Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 23 luglio 2014
Fede: “La storia di Berlusconi? Mafia, mafia, mafia. Sosteneva famiglia Mangano”. - Giuseppe PIpitone
In una conversazione registrata di nascosto dal suo personal trainer, l'ex direttore del Tg4 parla dei rapporti tra il fondatore della Fininvest, Dell'Utri e Cosa nostra. E ai pm di Palermo racconta di un incontro durante il quale l'ex Cavaliere raccomandò al suo braccio destro, ora in carcere per concorso esterno, di "ricordarsi" della famiglia del mafioso all'epoca detenuto e sotto interrogatorio. ll giornalista: "Tutto falso, mie dichiarazioni manipolate".
Quando Marcello Dell’Utri veniva a Palermo doveva ricordarsi della famiglia di Vittorio Mangano, doveva ricordarsi di “sostenerla”. In che modo e perché dovesse sostenerla è un mistero. Ma per evitare che se ne dimenticasse, Silvio Berlusconi in persona, almeno in un’occasione, si è adoperato per rammentarglielo. A raccontarlo ai pubblici ministeri di Palermo non è un mafioso pentito, e non è nemmeno un collaboratore di giustizia. L’inedito episodio arriva invece dalla viva voce di un uomo che per oltre vent’anni è stato al fianco dell’ex premier: Emilio Fede.
L'ex direttore del Tg4 ha raccontato ai pm di un incontro tra Berlusconi e lo stesso Dell’Utri, appena arrivato a Milano dopo un soggiorno a Palermo. Ad Arcore, Fede si sta intrattenendo con l’ex premier, quando ecco che arriva Dell’Utri. “Mi alzai per allontanarmi” dice Fede interrogato da Antonino Di Matteo e Roberto Tartaglia nel maggio scorso. “Lo scambio di frasi è stato brevissimo” aggiunge. E poi spiega che Berlusconi, ancor prima di salutare l’ex senatore oggi detenuto, esordisce immediatamente con: “Hai novità? Mi raccomando ricordiamoci della sua famiglia, ricordiamoci di sostenerla”.
La famiglia da sostenere è quella di Vittorio Mangano, il boss di Porta Nuova, l’ex stalliere di Villa San Martino, l’uomo assunto dall’amico Marcello nel 1974 per garantire la protezione della famiglia Berlusconi. Ma sostenerla come? E perché? “Chiedono riferimenti su di te” dice Marcello all’amico Silvio, sotto gli occhi di Fede. Per i magistrati i riferimento è agli interrogatori in quel momento in corso, durante i quali a Mangano, che era detenuto, veniva chiesto appunto dei rapporti con l’ex presidente di Publitalia e con Berlusconi.
L’ex direttore del Tg4 non ha saputo collocare con certezza l’evento nel tempo: per Fede il rapido scambio di battute tra Dell’Utri e Berlusconi sarebbe di poco antecedente alla discesa in campo dell’ex cavaliere, nel 1994. Mangano però all’epoca era libero: finirà dentro soltanto dopo, ed è per questo che per i magistrati l’episodio è verosimilmente collocabile tra il 1995 e il 1996.
Dalle parti di Arcore quello è un periodo difficile : la Lega ha da poco fatto cadere il primo governo Berlusconi, Dell’Utri è finito indagato dalla procura di Palermo per concorso esterno a Cosa Nostra, mentre Mangano viene arrestato e sbattuto nel supercarcere di Pianosa in regime di 41 bis. È lì che i pm lo interrogano, che gli “chiedono riferimenti” su Berlusconi, sul periodo passato ad Arcore. La bocca del boss di Porta Nuova, però, resta cucita. Ed è per questo che anni dopo Marcello e Silvio lo eleggeranno al rango di loro “eroe” personale.
Perché se avesse parlato, Mangano di cose da raccontare ne avrebbe avute parecchie. Ricordi in bianco e nero, degli anni ’70, quando si trasferisce con la famiglia ad Arcore, dove ogni mattina accompagna a scuola i piccoli Marina e Piersilvio, che poi ogni pomeriggio giocano con sua figlia Cinzia, oggi detenuta a sua volta per mafia.
