martedì 4 agosto 2020

Comunione e liberazione: il peggior cattolicesimo. - Ettore Boffano

Comunione e Liberazione - Diocesi di
“Anima persa” del cattolicesimo italiano, tra l’inizio e la fine della Chiesa di Karol Wojtyla, Comunione e Liberazione è stata una vera e propria “testa di cuoio” del collateralismo religioso a favore del ventennio berlusconiano. Appoggiata, usata e incentivata soprattutto dalle scelte dell’allora presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Camillo Ruini, in una commistione tra il Vangelo e gli interessi politici e affaristici degli “atei devoti”.
Eppure, che cosa fosse Cl, e che cosa fosse in particolare il suo Movimento Popolare, era ben chiaro già negli anni 70 e 80 sia al laicato cattolico sia ad alcune gerarchie della Chiesa italiana che, dopo il Concilio Vaticano II, avevano dato il via a una riflessione sulla necessità di un rinnovamento del ruolo dei credenti nella politica, a cominciare dalla “scelta religiosa” dell’Azione Cattolica sotto la guida di Vittorio Bachelet.
C’è un episodio, tenuto perlopiù nascosto dalla pubblicistica (e divulgato unicamente da siti stranieri, mai però smentiti) che risale al 13 aprile 1980 e alla prima visita di Giovanni Paolo II a Torino, nei giorni del terrorismo delle Brigate Rosse. Cardinale della città era Padre Anastasio Ballestrero, un carmelitano scalzo che, nel 1975, era stato eletto presidente della Cei. Forse l’oppositore più strenuo della volontà di Wojtyla di dare pieno riconoscimento ecclesiale a Cl. Quella domenica, dopo la messa, lui e il papa si incontrarono nella sagrestia. Unico testimone fu padre Giuseppe Caviglia, anche lui un carmelitano scalzo e segretario di Ballestrero, che poi mantenne per molti anni la riservatezza su quanto ascoltò. Le ricostruzioni raccontano di una domanda aspra del papa, “Eminenza, perché lei è così ostile a Comunione e Liberazione?”, e di una risposta altrettanto esplicita: “Santità, lo capirà quando si sarà accorto che è la parte peggiore del cattolicesimo italiano”. Parole profetiche, rileggendo gli ultimi 40 anni di storia del nostro Paese. Parole, però, non ascoltate. Poco dopo, infatti, il riconoscimento a Cl arrivò assieme alla grande occasione per Ruini e per il suo modo di intendere “il ruolo dei cattolici nella politica italiana”. Come ha scritto Alberto Melloni: “Ruini intuisce che, nel venir meno della credibilità dei partiti e nel disfarsi del tessuto della rappresentanza politica, lui ha una grandissima chance”. I giornalisti e gli intellettuali ciellini serviranno poi, come una clava, per abbattere qualsiasi altra voce cattolica di dissenso: bollata con le accuse quasi eretiche di “relativismo” o addirittura di “gnosticismo”.
Il ruolo di Comunione e Liberazione in quell’arco di tempo avrà il suo occaso e il suo tramonto nella parabola di Roberto Formigoni, l’enfant prodige della creatura di don Luigi Giussani: fondatore e presidente del Movimento Popolare, parlamentare prima della Dc e poi delle sue varie frammentazioni, fino ad approdare nella galassia del Partito delle Libertà di Silvio Berlusconi. Il “Celeste” che viveva con i “memores domini”, ma che da presidente della Regione Lombardia è finito in carcere ed è stato condannato a 5 anni e sei mesi: i pm del processo di primo grado parlarono di lui come “il capo di un gruppo criminale”. Un terremoto per la credibilità di Cl e di tutte le sue diramazioni (e a discapito di migliaia di militanti e credenti), compresa la Compagnia delle Opere: il suo braccio economico. Un potere politico (ma sorretto dalla religione) che, in Lombardia, ha conquistato, assieme alla Lega, una sanità pubblica sempre più spostata verso i privati, nel nome della “sussidiarietà” (quella stessa sanità disastrata dell’emergenza Covid-19) e, in Italia, quasi il monopolio delle mense scolastiche e universitarie.
Una difficoltà rivelata finalmente, negli ultimi anni, da un imbarazzato silenzio mediatico attorno al movimento, nonostante il perdurare di certe attenzioni e, soprattutto, di certe autocensure, persino nei giornali di sinistra. Una prudenza che aveva coinvolto anche il Meeting di Rimini, per due decenni vera e proprio talk show dal vivo della politica estiva, soprattutto in chiave berlusconiana. Sino a qualche giorno fa, però, quando con l’annuncio dell’edizione 2020, è stato anche svelato che sarà Mario Draghi a inaugurarla. Presentato così da Bernhard Scholz, il presidente tedesco della manifestazione: “È importante ascoltare persone che hanno saputo prendere decisioni coraggiose e di grande competenza in momenti storici di difficoltà”; parole subito seguite da un ragionamento politico: “Se si vuole parlare di un governo di unità nazionale, occorre prima di tutto superare il clima di continua campagna elettorale”. Qualcosa che di certo avviene a insaputa di Draghi, ma che svela ancora una volta il vizio irrefrenabile della “parte peggiore del cattolicesimo italiano”.

