mercoledì 20 maggio 2020

La commissione: via Sirignano dalla Dna. Disse: “Di Matteo è un mezzo scemo”- - Antonella Mascali

La commissione: via Sirignano dalla Dna. Disse: “Di Matteo è un mezzo scemo”
Cesare Sirignano

Csm - Oggi il voto del Plenum sull’incompatibilità ambientale del magistrato.
Nino Di Matteo? “Un mezzo scemo”, deve essere fuori dal pool stragi della Direzione nazionale antimafia. Barbara Sargenti, pm della Dna ed ex pm romana? Una che “deve prendere botte sui denti”, troppo vicina all’ex procuratore Giuseppe Pignatone.
È la tarda primavera del 2019 e a parlarsi ripetutamente al cellulare sono il solito Luca Palamara, intercettato dai pm di Perugia che lo indagano per corruzione e Cesare Sirignano, pm della Dna della corrente centrista Unicost come Palamara. Al centro dei colloqui l’assetto della Dna secondo i loro desiderata e la nomina del procuratore di Perugia nell’interesse dell’indagato Palamara e delle sue trame, anche attraverso l’uso di un esposto dell’ex pm romano Stefano Fava per danneggiare il procuratore aggiunto della capitale Paolo Ielo.
Sirignano è a un passo dal trasferimento per incompatibilità ambientale. Oggi si vota al plenum del Csm la relazione del togato di Area (progressisti) Ciccio Zaccaro, della Prima commissione, presieduta da Sebastiano Ardita (AeI). La relazione di minoranza di Concetta Grillo (Unicost) chiede l’archiviazione.
“Sirignano – scrive Zaccaro – non si è limitato a condividere con Palamara critiche aspre nei riguardi di questo o quel collega del suo ufficio” ma le ha inserite “in un disegno volto a mettere le pedine nei posti giusti e a condizionare gli assetti nell’ufficio”.
A proposito di colleghi in Dna, Sirignano non sopporta Di Matteo, ora al Csm. “Dinanzi alla critica di Palamara sulla decisione del procuratore Cafiero di ‘fare il gruppo con Di Matteo dentro’”, cioè il pool stragi, Sirignano sbotta: “E voi l’avete portato come fosse il Pataterno in croce, è un mezzo scemo”. Sul pool stragi, aggiunge: “Bisogna parlare con Federico”. La telefonata è del 7 maggio, fatalità vuole che il 26 Cafiero estromette Di Matteo dal pool per un’intervista del pm in tv in occasione dell’anniversario dell’attentato a Capaci. Il procuratore lo accusa di aver rivelato riflessioni del pool, anche se Di Matteo aveva parlato in base a sentenze definitive. La “punizione” di Cafiero è finita alla Settima commissione del Csm, Di Matteo mesi fa ha auspicato che si pronunci nel merito, anche se lui non è più in Dna.
Nella relazione di Zaccaro si ricostruisce pure che Sirignano ha chiesto a Palamara di contattare Cafiero e l’ex consigliere del Csm Antonio Lepre, Mi, legato a Cosimo Ferri, per dare una ridimensionata a De Simone che “rema contro Cafiero e dobbiamo mettere nel calduccio”. E Palamara: “Ma quella è una matta”. Sirignano: “I matti vanno trattati da matti. Devi far venire Federico”. C’è poi il capitolo sulla nomina del procuratore di Perugia. Sirignano “vende” a Palamara l’ormai ex amico Giuseppe Borrelli, allora procuratore aggiunto di Napoli, ora procuratore di Salerno. Gli dice che Borrelli a Perugia sarà “affidabile”, ma Borrelli non ne sa nulla. E quando vengono pubblicate le intercettazioni, a giugno scorso, Borrelli parla con Sirignano, lo registra e presenta un esposto. “Borrelli – scrive Zaccaro – non aveva fornito a Sirignano alcun tipo di rassicurazione di quelle cercate da Palamara”.

L'uomo per tutte le stagioni


Il film storico in TV: "Un uomo per tutte le stagioni" mercoledì15 ...