Ma non solo. Perché il fil rouge che unisce l’ex cavaliere al boss di Porta Nuova non si ferma agli anni ’70. Continua anche dopo. Continua per esempio il 26 settembre del 1993, quando Giovanni Brusca legge sull’Espresso che Dell’Utri sta creando un nuovo partito: il settimanale racconta anche del vecchio lavoro da fattore di Arcore di Mangano. Una storia che Brusca non conosce. Ma che fa comodo a Cosa Nostra, in quel momento precipitata in una situazione di grave difficoltà: Riina è in carcere, la trattativa a suon di bombe con lo Stato non ha portato i risultati sperati, mentre le condizioni carcerarie per i boss detenuti sono sempre più difficili. È così che Mangano torna a Milano nel novembre del 1993 e prende un appuntamento con Dell’Utri, come risulta dalle stesse agende dell’ex senatore.
Secondo Brusca a fare da cerniera tra Dell’Utri e Mangano sono le cooperative che gestiscono la pulizia degli uffici Fininvest: sono gestite da Antonino Currò e Natale Sartori, due messinesi amici di vecchia data del boss di Porta Nuova, che tra i loro dipendenti hanno assunto anche due delle tre figlie di Mangano. È un legame forte quello tra Sartori e Mangano: quando il boss di Porta Nuova viene arrestato, l’imprenditore messinese si precipita a Palermo. E dall’altra parte la conoscenza tra Sartori e Dell’Utri risale agli anni ’80. Sartori e Currò verranno poi processati e assolti per mafia. “Sono arrivate le arance” sarebbe, secondo Brusca, il messaggio in codice per comunicare ai piani alti di Fininvest che Mangano era a Milano, negli stessi mesi in cui secondo la procura di Palermo viene siglato il nuovo Patto Stato-mafia.
Passa un anno e Dell’Utri finisce indagato per mafia, mentre Mangano viene arrestato: è da quel momento, che Berlusconi chiede all’amico Marcello di ricordarsi della famiglia Mangano. Di sostenerla. Come e perché non è dato sapere. Rimane solo un frammento di conversazione, ascoltato da Fede e messo a verbale vent’anni dopo, quando ai pm che indagano sulla trattativa Stato-mafia arriva la registrazione di una conversazione dalla procura di Monza. Un file realizzato con il telefonino da Gaetano Ferri, personal trainer di Fede, che nel luglio del 2012 registra una conversazione con l’ex direttore del Tg4, all’insaputa di quest’ultimo.
Nella registrazione all’esame degli inquirenti si sente Fede che spiega alcuni passaggi dei collegamenti tra Arcore, Dell’Utri e Cosa Nostra. In un brano pare fare riferimento all’incontro Berlusconi-Dell’Utri citato nella deposizione ai pm. “Mangano era in carcere. Mi ricordo che Berlusconi arrivando… ‘hai fatto?’…’sì sì..gli ho inviato un messaggio… gli ho detto a Mangano: sempre pronto per prendere un caffè’”.
Spiega Fede a Ferri: “C’è stato un momento in cui c’era timore e loro avevano messo Mangano attraverso Marcello” spiega Fede al suo interlocutore. Che ribatte: “Però era tutto Dell’Utri che faceva girare”. “Si, si era tutto Dell’Utri, era Dell’Utri che investiva” risponde Fede. Poi il giornalista si pone una domanda retorica con risposta annessa: “Chi può parlare? Solo Dell’Utri. E devo dire che in questo Mangano è stato un eroe: è morto per non parlare”. Aggiunge Fede: “Guarda a Berlusconi cosa gli sta mangiando. Perche’ lui e’ l’unico che sa. Ti rendi conto che ci sono 70 conti esteri, tutti che fanno riferimento a Dell’Utri?”. Quindi il giornalista fornisce al suo personal trainer la sua estrema sintesi di quarant’anni di potere economico e politico: “La vera storia della vicenda Berlusconi? Mafia, mafia, mafia, soldi, mafia”.