Il governo infila nel decreto agosto il bonus per chi paga con carta e bancomat. - Silvia Gasparetto - ANSA

Un bonus sugli acquisti, concentrato sui settori che stentano a ripartire. Il governo punta a stanziare con il prossimo decreto di agosto almeno due miliardi – ma c’è un pressing per portare la dote a 3 – per spingere i consumi e dare un po’ di ossigeno alle attività più colpite, come bar e ristoranti. Il perimetro degli acquisti da incentivare è ancora da definire e potrebbe essere esteso anche all’abbigliamento e agli elettrodomestici.
Da affinare anche il meccanismo: le ipotesi spaziano da una card a un rimborso direttamente al contribuente, mentre è consolidato l’orientamento di premiare le spese effettuate con pagamenti tracciabili, con carte e bancomat, e fino a dicembre 2020. Già nei giorni scorsi il viceministro all’Economia Laura Castelli aveva assicurato le associazioni dei ristoratori sull’intenzione di introdurre un bonus sui consumi, insieme a nuove di misure di sostegno al settore – dalla proroga dell’esenzione della Tosap a un fondo per di garanzia” per gli affitti.
L’idea di aiutare gli esercenti si incrocia con quella del ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, di sostenere i centri storici delle città d’arte, semi-deserti per l’assenza dei turisti stranieri ma anche per il persistere dello smart working diffuso. Il calo di presenze, secondo i calcoli di Confesercenti, tocca i 34 milioni con perdite stimate attorno ai 7 miliardi. Anche il ministro dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, ha lanciato la sua proposta di un fondo da 1 miliardo per la ristorazione che dia sostegno a tutta la filiera del made in Italy, con un bonus da 5mila euro a esercizio per l’acquisto di prodotti agroalimentari italiani. In queste ore si sta quindi cercando una sintesi delle varie proposte – il Cdm è previsto in settimana, probabilmente giovedì – cui si aggiunge quella, allo studio del Mise, per puntellare anche il settore dell’abbigliamento e degli elettrodomestici.
La platea del bonus – che non dovrebbe avere limiti di reddito per chi lo utilizza – dovrà fare i conti con le risorse disponibili. Il limite è quello dei 25 miliardi di nuovo deficit autorizzati dal Parlamento, che saranno destinati in gran parte (circa 13 miliardi) al pacchetto lavoro. Su questo fronte si sta ancora limando la proposta di proroga della cassa Covid selettiva, abbinata a un prolungamento fino a fine anno del blocco dei licenziamenti.
Su questo fronte si starebbero studiando però le ‘eccezioni’: nelle bozze circolate nei giorni scorsi i licenziamenti erano consentiti solo in caso di chiusura definitiva o fallimento delle aziende, ma dovrebbero essere inclusi almeno anche i casi di accordi tra imprese e sindacati per l’esodo volontario. Il resto delle risorse andrà al rifinanziamento del Fondo di garanzia per le Pmi (poco meno di 1 miliardo), alle nuove scadenze lunghe per pagare le tasse sospese di marzo, aprile e maggio (circa 4 miliardi), alla scuola (1,3 miliardi), e agli enti locali.
L’intesa con le Regioni prevede ulteriori 2,3 miliardi di ristoro mentre ai Comuni dovrebbero andare circa 3,5 miliardi cui si dovrebbero aggiungere anche i fondi per la gestione dell’emergenza migranti e per i relativi controlli sanitari anti-Covid. Mezzo miliardo, infine, andrà a rimpinguare il fondo per la rottamazione auto (3mila prenotazioni per l’ecobonus solo nelle prime 2 ore) che potrebbe essere esteso anche ai veicoli commerciali.
https://infosannio.com/2020/08/03/il-governo-infila-nel-decreto-agosto-il-bonus-per-chi-paga-con-carta-e-bancomat/