L'Innominabile, come lo definisce Travaglio, si è scelto una posizione che funge da ago della bilancia. Tipico di chi è allergico all'etica e alla lealtà. Lui, uomo da scarsi valori morali, si pone a sinistra, ma naviga a destra, dimostrando che "in medio non stat virtus", ma, spesso, c'è anche il peggio del peggio. Lo ha dimostrato in passato stipulando un patto scellerato con la destra peggiore, proponendo e facendo varare leggi libertarie che nulla avevano a che fare con la tradizione della sinistra. Pupillo anch'esso del vecchio e discusso Napolitano che lui ha citato oggi in Senato per lanciare un messaggio a chi, ahimè, lo appoggia: "Io voto no alle mozioni, ma lo faccio solo per una ragione, restare al mio posto e continuare a ricattare il governo per assicurare a me e a chi mi sostiene una lunga permanenza tra le leve del potere."
E anche perchè, aggiungo io, se restasse fuori da quelle stanze, avrebbe molto da perdere con i parenti che si ritrova....


Cetta.

Castigo senza delitto. - Marco Travaglio

I ministri Luigi Di Maio, Alfonso Bonafede e Roberto Speranza, arrivano a palazzo Madama per la seduta del Senato © ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Oggi il Parlamento promette di battere il record di ridicolaggine stabilito con la mozione “Ruby nipote di Mubarak”. Infatti voterà su due mozioni di sfiducia al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che dicono l’una l’opposto dell’altra: quella del centrodestra lo accusa di aver fatto uscire troppa gente dalle patrie galere; quella di Più Europa (Bonino&C.) lo accusa di aver tenuto troppa gente dentro. E Italia Viva, decisiva per la loro approvazione o bocciatura, è tentata di votarne almeno una. A caso. Il fatto che l’una dia a Bonafede dello scarceratore e l’altra del carceriere è un dettaglio che non tange questi buontemponi, perché hanno letto solo il titolo. E non le motivazioni, del tutto superflue per un non-partito animato da non-idee e pieno di non-elettori. Noi siamo andati a leggere le due mozioni, scoprendo particolari davvero avvincenti.
La mozione Bonino imputa a Bonafede di non aver ancora portato “in Parlamento la riforma del processo penale”. Il che è vero, ma solo perché il ddl, pronto dal giugno 2019, fu bloccato prima da Salvini e poi da Iv. Altra accusa: “un’idea puramente afflittiva della pena”. Niente indulti né amnistie. Ora, l’ultima autorevole proposta di indulto e amnistia venne dal presidente Napolitano, d’intesa con il premier Letta, nell’ottobre 2013. E sapete chi la bloccò? L’Innominabile, neosegretario in pectore del Pd: “Sarebbero un autogol e un clamoroso errore”. La terza accusa è il decreto che “ha imposto la revisione, con effetto retroattivo” delle scarcerazioni di mafiosi: decreto appena approvato da tutta la maggioranza giallorosa, Iv compresa. La quarta accusa è “la soppressione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio”: coerente dal pulpito boniniano, ma da quello renziano proprio no, visto che il primo a lanciare l’idea nel 2014-2015 fu l’Innominabile e poi i suoi uomini in commissione Giustizia. Quindi, se i renziani votano la mozione di Più Europa, si danno almeno quattro zappe sui piedi. Ma potrebbero pure votare la mozione Lega-Fratelli d’Italia, cui s’è subito associata Forza Italia. E qui, se possibile, si ride ancor di più. Cogliamo fior da fiore: “Bonafede ha iniziato ad accettare il principio, indimostrato e scientificamente falso, del nesso di causalità tra detenzione in carcere e contagio”. Poco sotto, oplà: “da parte del Dap, a fronte dell’emergenza sanitaria nazionale, non sono state predisposte, all’interno degli istituti, adeguate misure di prevenzione sanitaria e anti-contagio Covid-19 a tutela di detenuti, operatori e visitatori… mettendoli tutti a grave rischio della loro salute”.
Oh bella: ma se è “falso” il “nesso di causalità tra detenzione in carcere e contagio”, che bisogno c’era di “misure di prevenzione sanitaria e anti-contagio”? La verità è che le carceri sono rimaste il luogo più sicuro d’Italia (e non solo) proprio perché Bonafede e il Dap del famigerato Basentini intervennero subito con pre-triage e misuratori di febbre per detenuti e agenti, reparti isolati per i “nuovi giunti”, blocco delle visite personali (sostituite con colloqui via Skype), mancati rientri serali per i semiliberi e snellimento della Svuotacarceri di Alfano (votata nel 2010 da tutto il centrodestra) che consente di scontare ai domiciliari le pene residue di 18 mesi, con braccialetto elettronico sopra i 6 mesi, salvo per i mafiosi e condannati per altri reati gravissimi. Ma non è finita, perché i tre partiti di centrodestra rimproverano a Bonafede anche di non aver affidato il Dap a Nino Di Matteo, cioè al pm che hanno passato gli ultimi 15 anni a insultare a difesa degli imputati del processo Trattativa, da Dell’Utri a Mori (se lo amavano tanto, in gran segreto, perché non gli han proposto il Dap, anziché affidarlo all’indimenticabile Tinebra?). Ora sarebbe davvero strepitoso se i renziani votassero quel documento, visto che l’Innominabile, non più tardi di tre mesi fa, tuonò contro i magistrati che osano sospettare B. e Dell’Utri di rapporti con la mafia e con le stragi (indovinate un po’ con chi ce l’aveva). E, quando era premier, prese le proposte della commissione Gratteri-Davigo-Di Matteo sulla riforma del processo e le imboscò in un cassetto.
Ma c’è di meglio e di più: se la Bonino accusa Bonafede di ostacolare scarcerazioni, indulti e amnistie, il centrodestra lo dipinge come un furbacchione che scatena le rivolte nelle carceri “finalizzate ad alimentare la discussione su indulti, amnistie e provvedimenti che avrebbero potuto alleggerire il carcere per gli uomini della criminalità organizzata” e poi “avanza ipotesi di interventi normativi volti incredibilmente ad accogliere le richieste dei rivoltosi”. Infatti, quando i giudici ne mettono fuori qualche centinaio fra lo scandalo generale (anche di Iv), Bonafede fa subito un decreto per tentare di riportarli dentro (votato anche da Iv). Naturalmente il Parlamento è sovrano e ogni partito può votare come gli pare: ma sarebbe interessante sapere quale terribile delitto (a parte le leggi anticorruzione e antiprescrizione, le manette agli evasori e la riforma del voto di scambio) avrebbe commesso Bonafede per meritare un simile castigo. E, soprattutto, se sia un carceriere o uno scarceratore: che sia entrambe le cose è altamente improbabile.

