giovedì 12 novembre 2020

United leccons. - Marco Travaglio

 

Il minimo che si possa fare leggendo le intercettazioni di Castellucci, Mion e degli altri magnager di casa Benetton intercettati dalla Procura di Genova, è vomitare. Ma stupirsi, per favore, no. Da ieri siamo inondati dai commenti indignati di politici, giornalisti e commentatori che fingono di meravigliarsi per le parole sprezzanti dei manager scelti dai Benetton per speculare a suon di dividendi miliardari su un bene pubblico (le autostrade), la sicurezza pubblica (le mancate manutenzioni dei viadotti) e l’incolumità pubblica (i cavi del Morandi “corrosi” e i pannelli “incollati col Vinavil”). Ecco: ce li risparmino. Oggi intitoliamo questa colonna come quella dell’agosto 2018 sul crollo del ponte Morandi, perchè ricordiamo benissimo cosa dicevano questi tartufi. Era già tutto chiaro e lampante allora, almeno per le responsabilità gestionali dei dirigenti scelti da Luciano, Gilberto & F.lli, noti imprenditori a pelo lungo passati dal tosare le pecore al tosare gli italiani. Ma quando il premier Conte e i suoi vice Di Maio e Salvini (che si sfilò un minuto dopo) promisero ai funerali di cacciare i Benetton da Aspi, furono investiti da una potenza di fuoco politico-mediatica mai vista prima, al grido di “no all’esproprio” e “aspettiamo la Cassazione”. Anche se il crollo del Morandi (43 morti) era il macabro replay della strage di Avellino del 2013 (40 morti).

Solo il Fatto e la Verità osarono mettere la parola “Benetton” in prima pagina. Quella del Corriere non citava né Atlantia, né Autostrade, né Benetton: in compenso additava come colpevoli i 5Stelle e gli ambientalisti contrari alla Gronda (anche se la Gronda non l’avevano certo bloccata loro, non avendo mai governato né la Liguria né l’Italia, ma la destra e la sinistra; e comunque la Gronda, anche se esistesse, non rimpiazzerebbe ma affiancherebbe il Morandi). Stessa favoletta su Repubblica: niente Atlantia, Autostrade e Benetton, ma giù botte a i 5Stelle anti-Gronda. Idem su La Stampa (“Imbarazzo per un documento M5S” e per “il blog di Grillo”), il Giornale (“chi è stato”: i Benetton? No, “i grillini”) e tutti i tg. Perché? Elementare, Watson: i Benetton riempiono di pubblicità milionarie giornali e tv; il M5S e gli ambientalisti un po’ meno. In più, per pura combinazione, Autostrade sponsorizzava la festa di Repubblica “Rep Idee” e aveva nel Cda l’amministratore di Repubblica Monica Mondardini. Quindi la revoca della concessione alla Sacra Famiglia trevigiana era pura bestemmia. Repubblica, Corriere, Stampa, Messaggero e

Giornale ripeterono per giorni che Conte, Di Maio e chiunque altro si azzardasse a incolpare Atlantia per le colpe di Atlantia era affetto da patologie gravissime.

Eccole: populismo, giustizialismo, moralismo, giustizia sommaria, punizione cieca, voglia di ghigliottina, ansia da Piazzale Loreto, sciacallaggio, speculazione, ansia vendicativa, barbarie umana e giuridica, cultura anti-impresa che dice “no a tutto”, deriva autoritaria, ossessione del capro espiatorio, pressappochismo, improvvisazione, avventurismo, collettivismo, socialismo reale, oscurantismo. Ezio Mauro spiegò su Repubblica che “una delle più grandi società autostradali private del mondo” non può diventare “il capro espiatorio di processi sommari e riti di piazza”, “tipici del populismo” e dei “pifferai della decrescita”. Toccare la sacra concessione, per Daniele Manca del Corriere, era una pericolosa “scorciatoia”, “un errore” e “un indizio di debolezza”. Giovanni Orsina, su La Stampa, lacrimava inconsolabile per i poveri Benetton (mai nominati), “sacrificati” come “capro espiatorio”: roba da “paesi barbari”. L’emerito Sabino Cassese tuonava a edicole unificate, dal Corriere al Sole 24 Ore a Repubblica, contro la revoca ai Benetton e il ritorno delle Autostrade allo Stato: “Sarebbe una decisione immotivata e anche illegale”, strillava, scordandosi di premettere che nel 2000-‘05 era stato nel Cda del gruppo Benetton, uscendone con 700mila euro tra gettoni e consulenze.

