sabato 27 ottobre 2012

Ergastolo per Salvatore Parolisi "Ha ucciso la moglie Melania.



Il caporale maggiore era l'unico imputato per l'omicidio e il vilipendio di cadavere della donna, uccisa con 35 coltellate il 18 aprile 2011. "Sono innocente". Tolta la potestà genitoriale. Risarcimento di un milione di euro alla figlia.


TERAMO - Salvatore Parolisi è stato condannato all'ergastolo per l'omicidio della moglie Melania Rea,uccisa con 35 coltellate, il 18 aprile 2011 1, a Ripe di Civitella, in provincia di Teramo. Una decisione arrivata in serata, poco prima delle 20, dopo una giornata carica di tensione. A Parolisi sono state inflitte tutte le sanzioni accessorie, dall'interdizione perpetua dai pubblici uffici alla perdita della potestà genitoriale. Inoltre dovrà pagare "la provvisionale di un milione di euro per la figlia Vittoria, 500mila per i genitori di Melania. La sentenza, con il rito abbreviato, è stata emessa dal gup Marina Tommolini dopo circa quattro ore di camera di consiglio. Il caporale non ha assistito alla lettura della sentenza. 

"Innocente, sono innocente", lo ha ribadito ai suoi avvocati Parolisi dopo la condanna. Al rientro nel carcere di Castrogno, alla periferia di Teramo, l'uomo è scoppiato in un pianto dirotto. 

Gli avvocati dell'imputato avevano chiesto l'assoluzione con formula piena. Per l'accusa il caporale degli Alpini meritava l'ergastolo 2: unico imputato dell'omicidio di Melania e del vilipendio del corpo della donna, la difesa ha replicato chiedendo l'assoluzione per non aver commesso il fatto. Nel corso dell'udienza la difesa ha parlato di insussistenza del reato di vilipendio del cadavere, prove scientifiche favorevoli, ora della morte non certa, testimoni a scoppio ritardato dopo aver letto sui giornali i fatti. I legali hanno ammesso alcune bugie di Parolisi "ma come uomo e marito, e non certo come assassino della moglie", ha detto Nicodemo. E ancora: "E' il classico processo da insufficienza di prove, se questo delitto fosse accaduto tra il 1930 e il 1989 Salvatore sarebbe stato prosciolto". Dopo la condanna i legali hanno detto: "Le sentenze non si discutono, si impugnano".

Il dolore dei familiari.  "Non ha vinto nessuno, non ha vinto nessuno", ha detto, con le lacrime agli occhi, il papà di Melania, Gennaro Rea. "E' la fine di un incubo, perché è stato trovato e riconosciuto l'assassino di Melania", ha detto Michele Rea, il fratello di Melania.

Parolisi era stato arrestato una prima volta a seguito di un provvedimento di custodia cautelare emesso il 18 luglio 2011, quando la competenza sulle indagini era ancora della Procura di Ascoli Piceno. Successivamente fu raggiunto, il 2 agosto dello stesso anno, da analoga misura restrittiva emessa dal gip di Teramo Giovanni Cirillo. Da allora è detenuto nel carcere 'Castrogno' del capoluogo.

Applausi per la sentenza. 
In casa Rea, a Somma Vesuviana, stanno arrivando altri parenti. Una delle zie di Melania Rea si è affacciata dal portone della casa dei genitori della donna uccisa dal marito ed ha urlato ai giornalisti: "Avete sentito". Ed ha fatto un breve applauso. La donna ha anche riferito che Vittoria, la mamma di Melania, non se la sente, al momento di rilasciare dichiarazioni.



http://www.repubblica.it/cronaca/2012/10/26/news/melania_il_giudice_in_camera_di_consiglio_la_sentenza_arriver_in_serata-45381272/?ref=HRER3-1

Raid dell'Fbi dal "socio occulto" di Berlusconi. - Paolo Biondani e Luigi Ferrarella



Perquisito da 50 agenti della polizia federale. Trovati a Los Angeles i timbri per simulare le firme dei contratti ad Hong Kong.