Il sistema Maxwell: la villa di Clinton e le notti di Andrea. - Sabrina Provenzani

Il sistema Maxwell: la villa di Clinton e le notti di Andrea

Il Metropolitan Detention Centre di Brooklyn è “noto” per essere una prigione infernale, mal finanziata, con poche guardie e poco personale. In quest’inferno Ghislaine Maxwell, presunta procacciatrice di ragazzine per i piaceri sessuali di Jeffrey Epstein, è rinchiusa dal giorno del suo arresto, il 2 luglio, con accuse che vanno dall’adescamento di minori a fini sessuali all’associazione a delinquere. Ci è finita dritta dal paradiso, la villa del New Hampshire dove si nascondeva dal suicidio di Epstein e che, si è scoperto in seguito, pur dichiarandosi nullatenente, ha acquistato di recente per un milione di dollari. La buona notizia per lei, l’unica, è che un tribunale statunitense ha accolto la sua richiesta di bloccare, almeno fino a settembre, l’imminente pubblicazione di documenti “molto indiscreti’ sulla sua vita sessuale. Non è una vittoria di Pirro: le attività sessuali di Ghislaine con Epstein, già ex fidanzato, sarebbero rilevanti per dimostrare il suo coinvolgimento nel reclutamento e addestramento delle decine di donne, ai tempi minorenni, che oggi la accusano di averle adescate. Il resto le sta franando intorno. Altri documenti, già resi noti e risalenti a un processo per diffamazione del 2016, descrivono nei dettagli il “sistema Maxwell-Epstein”. Una bomba che fa tremare ricchi e potenti, nomi di vip registrati nel famigerato libro nero di Epstein, e sembra solo la punta dell’iceberg.
Rivelazioni che entrano nei dettagli del presunto coinvolgimento, fra gli altri, del principe Andrea e dell’ex presidente Usa, Bill Clinton. Clinton ha cercato di prendere le distanze dal caso, ma dal processo emerge una storia diversa. Frequentava regolarmente Epstein; avrebbe viaggiato sul suo jet privato in almeno 17 occasioni con giovanissime e, circostanza molto compromettente, sarebbe il proprietario di una villa nell’isola caraibica di St James’, feudo di Epstein e già ribattezzata PaedoIsland, l’isola dei pedofili, dove Epstein abusava delle giovanissime o le “metteva a disposizione” di amici facoltosi e senza scrupoli con lo scopo di ricattarli.
La principale accusatrice del sistema Epstein-Maxwell, Virginia Giuffre, ricorda di aver visto Clinton sull’isola, dove si sarebbero tenute orge durate giorni. Lui nega di averci mai messo piede. E sempre la Giuffre ha rivelato per prima il coinvolgimento del principe Andrea, con cui sarebbe stata indotta da Ghislaine ad avere rapporti sessuali quando era ancora minorenne, prima nella casa della Maxwell a Londra e poi nel ranch messicano di Epstein, per un intero weekend, in cambio di 1.000 dollari generosamente offerti da Jeffrey. Circostanze sempre negate da Andrea: ma, sempre che la Giuffre dica la verità, il rapporto del principe con il duo al centro degli abusi appare molto più profondo di quanto sostenuto finora. Sarebbe stato il terzogenito della regina Elisabetta a introdurre Ghislaine nell’alta società newyorchese nei primi anni 90, quando, dopo la morte sospetta del padre, il magnate Robert Maxwell, lei aveva deciso di allontanarsi da Londra. Lui a chiedere clemenza per l’amico Jeffrey ai pubblici ministeri della Florida in un caso di abusi su una 14enne nel 2007, finito con una condanna. Ed emergono anche possibili tentativi di insabbiamento: secondo un ex ufficiale della Guardia Reale, i turni delle guardie del corpo di Andrea, indispensabili all’Fbi per ricostruire i suoi spostamenti nelle date (siamo nel 2001), che lo potrebbero compromettere, sarebbero stati distrutti dopo soli 2 anni.

