venerdì 1 aprile 2016

Agenzia delle entrate: arriva il Grande Fratello di Fisco. Ecco cosa potrà sapere su ognuno di noi. - Viola Contursi

AGENZIA ENTRATE

Arriva il Grande fratello del fisco, o "Super anagrafe". Entro domani infatti scatta quello che qualcuno ha ribattezzato il D-Day: il giorno in cui banche, poste e operatori finanziari dovranno inviare all'Agenzia delle Entrate tutti i dati del 2015 che riguardano i nostri conti correnti. Si tratta di circa 500 milioni di nuovi dati su tutti noi. Un'arma in più, ad esempio, per scovare chi movimenta grandi quantità di denaro e poi si dichiara nullatenente.
Cosa cambierà per noi? In poche parole, il Fisco da domani saprà tutto di noi, attraverso l'Anagrafe dei rapporti finanziari che entra a regime. Per oltre 39 milioni di correntisti, verranno comunicati all'Agenzia delle Entrate in particolare il saldo contabile a fine 2014, il saldo a fine 2015, il totale degli accrediti effettuati nell'anno sul conto, il totale degli addebiti e la giacenza media annua. Saranno poi inviati i dati su depositi, investimenti, utilizzo delle carte di credito e bancomat, ricarica di carte prepagate, numero di accessi alle cassette di sicurezza.
"Il cittadino che non ha nulla da nascondere - spiega il presidente della commissione parlamentare di vigilanza sull'Anagrafe tributaria, Giacomo Porta - non deve temere nulla. Ma questo nuovo strumento può essere utile visto che in Italia c'è uno scarto molto alto tra accertato e riscossione: accade che non si riesca a riscuotere" le cartelle fiscali "perché il destinatario dell'accertamento risulta nullatenente". E con l'incrocio dei dati della dichiarazione dei redditi e dei movimenti sul conto corrente il fisco avrà un'arma in più per scovare questi "furbetti". Con un risvolto positivo anche sui conti pubblici.
"Di certo - continua Portas - molto meglio come strumento di contrasto all'evasione fiscale che inviare i marescialli davanti ai negozi o nei luoghi di villeggiatura, facendo solo scappare le persone". Come accadeva soprattutto nel 2012, sotto il governo tecnico di Mario Monti.
In realtà l'incrocio dei dati sui conti correnti non sarà alternativo agli accertamenti fiscali ma l'Agenzia delle Entrate potrà usarlo per un'analisi del "rischio di evasione". Incrociando quindi ad esempio i movimenti sul nostro conto corrente con le nostre dichiarazioni dei redditi degli ultimi anni, il Fisco potrà creare una sorta di identikit del contribuente "furbetto" o presunto tale, e potrà quindi solo a quel punto far partire prima una comunicazione chiedendo conto di eventuali anomalie, e quindi un eventuale accertamento. E' il caso, ad esempio, di una persona che ha un 730 da 15mila euro e un conto corrente con giacenza media o movimentazioni per 100mila euro o più. In questo senso, come ha chiarito il Garante delle Privacy Antonello Soro non ci sarà il rischio di "un controllo generalizzato e diffuso di tutti i contribuenti".
L'uso della super anagrafe del fisco riguarderà anche i "furbetti dell'Isee". Incrociando i nuovi dati sui conti correnti con le dichiarazioni dei redditi, l'Agenzia delle Entrate avrà un'arma in più per scovare chi mente sull'Isee, ovvero sull'indicatore della propria situazione economica, per ottenere sconti ad esempio su asili, mense, università.
Il futuro, spiega Portas, sarà incentrato tutto sullo scambio di informazioni delle banche dati. "Si potenzieranno sempre di più le banche dati - dice - cambiando alla radice la filosofia dell'Italia. Una cosa che negli altri Paesi accade già da 20 anni. L'incrocio delle banche dati è una grande conquista, che contribuisce anche ad una maggiore giustizia fiscale. Ora - si spinge oltre - dopo il 730 precompilato dobbiamo passare all'Unico precompilato".
La novità del Grande fratello del fisco viene accolta positivamente anche dalla Cgia di Mestre per cui ora "l'amministrazione finanziaria è nelle condizioni di non poter più sollevare alcun alibi. Con l'abolizione del segreto bancario ci sono 12 provvedimenti per contrastare efficacemente l'evasione".
L'invio dei dati sui conti correnti si va infatti a sommare ad altri strumenti anti evasione adottati in questi anni dal fisco, e che la Cgia elenca: gli studi di settore, i blitz contro la mancata emissione di scontrini e ricevute, il redditometro, lo spesometro, il numero 117 di pubblica utilità della Guardia di Finanza. E, ancora, Serpico (super cervellone che registra decine di migliaia di informazioni al secondo per mettere a confronto dichiarazioni dei redditi, polizze assicurative, informazioni del catasto, del demanio, della motorizzazione), metodologie di controllo delle Pmi e dei lavoratori autonomi, limite all'utilizzo dei contanti fino a 3.000 euro, utilizzo del Pos per le transazioni commerciali, fattura elettronica, reverse charge (l'obbligo del versamento dell'Iva da parte del cliente).
http://www.huffingtonpost.it/2016/03/30/grande-fratello-fisco_n_9574370.html

I corrotti al governo, gli stessi che manteniamo a suon di lauti stipendi, fanno le leggi per controllare noi cittadini...
Un paradosso divenuto realtà!