MILANO — Dall'Italia, la Procura di Milano chiede aiuto. E gli Stati Uniti lo danno, schierando in forze l'Fbi. Perché la risposta, alla richiesta di collaborazione giudiziaria formulata dai pm milanesi che indagano sulla compravendita all'estero dei diritti cine- tv del gruppo Fininvest- Mediaset, è una perquisizione molto «americana»: il procuratore distrettuale di Los Angeles, Jason Gonzales, ha infatti spedito in Sunset Boulevard 7655, dove lavora il produttore di Hollywood Frank Agrama, più di 50 agenti della divisione «reati dei colletti bianchi» della polizia federale. A sequestrare 10 computer, a svuotare ogni cassetto dei tre piani di uffici e a rovistare in tutti gli angoli della sua villa californiana in Canyon Back Road. L'«attorney» Gonzales ha ordinato il raid dopo essere stato convinto dagli elementi di prova fornitigli dai magistrati italiani e riassunti in un «affidavit» americano (che equivale a un mandato di perquisizione) che definisce Agrama «socio occulto di Silvio Berlusconi». È la stessa accusa ipotizzata dai pm De Pasquale e Robledo nel processo, aperto ieri a Milano, dove Berlusconi e Agrama sono imputati di frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita per i contratti cine-tv intermediati appunto dallo stesso Agrama.
DALLA SVIZZERA AGLI USA — Il 75enne produttore cinematografico di origine egiziana già un anno fa era stato al centro del più grande sequestro di denaro mai eseguito all'estero per un'indagine italiana. Da allora infatti la Svizzera gli ha «congelato», sempre su richiesta dei pm di Milano, oltre 140 milioni di franchi su conti intestati a società offshore, come la «Wiltshire Trading», in apparenza gestita da amministratrici di Hong Kong, come Paddy Yiu Mei Chan e Katherine Chun May Hsu. Fino a un anno fa, i magistrati americani e italiani si scambiavano lettere di fuoco. I primi polemizzavano: «Ci dispiace che il nostro carico di lavoro non ci permetta di spiegarvi nei dettagli i vostri numerosi errori e omissioni». E i milanesi reagivano: «Ci dispiace che il vostro "carico di lavoro" vi impedisca di adempiere pienamente al vostro dovere di collaborazione internazionale». Ora, con Berlusconi non più premier in Italia e Bush indebolito dal voto di metà mandato, i due apparati giudiziari hanno ritrovato sintonia.
I TIMBRI SEQUESTRATI — Forse proprio di quel gelo ora dissolto si era fidato troppo Agrama, se è vero che nella sede della sua società, la Harmony Gold, l'Fbi ha sequestrato uno scatolone che rischia di costargli molto caro, benché contenga soltanto un pugno di timbri. Timbri con firme proprio di Paddy Chan, cioè della manager che in apparenza risultava firmare a Hong Kong i contratti sui diritti cine-tv, mentre Agrama se ne poteva così dichiarare semplice intermediario esterno. Adesso questi timbri, oltre a confermare i dubbi della Procura sulla genuinità grafica delle firme della Chan, accreditano un altro sospetto, grave soprattutto negli Stati Uniti: se i contratti venivano in realtà «fabbricati» a Los Angeles, allora anche i relativi redditi non erano prodotti a Hong Kong, come Agrama ha sempre sostenuto per sfuggire al fisco americano, ma negli Usa. Le stesse autorità giudiziarie e fiscali americane a questo punto potrebbero aprire un procedimento autonomo per evasione contro Agrama, anziché limitarsi ad «assistere» l'inchiesta italiana. Secondo rischio: siccome le identiche firme di quei timbri compaiono sui conti elvetici congelati, ora per Agrama potrebbe aggravarsi anche l'accusa in Svizzera e di certo si allontana la speranza di far dissequestrare i cento quaranta milioni di franchi.
LA DIFESA — All'epoca il difensore di Berlusconi, Niccolò Ghedini, aveva ribadito: «Agrama non è mai stato socio di Berlusconi». Oggi il legale italiano di Agrama, Astolfo Di Amato, commenta: «La perquisizione è sproporzionata, anche perché in Italia è già stata dichiarata la prescrizione di gran parte delle accuse. Comunque non abbiamo paura: l'Fbi non può aver sequestrato ad Agrama documenti compromettenti, perché non ne esistono».

venerdì 26 ottobre 2012

Trattativa Stato-mafia, Cdm: “Governo parte civile nel processo”.


