lunedì 21 giugno 2021

Ma mi faccia. - Marco Travaglio

 

Cosa ci mettono. “Sì al mix di vaccini. Draghi ci mette il braccio” (Libero, 19.6). “Quella decisione di offrire il corpo” (Repubblica, 19.6). Loro invece offrono la lingua. E meno male che i vaccini non si fanno sul gluteo.

Minzolingua. “Travaglio… patacca del giornalismo… si diletta a leggere il casellario giudiziario tranne il lungo capitolo dedicato a lui alla voce ‘diffamazione’” (Augusto Minzolini, neodirettore del fu Giornale, 16.6). Il mio lungo capitolo consta di una multa di 1000 euro per aver diffamato Previti (reato tecnicamente impossibile). Il suo, oltre alle diffamazioni e a un abuso d’ufficio prescritto, consta di una condanna a 2 anni e mezzo per peculato per aver derubato la Rai di 65 mila euro di spese ingiustificate in 18 mesi. Peculate, peculate, qualcosa resterà.

Povera stella. “Da due anni Cesare Battisti è detenuto in regime di alta sorveglianza, di fatto in isolamento… Lo Stato italiano non sembra avere per Battisti un’urgenza di giustizia bensì un’urgenza di vendetta. Nulla giustifica l’alta sorveglianza per un uomo quasi settantenne condannato all’ergastolo per omicidi commessi più di quarant’anni fa” (Mattia Feltri, Stampa, 18.6). È solo un pluriassassino sfuggito alla giustizia per 36 anni: perché mai sorvegliarlo?

Slurp. “Mario Draghi. Il ritorno del Cavaliere Bianco” (titolo del libro di Roberto Napoletano). “Draghi, il tecno-politico che può cambiare tutto. Per il suo ‘realismo realizzatore’ l’autore accosta la figura del premier a quella di De Gasperi. ‘L’ex presidente Bce è un ammaliatore, in dieci minuti può sfilare i calzini a chiunque senza togliergli le scarpe’” (Messaggero, 17.6). Un po’ come quei giornalisti che riescono a leccarti il culo senza toglierti le mutande.

Slurp al quadrato. “C’è ancora un Cavaliere nel destino dell’Italia… Un nuovo De Gasperi?… L’esperienza del governo Draghi potrebbe davvero segnare un nuovo Rinascimento per la Politica italiana” (Renato Farina, Libero, 18.6). Betulla lecca Napoletano che lecca Draghi: cercasi volontario che lecchi Betulla.

Stampa di destra. “Virus, spie e vaccini. Un’operazione di intelligence. Non per spiare le basi Nato ma per ottenere tutti i segreti sul Covid e sul modo di contrastarlo. Ecco come la missione ‘Dalla Russia con Amore’ ha permesso al Cremlino di difendersi dal virus e realizzare di corsa Sputnik-V. Ingannando il governo italiano” (Repubblica.it, 17.6) “I russi hanno capito come fermare il Covid studiando Bergamo. Com’è nato lo Sputnik V” (Libero, 18.6). “‘Repubblica’ spara a zero su Conte: ‘Favorì Putin, ora indaghi il Copasir’” (Giornale, 18.6), Uahahahahahah.

Trova le differenze. “Giù la mascherina” (Giornale, apertura di prima pagina, 18.6). “Stop mascherine all’aperto” (Repubblica, apertura di prima pagina, 18.6). Finalmente è rinata “La Padania”.

Il Grillo (non) parlante. “M5S, Grillo pone il veto sul doppio mandato. Per Conte strada in salita sul nuovo statuto” (Repubblica, 9.6). “Pechino fa litigare Grillo e Conte: ‘Giuseppe si sta allargando’” (Foglio, 17.6). “Sfida finale tra Conte e Beppe per prendersi i 5S” (Giornale, 17.6), “Lo statuto di Conte emargina Grillo: non deciderà la linea. Rabbia del comico, che dice di non essere disposto a un ruolo fantasma” (Stampa, 18.6). “Conte fa fuori Grillo (che è furioso)” (Libero, 18.6). “Guerra aperta Conte-Grillo” (Giornale, 19.6). “M5S, alt di Grillo a Conte: ‘Non voglio una mini-Dc. Mi vuoi esautorare? Non permetterti, sai…’” (Messaggero, 19.6). “Statuto, Grillo deluso da Conte”, “Cina e statuto, Grillo contro Conte” (Repubblica, 19.6). Accipicchia quante cose dice Grillo da quando ha smesso di parlare.