Una stampa libera, ma libera veramente..- Massimo Erbetti

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La FCA chiede 6,3 miliardi di euro di prestito con garanzie statali e scoppia un caso: è giusto dare un prestito ad una società che ha sede legale in Olanda e domicilio fiscale a Londra? E giusto che una società per risparmiare sulle tasse se ne vada dall'italia e poi chieda all'italia stessa le garanzie per un aiuto così cospicuo? Chi dice si, chi dice no e poi forse, perché comunque da lavoro a 50 mila dipendenti italiani e poi c'è l'indotto...e poi c'è il passato...quanti aiuti ha avuto la Fiat nel corso degli anni da parte dello Stato? E poi non sempre l'azienda ha rispettato i patti...insomma una bella gatta da pelare...ma cosa c'entra FCA con la stampa libera? 
Purtroppo c'entra eccome se c'entra, siamo abituati a pensare che sia la politica a servirsi della stampa per ottenere consenso, ma non è così, o meglio non è solo la politica a farlo.

La finanziaria Exor ha acquistato nei mesi scorsi dai De Benedetti il 43,78% del gruppo Espresso e ne ha assunto il controllo. Dopo il Corriere della Sera, con una partecipazione in Rcs ceduta definitivamente solo nel 2016, e dopo una cessione di fatto de La Stampa proprio al gruppo Espresso, Exor la finanziaria della famiglia Agnelli si compra l'intera Gedi, riprendendosi così il quotidiano torinese ma anche La Repubblica, l'Espresso e varie radio, fra cui Deejay. “Siamo convinti che il giornalismo di qualità ha un grande futuro, se saprà coniugare autorevolezza, professionalità e indipendenza con le esigenze dei lettori, di oggi e di domani”, ha dichiarato il presidente e amministratore delegato di Exor, John Elkann. “Con questa operazione ci impegniamo in un progetto imprenditoriale rigoroso, per accompagnare Gedi ad affrontare le sfide del futuro”.