Trattativa Stato-mafia, Cdm: “Governo parte civile nel processo”


La decisione a pochi giorni all'inizio dell'udienza preliminare a Palermo per i 12 imputati. Il pm Di Matteo: "Segnale importante di attenzione alla ricerca della verità". Il procuratore Messineo: "Un fatto positivo". Polemica Idv-Pd. Di Pietro: "Ci siamo riusciti". Garavini: "Avete creato solo caos". L'imputato De Donno ricusa il giudice.

Il Consiglio dei ministri ha deciso che lo Stato, come invocato da più parti e con forza nei mesi e nelle settimane precedenti, si costituirà parte civile nel procedimento sulla trattativa Stato-mafia. La scelta arriva pochi giorni all’inizio dell’udienza preliminare davanti al giudice di Palermo Piergiorgio Morosini che dovrà decidere se rinviare a processo gli imputati. La prima udienza è prevista  lunedì 29 ottobre. 
Il  24 luglio scorso i pm di Palermo aveva chiesto il rinvio a giudizio i dodici personaggi indagati per il presunto patto che, secondo la Procura di Palermo, portò pezzi delle istituzioni a trattare con Cosa nostra, che a colpi di stragi e bombe, voleva spezzare le catene del carcere duro cui erano sottoposti i boss. Un “invito” violento a sedersi allo stesso tavolo della mafia nel periodo che videro i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, gli uomini della scorta e tanti altri innocenti a Milano e Firenze morire.  
”La costituzione di parte civile del Governo può essere un segnale importante di effettiva attenzione alla ricerca della verità su cosa accadde in uno dei periodi più oscuri della nostra storia recente”, commenta il pm di Palermo Nino Di Matteo, titolare dell’indagine sulla trattativa Stato-mafia insieme al procuratore aggiunto Antonio Ingroia. Poco dopo è arrivata anche la dichiarazione del procuratore capo del capoluogo siciliano Francesco Messineo: ”E’ un fatto positivo perché rapporta la nostra determinazione nel cercare la verità in questa vicenda”.
Sul fronte politico, interviene il leader dell’Idv Antonio Di Pietro, da sempre sostenitore della scelta: ”A forza di martellare siamo riusciti a far ammorbidire le pietre che stanno al governo, anche se abbiamo dovuto aspettare fino all’ultimo minuto”. Alla fine, sottolinea Di Pietro, “la decisione dell’esecutivo è arrivata a ridosso dell’udienza preliminare. E’ una scelta che ci sta bene e sta bene agli italiani, ma rimane l’amarezza di quanto abbiamo dovuto lottare, con i denti e con le mani, per una decisione che in realtà era ed è doverosa”.
Nel momentaneo silenzio del centrodestra, la polemica resta confinata nel centrosinistra: ”E’ una scelta positiva che noi abbiamo sostenuto e sulla quale, del resto, il governo aveva dato ampie rassicurazioni”, replica Laura Garavini, capogruppo del Pd in commissione Antimafia. “La campagna di Di Pietro non è stata utile, ha solo creato molto caos, un metodo ben poco costruttivo quando si affrontano temi così delicati”.
Intanto uno degli imputati, l’ex ufficiale dei carabinieri Giuseppe De Donno, ha presentato istanza di ricusazione del gup di Palermo Piergiorgio Morosini. Gli altri imputati sono i mafiosi Salvatore Riina, Nino Cinà, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca; gli alti ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni; senza dimenticare gli esponenti politici Calogero Mannino, Marcello Dell’Utri e Nicola Mancino, ex ministro dell’interno e già presidente dl Senato. Per tutti l’accusa è di attentato a corpo politico dello Stato, tranne che per Mancino, accusato di falsa testimonianza dopo la sua audizione al processo Mori-Obinu del 24 febbraio scorso. Secondo gli inquirenti palermitani, guidati dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia, agirono “per turbare la regolare attività dei corpi politici dello Stato”. Secondo la stessa richiesta di rinvio a giudizio tutti coloro che parteciparono alla trattativa agirono “in concorso con l’allora capo della polizia Vincenzo Parisi e il vice direttore del Dap Francesco Di Maggio, deceduti”: loro avrebbero ammorbidito la linea dello Stato contro la mafia, revocando centinaia di 41 bis. 
Da Palazzo Chigi la nota è di sole poche righe, ma la vicenda giudiziaria, per le sue implicazione, è una delle più importanti degli ultimi: “Il Consiglio dei ministri ha deliberato la costituzione di parte civile del governo all’udienza preliminare del procedimento penale davanti al Tribunale di Palermo a carico di Bagarella Leoluca Biagio e degli altri 11 imputati per i capi di imputazione di interesse dello Stato“. 
Solo due giorni fa Mancino ha chiesto che fosse stralciata la sua posizione per essere giudicato dal Tribunale dei ministri.  Il politico, che si era rivolto al Quirinale per chiedere aiuto, si è sempre dichiarato “estraneo, lo dimostrerò. Dimostrerò la mia estraneità ai fatti addebitatimi ritenuti falsa testimonianza, e la mia fedeltà allo Stato” aveva detto subito dopo la richiesta della Procura di Palermo.  Le telefonate con il presidente della Repubblica, considerate irrilevanti dalla Procura, sono oggetto un conflitto sollevato dal capo dello Stato davanti alla Corte Costituzionale che dovrà decidere se la Procura di Palermo poteva intercettare una conversazione del capo dello Stato che però era stato captato casualmente perché parlava con l’indagato Mancino. Agli atti anche le conversazioni tra l’es ministro e il consigliere di Napolitano, Loris D’Ambrosio, poi morto per infarto.
Secondo la ricostruzione del procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dei sostituti Antonino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene, il primo contatto con Cosa Nostra sarebbe stato cercato da Mannino, che dopo l’omicidio di Salvo Lima era spaventato dall’aggressione di Cosa nostra nei confronti dei politici, incapaci di non aver saputo bloccare le sentenze del maxi processo. La trattativa sarebbe stata poi avviata dai carabinieri del Ros Mori e De Donno che incontrarono più volte don Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo, per arrivare a Riina. Il dialogo tra mafia e Stato sarebbe poi proseguito fino al novembre del 1993 quando l’allora Guardasigilli Giovanni Conso non rinnovó oltre 300 provvedimenti di 41 bis per detenuti mafiosi. L’apice dei contatti tra Stato e anti Stato sarebbe invece stato raggiunto nel 1994 quando Bagarella e Brusca, luogotenenti di Riina (arrestato un anno prima) manifestarono al nuovo premier Silvio Berlusconi “per il tramite di Vittorio Mangano e Dell’Utri” una serie di richieste finalizzate ad ottenere benefici di varia natura.  Secondo i magistrati sarebbero stati reticenti anche Conso e l’ex capo del Dap Adalberto Capriotti, accusati di false informazioni al pm. Per loro peró il codice prevede che il reato contestato rimanga “congelato” fino al primo grado di giudizio dell’indagine principale. 