Radicali liberi. “Per riformare la giustizia ci vuole uno come Salvini. Il leghista è coerente… Avevo Padellaro del Fatto e la Lezzi ex M5S con gli occhi sbarrati, come se avessi detto bestialità” (Gaia Tortora, vicedirettrice Tg La7, Libero, 14.6). Già, proprio come se.

Next Rigeneration. “Sono rigenerato, ho ritrovato il sorriso. Berlusconi mi ha telefonato l’altra sera per darmi il benvenuto” (Marcello De Vito, presidente Consiglio comunale di Roma, ex M5S ora FI, Foglio, 18.6). Nel club degli imputati. Sono soddisfazioni.

Il titolo della settimana/1. “Draghi, arriva il plauso del Financial Times” (Claudia Fusani, un’intera pagina del Riformista, 18.6). Ma tu pensa.

Il titolo della settimana/2. “La libertà di licenziare non sarà un catastrofe” (Foglio, 14.6). Per chi licenzia, no di sicuro.

Il titolo della settimana/3. “L’India chiude il caso dei Marò. Le mogli: ‘Carne da macell’’” (Giornale, 16.6). I due pescatori indiani, ovviamente.

Il titolo della settimana/4. “Uccide anziano e due bimbi senza motivo” (Libero, 14.6). Strano, di solito hai sempre un sacco di validi motivi se uccidi un anziano e due bimbi.

ILFQ

Nel 2020 scoperti 3.546 evasori totali.

 

Denunciati 5.800 'furbetti' del reddito di cittadinanza.


Nel 2020 sono stati scoperti 3.546 evasori totali, ossia imprenditori o lavoratori autonomi completamente sconosciuti all'Amministrazione finanziaria (molti dei quali operanti attraverso piattaforme di commercio elettronico) e 19.209 lavoratori in nero o irregolari.
Denunciate inoltre 10.264 persone, di cui 308 arrestate, per aver commesso 7.303 reati fiscali.

Il valore dei beni sequestrati per reati in materia di imposte dirette e Iva è di 800 milioni di euro, mentre le proposte di sequestro tuttora al vaglio dei magistrati ammontano a 4,4 miliardi di euro. E' quanto emerge dal bilancio operativo della Guardia di finanza nel 2020. 

Nel 2020 sono stati denunciati all'Autorità giudiziaria 5.868 'furbetti' del reddito di cittadinanza: tra loro anche intestatari di ville e auto di lusso, evasori totali, mafiosi con condanne definitive. Gli interventi - svolti anche con il contributo dell'Inps - hanno permesso di intercettare oltre 50 milioni di euro indebitamente percepiti e circa 13 milioni di euro di contributi richiesti e non ancora riscossi. Anche questo emerge dal bilancio operativo della Guardia di finanza nel 2020.

Forte impegno della Guardia di finanza nel 2020 contro le frodi sui beni per contrastare l'emergenza Covid: denunciati 1.347 soggetti per i reati di frode in commercio, vendita di prodotti con segni mendaci, truffa, falso e ricettazione, constatate sanzioni amministrative in 310 casi e sequestrati circa 71,7 milioni di mascherine e dispositivi di protezione individuale, nonché circa 1 milione di confezioni e 160 mila litri di igienizzanti (venduti come disinfettanti). 

ANSA

domenica 20 giugno 2021

Il Corpus Domini. - Marco Travaglio

 