Teorie del complotto, Social Intelligent Design e disuguaglianza globale. - Francesco Suman

misinformation

Le teorie del complotto, proponendo versioni ipersemplificate della realtà sociale, presentano un'architettura esplicativa, finalistica e intenzionale, del tutto simile alla teoria dell'Intelligent Design che mirerebbe a spiegare la complessità del mondo naturale come prodotto di un agente superiore. La diffusione della disinformazione online è considerata una delle più serie minacce per la società odierna. Per questo i complottismi non vanno liquidati con quattro risate, ma colti per quello che sono: campanelli d'allarme.

Viviamo nell'era della condivisione dell'informazione: facebook, twitter, youtube, google plus, instagram, snapchat, sono alcuni dei più fruiti social media attraverso cui scorrono flussi rumorosi di informazioni di ogni tipo. Possiamo improvvisarci giornalisti filmando con lo smartphone un atto di vandalismo o le conseguenze di un'alluvione e caricarlo su youreporter per rendere testimone il mondo intero. Abbiamo un accesso potenzialmente illimitato e subitaneo a informazioni provenienti da ogni angolo del globo. Eppure, uno studio che ha fatto il giro del mondo, pubblicato sulla prestigiosa rivista PNAS da un gruppo di studiosi italiani che lavora al laboratorio di Computational Social Science dell'Istituto IMT Alti Studi di Lucca, diretto da Walter Quattrociocchi (The spreading of misinformation online), afferma che viviamo nell'era della disinformazione. Com'è possibile? È presto detto.

È noto che online girano tante bufale, informazioni non verificate e non filtrate che si diffondono in modo virale fino a costituirsi in leggende metropolitane o teorie del complotto.

Si passa da i sempreverdi avvistamenti UFO alla presenza sulla terra di extraterrestri rettiliani, alcuni dei quali sarebbero persino piazzati in strategiche posizioni di potere. 
Lo sbarco sulla Luna? Mai avvenuto. 
Le scie chimiche lasciate dagli aerei in quelle giornate terse sono un lento strumento di avvelenamento della popolazione da parte di un potere occulto, ma c'è anche la variante secondo cui servirebbero a influenzare il cambiamento climatico. Altre teorie invece negano proprio il cambiamento climatico. 
Vi sono poi teorie di dominio economico che incolpano un occulto e settario potere bancario detentore delle sorti dell'ordine mondiale. È difficile essere precisi nella descrizione di queste teorie, perché l'oggetto in questione, per sua definizione e natura, è esso stesso sfuggente e non definito. Il lettore può dilettarsi nella libera esplorazione del web e cercare i dettagli delle suddette teorie, rimanendo perplesso o, perché no, persuaso, dai loro argomenti.
Baggianate da liquidare con quattro risate riterranno i più. 
Invece no. 

Il World Economic Forum nel 2013 ha incluso la diffusione di informazioni fasulle tra le più serie minacce per la società. Notizie e informazioni si accumulano in modo letteralmente incontrollabile nel web, proprio per la sua natura reticolare e partecipativa. Una voce corre online e può risuonare fino all'altra parte dell'oceano in men che non si dica. Internet ci ha restituito una sorta di versione tecnologicamente implementata di cultura orale, con fascino e rischi annessi. Informazioni caotiche, e fluttuanti in prima istanza, tendono prima o poi ad aggregarsi, catturate dalle scelte dei fruitori, arrivando a costruire cluster più o meno coerenti di notizie, che, per facilità di accesso, giocano un ruolo preminente nei processi di opinion making di oggi. 
Ma con quali criteri avvengono l'aggregazione dell'informazione online e conseguentemente la formazione di opinioni?
Lo studio di Quattrociocchi e colleghi mostra che il “pregiudizio di conferma” (confirmation bias) è tra i criteri decisionali fondamentali alla base di questi processi. In un contesto di flusso massivo di informazioni non filtrate, si tende a privilegiare (e a riconoscersi in) informazioni che confermano ciò che già si pensa. 
Se una persona ha fatto un investimento in banca - “Sicuro eh!”, gli era stato detto - ma vede la banca precipitare nel baratro portando con sé i suoi risparmi, e contemporaneamente legge online che le banche sono istituti il cui unico interesse è il profitto, non curanti dei servizi che dovrebbero garantire o delle sorti del malcapitato risparmiatore, c'è da aspettarsi che quest'ultimo manifesti la sua approvazione alla “teoria del signoraggio bancario” almeno con un “like”.