Il sindaco chiede aiuto al boss: “Questa sera contestano la Minetti”.



Il 14 maggio 2011 Nicole Minetti, già indagata per favoreggiamento della prostituzione nell’ambito del caso Ruby, fu accolta in pompa magna a Sedriano, su invito del sindaco Alfredo Celeste. Quest’ultimo, insegnante di religione ed esponente del Pdl, era altresì noto per la sua strenua lotta contro i matrimoni civili e, ironia della sorte, la prostituzione. La consigliera regionale rivestiva il prestigioso ruolo di madrina dell’evento, che consisteva nella premiazione di un concorso dedicato alla creatività femminile. Il primo cittadino di Sedriano, subodorando l’eventualità di contestazioni, telefona al presunto ‘ndranghetista Eugenio Costantino alla vigilia della serata e gli chiede accoratamente aiuto. “Ho bisogno, se è possibile, della tua presenza” – afferma Celeste – “ecco, porta Massimo e qualche amico. ‘Sti contestatori li affrontiamo noi, nel senso…hai capito?”. Costantino accetta di buon grado la proposta di partecipare alla serata e soprattutto l’ulteriore invito del sindaco. “Dì pure a Teresa di venire” – aggiunge il sindaco – “perchè la voglio presentare come la consigliere più giovane”. Teresa, consigliere comunale di Sedriano nella giunta capeggiata da Celeste, è la figlia di Eugenio Costantino. La stessa che il boss D’Agostino raccomandò per un posto di lavoro all’Aler all’assessore regionale Zambetti il 18 marzo 2011 (ascolta l’intercettazione pubblicata dal fattoquotidiano.it) di Gisella Ruccia.