L’altra sera abbiamo seguito disciplinatamente la conferenza stampa del premier Draghi per fare chiarezza sul lievissimo casino dei vaccini. E ne siamo usciti più incasinati di quando non aveva ancora fatto chiarezza. Dopo mesi di ordini, contrordini e controcontrordini sui limiti di età per Astrazeneca, ci era parso di capire da Ema, Aifa, Cts & C. che almeno una cosa fosse assodata: chi ha fatto la prima dose di AZ, se ha più di 60 anni deve fare la seconda dose omologa con AZ; se ha meno di 60 anni, deve fare il richiamo eterologo con Pfizer o Moderna (Johnson&Johnson, monodose ma a vettore virale come AZ è al momento disperso, ma non sottilizziamo). Poi ha parlato Draghi: avendo più di 60 e anche di 70 anni ed essendo stato vaccinato con AZ, è “prenotato per l’eterologo” perché “la prima dose con AstraZeneca ha dato una bassa risposta immunitaria”. Oh bella: ma il suo Cts e il suo ministero della Salute avevano detto l’opposto: eterologo sotto i 60, omologo sopra. Infatti tutti i suoi coetanei, dopo la prima dose AZ, sono prenotati per la seconda dose AZ. E poi come fa Draghi a sapere che ha “una bassa risposta immunitaria”? A parte il fatto che il test sierologico sugli anticorpi dopo la prima dose non è probante, vuole forse dirci che prima del richiamo dobbiamo passare tutti dal medico? E perché nessuno è stato avvertito, né i medici né i pazienti? Non solo: siccome era pure assodato che gli under 60 non dovevano ripetere AZ ma passare al mix con Pfizer o Moderna, Draghi comunica che sono liberi di rifarsi AZ se muniti di “consenso informato”. Informato da chi? Dal medico. Che però può fornire solo consensi disinformati: sul mix vaccinale l’Aifa ha deciso di non decidere, per mancanza di studi scientifici. E quale medico, dopo un simile verdetto, rischierà di prescrivere l’omologo AZ agli over 60?

Mentre ci maceravamo nei dubbi, abbiamo letto i giornali di destra e scoperto che il problema era solo nostro: sono tutti estasiati per la cristallina chiarezza di Draghi, colto nell’estremo sacrificio di “metterci il braccio” (Libero), pardòn “il bazooka” (qualunque cosa voglia dire, Giornale), anzi di “offrire il suo corpo” (Repubblica): il famoso Corpus Domini. Intanto insigni scienziati spiegano quanto il mix sia molto meglio dell’omologo. A saperlo prima, si potevano far autenticare i vaccini da Vittorio Sgarbi. O affidare le fiale di Pfizer, Moderna, AZ e J&J a un battaglione di baristi per shakerarle tutte insieme già in prima dose, con una punta di spritz, una spruzzata di seltz, un’olivetta e una fettina d’arancia. E condire il tutto con un decreto chiarificatore di un solo articolo definitivo: “Fate un po’ come cazzo vi pare”.

ILFQ

sabato 19 giugno 2021

Eutanasia legale, parte la raccolta firme per il referendum: “Necessario agire a fronte di un Parlamento paralizzato e sordo”. - Luisiana Gaita

 

L'iniziativa è promossa dall'associazione Coscioni. C’è tempo fino al 30 settembre per raccoglierne 500mila firme: i primi tavoli a Milano (angolo tra Corso Garibaldi e via Statuto) e Roma (Largo Argentina), mentre entro il 30 giugno saranno allestiti in tutta Italia. 

Sono passati due anni da quando il Parlamento lasciò scadere il tempo concesso dalla Corte costituzionale per riempire il vuoto normativo sul suicidio assistito, prima di pronunciarsi sul caso di Marco Cappatofinito a processo per aver aiutato a morire l’ex dj Fabo accompagnandolo in Svizzera. Ma se allora la Lega si mise di traverso, facendo arenare la discussione sulla proposta di legge sull’Eutanasia legale (cinque, in realtà, i testi presentati alla Camera), oggi parte la raccolta di firme per un referendum promosso dall’associazione Luca Coscioni di cui Cappato è tesoriere. Il testo, depositato il 20 aprile scorso in Corte di Cassazione, prevede una parziale abrogazione dell’articolo 579 del codice penale (omicidio del consenziente), che impedisce la realizzazione di della cosiddetta “eutanasia attiva”. “In caso di approvazione – spiega l’associazione – si passerebbe dal modello della ‘indisponibilità della vita’, sancito dal codice penale del fascismo nel 1930, al principio della ‘disponibilità della vita’ e dell’autodeterminazione individuale, già introdotto dalla Costituzione repubblicana, ma che ora deve essere tradotto in pratica. Il referendum, come aveva spiegato a ilfattoquotidiano.it Marco Cappato, punta a tutelare “anche i pazienti che non siano dipendenti da trattamenti di sostegno vitale, come i malati di cancro, per i quali è comunque già intervenuta la Consulta”. C’è tempo fino al 30 settembre per raccoglierne 500mila firme: i primi tavoli a Milano (angolo tra Corso Garibaldi e via Statuto) e Roma (Largo Argentina), mentre entro il 30 giugno saranno allestiti in tutta Italia.