“E’ tutto falso, l’ho già detto ai magistrati e ho denunciato quel truffatore per calunnia e minacce gravi”, replica Fede all’Ansa. “Lui ha manipolato le mie dichiarazioni”. In serata è intervenuto anche il legale di Marcello Dell’Utri, Giuseppe Di Peri: “In relazione alla conversazione tra Ferri e Fede, registrata dallo stesso Ferri, l’ex direttore del Tg4 chiarisce immediatamente ai pm, durante l’interrogatorio di maggio, lo spessore criminale del suo interlocutore, aduso a calunniare e a estorcere denaro”. Secondo il legale, “quel che risulta in buona sostanza dall’interrogatorio di Fede è che lo stesso abbia escluso in modo categorico di essere a conoscenza di comportamenti men che leciti da parte di Berlusconi e Dell’Utri o di sapere di conti esteri attribuiti a Dell’Utri”. E i conti all’estero di Dell’Utri? “Fede – ha spiegato il legale – ha precisato inoltre ai magistrati che la circostanza che Dell’Utri sarebbe intestatario di ben 70 conti esteri è frutto di una vera e propria manipolazione della conversazione effettuata dallo stesso Ferri”. “La registrazione – ha concluso – non è altro che un’ulteriore visibile tentativo di strumentalizzazione a fini utilitaristici”.
La registrazione dovrà essere esaminata, ma esiste. Dal file audio emergono anche vicende più legate all’attualità: “A Samorì (Gianpiero Samorì, imprenditore modenese accreditato a un certo punto come delfino di Berlusconi, ndr) che voleva passare con Berlusconi io gli avevo dato una mano… poi è intervenuto Dell’Utri e gli faccio rivolgiti a Dell’Utri, ma stai attento perché Dell’Utri è un magna magna. Mi ha detto Samorì ‘cazzo se non avevi ragione… gli ho chiesto mettimi in lista e sai cosa mi ha chiesto: 10 milioni di euro’”.
martedì 22 luglio 2014
Galan, la Camera autorizza l’arresto con 395 sì. “Sono incazzato, sapete con chi”.
L'ex governatore del Veneto, accusato di corruzione, non era in Aula per motivi di salute ma è stato dimesso. Forza Italia aveva chiesto lo slittamento della decisione. Anche la Lega favorevole alla richiesta della Procura di Venezia. Il legale: "Probabile ricovero in centro clinico carcerario". Berlusconi: "Profondamente addolorato".
“Sono incazzato e sapete benissimo con chi”. Giancarlo Galan è uscito in carrozzina dall’ospedale di Este, dove era stato ricoverato da diversi giorni. È quindi salito su un’ambulanza (nella foto) che si è allontanata diretta verso casa a Cinto Euganeo. Da dove ha chiamato i carabinieri. La Camera ha autorizzato l’arresto del deputato con 395 sì e 138 no, dopo aver bocciato la richiesta di rinvio presentata da Forza Italia. L’ex ministro è accusato di corruzione nell’inchiesta sul Mose di Venezia che il 4 giugno ha portato a 35 arresti, tra i quali quello del sindaco della città lagunare Giorgio Orsoni. Chi gli è vicino descrive l’ex ministro “imbestialito ed incredulo” rispetto alla decisione dei medici dell’ospedale di dimetterlo, provvedimento che non si aspettava.
Il deputato quindi questa mattina non si era presentato in aula perché ancora ricoverato nel reparto di Medicina dell’ospedale di Este (Padova), dopo una decina di giorni trascorsi in Cardiologia. Dopo il voto sull’arresto si è appreso da fonti della Usl 17 di Padova che in mattinata i medici avevano già firmato una lettera di dimissioni, ma l’ex governatore era rimasto nella sua stanza d’ospedale. Vista l’autorizzazione concessa, l’avvocato Antonio Franchini, che assieme al collega Nicolò Ghedini assiste Galan, ha annunciato che presenterà richiesta al gip perché conceda gli arresti domiciliari.