Il pregiudizio di conferma, esteso su larga scala, tende a creare le cosiddette echo chambers, ovvero luoghi virtuali di aggregazione in cui tutti i presenti tendono a pensarla allo stesso modo riguardo a uno specifico tema (sia questo la negazione del cambiamento climatico o dell’evoluzione darwiniana, le scie chimiche, o gli UFO). Chi entra in queste camere di risonanza lo fa perché sente che le proprie precostituite convinzioni, spesso istintive, grezze, di pancia, hanno finalmente voce. 
Il fatto è che da lì il pensiero tende a non venire elaborato ulteriormente, anzi, semmai l'intuizione ingenua, di pancia, si rinforza attorno a pochi punti dando luogo a proto-teorie o credenze a dire il vero alquanto bizzarre. Le teorie del complotto che proliferano online, oggetto di studio dell'articolo summenzionato, sarebbero precisamente il prodotto di tali meccanismi.
Cosa c'è che non va nelle teorie del complotto? Proviamo a dirla con William Gibson, il padre del genere letterario cyberpunk: “Le teorie del complotto sono popolari perché, non importa di cosa trattino, sono tutte realtà confortevoli, perché sono tutte modelli di semplicità totale. Penso che facciano leva sul nostro lato infantile che vuole sempre sapere cosa sta accadendo.”
(tradotto da un'intervista rilasciata nel 2007 http://thetyee.ca/Books/2007/10/18/WillG...)
Le teorie del complotto hanno così successo perché partono da fatti molto vicini alla vita quotidiana dei più e in pochi passaggi logici (o meno) giungono a individuare la causa ultima responsabile di quegli eventi; nel fare ciò, delineano una visione del mondo, che spesso identifica un nemico contro cui schierarsi. Strumenti psicologici basilari e efficacissimi per innescare meccanismi di identificazione e consenso, purtroppo all'opera anche in sistemi di reclutamento che costituiscono minacce ben più tangibili delle scie chimiche (si pensi al ruolo della rete nel reclutamento dei foreign fighters e nel processo di radicalizzazione islamica di giovani europei che in taluni casi non avevano avuto alcun contatto personale precedente con reclutatori  - un ottimo libro recente su questo è “L’ultima utopia” di Renzo Guolo, Guerini, 2015).

E’ interessante notare una similitudine tra la struttura esplicativa di queste “teorie” e l'argomento della complessità irriducibile portato dai sostenitori dell'Intelligent Design. Entrambi condividono una struttura esplicativa iper-semplificatoria.

Partiamo dal secondo. Alla sua base vi sta la tanto intuitiva quanto ingenua analogia tra complessità di artefatti umani, frutto dell'attività di un agente intenzionale dotato di scopi, e complessità di strutture naturali. Se troviamo un orologio di pregiata fattura, spiegava William Paley nella sua Teologia naturale del 1802, saremmo portati a credere che sia frutto del progetto e dell'azione intenzionale di un orologiaio; non attribuiremmo mai la complessa interazione degli ingranaggi dell'orologio al prodotto del puro caso. Così se lungo una spiaggia trovassimo il complesso disegno a spirale su di una conchiglia non potremmo fare altro che pensare all'azione di una mente suprema che ha progettato l'universo, la natura e i suoi prodotti. 
L'evoluzione esiste, ma non può che essere l'esito di un disegno intelligente.
Questo tipo di spiegazione è iper-semplificatoria perché salta dal prodotto finale alla causa ultima, ignorando un'infinità di passaggi intermedi: non prende in considerazione i tempi del processo evolutivo; non prende in considerazione le interazioni con altri soggetti del contesto (ecologico) entro cui l'evoluzione si compie; non prende in considerazione i meccanismi che possono condurre alla formazione del pattern osservato. In più, il ragionamento è uno dei più classici esempi di detestabile antropomorfismo (una forma di egocentrismo cosmico), ovvero l'attribuzione di proprietà umane, intenzionali, finalistiche, agenziali, a un'entità – la natura – che di umano non ha necessariamente niente.

Fortunatamente questi argomenti, nel dominio delle scienze biologiche, sono stati smontati (seppur non senza difficoltà, dacché sostenitori dell'Intelligent Design proliferano tutt'oggi in paesi avanzati che si dicono paladini di libertà e democrazia) dalla teoria dell'evoluzione neodarwiniana, oltre ogni ragionevole dubbio. Sfortunatamente, ad oggi, le scienze sociali non hanno ancora visto nascere il loro Charles Darwin, e venire a capo della complessità delle dinamiche sociali con un'unica elegante teoria esplicativa è un'impresa lungi dall'avere un traguardo in vista.
Avremmo proprio bisogno di una sorta di “teoria della società” che mostrasse come il salto esplicativo da evento singolo (come la perdita dei propri risparmi per colpa di un agente bancario truffaldino) alla sua causa ultima (complotto globale del signoraggio bancario), proposto dalle teorie del complotto, sia logicamente del tutto ingiustificabile, in quanto un super-agente che agisca in maniera intenzionale e che disponga del controllo di tutti i livelli di complessità dei nodi della rete sociale, e che per di più sia in grado di tenere nascosti i propri piani, pur riuscendo a metterli sistematicamente in atto, assomiglia molto a qualcosa che potremmo definire Social Intelligent Design.