IL MESSAGGIO DI DANIELA – Nel corso della conferenza stampa che si è tenuta presso la sala stampa della Camera dei Deputati, è stato trasmesso il video messaggio di Daniela. Trentasette anni, pugliese, affetta da una grave forma di tumore al pancreas, avrebbe voluto poter scegliere di porre fine alle sue sofferenze: “Ho vissuto una vita da persona libera. Vorrei essere libera di morire nel migliore dei modi”. Non ha fatto in tempo ad andare in Svizzera per ricorrere al suicidio assistito. Aveva contattato l’Associazione Luca Coscioni e a febbraio aveva chiesto alla Asl di Roma, dove viveva, e al relativo Comitato Etico, la verifica e l’attestazione delle condizioni necessarie per poter ricorrere al suicidio assistito, in applicazione della storica sentenza 242/2019 emessa dalla Corte Costituzionale, proprio nell’ambito del processo a Cappato. Una sentenza secondo cui non è punibile “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Daniela, però, aveva dovuto impugnare una risposta negativa. Alla fine, era ricorsa d’urgenza al Tribunale di Roma per ottenere le verifiche previste, ma l’udienza era stata fissata al 22 giugno. Considerata la situazione, è stato chiesto di anticipare la decisione, ma nessuno ha mai risposto. Daniela è morta il 5 giugno.

COSA CAMBIEREBBE – Con l’intervento referendario l’eutanasia attiva sarebbe consentita nelle forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico e in presenza dei requisiti introdotti dalla sentenza della Consulta, mentre rimarrebbe punita se il fatto è commesso contro una persona incapace o contro una persona il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia o contro un minorenne. Ad oggi, invece, in Italia l’eutanasia attiva è vietata sia nella versione diretta (se il medico somministra il farmaco alla persona che ne faccia richiesta, violando l’articolo 579 del codice penale), sia nella versione indiretta (se qualcuno prepara il farmaco che viene poi assunto in modo autonomo dalla persona) e, in questo caso, si incorre nel reato di istigazione e aiuto al suicidio (articolo 580 del codice penale), fatte salve le cause di esclusione introdotte nel 2019 dalla Consulta. Forme di eutanasia passiva, ovvero praticata astenendosi dall’intervenire per tenere in vita il paziente in preda alle sofferenze sono già considerate penalmente lecite, soprattutto quando l’interruzione delle cure ha lo scopo di evitare l’accanimento terapeutico. “Ma molti casi ambigui creano condotte ‘complesse’ o ‘miste’, che non consentono spesso di distinguere con facilità se si tratti di eutanasia mediante azione od omissione e, soprattutto – spiega l’associazione – pongono il problema di una possibile disparità di trattamento ai danni di pazienti gravi e sofferenti affetti però da patologie che non conducono di per sé alla morte per effetto della semplice interruzione delle cure. Da qui l’esigenza di ammettere l’eutanasia a prescindere dalle modalità della sua esecuzione concreta (attiva e omissiva)”.

UNA BATTAGLIA FATTA DI STORIE – Dopo la conferenza, l’appuntamento è proseguito in Largo Argentina per l’avvio della raccolta nella Capitale. C’era anche Mina Welby, ma moglie di Piergiorgio Welby, attivista e co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni affetto da distrofia muscolare, per il quale non solo fu negata la richiesta dei legali di porre fine all’accanimento terapeutico (a staccare il respiratore fu il medico, poi assolto dall’accusa di omicidio del consenziente), ma gli furono anche negati i funerali con rito religioso. La funzione non religiosa, è bene ricordarlo, fu celebrata davanti alle porte chiuse della parrocchia che, anni dopo, avrebbe invece accolto quelli trionfali del boss dei Casamonica. Tra le altre persone malate assistite dall’associazione c’è anche Mario (nome di fantasia). Ha 43 anni, abita in un paesino delle Marche e a causa di un grave incidente stradale che gli ha provocato la frattura della colonna vertebrale con la conseguente lesione del midollo spinale, è tetraplegico con altre gravi patologie da 10 anni. Le sue condizioni sono irreversibili. Si era visto negare da ASL e tribunale la possibilità di accedere all’iter previsto dalla sentenza 242, ma proprio in questi giorni, con una nuova ordinanza storica (la prima del genere in Italia) il Tribunale di Ancona ha ribaltato la decisione del giudice precedente, imponendo alla ASL di verificare le condizioni del paziente per accedere al suicidio assistito, attuando di fatto la sentenza della Consulta.