Quale sarà ora la sorte del deputato? “Può succedere che vada in un centro clinico carcerario a Parma, Opera o Bologna, può darsi che resti qui o che vada in carcere in infermeria”, speiga l’avvocato Franchini. “Ma, non credo in una cella”. La lettera di dimissioni, spiega l’altro codifensore Nicolò Ghedini, “contiene ovviamente tutta una serie di prescrizioni e cure. Non sappiamo ora cosa succederà. Vedremo cosa deciderà il giudice”.
Proprio le condizioni di salute di Galan e l’impossibilità di intervenire in aula erano stati alla base della richiesta di rinvio presentata da Forza Italia all’inizio della seduta. A far slittare il voto ha provato anche Antonio Leone di Ncd, che aveva chiesto alla Camera un’inversione dell’ordine del giorno per esaminare il decreto legge Carceri. Ma anche questa richiesta era stata respinta e la discussione è proseguita.
Si sono pronunciate a favore dell’arresto Sel, con Claudio Fava, e la Lega Nord, con Matteo Bragantini, che ha sottolineato il fatto che i deputati sono chiamati a pronunciarsi soltanto sull’eventuale “fumus persecutionis”, non ravvistato contro l’ex governatore della Regione Veneto. Una posizione presa male da Forza Italia: “È un fatto politico rilevante e grave che la Lega voti per l’arresto di Galan. Il garantismo dovrebbe contare qualcosa nella futura coalizione. O no?”, ha subito twittato Daniele Capezzone. Sì all’arresto anche da parte di Scelta civica.
In sede di dichiarazione di voto, Leone dell’Ncd è tornato alla carica sottolineando che il fumus, “contrapposto all’arrosto”, è tale anche quando è percepito appena: “Basta un sentore”. Per Forza Italia, Giancarlo Chiarelli ha ravvisato il “fumus” nella stessa richiesta di arresto, a suo avviso “errata” rispetto a quanto emerso dall’inchiesta. Ultimo a intervenire, il Pd, che con Anna Russomando ha ribadito il sì all’arresto di Galan: “”Ci sentiamo anche noi paladini del garantismo”, ha spiegato, “ma le battaglie per l’applicazione delle garanzie dei cittadini non si fanno nelle Giunte. Noi le facciamo nelle sedi opportune”.
Galan è accusato dalla Procura di Venezia di aver agevolato l’iter di approvazione della varie fasi del Mose – il contestato sistema di dighe mobili contro l’acqua alta, un affare da oltre 5 miliardi di euro – in cambio di denaro. Addirittura di uno “stipendio fisso”, come ha affermato davanti ai pm la sua ex segretaria Claudia Minutillo. Stipendio che l’altro grande accusatore Giovanni Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova concessionario dell’opera, ha quantificato in circa un milione di euro l’anno. All’ex presidente del Veneto sono contestate anche altre consegne di denaro e la ristrutturazione di una villa a Cinto Euganeo. Nell’ambito dell’inchiesta Mose sono emersi anche affari da decine di milioni di euro della famiglia Galan in Indonesia, nel settore gas.
“Sono profondamente addolorato per il voto parlamentare che ha dato il via libera all’arresto di Galan. Trovo particolarmente ingiusto che, non accettando il rinvio del voto proposto da Forza Italia, sia stato impedito a Galan di essere presente in Aula - scrive in una nota Silvio Berlusconi - per potersi difendere dalle accuse che gli sono state rivolte. Sono vicino a Giancarlo, della cui correttezza dopo trent’anni di collaborazione e amicizia sono assolutamente certo, in questo momento così drammatico e difficile”.
Fede registrato, Dell'Utri sa e "mangia" Berlusconi.
Conversazione tra l'ex direttore del Tg4 e il suo personal trainer: "A Marcello fanno riferimento 70 conti esteri".
"Guarda a Berlusconi cosa gli sta mangiando. Perché lui è l'unico che sa... Ti rendi conto che ci sono 70 conti esteri, tutti che fanno riferimento a Dell'Utri?". E' una conversazione tra Emilio Fede e il suo personal trainer, Gaetano Ferri, in cui si fa riferimento a Marcello Dell'Utri. Il dialogo è stato registrato da Ferri che l'ha consegnato ai magistrati di Monza.