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/10/26/lintercettazione-sindaco-sedriano-chiede-aiuto-presunto-ndranghetista/208892/


INGROIA A VENTICANO: “LA MIA VOCE” DAL GUATEMALA.


Ingroia a Venticano: “La mia voce” dal Guatemala.
VENTICANO (AV) – “Dal 9 novembre, quando scadrà il mio incarico presso la Procura di Palermo e mi trasferirò in Guatemala, sarò più libero di dire tante cose sulla Trattativa Stato-Mafia, che ora non posso dire. Continuerò ovviamente a partecipare al dibattito, e lo farò anche attraverso dei contributi scritti che pubblicherò su la lanostravoce.info”.
Le parole di Antonio Ingroia (nella foto, con il nostro direttore Andrea Festa), Procuratore aggiunto di Palermo, risuonano in una Sala Consiliare del Comune di Venticano che ribolle di presenza e partecipazione. Ingroia è visibilmente e comprensibilmente provato, eppure riesce ugualmente a dare tono e carica alle sue parole.  “Palermo. Gli splendori e le miserie. L’eroismo e la viltà” è il titolo della sua ultima pubblicazione (edita da Melampo), presentata a Venticano in un incontro organizzato dalla nostra testata. Nel libro affronta l’eterno tema della città siciliana e delle grandi città meridionali: la lotta tra Stato e organizzazioni mafiose, in un contesto sempre difficile e che da sempre rischia di appiattirsi su un equilibrio che andrebbe spezzato.
Verrebbe da definirla “antistato”, ma Ingroia sottolinea proprio quest’aspetto: “La mafia non ha profili eversivi, ma tende ad infiltrarsi negli apparati dello Stato per influenzarne le decisioni e trarne il più grande vantaggio possibile. Ovviamente, garantendosi l’impunità”. Finora c’è stato uno Stato che ha fatto opera di “contenimento, di argine al fenomeno mafioso. Bisogna acquisire un’altra mentalità. La mentalità dell’annientamento”.
Il Procuratore ha potuto constatare anche ieri sera quanto siano ancora vere ed attuali le parole che Falcone pronunciò prima delle stragi di Capaci e di via D’Amelio: “La gente fa il tifo per noi”, disse il giudice a proposito della “primavera palermitana” che soffiava alle spalle del pool, facendo sentire il proprio forte ed incondizionato sostegno. Anche a Venticano, la gente accorsa ha mostrato e dimostrato che c’è ancora chi fa il tifo per un’Italia più giusta.
Ma da dove si parte per raggiungere quest’obiettivo? La parola chiave la mette in evidenza una giovane studentessa, che in una domanda al Procuratore si sofferma sul concetto di intransigenza, sviluppato nel libro. “E’ proprio così”, conferma Ingroia. “E’ l’intransigenza la pietra miliare del cambiamento. C’è bisogno di un’intransigenza morale, di un rigore morale ed etico, che ci porti a rifiutare sdegnosamente anche solo il puzzo del compromesso. E’ quello che ci hanno insegnato Falcone e Borsellino, ed è quella la chiave per una rinascita sociale. Non si può che partire dall’intransigenza: essa conduce inevitabilmente al rinnovamento, basato sul concetto di legalità”.
A proposito di legalità, Ingroia si è commosso quasi fino alle lacrime quando Rossella Iacobucci – cittadina e  membro del Comitato “Resistenza Operaia” vicino ai lavoratori dell’Irisbus (stabilimento Fiat di Valle Ufita, in provincia di Avellino) -, ha letto un’accorata lettera di sostegno e solidarietà al Procuratore. Nelle parole della Iacobucci, al fianco di settecento operai che vivono da un anno il dramma della perdita del posto di lavoro e lottano per un proprio diritto, c’era tanta ammirazione per il lavoro di Ingroia a favore di un’Italia più giusta e basata sulla legalità.
A nome dei lavoratori, Rossella Iacobucci ha poi chiesto al Procuratore aggiunto di Palermo di“aiutarci a scoprire le connivenze tra società di gestione dei trasporti (veri e propri carrozzoni politici), istituzioni silenti e centri di revisione che certificano come idonei anche i mezzi catalogati come pericolosi e da rottamare”. Non solo. I dipendenti della Irisbus che si riconoscono nel comitato “Resistenza Operaia” hanno concluso con una richiesta precisa: “Noi le chiediamo di indirizzarci la strada per costituirci parte civile e tentare di far rispettare le norme europee e la sicurezza dei cittadini, bloccando gli autobus che circolano fuori norma”.  Richiesta che Ingroia ha accolto, “per quello che mi sarà possibile da Palermo, perché anche la difesa del posto di lavoro è un momento di legalità. Dove si toglie lavoro – ha spiegato – arriva la criminalità”.
E qui il timone non può che spostarsi su un altro argomento-chiave, quello della verità. La verità soprattutto nei rapporti, “da sempre esistiti (si pensi allo sbarco delle truppe Alleate in Sicilia nell’estate del 1943)”, tra la mafia e le istituzioni dello Stato. “Un paese che non accerti la verità – afferma Ingroia – è un paese lontano dall’essere una democrazia vera e compiuta”. Giungere a questo risultato non è cosa semplice, ma è l’obiettivo, “oltre che di magistrato, di uomo: ho giurato sulla bara di Paolo (Borsellino, ndr) che avrei fatto di tutto per scoprire la verità, e non avrò pace finché non ci sarò riuscito”.
La “gente comune” può avere un ruolo in questo processo? Ingroia non ha dubbi: sì. Può dare una spinta importante a chi agisce  per questo fine. Egli parla delle “primavere antimafia”, che arrivano con una certa ciclicità. E se è vero che “viviamo un momento storico in cui il potere politico pare essere fortemente connivente con il potere delle organizzazioni mafiose, è vero anche che a questo, in passato, è seguita una nuova primavera, che dunque ora potrebbe essere alle porte”.
Il difficile ruolo che Antonio Ingroia si appresta a ricoprire in Guatemala, al servizio dell’Onu, contro il narcotraffico, lo manterrà in trincea. Ne sentiremo la mancanza (qualcuno un po’ meno), ma quando tornerà in Italia sarà forte di un’ottima palestra.