IL SOSTEGNO – “Mario ci ha messo 10 mesi passando per 2 udienze 2 sentenze, per vedere rispettato un suo diritto, nelle sue condizioni” commenta l’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’associazione, secondo cui “non è possibile costringere gli italiani a una simile doppia agonia. Occorre una legge. Per questo – aggiunge – a fronte di un Parlamento paralizzato e sordo persino ai richiami della Corte costituzionale è necessario un referendum”. Da qui alle prossime settimane sarà possibile aderire alla campagna anche presso avvocati e notai registrati. “Il loro ruolo – spiega Cappato – è fondamentale nell’ambito della raccolta firme, perché hanno la facoltà di autenticarle, insieme a cancellieri, parlamentari, sindaci, assessori, consiglieri comunali, consiglieri regionali e dipendenti comunali”. Fanno già parte del comitato promotore del referendum Radicali Italiani, Partito Socialista Italiano, Eumans, Volt, Più Europa, Possibile, Sinistra italiana e Federazione dei Verdi. Il Comitato è aperto all’adesione di associazioni, partiti, movimenti sindacati e altre organizzazioni e, tra primi sostenitori, ci sono l’ARCI nazionale e la CGIL nuovi diritti.

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Mascherine, Mieli: “Conte e Arcuri ne avevano acquistate per 14 anni e mezzo”. Ma i numeri ufficiali lo smentiscono.

 

Il giornalista, ospite di Otto e mezzo su La7, durante una discussione con Marco Travaglio ha sostenuto che l'ex commissario all'emergenza avesse comprato troppi dispositivi, tali da soddisfare il fabbisogno nazionale "di qui al 2035". I dati invece dicono che sono state acquistate un totale di 4 miliardi e 796 milioni di mascherine (chirurgiche, Fffp2, Fffp3, ecc) e che finora alle Regioni ne sono state distribuite già 3 miliardi e 248 milioni.

“Quando è arrivato Draghi ha trovato che Conte e Arcuri avevano ordinato e acquistato mascherine per 763 settimane, 14 anni e mezzo”. A dirlo in tv è stato Paolo Mieli, giornalista, storico e conduttore tv che giovedì era ospite di Otto e mezzo su La7, insieme al direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio. Mieli ha sostenuto che il precedente commissario straordinario all’emergenza Covid, Domenico Arcuri, sostituito poi dal generale Figliuolo con il passaggio dal Conte 2 al governo Draghi, avesse acquistato un numero spropositato di mascherine, tale da soddisfare il fabbisogno nazionale “di qui al 2035“. I numeri, però, lo smentiscono: tra il 17 marzo 2020 e il 28 febbraio 2021, Arcuri ha acquistato un totale di 4 miliardi e 796 milioni di mascherine. È difficile stimare quale sia realmente il fabbisogno settimanale nazionale, ma un dato chiarisce inequivocabilmente come ci vorranno molto meno di 14 anni per utilizzarle: da marzo ad oggi, infatti, la Protezione Civile ha distribuito alle Regioni 3 miliardi e 248 milioni di mascherine in 15 mesi e mezzo.