La conversazione tra l'ex direttore del Tg4 e Ferri è del 2012. Dopo avere "ripulito" il sonoro dai rumori di sottofondo, a maggio la Procura lombarda l'ha mandata ai pm di Palermo. Ora l'intercettazione" è stata depositata agli atti del processo sulla trattativa Stato-mafia. Molti brani del dialogo sono scarsamente comprensibili. "C'è stato un momento in cui c'era timore ....- dice Fede - Che loro hanno messo Mangano (il boss morto in carcere noto come lo stalliere di Arcore ndr) attraverso Marcello (Dell'Utri ndr)". "La vera storia della vicenda Berlusconi - prosegue - ...mafia, mafia ...soldi, mafia, soldi...Berlusconi". "Sì, sì - aggiunge Fede - Dell'Utri era praticamente quello che investiva...Chi può parlare? Solo Dell'Utri". "Mangano era in carcere. Mi ricordo che Berlusconi arrivando - dice Fede riportando una sorta di dialogo tra Berlusconi e Dell'Utri - ..'hai fatto?'...'sì sì..gli ho inviato un messaggio..gli ho detto a Mangano: sempre pronto per prendere un caffè'". "Era un messaggio per rassicurare lui su certe cose che non so..- spiega a Ferri - E devo dire che questo Mangano è stato un eroe. E' morto per non parlare".
Fede: tutto falso, l'ho già denunciato per calunnia
"E' tutto falso, l'ho già detto ai magistrati e ho denunciato quel truffatore per calunnia e minacce gravi". E' la replica all'ANSA del giornalista Emilio Fede, ex direttore di Retequattro, alla registrazione di un presunto dialogo con il suo personal trainer. "Lui ha manipolato le mie dichiarazioni - ha aggiunto Fede.
Riforme, Napolitano: “Discussione libera nessun autoritarismo. E ora la giustizia”.
Il presidente della Repubblica ha affrontato il tema durante la cerimonia del Ventaglio al Quirinale, chiedendo di "superare l’estremizzazione dei contrasti". Il clima è ora maturo "per condurre a conclusione" la riforma della giustizia, ha detto il capo dello Stato facendo riferimento alle parole di elogio rivolte da Berlusconi ai magistrati dopo l'assoluzione nell'appello del processo Ruby. Grillo: "Napolitano-Renzi-ex Cav peggio di Mussolini".
Le riforme non si toccano. Il Colle blinda senza esitazione la Costituzione che verrà fuori dal processo di modifica della Carta avviato dal governo di Matteo Renzi. Nella tradizionale cerimonia del Ventaglio, Giorgio Napolitano si erge a scudo del lavoro dell’esecutivo contro “spettri di insidie e macchinazione di autoritarismo” e così facendo suggella la rilevanza del patto del Nazareno stretto dal premier con Silvio Berlusconi. Proprio nel solco di quest’intesa, secondo Napolitano, dovrà essere finalmente avviata la riforma della giustizia. L’inquilino del Quirinale cita testualmente l’ex Cav per spiegare la molla che ha innescato il cambiamento: è arrivato “il riconoscimento espresso nei giorni scorsi da interlocutori significativi (Berlusconi, ndr) per ‘l’equilibrio e il rigore ammirevoli’ dei magistrati”. Le stesse parole usate dall’ex premier dopo l’assoluzione incassata nell’appello del processo Ruby.
Non si agitino spettri di insidie e macchinazione di autoritarismo” sulla riforma del Senato”, scandisce Napolitano, il cui appello fa seguito alle recenti prese di posizione di Matteo Renzi (durante l’ultimo incontro con il M5S) e del ministro Boschi (ieri in Senato) contro le critiche del Movimento 5 Stelle. E ancora: ”La discussione sulle riforme è stata libera, basta con i pregiudizi”, avverte il capo dello Stato. Il cammino intrapreso va portato a termine e ora la necessità è quella di “superare l’estremizzazione dei contrasti” nella “espressione del dissenso” sulle riforme, un’estremizzazione “ingiusta e rischiosa”. ”Le ostilità” alle riforme costituzionali, ha detto ancora Napolitano, sono “dettate da una pregiudiziale diffidenza e contestazione che pregiudicherebbero ancora una volta l’esito della riforma della seconda parte della Costituzione”.