Karl Popper si pronuncia così nel secondo volume de La Società aperta e i suoi nemici: “Bisogna riconoscere che la struttura del nostro ambiente sociale è, in un certo senso, fatta dall’uomo: che le sue istituzioni e tradizioni non sono il lavoro né di Dio né della natura, ma i risultati di azioni e decisioni umane, ed alterabili da azioni e decisioni umane. Ma ciò non significa che esse siano tutte coscientemente progettate e spiegabili in termini di bisogni, speranze e moventi. Al contrario, anche quelle che sorgono come risultato di azioni umane coscienti e intenzionali sono, di regola, i sottoprodotti indiretti, inintenzionali e spesso non voluti di tali azioni. (…) Io non intendo affermare, con questo, che cospirazioni non avvengano mai. Al contrario, esse sono tipici fenomeni sociali. (…) Cospirazioni avvengono, bisogna ammetterlo. Ma il fatto notevole che, nonostante la loro presenza, smentisce la teoria della cospirazione, è che poche di queste cospirazioni alla fine hanno successo. I cospiratori raramente riescono ad attuare la loro cospirazione”

Cosa intende qui Karl Popper ce lo spiega oggi David Robert Grimes, un fisico dell'università di Oxford, che ha mostrato con una formula pubblicata in un articolo apparso su PLOS ONE (http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0147905), che le grandi cospirazioni non possono restare segrete troppo a lungo: questo tipo di macchinazioni necessariamente coinvolge un numero di “complici” elevato al punto che la probabilità che uno di questi non faccia un passo falso, facendosi scoprire, è troppo bassa per far sì che la cospirazione si realizzi.
L'intenzionalità dell'azione umana ha un raggio d'azione limitato. La libertà individuale finisce dove comincia quella degli altri, ma si potrebbe dire anche che l'intenzionalità di un'azione finisce quando si incontra con l'intenzionalità degli altri. All'interno della rete sociale, l'intenzionalità individuale si diluisce, e un soggetto super partes capace di direzionare un'amplissima moltitudine di intenzionalità singole, per di più in maniera occulta, semplicemente non può esistere. L'azione collettiva è un risultato non intenzionale di interazioni intenzionali a livello individuale.

Nonostante tutto questo, le teorie del complotto persistono e anzi, come mostrato da Quattrociocchi e colleghi, più ci si sforza di smontarle (facendo azione di debunking) più i loro sostenitori si chiudono a guscio all'interno delle loro camere di risonanza, attaccandosi alle loro convinzioni.
Ricercare le cause di un evento traumatico (la perdita dei risparmi, o la paura derivante da un percepito stato di instabilità) è un meccanismo di elaborazione fondamentale che si innesta per affrontare il superamento del trauma. Le risposte cui si giunge sono però spesso più autoconsolatorie che veramente conformi alla realtà delle cose. Come venire a capo allora di questo enorme fenomeno psicodrammatico-sociale nel villaggio globale?

Le soluzioni immediate sembrano non esserci. Siamo destinati ad andare incontro a un mondo in cui vige l'anarchia intellettuale, ovvero in cui non abbiamo modo di discriminare tra diversi sistemi di credenze, all'interno della medesima società e del medesimo intorno culturale? È davvero equivalente credere che i vaccini facciano venire l'autismo oppure essere convinti che vaccinarsi sia l'unico metodo sicuro per prevenire la diffusione di gravi malattie infettive?

Karl Popper, assieme a molti altri filosofi della scienza, dedicò gran parte della sua vita a ragionare intorno al cosiddetto Principio di Demarcazione, ovvero sviluppare un criterio secondo cui distinguere rigorosamente una proposizione scientifica da una proposizione pseudo-scientifica o metafisica. Spesso ai filosofi viene rimproverato che il loro lavoro non ha ricadute applicative sulla società. Sarebbe interessante e proficuo se i filosofi riuscissero a sviluppare (se mai fosse possibile) un Principio di Demarcazione che ci aiutasse a saggiare la qualità dell'informazione, a distinguere cosa può essere ritenuto informazione affidabile, verificata, filtrata e cosa informazione inaffidabile, spazzatura, infondata. Il ramo della filosofia dell'informazione - un'interessante intersezione tra filosofia della scienza e etica, di cui si occupa Luciano Floridi, docente di Oxford  e membro dell'“Ethics Advisory Group on the ethical dimensions of data protection” - potrebbe essere un buon candidato a studiare soluzioni a riguardo.

Applicando poi il noto slogan di Marshall McLuhan “il medium è il messaggio”, dovremmo forse incolpare direttamente internet per la scarsa qualità delle informazioni che produce? Certo la struttura degli strumenti di diffusione dell'informazione influenza di molto la ricettività delle informazioni stesse, ma addossare la colpa a internet e demonizzarlo, come molti già fanno, sarebbe un po' come incolpare il motore a scoppio per il tasso di inquinamento delle nostre città, invece di prendersela con la gestione miope delle giunte comunali. Internet è una tecnologia dalle potenzialità rivoluzionarie e ciò che aiuterebbe sarebbe una maggiore educazione all'uso di questo strumento straordinario: viviamo in un'epoca in cui metà della popolazione (quella vecchia) è analfabeta digitale e l'altra metà (quella giovane) soffre di bulimia digitale. Anche in un mondo futuristico, i vecchi rimedi (istruzione, ricerca, innovazione) non sono mai da buttare.

Infine, una riflessione in parte politica. La classe dirigente e quella intellettuale troppo spesso si misurano con i cosiddetti “complottisti” con una detestabile, e invero poco intelligente, supponenza, liquidandoli per lo più come gli ultimi difensori dell'ancien régime trattavano la plebe ignorante. 