Mascherine, Mieli a Travaglio: “Conte e Arcuri ne avevano acquistate per 14 anni e mezzo”. Ma i numeri ufficiali lo smentiscono
Volume 90%
 

Nel corso della discussione, Mieli ha insistito più volte sul dato delle “763 settimane” (di cui non è chiara la fonte) e ha aggiunto: “Un giorno faremo poi i conti“. I conti ufficiali però si possono fare anche subito, volendo: sono disponibili sul sito del governo, nella sezione dedicata appunto al Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19. Con lo scoppio della pandemia in Italia a cavallo tra fine febbraio e inizio marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, dovette prevedere la presenza di un commissario con funzione di coordinamento, in particolare per l’acquisto di beni indispensabili nella lotta al Covid, tra cui appunto le mascherine. Il decreto del 17 marzo 2020 conferisce chiarisce che gli atti del commissario “sono sottratti al controllo della Corte dei Conti, fatti salvi gli obblighi di rendicontazione“. Tutti gli acquisti effettuati da Arcuri prima e Figliuolo poi, così come dalla Protezione Civile, sono quindi pubblici e disponibili a tutti.

Emerge appunto che nel suo anno da commissario Arcuri ha acquistato in totale 3,3 miliardi di mascherine chirurgiche, 634 milioni di mascherine per bambini, 340mila mascherine filtranti per la collettività, 238 milioni di Ffp3 e 234 milioni di Ffp2. Il totale arriva appunto a 4 miliardi e 796 milioni. La spesa totale? Due miliardi e 116 milioni di euro. Chiaramente il commissario non è l’unico a fare acquisti: ci sono anche le RegioniConsip e la Protezione civile (che però da sola finora ne ha acquistate appena 223mila). Ma i 4,8 miliardi di mascherine acquistate da Arcuri sembrano essere congrue all’emergenza. L’Analisi distribuzione aiuti consultabile sul sito del Dipartimento della Protezione civile infatti riporta che nel corso della pandemia finora sono stati distribuite alle Regioni oltre 3 miliardi di mascherine. Ancora nell’ultima settimana, stando al portale, nonostante un trend in diminuzione sono state distribuite oltre 6,5 milioni di mascherine. Evidentemente quelle comprate da Arcuri non dureranno 14 anni, altrimenti Figliuolo sarebbe un pazzo ad aver già acquistato altri 15 milioni di pezzi.

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Rifiuti, armi e Sanità: i chi finanzia la Meloni. - Valeria Pacelli e Stefano Vergine

 

Dietro il boom di Fratelli d’Italia.

Più consensi, più soldi. Mano a mano che il partito di Giorgia Meloni s’impone come principale forza della destra (stando ai sondaggi Fratelli d’Italia ha raggiunto la Lega), anche le casse del partito si gonfiano. In via principale, di denaro donato dai suoi eletti, ma anche da tante imprese, alcune con interessi economici nei Comuni e nelle Regioni dove i meloniani governano. Lo dicono i bilanci di Fd’I e lo raccontano nel dettaglio i rendiconti pubblici analizzati da Il Fatto. Nel 2019, quando era al 4% (sondaggio YouTrend di gennaio), il partito erede dell’Msi ha raccolto contributi privati pari a 1 milione di euro. L’anno dopo il pallottoliere ha toccato quota 1,4 milioni (registrando quindi un +40%). Da gennaio ad aprile di quest’anno (ultimi dati disponibili), siamo già a 337mila euro incassati. Tutti contributi leciti e regolarmente dichiarati dal partito.

SANITà. Fd’I piace molto al mondo della sanità privata. Tra i principali finanziatori spicca il Gruppo Villa Maria (Gvm), che nel 2020 ha fatto partire due bonifici per un totale di 50mila euro. Con oltre 3900 dipendenti e 715 milioni di fatturato (dati 2019), quella fondata da Ettore Sansavini è una multinazionale delle cliniche private presente in mezzo mondo, dalla Francia, all’Albania e alla Polonia. Il core business resta però in Italia. “Non abbiamo mai ricevuto alcun favore particolare dalla politica e finanziamo diversi partiti, non solo Fd’I, ma anche ad esempio la Lega e il Pd”, ci ha assicurato Sansavini. Dai rendiconti pubblici dal 2018 in poi non risultano donazioni di Gvm ad altre forze politiche. Bisogna anche dire che nei mesi scorsi il gruppo ha trovato qualche ostilità da parte di esponenti di Fd’I in Regione Lazio. Era marzo 2020 quando Gvm firma un protocollo per la trasformazione dell’Istituto clinico Casal Palocco in centro Covid. Il consigliere regionale Giancarlo Righini chiede spiegazioni alla Regione “sulla scelta di allestire un Ospedale Covid in una piccola clinica privata”. “Chiedevo un dettaglio dei costi. – spiega oggi Righini al Fatto – Ho appreso solo di recente del contributo, ma questo prescinde dalla mia attività di verifica. Sull’Icc di Casal Palocco tornerò a chiedere informazioni”.