lunedì 3 agosto 2020

Un Ponte a 5 stelle. - Tommaso Merlo



La corsa per accaparrarsi i meriti del Ponte è iniziata da mo’. Ma se era per i vecchi partiti il Ponte di Genova lo avrebbero ricostruito i Benetton che all’inaugurazione si sarebbero seduti in prima fila col doppiopetto di sartoria e un ghigno in faccia. Pregustando i mega profitti e il pugno di mosche dei processi a loro carico. Andazzo italiano. Inconcludenti calvari giudiziari coi parenti delle vittime fuori dal tribunale con dei cartelli in mano e gli automobilisti a farsi spennare su una rete fatiscente. Come nulla fosse. In attesa del crollo successivo. Il solito andazzo. Delle stragi impunite. Della legge del più forte che coincide col più ricco. Ed invece questa volta è andata diversamente. Eccome se lo è. Il Ponte di Genova crollò a pochi mesi dal 4 marzo, una tornata elettorale anomala che portò alla nascita di un governo che Conte definì “populista” ma in senso buono e cioè al servizio del popolo dopo decenni in cui la politica s’inginocchiava davanti a potentati di ogni risma. Sembrava l’inizio di un nuovo paradigma. Un entusiasmo e una voglia di cambiamento che crollato il Ponte determinò un fatto storico. Il governo si schierò subito e con forza dalla parte dei cittadini. Ma non a chiacchiere. A fatti. Invece di nascondersi dietro al peloso garantismo, la politica si assunse le sue responsabilità. Escludendo i Benetton dalla ricostruzione e avviando la procedura per la revoca delle concessioni. Fu la determinazione del Movimento a portare al Modello Genova nonostante resistenze e allarmismi dei soliti uccellacci del malaugurio. Che perfino la Lega fosse dalla parte dei Benetton lo si è scoperto solo dopo. Non hanno mai avuto il coraggio di ammetterlo apertamente per paura di perdere voti. I cittadini avevano del resto innalzato il Ponte a simbolo del nuovo corso politico ignorando le ambizioni dell’ego selvatico di Salvini che un anno dopo mandò tutto all’aria. Un voltafaccia che riapriva le porte ai Benetton. Ma Salvini è solo un membro della foltissima tribù dei voltagabbana che scorrazzano per il Belpaese. E così quello che rimane della fu sinistra si decise a sporcarsi le mani con quegli impestati del Movimento facendo nascere un nuovo governo. Una fu sinistra che nel sottobosco lobbistico ci ha sguazzato per decenni collezionando perle preziose proprio come quella di regale le autostrade ai Benetton. Cambia comunque trama. Il coriaceo ministro Toninelli viene messo alla porta ed iniziano mesi di silenzi tombali e ritardi giurassici intorno alla bega autostradale. I corvacci del malaugurio gracchiano di goduria prefigurando l’ennesima sconfitta degli impestati a 5 stelle. Una seconda TAV e un pronto ritorno agli splendori del vecchio regime partitocratico. Melina, veti incrociati, perverso retroscemismo. Ma la fu sinistra è troppo molle. Col 4 marzo ha rischiato l’estinzione e non può permettersi di buttar via un’insperata opportunità di riscatto. A mettere fine al calvario ci pensa Giuseppe Conte salendo in cattedra e siglando un clamoroso e storico accordo. Le autostrade ritornano ai loro legittimi proprietari e cioè ai cittadini italiani in attesa che i responsabili del crollo paghino fino all’ultimo centesimo di responsabilità. Una vittoria dei cittadini, una vittoria della politica, una vittoria dello Stato e dell’interesse pubblico su quello privato, ma anche una innegabile vittoria degli impestati del Movimento. Una vittoria da ricordare. Con tutti i media e i soldi dalla sua parte, il vecchio regime partitocratico potrebbe riuscire a tornare in sella prima o poi. Ma comunque vada a finire, il Ponte a 5 stelle di Genova rimarrà lì, in piedi. A ricordare a tutti quanto sia dura la battaglia per il cambiamento, ma quanto alla fine valga la pena combatterla anche in un paese martoriato come il nostro.

https://repubblicaeuropea.com/2020/08/03/un-ponte-a-5-stelle/

Cerimonia di inaugurazione del ponte 'Genova San Giorgio'



Dal minuto 31,46 potrete ascoltare il discorso di Renzo Piano che è riuscito a commuovermi; la frase che più mi ha colpito è che "costruire un ponte è bellissimo, perché il ponte è un segno di pace".
by-c.