Mediaset, Berlusconi condannato a 4 anni ma 3 sono “indultati”.


Assolto Fedele Confalonieri "per non aver commesso il fatto". Per i giudici di Milano è stata una "evasione notevolissima". L'ex premier, interdetto dai pubblici uffici per 3 anni, dovrà versare, insieme agli altri imputati, tra cui il suo "socio occulto" Frank Agrama, un risarcimento di 10 milioni all'Agenzia delle entrate.




I giudici di Milano hanno condannato Silvio Berlusconi a quattro anni nell’ambito del processo sui diritti Mediaset. Tre anni al produttore cinematografico Frank Agrama, considerato dalla Procura di Milano il “socio occulto” del Cavaliere.  Il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, è stato assolto per “non aver commesso il fatto”, mentre al manager Daniele Lorenzano è stata inflitta una condanna a 3 anni e 8 mesi. Un’altra manager Gabriella Galetto è stata condannata a un anno e due mesi. Le pene, come ha letto in dispositivo il presidente Edoardo D’Avossa, sono condonate nella misura di tre anni grazie all’indulto (articolo 1 della legge 241 del 2006, ndr). Per l’ex presidente del Consiglio i giudici hanno stabilito come pena accessoria l'’interdizione dai pubblici uffici per tre anni (che diventerà esecutiva se e quando la sentenza passerà in giudicato e dopo il terzo grado, ndr) e l’interdizione a contrattare con la pubblica amministrazione. Agli imputati, in totale undici, veniva contestata la frode fiscale. I giudici hanno disposto un versamento a titolo di provvisionale di 10 milioni di euro da parte degli imputati condannati all’Agenzia delle Entrate. Per Paolo Del Bue (Arner Bank) è stata dichiarato il non luogo procedere per intervenuta prescrizione. Gli altri imputati sono stati assolti o si sono visti riconoscere la prescrizione del reato. La sentenza dovrà essere pubblicata nella sua interezza sul Sole24ore. I giudici hanno letto contestualmente le motivazioni della loro decisione; con il sistema dei costi gonfiati nella compravendita di diritti tv, è stata realizzata “una evasione notevolissima” quantificata  in 17,5 miliardi di lire nel 2000; in 6,6 milioni di euro nel 2001, in circa 4 milioni nel 2002, e in circa 2 milioni nel 2003. I giudici richiamano anche una testimonianza, nella quale si parla di un sistema “per evidenti fini di evasione fiscale”. Sistema che, secondo i giudici, anche altri testi hanno confermato.