La Carta va cambiata perché “il bicameralismo paritario va superato, è una anomalia tutta italiana, un’incongruenza costituzionale sempre più indifendibile e fonte di gravi distorsione del processo legislativo”, ma “paradossalmente ha finito nelle polemiche recenti per essere quasi idoleggiato come un perno del sistema di garanzie costituzionali”, ha aggiunto Napolitano. D’altra parte quello delle riforme “è un impegno di cui il governo Renzi si è fatto iniziatore su mandato dello stesso Parlamento” che si espresse “a schiacciante maggioranza” nel maggio 2013. Il lavoro sarà lungo: dopo Senato e Titolo V, il parlamento sarà chiamato a definire la futura legge elettorale e Napolitano invita le parti politiche a trovare un accordo per non incappare in problemi di costituzionalità: “Il testo varato in prima lettura dalla Camera sulla riforma elettorale è destinato ad essere ridiscusso con la massima attenzione per criteri ispiratori e verifiche di costituzionalitàche possono indurre a concordare significative modifiche”.
Ma all’orizzonte ci sono già altri obiettivi e Napolitano è ottimista: “Per condurre a conclusione” la riforma della giustizia ”si delineano forse le condizioni per una condivisione finora mancata”. Cosa è cambiato? “E’ arrivato “il riconoscimento espresso nei giorni scorsi da interlocutori significativi per ‘l’equilibrio e il rigore ammirevoli’ che caratterizzano il silenzioso ruolo della grande maggioranza dei magistrati”. L’interlocutore significativo è Silvio Berlusconi che, assolto dalla Corte d’Appello di Milano nel processo Ruby, ha espresso ”un pensiero di rispetto va poi alla Magistratura, che ha dato oggi una conferma di quello che ho sempre asserito: ovvero che la grande maggioranza dei magistrati italiani fa il proprio lavoro silenziosamente, con equilibrio e rigore ammirevoli“.
Un passaggio del discorso ha riguardato anche la partita che il governo Renzi sta giocando in Europa: la nomina del ministro degli Esteri, Federica Mogherini, al vertice della diplomazia di Bruxelles: “L’Italia si considera in grado di concorrere su una sua personalità” alla figura di Alto Rappresentante per la politica estera europea “. Napolitano ha fatto, poi, cenno anche alle voci che si rincorrono da tempo sulla fine anticipata del suo mandato. ”Vorrei potervi dissuadere dal gioco sterile delle ipotesi sull’ulteriore svolgimento delle mie funzioni da presidente – ha detto il capo dello Stato – è una valutazione che appartiene solo a me stesso, sulla base di dati obbiettivi che hanno a che vedere con la mia età, a voi ben nota. Ma, ve lo ripeto, non esercitatevi in premature e poco fondate ipotesi e previsioni. Sono concentrato sull’oggi. E ho innanzitutto ritenuto opportuno e necessario garantire la continuità ai vertici dello Stato nella fase così impegnativa nel semestre italiano di presidenza europea”.
Dura e immediata la replica del Movimento 5 Stelle: “Dalla vittoria alle politiche del 2013 del M5S stiamo assistendo a una Controriforma senza che vi sia stata una Riforma o un Martin Lutero – si legge in un post pubblicato sul blog di Beppe Grillo - neppure Mussolini ebbe la sfacciataggine del trio Napolitano-Renzie-Berlusconi, lui la dittatura la fece senza nascondersi dietro la parola “riforme” e la legge elettorale fascista Acerbo fu sicuramente più rappresentativa del corpo elettorale e rispettosa della democrazia del l’Italicum di Renzie e del noto pregiudicato”, scrive il leader del M5S.