"... Giornalismo di qualità... Autorevolezza, professionalità..." e ciliegina sulla torta ".. indipendenza.." indipendenza? Elkann, parla di indipendenza? 

Indipendenza da cosa?
Notizia fresca fresca: "La Repubblica, Molinari, il nuovo direttore, non fa pubblicare un comunicato sindacale sul caso del prestito a Fca: i giornalisti convocano l'assemblea. Tensione all'interno della redazione del quotidiano, controllato da Exor, ovvero la holding proprietaria anche della casa automobilistica. Il direttore ha chiesto al Comitato di redazione di non pubblicare un comunicato sulla questione del prestito da 6,3 miliardi garantito dallo Stato alla casa automobilistica. All'ordine del giorno della riunione dei cronisti le "ricadute del caso Fca"

Capito? 
Si acquista un giornale, in questo caso un gruppo editoriale e poi si detta la linea..un articolo che potrebbe andare contro il capo? Si blocca. Notizie che potrebbero danneggiare il gruppo? Si bloccano. Alla faccia dell'indipendenza tanto sbandierata da Elkann.
Questa è la stampa italiana, questo è il modo di informare che c'è in questo paese. Una stampa libera, ma libera veramente? No, non in Italia, non in questo paese, non con queste regole e non con questi personaggi.
Se vogliamo una stampa libera, vanno riviste le regole, ci vogliono editori puri, che non si facciano condizionare, non bastano i tagli agli aiuti statali...ma forse è solo un'utopia perché per sopravvivere un giornale ha bisogno di pubblicità e la pubblicità che porta soldi veri è quella degli Agnelli, dei Benetton, è quella dei poteri forti che hanno interessi, grandissimi interessi affinché le cose non cambino mai.

martedì 19 maggio 2020

Francia e Germania ci copiano anche sul Recovery fund. Sì a un piano per la ricostruzione da 500 miliardi a fondo perduto. - Laura Tecce

MERKEL MACRON

Sul tavolo dell’Eurogruppo, che la scorsa settimana ha dato il via libera definitivo al piano Sure per la cassintegrazione e alle linee di credito del Mes, era rimasto il “piatto” più “gustoso” in termini di reale potenza economica: il Recovery Fund, vale a dire il nuovo fondo europeo per contrastare la crisi post pandemia finanziato attraverso l’emissione di obbligazioni garantite dal bilancio Ue aggiuntivo rispetto al Piano Finanziario pluriennale 2021-27. La proposta in merito della Commissione Ue è attesa tra dieci giorni, ma intanto dalla cancelliera Angela Merkel e dal presidente francese Emmanuel Macron è arrivata ieri una proposta congiunta di un piano di ricostruzione da 500 miliardi di euro. Che non dovranno essere rimborsati dai destinatari del prestito, bensì “dagli Stati membri”, come ha tenuto a precisare Macron.
Costituirà un supplemento straordinario, integrato nella decisione sulle risorse proprie del bilancio Ue, con un volume e una data di scadenza chiaramente specificati e sarà collegato a un piano di rimborso vincolante: si tratta di una vera e propria condivisione del debito. Ha vinto dunque linea dei “Nove”, cioè di quei Paesi che, con Francia e Italia in testa, sin dall’inizio avevano prospettato questa soluzione, riscontrando però la rigidità dei rigoristi del Nord, con l’Olanda – noto paradiso fiscale – sul piede di guerra. Ma la Germania, l’unico vero temibile ostacolo, alla fine ha fatto un passo indietro e Merkel, in video collegamento insieme al collega francese, ha parlato di “uno sforzo straordinario e unico che abbia come obiettivo la coesione dell’Europa”, ribadendo che la crisi del coronavirus ha colpito in modo diverso i Paesi europei e che dunque il Recovery Fund dovrà dare un contributo alla tenuta dell’Europa, assicurando che questa esca dalla crisi insieme e più forte di prima”.
In ogni caso l’ampliamento della cornice del bilancio europeo dovrà essere ratificata dai parlamento nazionali, ma rispetto alle nebbie che qualche giorno fa sembravano addensarsi all’orizzonte, quella di ieri è decisamente più che una schiarita. Creare un coordinamento più forte in Europa nell’ambito della salute “deve diventare una nostra priorità” ha affermato Macron, “I 500 miliardi di euro sono lì per rispondere alla crisi sanitaria ed economica e andranno a settori non solo tecnologici. È una forte risposta economica che aiuterà a combattere la disoccupazione nelle regioni più vulnerabili”. Finalmente si dà un valore reale alle parole “solidarietà” e “coesione”, finora rimaste abbastanza sulla carta, e anche Von der Leyen rassicura: “Accolgo con favore la proposta costruttiva fatta da Francia e Germania. Riconosce la portata e le dimensioni della sfida economica che l’Europa deve affrontare e giustamente pone l’accento sulla necessità di lavorare su una soluzione con il bilancio europeo al centro.
Ciò va nella direzione della proposta su cui sta lavorando la Commissione, che terrà conto anche delle opinioni di tutti gli Stati membri e del Parlamento europeo”. Grande soddisfazione, ovviamente, da parte del governo italiano: “Quanto appena dichiarato dal presidente Macron e dalla Cancelliera Merkel rappresenta un buon passo in avanti che va nella direzione sin dall’inizio auspicata dall’Italia per una risposta comune ambiziosa alla pandemia. Questa posizione è evidentemente il frutto del lavoro congiunto con altri partner europei, in primis l’Italia, in vista della proposta della Commissione Ue sul Recovery Fund e più in generale sugli altri temi evocati come salute, investimenti, ricerca, politica industriale e concorrenza, che rappresentano obiettivi prioritari”.