I magistrati giudicanti hanno superato di quattro mesi la richiesta dell’accusa nei confronti del leader del Pdl. Il pm Fabio De Pasquale aveva chiesto 3 anni e 8 mesi e in requisitoria aveva detto che Silvio Berlusconi “aveva lasciato le sue impronte digitali“ sul sistema ”truffaldino” di ”maggiorazione dei costi” dei diritti tv acquistati da Mediaset, tra il 1994 e il 1998. C’era lui secondo la pubblica accusa “all’apice della catena di comando del settore’‘ ed era lui ad avere ”il controllo su Fininvest, che ha organizzato la frode”. E sempre all’ex presidente del Consiglio poi ”sono riconducibili i conti bancari dove sono stati versati i fondi neri”, che sarebbero stati realizzati con le compravendite ‘gonfiate’.
Quello sulle presunte irregolarità nella compravendita dei diritti tv da parte di Mediaset, davanti ai giudici della prima sezione penale è uno dei tre processi milanesi in corso a carico dell’ex premier, oltre a quello sul caso Ruby e all’altro con al centro la fuga di notizie sull’intercettazione Fassino-Consorte ai tempi della scalata alla Bnl. Per la vicenda ‘Mills’, invece, a febbraio era stata decretata la prescrizione (le parti hanno tempo fino ai primi di luglio per ricorrere in appello), mentre per il caso Mediatrade la Cassazione ha confermato nei giorni scorsi il proscioglimento di Berlusconi. Un’assoluzione questa, in un procedimento ‘parallelo’ sempre sui diritti tv, di cui i giudici della prima sezione, secondo gli avvocati Ghedini e Longo, avrebbero dovuto tenere conto. 
Nello schema delineato dall’accusa, i dirigenti Fininvest/Mediaset, avvalendosi di intermediari e società compiacenti, avrebbero, infatti, gonfiato i costi d’acquisto dei diritti dei film da trasmettere in tv (”3 mila titoli in 4 anni, comprati con 12 mila passaggi contrattuali”) per creare fondi neri. E così, stando all’imputazione, nei bilanci Mediaset degli anni 2001-2002-2003 sarebbero finiti ”circa 40 milioni di euro di costi gonfiati”. E i soldi ottenuti dalla presunta frode? Secondo il pm, “circa 250 milioni di dollari sono rimasti nel ‘comparto riservato (il cosiddetto ‘gruppo B’, ndr) di Fininvest”. E queste ”società nascoste”’ – alcune delle quali, ”quelle maltesi” in particolare, avrebbero avuto un ruolo nelle ”vendite fittizie e ‘spezzettate”’ – erano, ha affermato De Pasquale, ”proprio di Berlusconi come persona fisica”. Allo stesso ex premier poi, ”che era anche, da tempo immemorabile, in stretti rapporti col produttore americano Frank Agrama (per lui chiesti 3 anni e 8 mesi di condanna, ndr)”, sarebbero riconducibili anche ”i conti bancari” da cui sarebbe transitata ”la cresta”: quei presunti fondi neri passati per ”conti svizzeri e delle Bahamas o in quelli del fiduciario Del Bue di Arner Bank” e poi ”usciti con prelievi in contanti”. Una ricostruzione che oggi i giudici sembrano aver accolto. Un anno fa circa i giudici, su richiesta della Procura, aveva riconosciuto la prescrizione del reato a un imputato eccellente: l’avvocato David Mills, già condannato per essere stato corrotto da Berlusconi per mentire in due processi. La Cassazione, confermando il quadro accusatorio, aveva dichiarato la prescrizione. Stesso destino per il Cavaliere, la cui posizione era stata stralciata per l’incostituzionale Lodo Alfano.
Una sentenza assolutamente incredibile che va contro le risultanze processuali. Addirittura non si è tenuto conto delle decisioni della Corte di Cassazione e del giudice di Roma, che per gli stessi fatti hanno ampiamente assolto il Presidente Berlusconi” affermano in una nota congiunta i legali di Silvio Berlusconi, Niccolo’ Ghedini e Piero Longo. Uno dei legali di Confalonieri, l’avvocato Alessio Lanzi, ha invece dichiarato: ”Giustizia è fatta. Tecnicamente non ha mai commesso nessun reato. Nessuno dei testi lo ha mai indicato come partecipante all’acquisto dei diritti. Bisogna capire perché per altre persone non c’è stata l’assoluzione”. 