Le teorie del complotto sono una manifestazione di un'inquietudine e un malcontento della società troppo profondi per essere archiviati con quattro risate. Questo disagio, che si manifesta in espressioni ingenue, paranoiche, o addirittura patetiche (dal complotto rettiliano all'ordine mondiale in mano a una sorta di Spectre), sta in realtà per qualcos'altro, di molto più grave, che riflette una realtà di fatto alla base delle più grosse questioni globali degli anni a venire: l'allargamento della forbice della disuguaglianza
Le teorie del complotto altro non sono che elaborazioni collettive, immaginifiche e fantasiose, che riflettono la struttura bipolare del sistema economico odierno, che ha portato a concentrare enormi capitali, di denaro e di potere, in mano a pochi, lasciando un sempre più alto numero di persone a farsi la guerra per le briciole. Questa distribuzione purtroppo si rivela valida sia a livello nazionale sia a livello globale. Esistono colossi aziendali (settori energetico, informatico, della grande distribuzione) che hanno fatturati di gran lunga superiori a PIL di Stati nazionali e non riconoscere che questi possono trattare alla pari, se non dall'alto in basso, almeno con i piccoli Stati è ingenuo quanto credere alle teorie del complotto. Queste ultime lanciano un'indiretta ma fortissima critica a un modello di sistema economico che genera storture, accusandolo di essere lontano dagli interessi dei molti e vicino agli interessi di pochi.

Le teorie del complotto rappresentano una sorta di bestemmia contro ciò che viene avvertito come un potere lontano e dispotico, un impotente e frustrato grido di ribellione contro un ordine odiosamente immutabile, che schiaccia. Le teorie del complotto sono il prodotto grezzo di un incontro inedito: un sentimento collettivo di frustrazione implementato da una nuova tecnologia, la rete. 
Forse non sono tra le più eleganti espressioni di critica ai sistemi totalitari come possono essere stati 1984 di Orwell o The Wall dei Pink Floyd (che difficilmente liquideremmo come opere di complottisti), ma sono comunque una nuova forma di espressione, a tratti addirittura inconsapevole, in quanto frutto di un'azione collettiva non del tutto intenzionale, di forte critica al potere costituito e al sistema economico ad esso intrecciato.
In questo senso le teorie del complotto dovrebbero essere un campanello d'allarme capace di sollevare una questione politica. Sempre che vi sia una classe politica, dirigente e intellettuale capace di cogliere i segnali d'allarme. L'attenzione su questi temi deve crescere e non è un caso che il premio Nobel per l'economia 2015 sia stato assegnato allo scozzese Angus Deaton per i suoi studi sui consumi, sulla povertà e sul welfare.
In conclusione, le iper-semplificazioni sono ciò di cui occorre diffidare, sempre. La realtà è complessa ad un livello inavvicinabile anche dalle più audaci fantasie. Per questo non c'è nulla di più affascinante da indagare che le trame della realtà stessa, senza cedere a scorciatoie esplicative che ci priverebbero di quel gusto unico e irrinunciabile di scoprire le cose. Diceva Charles Darwin, nell'Origine delle specie (p. 241, edizione Bollati Boringhieri): “è indispensabile che la ragione vinca; ma io ho sentito troppo acutamente queste difficoltà per essere sorpreso dell'altrui esitazione”.

http://lameladinewton-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/03/10/teorie-del-complotto-social-intelligent-design-e-disuguaglianza-globale/

Una disamina opinabile della materia , disamina che confuterei semplicemente citando un detto vecchio come il cucco: "vox populi, vox dei". e non aggiungo altro. Cetta,

Federica Guidi, storia dell’emendamento a favore di Tempa Rossa: dal tentativo notturno al via libera dopo ok Boschi. - Marco Palombi

Federica Guidi, storia dell’emendamento a favore di Tempa Rossa: dal tentativo notturno al via libera dopo ok Boschi

Nella notte tra il 16 e il 17 ottobre 2014, la deputata M5s Liuzzi e le opposizioni protestano per la richiesta di modifica a firma dell'ex ministro dello Sviluppo che viene dichiarata "inammissibile". Va meglio con la legge di Stabilità, la responsabile per le Riforme accetta il provvedimento che riesce a passare con il voto di fiducia.