Immigrati, virus, tamburi e Briatore: levategli il mojito. - Selvaggia Lucarelli

Immigrati, virus, tamburi e Briatore: levategli il mojito

Deve essere un’estate durissima per Matteo Salvini, a giudicare dal livello della sua propaganda social e non solo social. Un livello così infimo e spassoso allo stesso tempo che c’è solo una spiegazione: i mojitos quest’estate ha cominciato a berseli tutti Luca Morisi. Senza zucchero di canna, succo di lime, menta e acqua di seltz: solo rum, però. Ecco dunque la speciale classifica delle minchiate postate da Matteo Salvini negli ultimi giorni.
1)Il leader della Lega esprime solidarietà a Mario Conte, sindaco di Treviso, per i 129 richiedenti asilo positivi al Covid nell’ex caserma Serena. Sindaco che afferma: “Il nuovo focolaio all’interno della struttura genera un danno incalcolabile, anche in termini di immagine, faccio causa alla Stato!”. “Sacrosante parole, questi sono i sindaci della Lega!”, tuona Matteo Salvini. Peccato che sia il sindaco di Treviso che Salvini si dimentichino, nell’ordine, che a) Treviso è stato uno dei primi focolai d’Italia e una delle prime zone rosse d’Italia, per cui “l’immagine” della città – se vogliamo scomodare un termine da soubrette – era già compromessa dal 7 marzo. b) Il 9 luglio a Treviso è arrivato un pullman di badanti dal Kosovo che rientravano in città per tornare ad assistere gli anziani: due di queste erano positive. Quindici persone di quel pullman sono risultate irrintracciabili. In quel caso il sindaco non ha parlato di bomba sanitaria e di cause al governo italiano. Si vede che se devono svuotare il pappagallo agli anziani trevigiani, gli stranieri sono un po’ meno stranieri degli altri.
2) Alla luce dell’arrivo dei migranti in Italia, Matteo Salvini mette le mani avanti e scrive: “Se tornerà l’epidemia, sappiamo chi ne sarà colpevole”. In pratica lui gira senza mascherina nel tour delle piazze stringendo mani e maneggiando i cellulari di chiunque, va in Senato rifiutandosi di indossare la mascherina, dice che il saluto col gomito è la fine della specie umana, strizza l’occhio ai no-mask, dice che non manderà sua figlia a scuola con la mascherina, lancia il messaggio che la mascherina sia una specie di bavaglio che il governo vuole mettere agli italiani e se torna l’epidemia è colpa dei migranti. Certo. I leghisti non si ammalano, basta bagnarsi con l’acqua del Po. O stringere la mano di Salvini, Gesù aveva le stimmate, lui ha gli anticorpi sui palmi. Gli dai il cinque e sei immune.
3) Posta un video di Flavio Briatore scrivendo a caratteri cubitali la frase dell’imprenditore contro il Governo: “VIVONO IN UNA BOLLA, NON HANNO IDEA DELLA VITA REALE!”. Cioè, secondo Salvini Flavio Briatore è l’esperto di vita reale. Attendiamo che citi Attilio Fontana come esperto in trasparenza bancaria.
4) Scrive: “Non vi sembra un’Italia al contrario? Quando lo spiego all’estero non ci credono!”. Ora, sarebbe interessante sapere a chi spieghi l’Italia all’estero Matteo Salvini. E in che lingua, visto che il suo unico interlocutore al momento sembrerebbe quell’Orban che a maggio gli scrisse saggiamente via sms “Dear friend! Congratulations. L’Ungheria è con te, Matteo! Viktor”. Della serie: fino a “dear friend” magari ci arriva, il resto glielo scrivo in italiano così capisce.
5) Per frignare a proposito del processo Open Arms, Salvini posta la foto di sua figlia che è in un’età – 7 anni – in cui non può ancora incazzarsi per la sua esposizione pubblica a fini propagandistici. E commentando la foto scrive: “Per amore dei nostri figli, per il bene dell’Italia, in difesa dei nostri valori e del nostro futuro. Possono anche processare un uomo, ma non potranno mai arrestare le nostre idee e la nostra voglia di Libertà”. Inutile dire che sogno un futuro in cui quella bambina, per spiegare la sua idea di libertà, a 18 anni, con una crocchia di dreadlocks in testa come Carola Rackete, speronerà un gazebo della Lega alla guida di una ruspa.
6) Salvini posta una notizia di cronaca di quelle che scuotono il paese come neppure riuscì a fare la strage di Erba e cioè: “Torino, immigrato tunisino strappa una collana a una 70enne. I passanti lo inseguono e lo bloccano”. Segue il commento: “E io a processo?”. Giuro che ho riflettuto almeno 15 minuti sul nesso tra i due avvenimenti ma non l’ho compreso. Cioè, se un tunisino delinque, Salvini non deve essere processato? E se anziché tunisino fosse stato messicano, cosa avrebbe scritto, qualcosa tipo “E noi qui mangiamo ancora nachos al formaggio?”. E se il ladro fosse stato italiano, il processo andava bene? Perché nel caso informo che ieri un italiano ha tentato di compiere un furto nel duomo di Arezzo, un altro italiano ha rubato una moto a Modugno, uno ha commesso un furto alla Ip di Sondrio, un altro ha rubato una borsa a Genova e insomma, dovrebbe essercene abbastanza per compensare il tentato furto del tunisino e chiedere il 41 bis per Salvini, se il criterio è “se delinquono solo gli stranieri niente processo”.
7) L’account ufficiale “Lega Salvini Premier” posta una foto del premier Conte, di Roberto Fico e di Teresa Bellanova che suonano i tamburi. Il commento per sbeffeggiarli è: “Mentre l’Italia affonda, loro suonano il tamburo”. Tamburo che chissà, al leghista medio deve sembrare anche uno strumento vagamente esotico, che evoca danze tribali e cannibalismo. Purtroppo l’account “Salvini premier” ignora il fatto che si trattava di un’iniziativa di inclusione per i disabili. Speriamo che nella foga di questi giorni Salvini non chieda di rispedire anche loro, in Tunisia.