Campania, danni all'erario per 43 milioni. Bassolino e altri 16 citati in giudizio.



Napoli - (Adnkronos) - Oltre all'ex governatore, coinvolti anche l'ex ministro Willer Bordon e l'ex sottosegretario Raffaele Morese. L'operazione avrebbe fatto chiarezza su un enorme spreco di denaro pubblico nell'ambito del settore delle bonifiche ambientaliMoody's mette sotto osservazione il rating di Napoli su buco da 430 mln.

Napoli, 25 ott. (Adnkronos) - La Guardia di Finanza del comando provinciale di Napoli - Nucleo di polizia tributaria - al termine di una lunga indagine coordinata dalla procura della Corte dei Conti della Campania ha notificato un atto di "citazione in giudizio" a 17 persone, tra cui l'ex presidente della Regione Campania Antonio Bassolino, l'ex ministro Willer Bordon, l'ex sottosegretario Raffaele Morese.
L'operazione, condotta dalle Fiamme gialle, avrebbe fatto chiarezza su un enorme spreco di denaro pubblico nell'ambito del settore delle bonifiche ambientali, nella fattispecie nella zona flegrea e domiziana e nell'agro aversano, che avrebbe determinato danni all'erario per 43 milioni di euro.
Ha operato il Gruppo Tutela Spesa Pubblica della Guardia di Finanza che ha ricostruito nel dettaglio ''la complessa vicenda riferita ad un contratto stipulato nel 2002 tra la società Jacorossi Imprese Spa, la Regione Campania e il commissariato di governo per l'emergenza bonifiche e la tutela delle acque della Regione Campagnia - spiegano gli investigatori - per la realizzazione del progetto piano per la gestione degli interventi di bonifica e rinaturalizzazione dei siti inquinati del litorale Domizio flegreo ed Agroaversano''.
In base alle indagini svolte dalle Fiamme Gialle il viceprocuratore generale della Corte dei Conti, Pierpaolo Grasso ha potuto rilevare ''che l'affidamento dell'appalto era intervenuto non solo senza gara pubblica ed in assenza della prevista certificazione Soa, necessaria a comprovare la capacità tecnica ed economica dell'impresa per l'esecuzione dell'appalto pubblico ma anche in dispregio dei vari pareri negativi espressi dai competenti uffici ministeriali e dall'Anpa (Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente)''. Infatti tali enti avevano subito evidenziato che il progetto della Jacorossi fosse carente di numerose informazioni necessarie per un'adeguata valutazione dell'opera da realizzare.
I citati in giudizio oltre a Bassolino nella sua qualità di ex presidente della Regione Campania e di ex commissario straordinario per le bonifiche e dell'ex ministro all'Ambiente Bordon e dell'ex sottosegretario Raffaele Morese sono l'ex assessore regionale alla Pubblica istruzione Adriana Buffardi, i due subcommissari Raffaele Vanoli e Arcangelo Cesarano, il vicepresidente della Giunta regionale dell'epoca Antonio Valiante e tutti gli ex assessori che si sono succeduti nel tempo: Vincenzo Aita, Gianfranco Alois, Luigi Anzalone, Teresa Armato, Ennio Cascetta, Maria Fortuna Incostante, Federico Simoncelli, Marco Di Lello, Luigi Nicolais e Rosalba Tufano.

http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/Campania-danni-allerario-per-43-milioni-Bassolino-e-altri-16-citati-in-giudizio_313827579704.html