Nella lista di donatori ci sono anche altre imprese legate al mondo della sanità. Soprattutto quella marchigiana, dove Fratelli d’Italia è riuscita nel settembre scorso a fare eleggere il suo secondo presidente di Regione, Francesco Acquaroli (il primo, Marco Marsilio, governa dal 2019 l’Abruzzo). C’è ad esempio la Innoliving di Ancona, che ha versato 5 mila euro ad ottobre 2020. Controllata dal russo Andrey Derevyanchenko e da Andrea Falappa, produce in Cina e vende in Italia piccoli elettrodomestici e dispositivi diagnostici. Da ottobre scorso, la società fornisce tamponi rapidi dall’aeroporto delle Marche, di cui la Regione detiene una quota. “L’hub che effettua tamponi presso l’Aeroporto – spiegano dalla Regione Marche – è gestito da un soggetto privato, l’iniziativa non è promossa dalla Regione”. A settembre 2020 a Fd’I sono arrivati poi 4 mila euro da un’altra azienda marchigiana: la Radiosalus, un centro polispecialistico privato. L’azienda, sempre a settembre, ha donato 5mila euro anche al candidato presidente del centro sinistra, Maurizio Mangialardi, sconfitto da Acquaroli.

L’AFFARE ESSELUNGA. Non c’è solo il mondo della sanità. Tra i bonifici più generosi ci sono quelli di Aep, ditta di costruzioni. La donazione a Fd’I – 49.500 euro in totale, versati in due tranche tra settembre e ottobre 2020 – è diventato un caso a Lodi, dove i meloniani sono in maggioranza, con tanto di denuncia in Procura presentata da un gruppo di cittadini e poi archiviata dai pm, che non hanno ravvisato alcun reato. Il motivo delle proteste è che Aep sta costruendo in città un supermercato per Esselunga. Racconta Stefano Caserini, consigliere d’opposizione: “Nel territorio dove si sta costruendo, il piano di governo del territorio (pgt) prevedeva un’area prevalentemente residenziale e direzionale. Poi, dopo che Aep ha acquistato il terreno, in consiglio comunale è stata approvata una variante al pgt per rendere l’area commerciale, e questo con i voti della sola maggioranza di cui fanno parte 5 consiglieri di Fd’I. L’approvazione è avvenuta il 22 settembre 2020, un giorno dopo il primo bonifico al partito da parte di Aep, da 25mila euro. Il 27 settembre e il 4 ottobre Fd’I ha organizzato un banchetto in città a favore della costruzione del supermercato Esselunga. Il 23 ottobre Aep ha fatto l’altro bonifico, da 24.500 euro”. E quindi? “Quindi”, dice Caserini, “non mi sembra normale che un costruttore doni soldi a un partito quando sta portando avanti operazioni urbanistiche in cui i rappresentanti di quel partito sono coinvolti”. Coincidenza. Nello stesso periodo poi Aep ha fatto una donazione da 50mila euro al Comitato Giovanni Toti Liguria. Anche in questo caso c’è di mezzo un nuovo supermercato Esselunga. Come rivelato dal Fatto, Aep era infatti impegnata nella realizzazione di un supermercato a Genova per conto della catena di ipermercati.

ARMI E RIFIUTI. Sottomarini militari venduti alle forze armate di mezzo mondo, comprese quelle italiane. C’è anche il gruppo Drass Srl fra i finanziatori di Fd’I. La storica azienda livornese tra il 2019 e il 2020 ha donato 7.500 euro alla sezione toscana del partito. Tra i prodotti di punta della Drass c’è ad esempio il “sottomarino compatto per acque costiere”.