Aids, il “vaccino” italiano scomparso. E l’investimento pubblico finisce ai privati. - Duccio Facchini
Negli anni Novanta la grande promessa sulla sconfitta della malattia del secolo. Dopo 49 milioni di euro stanziati dallo Stato, resta solo un farmaco terapeutico ancora da sperimentare. Ma l'Istituto superiore della sanità "regala" il brevetto alla società privata guidata da chi ha condotto la ricerca: Barbara Ensoli. Poi ci ripensa. E lei reagisce male: "Si è cagato sotto".
“Vaccino anti-Aids: l’Italia è prima”, “Aids, la nuova speranza del vaccino made in Italy”. Così l’informazione italiana fece eco a quella che dal 1998 è stata presentata come la ricetta del secolo: un vaccino tutto italiano contro l’Aids, fiore all’occhiello della ricerca da sostenere con uno stanziamento di 49 milioni di euro pubblici (tra ministero della Salute e dicastero degli Esteri). Del resto si era dinanzi a una “grande e autentica missione”, come ebbe a dire nel 2005 la ricercatrice che da almeno trent’anni è considerata all’interno dell’Istituto superiore di Sanità (ISS) la depositaria della svolta: Barbara Ensoli (nella foto), direttore del Centro nazionale Aids. Il punto però è che a 16 anni di distanza il “vero” vaccino, cioè quello preventivo, non si vede, mentre i gli unici risultati raggiunti con sforzi pubblici per la componente terapeutica -di fatto, un nuovo farmaco- rischiano di finire (sotto forma di brevetti) nelle mani di una piccola società chiamata Vaxxit, posseduta per oltre il 60% proprio da Ensoli.
Che la sorte del vaccino preventivo fosse segnata l’aveva già predetto nel 1995 la comunità scientifica internazionale. Robert Gallo -virologo statunitense che nel 1983 contese a Luc Montagnier la scoperta del virus Hiv – diede conto degli effetti assolutamente modesti del “pezzo forte” della ricetta di Barbara Ensoli: la proteina Tat. Tra chi più si è speso per il vaccino c’è Gianni Letta, che il primo dicembre 2010 va al Tg1 per esprimenre parole di “gratitudine” all’indirizzo del team della ricercatrice. Il sostegno dei vertici dell’Iss -l’allora presidente è Enrico Garaci – è totale.
Ma la “parola di donna” spesa da Ensoli nel 2008 su l’Unità traballa. I risultati pubblicati ad aprile 2014 sulla tabella sullo “stato dell’arte delle sperimentazioni” messa a disposizione dall’Istituto superiore di Sanità sono magri. Il “vaccino terapeutico” (un ossimoro, secondo lo stesso Gallo) è entrato nella seconda fase di sperimentazione su 200 “partecipanti” in Sudafrica ed è attualmente “in corso”, mentre quello preventivo – ripartito dalla prima fase nel settembre 2011 e testato su 11 persone – è stato sospeso il 24 marzo 2014.
Il cammino del vaccino preventivo, dunque, si è di nuovo inceppato. La componente “terapeutica”, invece, ha imboccato la strada che parte dall’Istituto superiore della Sanità e porta a una società dal capitale sociale di 10mila euro costituita nel luglio del 2012: la Vaxxit Srl. Ed è la società cui, a seguito della richiesta della dottoressa Ensoli, è stato attribuito il brevetto del TatImmuneTM – la componente vaccinale in uso nella sperimentazione per il vaccino terapeutico-. Fino alla metà del marzo di quest’anno il 70% delle quote della società fa capo alla dottoressa Barbara Ensoli, cui si affianca, con il restante 30%, la 3 I Consulting Srl, amministrata da Giovan Battista Cozzone. Quest’ultimo è un esperto di brevetti che dal maggio del 2009 ha ricoperto l’incarico quadriennale di consulente dell’ISS in materia di “trasferimento tecnologico” (per un importo complessivo dichiarato di 393mila euro).