La prima notte è quella tra il 16 e il 17 ottobre 2014, quando le commissioni Ambiente e Attività produttive di Montecitorio stanno discutendo il decreto Sblocca Italia: quel testo rende, tra le altre cose, molto più facile costruire impianti petroliferi (e inceneritori) visto che li dichiara “infrastrutture strategiche per l’interesse nazionale”. Si procede a tappe forzate ed è notte quando la deputata M5S Mirella Liuzzi si accorge di uno strano emendamento che rende “strategiche” pure tutte le opere connesse all’attività estrattiva: gasdotti, porti, siti di stoccaggio. Proprio quello che serve al progetto Tempa Rossa, come vedremo. Più interessante, adesso, è notare che quell’emendamento era stato consegnato alle commissioni dal capo di gabinetto del ministro Federica Guidi e portava la sua firma: la rivolta delle opposizioni, e forse l’imbarazzo del Pd, causano una irrituale dichiarazione di inammissibilità per quel testo (un Gronchi rosa per un emendamento governativo).
Va meglio con la legge di Stabilità
La notte è quella tra il 12 e il 13 dicembre 2014 e siamo in commissione Bilancio in Senato. L’emendamento viene consegnato – come da prassi – dal ministero dello Sviluppo economico a Maria Elena Boschi, titolare dei Rapporti col Parlamento e gestore del traffico delle proposte governative. Stavolta il testo passa e viene recepito nella manovra poi approvata con la fiducia: non è chiaro, finché Boschi non ce lo spiegherà, con quale motivazione sia stata convinta dalla collega a inserire “l’emendamento Tempa Rossa” tra quelli da approvare. Pochi minuti dopo, comunque, Guidi avverte il fidanzato e s’inguaia.
Detto delle modalità notturne d’intervento della ex ministra, resta da spiegare cos’ha fatto in pratica. 
Breve riepilogo: il progetto Tempa Rossa ha il suo cuore nel giacimento lucano la cui concessione è appannaggio di Total (al 50%), Shell e Mitsui. I sei pozzi in Basilicata (più 2 da autorizzare) a regime dovrebbero produrre 50 mila barili al giorno, aumentando del 40% la produzione nazionale di greggio. Questo progetto ha già ottenuto una Valutazione di impatto ambientale positiva nel 2011. Qual è il problema allora? Quello che si fa col petrolio una volta estratto: bisogna portarlo a Taranto, stoccarlo e raffinarlo. È una vera fortuna che Eni disponga di un impianto proprio nella martoriata città dell’Ilva. E qui, però, cominciano i guai: cittadinanza, movimenti e (fino a un certo punto) pure i politici locali si oppongono a potenziare la capacità inquinante dell’impianto del Cane a sei zampe. Il motivo lo spiegò Arpa Puglia nel 2011: “L’esercizio di questi impianti comporterà un aumento delle emissioni diffuse pari a 10 tonnellate/anno che si aggiungeranno alle 85 tonnellate/anno già prodotte (con un incremento del 12%)”.
C’erano insomma problemi a fare i lavori al punto di approdo del petrolio estratto nel giacimento di Total e soci di Gorgoglione, in Basilicata: due siti di stoccaggio, un prolungamento del pontile e altre cosette. È qui che arriva l’ex ministro Guidi: l’emendamento prevede che l’autorizzazione unica per le opere “strategiche” valga anche “per le opere necessarie al trasporto, allo stoccaggio, al trasferimento degli idrocarburi in raffineria, alle opere accessorie, ai terminali costieri e alle infrastrutture portuali strumentali” anche lontano dal giacimento. E se gli enti locali si oppongono? C’è il secondo comma: lo Sblocca Italia prevede che, in quanto strategiche, su queste opere alla fine decida il governo. Il via libera definitivo ai lavori a Taranto è arrivato il 19 dicembre 2015, quattro mesi fa. Lo ha firmato il ministro Federica Guidi. Non si sa se poi abbia avvertito il fidanzato.

mercoledì 30 marzo 2016

Padoan: "L'Ue danneggia l'Italia, così non va".

Pier Carlo Padoan © ANSA

Il ministro dell'Economia: "Modalità di calcolo impongono al nostro Paese aggiustamenti dolorosi, ma rispetteremo le richieste".

Lo sforzo richiesta dall'Ue all'Italia è "deformato da considerazioni statistiche" e "queste regole, imponendo all'Italia aggiustamenti dolorosi, le recano maggior danno che ad altri Paesi, e questo non mi va bene''. Così il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan in una intervista a Le Figaro nella quale conferma che ''l'Italia rispetterà lo sforzo di aggiustamento che le è richiesto''. Anche la Commissione europea, spiega Padoan, "ammette che questo metodo di calcolo potrebbe essere differente, ma non si cambiano le regole durante il gioco".

Padoan risponde ad una domanda su come si difenderà l'Italia rispetto alla possibilità che Bruxelles apra contro il Paese una procedura di infrazione per deficit eccessivo. "L'Italia rispetterà lo sforzo di aggiustamento che le è richiesto", premette Padoan spiegando che ''manteniamo con Bruxelles un dialogo continuo''. ''Si rimprovera a volte all'Italia - aggiunge - di chiedere troppa flessibilità, di mostrarsi insaziabile, dimenticando che questa domanda è del tutto legittima, perché si iscrive nelle regole europee". Il nostro Paese, sottolinea ancora, "è quello che ha fatto gli sforzi di aggiustamento più intensi della sua politica di bilancio".

"Serve un ministro delle Finanze unico della zona euro", sottolinea Padoan. "In primo luogo, un ministro unico delle Finanze servirebbe a garantire la messa in atto di una politica di bilancio europea più equilibrata - spiega - Dovrebbe anche gestire eventuali azioni di sostegno che implichino risorse comuni, come la gestione dei flussi migratori o del rafforzamento della sicurezza europea. L'Europa deve dotarsi di risorse proprie. E' difficile immaginare che si continuino a spendere tante energie per arrivare ad accordi come quello con la Turchia sui migranti".