Una nuova stagione per l’Europa. - Gaetano Pedullà

CONTE VON DER LEYEN

Può servire più tempo e coraggio, ma le buone idee vincono sempre sugli egoismi e gli steccati ideologici. Così oggi dall’Europa arriva un segnale impensabile fino a un anno fa, quando proprio a maggio 2019 veniva eletto il nuovo Parlamento Ue e la mossa sorprendete e decisiva del premier Giuseppe Conte e della piccola pattuglia M5S permetteva la nascita della Commissione von del Leyen. Con bei programmi e inconsuete scuse all’Italia quando l’azione di sostegno ai popoli è risultata insoddisfacente, l’Unione ha comunque invertito la rotta rispetto all’ultimo ventennio, in tempi in cui il nostro Paese in difficoltà sui conti spediva il ministro Tremonti col cappello in mano a chiedere gli Eurobond oppure in anni più recenti il presidente Juncker ci negava più flessibilità sui bilanci.
Con il nuovo corso le cose non sono state tutte rose e fiori, ma l’attenzione ai temi dell’occupazione, della solidarietà e della sostenibilità green non hanno precedenti. Dunque abbiamo fatto bene, anzi benissimo, a non accodarci al più becero euroscetticismo di Lepen, Orbàn, Salvini e Meloni, tutto protesta e niente proposta. Nel nuovo clima più costruttivo adesso Francia e Germania aprono all’idea italiana del Recovery Fund, ipotizzando un plafond di 500 miliardi di euro in parte a fondo perduto, da garantire con il debito comune. Si tratta di una rivoluzione copernicana, che seppure meno ambiziosa di quanto chiede lo stesso Parlamento Ue (2mila miliardi) o l’Italia (mille miliardi) ci proietta in una stagione nuova: dall’Europa degli Stati a quella dei cittadini.

