati – ha concluso – sulla Raggi il nostro giudizio non è quello del M5S, potrebbe essere una pietra di inciampo”.

Ma nelle prossime ore lo attende un altro tour de force sull’ultima nomina: chi dovrà essere la nuova capogruppo alla Camera. In campo ci sono Debora Serracchiani e Marianna Madia e le correnti (ieri si è riunita Base Riformista) vorrebbero evitare una conta e arrivare a un accordo prima.

IlFattoQuotidiano

Palamara dimostra solo il potere delle correnti. - Antonio Esposito

 

Come è noto, i pm di Palermo, compreso il Procuratore capo Lo Voi, hanno chiesto il rinvio a giudizio di Matteo Salvini per sequestro di persona per aver negato lo sbarco, nell’estate del 2019, a 147 migranti soccorsi al largo di Lampedusa dalla nave della ong Open Arms. La richiesta ha dato spunto al direttore del Giornale, Sallusti, per un editoriale del 21 marzo dal titolo “Il Procuratore ‘made in Palamara’”. L’intento del direttore – oltre alla solita contumelia nei confronti della magistratura: “Facciamo finta di non vedere che la giustizia è nelle mani di una banda di sciagurati” – era quello “almeno che gli italiani sappiano da che pulpito arriva la richiesta di rinviare a giudizio Salvini per un presunto reato politico”.

In proposito, si è “affidato alle parole di Luca Palamara nel libro Il Sistema”, circa la nomina del nuovo procuratore di Palermo: “Mi convoca il procuratore di Roma Pignatone e a sorpresa mi dice: ‘Si va su Lo Voi?’. Rimango sorpreso, è il candidato con meno titoli tra quelli in corsa, ma sono uomo di mondo, mi adeguo e studio la pratica. È un’impresa difficile, l’uomo era distaccato fuori sede, all’Eurogest. Ricordo la trattativa come una delle più difficili della vita, faccio un doppio gioco e la vinco: Lo Voi va a Palermo e, dopo il giusto ricorso di un suo avversario, io e Pignatone organizziamo una cena con il magistrato che dovrà decidere sul ricorso che…”.

In realtà non esiste alcuna correlazione tra i due episodi, poiché la nomina a Procuratore del Lo Voi (avvenuta nel 2014) non incide in alcun modo sulla legittimità della richiesta di rinvio a giudizio che l’organo dell’accusa, nel contraddittorio tra le parti, sottopone alla valutazione di un giudice terzo, sicché del tutto impropria è l’affermazione del Sallusti: “Ecco, la politica oggi si fa giudicare da un uomo così”.

Inoltre, l’episodio è di una gravità inaudita per il Palamara il quale, componente del Csm, non solo non respinge la “raccomandazione” (semmai vi è stata) del Procuratore di Roma in favore di un candidato meno titolato di altri concorrenti al posto di Procuratore di Palermo, ma addirittura si impegna – in violazione del dovere di imparzialità, facendo anche il “doppio gioco” (!!) – a far vincere la procedura concorsuale al candidato “segnalato”, meno titolato, danneggiando così il candidato più titolato costretto a rivolgersi al Tar ove vince. Ma è il Palamara a non darsi per vinto perché “propizia” (se è vero) a casa sua un incontro tra il Pignatone e il magistrato del Consiglio di Stato che dovrà giudicare il ricorso – poi accolto – del Lo Voi avverso la decisione del Tar.

Orbene, vi è materia sufficiente per un’indagine che faccia luce sulla inquietante vicenda anche acquisendo la versione di Pignatone.

L’episodio in questione è uno dei tanti che il Palamara racconta nella sua intervista al Sallusti e tutti dovrebbero essere oggetto di accertamenti quantomeno disciplinari (accertamenti ancora possibili poiché il Palamara non è stato definitivamente rimosso dall’ordine giudiziario), tenuto conto che lo stesso Palamara ammette “che negli ultimi anni non ho fatto il magistrato: io ho fatto politica. Non dentro un partito politico, ma inserito in un sistema politico. Ho confuso i ruoli, certo, ma è giusto dire che non ero un pazzo isolato; eravamo in tanti ed eravamo compatti, eravamo diventati quelli di una parte pronti a colpire l’altra, e non c’entravamo più nulla con il collega che si alza ogni mattina e si deve occupare di furti, rapine, separazioni e fallimenti”.

Ora, un personaggio del genere – che vuole riciclarsi e vuole combattere per “una giustizia più giusta” – è diventata una star televisiva, riverito e osannato da una certa parte politica e da una certa stampa giunta al punto di affermare – e la cosa ha dell’incredibile – che “Palamara è ancora vivo e lotta insieme a noi” (così Il Tempo del 21.3, a firma di F. Storace).