All’inizio del marzo di quest’anno il cda dell’Istituto superiore di sanità presieduto prima del commissariamento da Fabrizio Oleari (subentrato nel 2013 ad Enrico Garaci) dà il via libera, concedendo una “opzione di licenza esclusiva (della durata di 18 mesi) per l’utilizzo dei suddetti brevetti”: e cioè i brevetti Tat di proprietà (pubblica) dell’Iss. La decisione è assunta “all’unanimità”, e il ministero della Salute, ora guidato da Beatrice Lorenzin, tace. Del “vaccino preventivo” nessuna traccia ma il settore pubblico – l’Iss, il contribuente – posticipa addirittura ogni “negoziazione dei relativi accordi economici”.
La costituzione della Vaxxit è definita “coerente” con il disciplinare che regola gli spin-off dell’Istituto e il duo Ensoli-Cozzone inizia a cercare capitali (40 milioni di euro) sul mercato. E per farlo chiama nella compagine di Vaxxit otto nuovi soci. C’è il fratello di Ensoli, Fabrizio, l’ex marito e – tra gli altri – il più grande fondo di fondi canadese (Teralys capital) e una multinazionale del credito con domicilio nello Stato Usa a fiscalità agevolata del Delaware (la Ferghana Securities Inc).
A maggio, però, il mensile Altreconomia dà conto dell’operazione allora ancora sotto traccia e un’interrogazione parlamentare di Emilia De Biasi (Pd), presidente della commissione Igiene e sanità del Senato, rompe il giocattolo. Il 10 giugno l’ISS è costretto a un passo indietro, ritrovandosi a dover dichiarare “non idonea” la delibera del 4 marzo con la quale aveva giudicatola costituzione della società Vaxxit ”coerente” con il disciplinare dello spin off. Tocca ripartire da capo.
La retromarcia dell’ISS è mal digerita da Barbara Ensoli, che giunge a “diffidare” formalmente quell’ente che l’ha sempre sostenuta, definendolo ai primi di luglio un coacervo di “dinosauri” che al primo inciampo si è “cagato sotto”. “Sono l’anticristo”, aggiunge nel corso di una conferenza organizzata il 10 luglio a Bologna da Associazione Plus onlus, e “ho anche paura fisica”.
A chi le contesta l’ossimoro “vaccino terapeutico” il capo del Centro nazionale Aids ribatte nel 2014 con un “discorso filosofico” giudicato “sconvolgente” da Vittorio Agnoletto, medico, ricercatore, già fondatore e presidente della Lega italiana per lotta contro l’Aids (Lila) nonché autore del libro inchiesta “Aids, lo scandalo del vaccino italiano” (Feltrinelli 2012). “Si chiama preventivo perché va nel soggetto sano, si chiama terapeutico perché va nel soggetto già infettato -ha detto Ensoli-. Mica deve essere un prodotto vaccinale differente”. Quel che conta, secondo la ricercatrice, è il “concetto patogenetico”, indipendentemente dal fatto che il soggetto ricevente sia sano o infettato. “Dov’è la differenza?”. Semplice: avere un vaccino o non averlo del tutto. Un po’ come aver potuto contare su 30 milioni di euro circa di sostegno (e sforzo) pubblico o meno.
lunedì 21 luglio 2014
Tempeste di Fulmini su Toscana e Trieste – Sfiorata la tragedia sul lago Trasimeno. - Leonardo Pietro Moliterni
Oltre 10mila saette registrate tra Firenze e Livorno. Sul lago Trasimeno sfiorata l’imbarcazione a vela di 5 quindicenni, che se la sono cavata con lievi ustioni.
Oltre 10mila fulmini sono caduti nelle ultime sulla Toscana, secondo le registrazioni dei centri Enel di Firenze e Livorno, mentre su Trieste si è scatenata una vera e propria tempesta di fulmini.
Sul lago Trasimeno, in provincia di Perugia, si è invece sfiorata la tragedia: una saetta ha sfiorato una barca a vela sulla quale si trovavano cinque 15enni, che se la sono cavata con qualche leggera ustione agli arti.
http://www.periodicodaily.com/2014/07/21/tempeste-di-fulmini-su-toscana-e-trieste-sfiorata-la-tragedia-sul-lago-trasimeno/
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