Perché la ex Fiat sorride grazie al mega-prestito. - Cdf

Perché la ex Fiat sorride grazie al mega-prestito

Il Lingotto non paga tasse sui dividendi e risparmia quasi mezzo miliardo senza attingere alla sua liquidità.
L’affaire Fiat Chrysler Automobiles agita la maggioranza giallorosa. I fatti: Fca Italia chiederà all’assicurazione pubblica Sace la garanzia sull’80% di un credito da 6,3 miliardi erogato da Intesa SanPaolo per le sue attività italiane. Come previsto dal “decreto Liquidità”, la garanzia dovrà essere autorizzata da un decreto del ministro dell’Economia. Per i giornali di proprietà dell’ex Lingotto (il gruppo Gedi che edita, tra gli altri Repubblica e La Stampa) è una grande operazione che salva l’indotto permettendo di pagare i fornitori. Per gli addentellati padronali nella politica, a partire da Italia Viva, le polemiche sono strumentali. Questo, per dire, è Matteo Renzi: “Bene Fca. Sbagliato evocare ‘poteri forti’ e ‘interessi dei padroni’. È un prestito che serve a investire in Italia: che male c’è? Mi sarei preoccupato se non lo avesse fatto”. Le cose però sono un po’ più complesse.
Problema fiscale. Fca dal 2014 ha sede legale in Olanda e fiscale nel Regno Unito. Sulle attività italiane (a cui sono destinati i prestiti garantiti) paga le tasse in Italia (solo mezzo miliardo nel 2019 perché sono in perdita da anni). Diverso è il caso dei dividendi, cioè la parte degli utili distribuita agli azionisti. Di per sé, non sono tassati molto neanche in Italia: viene applicata un’aliquota Ires del 24% solo sul 5% dell’ammontare, cioè un’aliquota effettiva dell’1,2%. Su un dividendo di 2 miliardi parliamo di 25 milioni sottratti all’erario italiano. Poi ci sono gli utili prodotti all’estero. Il fisco olandese di fatto rende esentasse i dividendi, ma permette anche di ridurre l’aliquota formale sugli utili abbattendo gli imponibili. Nel 2019, per dire, Fca ha fatto ricavi per 108 miliardi, e utili per 6,6 miliardi, pagando imposte per soli 1,3 miliardi. Un “tax rate” dell’1,5%, assai invidiabile in Italia e forse dovuto anche alle perdite assorbite negli anni precedenti dall’acquisto di Chrysler.
C’è poi un altro aspetto: anche se è difficile che Fca riesca a portare molti profitti generati dall’Italia fuori dal nostro Paese con i meccanismi elusivi del transfer pricing è pure vero che non sappiamo se nel 2014 siano stati trasferiti all’estero anche beni poco tangibili come marchi, brevetti e ricerca scientifica. A ogni modo tutte le multinazionali concentrano servizi sulla casa madre, cosa che genera utili finanziari (su cui il fisco olandese chiede imposte assai basse). Vale la pena poi di ricordare che a fine 2019 Fca ha riconosciuto 730 milioni all’amministrazione fiscale italiana per aver sottostimato il valore di Chrysler pagando meno tasse.
Il regalo. Fca e la sua controllata Exor ha liquidità sufficiente per garantire prestiti infragruppo senza dover ricorrere alla garanzia pubblica, tanto più che ha in pancia ancora parte dei ricavi della vendita di Magneti Marelli. Se vi ricorre è perché così si tiene la liquidità e, avendo lo Stato italiano un rating migliore di quello dell’ex Fiat (è mantenuto sul livello “investment” solo dall’agenzia Fitch), risparmia sui costi di finanziamento. Considerato il merito di credito tra Stato italiano e Fca è verosimile che su un prestito a 3 anni il risparmio sia anche superiore al mezzo miliardo (e questo al netto dei costi della garanzia pubblica, che sono a carico di Fca). Il divieto di distribuire dividendi vale solo per 12 mesi: significa che Fca nel 2021 potrà staccare agli azionisti 5,5 miliardi del dividendo straordinario previsto dalla fusione con Peugeot, somma pari al prestito garantito dallo Stato. Per l’ex Lingotto è un’operazione perfetta. I soldi verranno usati per saldare i fornitori italiani (che non è una gentile concessione, ma un dovere).
Gli investimenti. La speranza del governo italiano – che la garanzia sui debiti impegnerà Fca a investire davvero in Italia – è cosa buona e giusta. Finora, però, Fca non ha mai mantenuto gli impegni sugli investimenti previsti (gli ultimi annunci, risalenti al 2018, parlano di 5 miliardi nel quinquennio).
Le garanzie. Finora Sace ha effettivamente erogato garanzie su prestiti di una quarantina di milioni e ha operazioni “potenziali” in essere con circa 250 aziende per un totale di 18,5 miliardi. Da sola la garanzia a Fca vale un terzo dell’ammontare “potenziale”.