C'è da domandarsi se i nostri pseudo-rappresentanti siano ingenui o facciano solo finta di non capire. 
Quando decisero l'entrata in UE firmarono un contratto contenente delle regole che avrebbero dovuto rispettare, perché adesso scendono dalle nuvole? Pensavano di poter gestire l'evento come hanno gestito il governo del paese?
Pensavano che la UE, come una madre permissiva, avrebbe perdonato le loro marachelle proteggendoli sotto il manto azzurro?
Oltre che dannosi ed inadeguati al compito loro affidato, quello della gestione e conduzione del paese, stanno dimostrando di essere anche incompetenti sulle faccende internazionali.
Ci hanno danneggiato, sono la nostra vergogna, ma continuano spudoratamente ed imperterriti ad aprir bocca ed elargire idiozie.
Aspettiamoci altri dolorosi tagli al nostro potere d'acquisto, perchè è bene che si sappia, a pagare lo scotto della loro inadeguatezza, della loro incapacità e della corruzione della quale si servono per mantenere potere e poltrone, saremo solo noi, i cittadini che producono, ma ai quali hanno tolto ogni potere, secondo la loro "libera interpretazione di democrazia"!
La stessa democrazia che esportano altrove danneggiando intere popolazioni, rendendole schiave. 

sabato 26 marzo 2016

Buona Pasqua!


A tutti! Nessuno escluso!
Cetta.

Alla sbarra vigilessa "annulla multe". - Martino Villosio



"Dimenticati" nel cassetto i ricorsi del figlio e degli amici Decorsi 60 giorni la sanzione veniva automaticamente annullata.

Avrebbe fatto annullare decine di multe, «dimenticando» nel cassetto i ricorsi degli automobilisti senza trasmetterli alla prefettura come previsto dalla legge e facendo in questo modo decadere le sanzioni. 
Una distrazione sospetta, quella imputata a una vigilessa romana, visto che tra i «graziati», secondo la procura, ci sarebbe anche il figlio della donna oltre ad una pattuglia di suoi conoscenti. L’ultimo agguato al fegato dell’automobilista capitolino medio senza santi in paradiso, da tempo avvezzo a trasalire ed a sgranare il rosario ad ogni visita del postino dopo aver inondato più volte al mese di calde lacrime il parabrezza "battezzato" da vigili e ausiliari del traffico, si è consumato ieri in un’aula di piazzale Clodio. A processo davanti tribunale collegiale, accusata di abuso d’ufficio continuato, c’era una donna di 52 anni, istruttore di Polizia Municipale presso il XIII Gruppo Aurelio. 
Secondo quanto ricostruito nel capo di imputazione, nello svolgimento delle mansioni di responsabile dell’attività istruttoria delle pratiche d’ufficio svolte dal Reparto Elaborazione Sanzionatorio, avrebbe omesso di trasmettere al prefetto di Roma gli atti relativi a 29 ricorsi contro multe comminate tra il 2011 e il 2012. In questo modo avrebbe procurato intenzionalmente agli autori delle violazioni un «ingiusto vantaggio patrimoniale, consistente nel mancato pagamento della sanzione amministrativa in assenza di qualsivoglia valutazione sulla fondatezza dell’accertamento». Il tutto «in violazione degli obblighi di lealtà, correttezza e trasparenza incombenti sul pubblico ufficiale».
Il Codice della Strada infatti, all’articolo 203, prevede che il responsabile del comando cui appartiene l’organo «accertatore» trasmetta al prefetto gli atti del ricorso ricevuto contro un verbale di multa entro 60 giorni dal deposito. Se questo termine perentorio non viene rispettato il ricorso, secondo la legge, è da considerarsi automaticamente accolto. Nel caso specifico, come detto, i ricorsi degli automobilisti non sarebbero neppure stati inviati in prefettura: una versione aggiornata dell’antica prassi del «verbale stracciato», italianissima cortesia riservata all’amico o al parente ormai divenuta impraticabile e facile da smascherare negli uffici pubblici.
Ieri in aula, davanti al pm Francesco Scavo, hanno sfilato come testimoni alcuni colleghi della vigilessa a processo. È stato proprio il pm a sottolineare come, nella lista dei ricorsi che sarebbero stati nascosti, ce ne sia anche uno relativo ad una multa presa dal figlio dell’imputata ed altri riferiti a sanzioni elevate a carico di alcuni conoscenti della donna. In base a quanto ricostruito ieri in aula, la vigilessa sarebbe stata smascherata per puro caso dagli stessi colleghi del suo reparto ad ottobre 2013. Un giorno in cui lei era assente dal lavoro, la procura di Roma chiamò nel suo ufficio per chiedere urgentemente la pratica di un accertamento demaniale. Un collega avrebbe allora contattato la donna al telefono, per sapere dove potesse trovarsi il fascicolo che stava seguendo proprio lei. La signora avrebbe risposto di guardare dappertutto, anche nella vaschetta con le cartelle di sua competenza sistemata - insieme a quelle degli altri vigili dell’ufficio - sopra una mensola. Proprio lì il suo collega avrebbe rinvenuto una busta con la scritta «ricorsi 2012»: all’interno c’erano le multe ormai da tempo scadute e mai trasmesse al prefetto. «Sono cose mie», avrebbe replicato la donna alla richiesta di chiarimenti sul contenuto del plico come ha raccontato ieri in aula il pubblico ufficiale autore della scoperta. Da quella risposta evasiva sarebbe quindi partita l’inchiesta coordinata proprio dall’ex comandante del XIII Gruppo Aurelio Davide Orlandi, anche lui ascoltato ieri dal pm Scavo in qualità di testimone di polizia giudiziaria.