Centrosinistra e centrodestra, a suo tempo lautamente foraggiati da Autostrade, le fecero scudo come un sol uomo, tempestando la Consob di esposti contro Conte&C.: il crollo che li angosciava non era quello del Ponte sui 43 morti, ma quello del titolo Benetton in Borsa. “Qualcuno sarà chiamato a rispondere di aggiotaggio” (Michele Anzaldi, deputato renziano, 16.8). “Consob avverte Palazzo Chigi: ‘Pericoloso turbare i mercati’” (Stampa, 17.8). “Consob raccoglie l’appello di Forza Italia: verifiche su Autostrade. Brunetta: ‘Attenzione a chi turba i mercati’” (Giornale, 18.8). Il Partito d’Azioni trovava il suo naturale portavoce nell’Innominabile: “Revocare la concessione ad Autostrade significa pagare 20 miliardi di danni”. Poi, con comodo, il nome Benetton riapparve sui giornaloni. Ma per riabilitarli con titoli e interviste strappalacrime. Da Pulitzer quella di Francesco Merlo (Repubblica) a Luciano dai capelli turchini, poco dopo la morte del fratello Gilberto. Merlo lo definì “imprenditore di sinistra”, forse perché nelle foto di famiglia siede da quella parte. Poi affondò il colpo: “È vero che il crollo del Ponte Morandi a Genova con i suoi 43 morti ha ferito lei e ha ucciso suo fratello?”. Mancò poco che chiedesse i danni ai famigliari delle vittime. Quindi, signore e signori: vomito sì, stupore no. Magari qualche parolina di scuse, ecco.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/12/united-leccons/6000684/

Oltre il Morandi. “Meno sicurezza e più utili. E i Benetton sono contenti”. - Vincenzo Iurillo e Jacopo Rocca

 

C’è un pregnante odore del ‘metodo Castellucci’ nelle carte dell’arresto dell’ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia. Il metodo del massimo risparmio sulle manutenzioni a scapito della sicurezza, già visto intorno all’inchiesta madre della Procura di Genova per il crollo del ponte Morandi che causò la morte di 43 persone, di cui i sei provvedimenti cautelari di ieri per le barriere antirumore ‘incollate col Vinavil’, come si ascolta in una intercettazione, sono uno spin off. Finiscono ai domiciliari l’ex ad Giovanni Castellucci, Michele Donferri Mitelli e Paolo Berti, rispettivamente ex responsabile manutenzioni e direttore centrale operativo dell’azienda. Provvedimenti interdittivi per altri tre manager: Stefano Marigliani, responsabile del tronco autostradale di Genova all’epoca del crollo del ponte Morandi, Paolo Strazzullo, responsabile delle ristrutturazioni pianificate sul ponte Morandi, per l’accusa mai eseguite, distaccato a Roma, e Massimo Miliani di Spea, consociata di Aspi. Le accuse ipotizzate dai pm di Genova, vagliate dal giudice Paola Faggioni, sono attentato alla sicurezza dei trasporti e frode in pubbliche forniture.

Riguardano le installazioni di barriere fonoassorbenti su 30 chilometri di rete autostradale: Aspi, secondo le accuse, sapeva che la progettazione era difettosa, che cadevano al primo colpo di vento, perché progettate con una resina non omologata dall’Unione Europea; ma i suoi massimi dirigenti lo nascosero al Ministero, mettendo a rischio la sicurezza degli utenti. Tra novembre 2016 e gennaio 2017 due di queste barriere posizionate sui viadotti Rio Rezza e Rio Castagna cedettero a causa del forte vento. Ed altre barriere di quel tipo ebbero la stessa sorte sull’autostrada Adriatica. I tecnici scoprirono che le barriere “Intergautos” soffrivano di un difetto di progettazione degli ancoraggi e dell’installazione. La resistenza al vento ligure era stata sottostimata anche del 50%. Insomma, sbragavano alle intemperie, costringendo i tecnici di Aspi ad alzarne e abbassare le cerniere delle protezioni. Ridotte di un metro di altezza grazie a queste speciali ‘cerniere’, le barriere – oltre a rimanere comunque a rischio crollo – perdevano la funzione di insonorizzazione. Per l’infelicità di chi abitava lì intorno, fino a quando il frastuono insopportabile non si traduceva in centinaia di mail di protesta, alle quali Aspi replicava con risposte preconfezionate. Occorreva cambiarle, ma costava troppo. Più facile addossare la colpa ai subappaltatori, idea “aziendalista” di Donferri. “Michele, ma ti rendi conto che non tiene il vento quella barriera?”. E ancora: “Il tirafondo è nella barriera. È incollato col Vinavil”. La sintesi della filosofia aziendale di Aspi, secondo chi indaga, è tutta in un’intercettazione di Gianni Mion, Ad di Edizione Holding, che controlla a sua volta Atlantia: “Le manutenzioni le abbiamo fatte in calare, più passava il tempo meno facevamo … cosi distribuiamo più utili … e Gilberto e tutta la famiglia erano contenti”. Gilberto Benetton è scomparso il 22 ottobre 2018. Secondo gli investigatori ci sono“60 chilometri di barriere fonoassorbenti potenzialmente pericolose” solo nel tratto genovese.