Re Juan Carlos abbandona la Spagna e si trasferisce all’estero dopo inchieste per evasione. -

Re Juan Carlos abbandona la Spagna e si trasferisce all’estero dopo inchieste per evasione

All'origine della decisione di Juan Carlos le indagini avviate dai pubblici ministeri svizzeri e spagnoli sui presunti fondi nei paradisi fiscali. Il suo legale ha assicurato in una dichiarazione che, nonostante la partenza, il suo cliente resta a disposizione della Procura.
All’origine della decisione di Juan Carlos le indagini avviate dai pubblici ministeri svizzeri e spagnoli sui presunti fondi nei paradisi fiscali. Il suo legale ha assicurato in una dichiarazione che, nonostante la partenza, il suo cliente resta a disposizione della Procura.Non è ancora ufficialmente indagato, anche se fonti giudiziarie svizzere non escludono che lo sarà in futuro. Ma le pesanti ombre dell’inchiesta per evasione fiscale in patria e in Svizzera che lo ha coinvolto hanno spinto il re emerito di Spagna Juan Carlos ad abbandonare la Spagna e a lasciare il palazzo della Zarzuela per trasferirsi all’estero. Lo ha annunciato al figlio Felipe VI, attuale regnante, che ha ricevuto una sua accorata lettera in cui spiega la sua decisione “di fronte alla ripercussione pubblica che alcuni eventi passati nella mia vita privata stanno generando” e ha espresso al suo erede la sua “assoluta disponibilità ad aiutarvi per facilitare l’esercizio delle vostre funzioni con la tranquillità e la calma che richiede la tua alta responsabilità. Lo esigono la mia storia e la mia dignità di persona”. Il re, scrive El Pais, lo ha ringraziato per la sua decisione, esprimendo “sincero rispetto e gratitudine”.
A marzo re Felipe aveva deciso di rinunciare all’eredità del padre e aveva tolto la pensione ai genitori proprio a seguito dell’apertura da parte dell’autorità anticorruzione di un’inchiesta su cento milioni di euro che Juan Carlos avrebbe ricevuto su un conto svizzero a nome di una fondazione panamense della casa reale saudita. Soldi che sarebbero stati ripartiti fra l’allora re e altre persone affinché l’appalto per la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità fra la Mecca e Medina, nel 2011, venisse assegnato a ditte spagnole, su cui pendono sospetti di corruzione.
L’indagine dell’anticorruzione per far luce sull’appalto risale al 2018. Il coinvolgimento di Juan Carlos, padre dell’attuale re Felipe, è nato da una telefonata fra l’imprenditore Juan Villalonga e Corinna zu Sayn-Wittgenstein, amica del sovrano da molti ritenuta sua amante. L’inchiesta però sarà è stata limitata al periodo successivo al 2014, anno della sua abdicazione: nel momento in cui ha lasciato il trono al figlio, Juan Carlos ha perso l’immunità legata al suo ruolo.