Si tratta evidentemente della gratificazione dovutagli per essersi inventato un “Sistema” per il quale la magistratura si compattava contro i politici che “hanno sfidato i magistrati” e quindi Berlusconi, Renzi, Salvini (eccetto Enrico Letta e Paolo Gentiloni che “non hanno sfidato i magistrati”).

Per la verità, un tale sistema non è mai esistito, ma è esistito un sistema correntizio – di cui uno dei principali protagonisti era il Palamara – che inquinava le procedure concorsuali per incarichi e nomine basate non sul merito, ma sull’appartenenza alla corrente e su tale sistema non si è indagato a fondo, quantomeno in sede disciplinare.

IlFattoQuotidiano

Renzi “Messaggero” d’Arabia e apostolo della democrazia. - Daniela Ranieri

 

Di regola, in democrazia un politico non si può intervistare da solo, perché si farebbe le domande che vuole, nel linguaggio che più gli conviene, mettendo in atto le strategie retoriche necessarie a nascondere le proprie pecche e a dare di sé un ritratto migliore. Ma nel caso del soggetto in questione, intervistarsi da sé o essere intervistato da un giornalista sortisce esattamente lo stesso risultato. Qualità precipua di Renzi è infatti ribaltare la realtà: nei rari casi in cui qualcuno gli chiede conto di qualcosa di scabroso che lo riguarda, gli basta rispondere la cosa più assurda, insensata e manipolatoria possibile per neutralizzare qualsiasi domanda.

Il cronista del Messaggero (che lo chiama presidente, chissà di che) gli chiede dei suoi rapporti col principe saudita Mohammed bin Salman: “Il portavoce di Amnesty Italia la accusa di ‘fare un cattivo servizio ai diritti umani’. Cosa risponde?”. Facile: Renzi, immune dall’imbarazzo, dalla coscienza del proprio ruolo e in definitiva dal decoro personale, risponde che si reca in Arabia Saudita, dove siede in un board collegato alla famiglia reale in cambio di 80 mila euro l’anno, per aiutare il regime a “scegliere la strada delle riforme incoraggiando la difesa dei diritti umani”. Come mai non ci abbiamo pensato prima? Basta guardare il video della chiacchierata tra Renzi e il principe che la Cia e l’Onu ritengono un assassino segaossa: c’è da scommettere che bin Salman, chiamato con deferenza “Vostra Altezza” e “amico mio”, mentre sorride davanti a questo buffo personaggio azzerbinato che in uno stravagante inglese si vende la storia di Firenze cianciando di Rinascimento dietro compenso, sta pensando alle riforme da avviare. Cosa non si fa, per esportare la democrazia. Del resto, il giorno prima aveva rimproverato alcuni cronisti fuori dal Senato perché non si occupano del tema dei “big data dell’Arabia Saudita” e stanno dietro ai presunti omicidi dei dissidenti. A una cronista troppo informata ha detto di “fidarsi più di Biden che di lei”; il quale Biden riterrebbe il principe innocente perché non l’ha sanzionato. Qui la manipolazione è massima: Renzi, sull’orlo della crisi nervosa, sposta l’attenzione da sé alla cronista (che ha citato un rapporto dell’intelligence di Biden); porta un argomento fallace (mancanza di sanzioni Usa = assoluzione del principe saudita) a sostegno dell’opportunità della sua prestazione a gettone; infine, gioca con le parole: “Io chiamo my friend una persona che conosco da anni e che è un mio amico” (dev’essere un perfezionamento del metodo delle querele contro i giornalisti). Se è un suo amico, perché va dicendo che vola a Riyad per motivi geopolitici? E se ci va per motivi geopolitici, perché si fa pagare? Perché, dice il membro della Commissione esteri e senatore della Repubblica col 41% delle presenze ma il 100% dello stipendio, recarsi su un jet privato ad adulare uno spietato autocrate che si finge moderno per dare una ripulita d’immagine al regime che tortura e crocifigge i dissidenti è l’impegno di chi fa politica: “Chi fa politica deve coltivare relazioni perché i leader dei Paesi non ancora democratici incoraggino e valorizzino i diritti. Io nel mio piccolo lavoro in questa direzione”. Ecco cos’è, Renzi: una specie di apostolo della democrazia, un ambasciatore dei diritti umani presso le petromonarchie che non li rispettano. A saperlo prima, Jamal Khashoggi, entrato nel consolato saudita di Istanbul con le sue gambe e uscitone a pezzi (non tutti: alcuni sono stati ritrovati in giardino), avrebbe fatto meglio a incensare il “nuovo Rinascimento” del principe dietro lauto compenso, invece di scribacchiare di diritti umani sul Washington Post.

(Ps: sullo spessore politico del soggetto in questione il 98% degli italiani non ha dubbi; ma, nel caso, basta leggere nella stessa intervista che la crisi è stata “aperta da Conte” e si spiega tutto).

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