Appalti pubblici, 80 rinviati a giudizio. - Andrea Ossino

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A processo per false attestazioni di requisiti il numero uno dell’Axsoa, Calcagni. Dovrà rispondere ai giudici anche l’ex presidente dell’Autorità di Vigilanza Brienza.

Politici, dirigenti, attrici e imprenditori. 
Sono circa 80 le persone rinviate a giudizio nell’ambito dell’inchiesta sulle false attestazioni rilasciate dalla società Axsoa, l’azienda investita dall’inchiesta condotta dal sostituto procuratore Giancarlo Cirielli e dal procuratore aggiunto Nello Rossi. 

I magistrati contestano, a seconda delle posizioni, i reati di associazione per delinquere, corruzione, falso e abuso d’ufficio. Secondo gli inquirenti, la Axsoa, società specializzata nella certificazione dei requisiti per la partecipazione agli appalti pubblici, era in grado di accontentare anche le imprese non in regola. 
Naturalmente occorreva elargire del denaro. 
Non si trattava certo di pochi spiccioli. Le tariffe per una falsa attestazione infatti, stando a quanto ricostruito dai magistrati romani, potevano arrivare ad attestarsi su cifre che si aggiravano intorno a 700 mila euro. Nonostante si trattasse di una cifra importante, questa sarebbe apparsa ragionevole. 
In ballo c’erano infatti alcuni tra i più corposi appalti pubblici banditi da aziende del calibro di Ama, Atac e Cotral, delle Poste, dei ministeri, del provveditorato per i Lavori pubblici o dei grandi ospedali. 
In questa storia dove i controllori si piegano agli interessi dei controllati, secondo quanto emerge dagli atti a disposizione della procura di Roma, la posta in ballo era rappresentata dalle Soa. Compito delle Società organismo di Attestazioni era quello di rilasciare documenti che fino a due anni fa, erano essenziali per le imprese che intendevano partecipare a gare d’appalto pubbliche. Nell’ordinanza il gip Simonetta D’Alessandro parla di un sistema criminoso basato su «un collaudato ed organizzato sistema, mascherato dietro l’attività di carattere pubblicistico esercitato dall’Axsoa spa, volto a vendere ai clienti della società di attestazione non già un servizio corretto ed imparziale di verifica dei requisiti e di successiva attestazione, bensì un pacchetto completo costituito dalla vendita dei requisiti di attestazione solo cartolare». Il prossimo 14 settembre, tra i numerosi imputati chiamati a difendersi dalle accuse mosse dalla procura di piazzale Clodio, c’è anche l’ex presidente dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, Giuseppe Brienza. L’attività di indagine delle Unità speciali Nucleo Tutela Mercati della Guardia di Finanza aveva condotto i magistrati capitolini a ritenere che Brienza, grazie alle pratiche «addomesticate» sarebbe riuscito ad ottenere consistenti benefit. 
Negli atti dell’inchiesta, spunta infatti un box auto pagato da un imprenditore e un attico a viale Nizza. Un immobile che Mario Calcagni aveva messo a disposizione, a titolo completamente gratuito, per la figlia di Brienza. 
Poi c’è la vicenda relativa ad un posto di lavoro per la sua compagna, e quella che riguarda una consulenza da 5000 euro al mese di cui lo stesso Brienza avrebbe beneficiato nella stessa Soa, ente che avrebbe dovuto controllare. Mario Calcagni, 64 anni, doveva essere un comune impiegato dell’Axsoa, ma in realtà, sarebbe stato una sorta di padre padrone dell’azienda. Era lui, secondo i pubblici ministeri, a ridistribuire le mazzette. Anche la moglie, Raffaella Bigonzi, in arte Raffaella Bergè, era finita nella bufera giudiziaria. La protagonista della soap opera «Centovetrine», secondo il gip avrebbe compiuto «operazioni atte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa» di un assegno circolare di 200mila euro. Anche Alfredo Gherardi, sempre della società Axsoa spa avrebbe gestito il presunto business illecito. Tra i nomi iscritti sul registro degli indagati spunta quello di Massimo Colletti, del direttore generale della Vigilanza, Maurizio Ivagnes, del funzionario dell'Ufficio Qualificazione Maria Grassini e del deputato di Scelta Civica, Angelo D'Agostino. Per il primo, ieri, il giudice per l’udienza preliminare ha dichiarato il non luogo a procedere. Nel caso di altri 3 indagati: Ivangnes, Francesco Di Svevo e Tiziana Carpinello, come nei confronti di Brienza il giudice ha dichiarato il non luogo a procedere limitatamente al reato di rivelazione del segreto d’ufficio. La posizione dell’ex presidente della Corte dei conti, Luigi Gianpaolino, era già stata archiviata. In abbreviato invece Gino Sorvillo è stato condannato a tre anni di reclusione. Mentre Bernardino Ciccarella è stato assolto. Per le circa 80 persone rinviate a giudizio, il prossimo appuntamento è fissato al 14 settembre, giorno in cui avranno la possibilità di difendersi raccontando la loro verità.