Tra le aziende donatrici di Fd’I c’è poi la Ecoserdiana, che gestisce una discarica a 20 chilometri da Cagliari e il 17 maggio del 2019 ha versato 6mila euro alla sezione sarda del partito. Altra donazione (in questo caso i dettagli sono raccontati nell’articolo accanto) arriva poi dalla Rida Ambiente Srl, società che gestisce una discarica ad Aprilia (Latina) e che il 7 maggio 2019 ha donato 3.200 euro alla sezionale nazionale del partito. Nei mesi scorsi alcuni dei vertici della Rida Ambiente sono finiti nel mirino dei pm di Roma per traffico illecito di rifiuti. “Il procedimento penale deriva da una denuncia del gruppo Cerroni con il quale non corre buon sangue”, spiega il presidente del Cda Fabio Altissimi, oggi indagato. “Abbiamo dimostrato – aggiunge – che (…) Rida Ambiente non ha guadagnato un euro in più di quanto le spettava in base alla tariffa regionale”.

Associazioni. Fd’I però deve aver fatto colpo anche sul mondo delle associazioni. A luglio del 2020 la Confederazione generale dell’Agricoltura ha versato al partito 2800 euro; Confapi – che riunisce le piccole e medie imprese – ne ha invece donati 4 mila. Altri 12500 euro sono arrivati, a settembre 2020, da Confartigianato imprese Marche.

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Tutti sulle barricate! - Marco Travaglio

 

Sarà il caldo. Sarà la variante Delta, più devastante dell’Alzheimer. Sta di fatto che la dittatura sanitaria sta per diventare definitiva con l’ennesima proroga dello stato di emergenza, ma stavolta la Resistenza langue. Basterebbe riunire i partigiani che un anno fa strillavano sulle barricate contro la prima proroga contiana e a ottobre contro la seconda, per risparmiarci almeno quest’ultima, forse irreparabile svolta autoritaria. Ma stavolta il Cln appare svogliato, demotivato, disunito. Qualcuno ha financo scoperto che lo stato di emergenza è previsto dalla legge 225 del 1992 sulla Protezione Civile contro le calamità naturali e consente le ordinanze di PC per soccorsi, assistenza e approvvigionamenti con procedure semplificate e abbreviate: non sfiora nemmeno i poteri del premier, ma ha consentito di creare il Cts e il Commissariato anti-Covid (per gli acquisti di tutto ciò che occorre contro i contagi saltando le lentissime procedure ordinarie: vaccini, mascherine, camici, respiratori, guanti, tamponi, test sierologici, banchi scolastici, braccialetti elettronici…) e di adottare lo smart working senza gli accordi individuali previsti dalla legge. Sottigliezze da legulei. Tantopiù ora che, dopo la lunga e sanguinosa dittatura contiana, è sbocciata la democrazia draghiana. Quindi le forze partigiane di Lega, FI e Iv, con giornaloni e giuristi al seguito, che fieramente si opposero alle proroghe del duce Giuseppi, si mostrino all’altezza della situazione e avvertano subito a Draghi che di qui non si passa.

L’Espresso torni a diffidarlo dall’“allungare l’emergenza per tutto l’anno” come “strumento per conservare il potere”. Ernesto Che Cassese, che ha appena definito “inspiegabile” l’eventuale proroga, ritrovi la verve dei bei tempi e ripeta cento volte: “Anche Orbán cominciò la sua carriera politica su posizioni liberali: lo stato di emergenza è illegittimo”. Vladimir Il’icč Giannini avverta Super Mario che “prorogare fino alla fine dell’anno i suoi ‘poteri speciali’” trasformerebbe “la Camera in votificio” e “lo stato di emergenza in ‘stato di eccezione’”, poi ripubblichi l’editoriale di Cacciari “Un’illogica dittatura democratica”. Fidel Rosato ribadisca che “Palazzo Chigi abusa dell’emergenza”. Rosa Luxemburg Boralevi rituoni contro “il potere che ci tiene in stato d’emergenza come un regime sudamericano”. Il compagno Galli della Loggia ridica basta “forzature e colpi di mano del premier”. Il subcomandante Innominabile, dall’autogrill di Fiano Romano, ripeta con se stesso: “Non abbiamo tolto i pieni poteri a Salvini per darli a Draghi”, che “non ha il mojito, ma vuole un vulnus democratico”. Diamoci da fare: la democrazia è in pericolo, ma forse siamo ancora in tempo.

ILFQ