Per un problema emerso “nel luglio 2017”. I lavori di adeguamento erano andati a rilento perché pagarli sarebbe stato “un bagno di sangue”: “’Ndo chiappi i sordi?”, sintetizza Donferri. Anche il nuovo ad di Aspi Roberto Tomasi è indagato, ma la sua posizione è prossima all’archiviazione.

Aspi fa sapere tramite una nota di aver eseguito i lavori tra la fine del 2019 e il 2020 dopo aver appreso dell’indagine. “Stupore e preoccupazione per un provvedimento che non si giustifica in sé e che non si vorrebbe veder finire a condizionare una vicenda, quella del crollo del Ponte Morandi, che con quella odierna non ha nulla a che vedere” scrivono i legali di Castellucci.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/12/oltre-il-morandi-meno-sicurezza-e-piu-utili-e-i-benetton-sono-contenti/6000687/

mercoledì 11 novembre 2020

Il Supercasino del tutti contro tutti. - Antonio Padellaro

 

Quando il 9 marzo Giuseppe Conte decise il lockdown nazionale, gli italiani si chiusero disciplinatamente in casa e il tricolore esposto sui balconi simboleggiava lo spirito patriottico dell’unità nazionale. Se, come leggiamo, prima o dopo Natale il governo dovesse essere costretto a una misura analoga per frenare la curva impazzita dei contagi, dei decessi, degli ospedali presi d’assalto, teniamoci pronti a celebrare lo spirito fazioso della disunità nazionale. Il tutti contro tutti delle ultime settimane non lascia del resto molto spazio all’ottimismo.

All’interno del governo, dove l’allarme ripetutamente lanciato contro gli assembramenti nelle piazze e sulle spiagge, complice lo sfavillante novembre è già un modo per mettere le mani avanti. Del tipo: cari italiani ci eravamo raccomandati al vostro senso di responsabilità ma visto che continuate a fregarvene vi spediamo di nuovo tutti a casa. Quanto all’opposizione essa si opporrà in qualunque caso. Se ci sarà il lockdown strillerà contro la dittatura sanitaria, la catastrofe economica e il governo brutto e cattivo che ruba il Natale ai bambini. Se il lockdown non ci sarà strillerà contro la dittatura del contagio, opera del governo degli incapaci e degli assassini (sentiremo anche questa). Sui presidenti delle regioni, che ve lo dico a fare, c’è più armonia, compattezza e unità d’intenti nella Casa del Grande Fratello. Virologi e immunologi? Una credibilità messa a dura prova dai continui litigi televisivi, tanto che perfino il presidente della Lazio, Claudio Lotito può serenamente discettare su Covid e batteri nella vagina delle donne. E la babele dell’informazione? E gli opinionisti tre palle un soldo? E le associazioni dei medici e del personale sanitario che allo stremo delle forze gridano lockdown subito? E le categorie del commercio, del turismo e della ristorazione che tra le macerie delle loro attività implorano lockdown mai? E i cosiddetti ristori, giudicati elemosine nel migliore di casi (e nel peggiore non pervenuti)? E la demenziale guerra dei Toti contro gli anziani non più utili al processo produttivo? Inutile andare avanti perché il supercasino è sotto gli occhi di tutti. Non resterebbe che tornare al punto di partenza, a quel 9 marzo quando un uomo solo al comando decise per tutti. Ma oggi signor presidente del Consiglio siamo troppo confusi e non sappiamo più cosa sperare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/11/il-supercasino-del-tutti-contro-tutti/5999356/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-11-11

Energie rinnovabili: la Regione Campania in top ten per energie alternative.

 

Energie rinnovabili: la Regione Campania in top ten per energie alternative
Tra i primi dieci Comuni da menzionare per le energie rinnovabili il Comune di Campagna, in Provincia di Salerno, con oltre 5.000 abitanti, in grado di produrre piu' energia elettrica di quella consumata dalle famiglie residenti.

Energie rinnovabili: la Regione Campania in top ten per energie alternative

La Campania nella top ten delle regioni italiane riscaldate dal sole e alimentate dal vento. Con i suoi 35.709 impianti da fonti rinnovabili, presenti in tutti i Comuni a fine 2019, la Campania si conferma tra le prime 10 Regioni italiane con la maggior potenza installata, dove il solare fotovoltaico e' la tecnologia prevalente con 34.939 impianti, pari al 97,8% del totale, seguita dall'eolico con 616 impianti pari all'1,7%.

Il report

E' quanto emerge dal Rapporto Comuni rinnovabili Campania di Legambiente. Rispetto al 2018 complessivamente è stato registrato un ulteriore incremento del numero totale di impianti installati sull'intero territorio regionale, pari al 7,4%, dove il solare, con il 7,5%, e' la tecnologia che ha visto il maggior incremento seguita dall'eolico con 1,3%. La produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, nel 2019, e' stata del 44,4% del toltale della produzione territoriale, con un incremento del 5,2% rispetto allo scorso anno. Rispetto al 2018 e' stato osservato un incremento dello 5,24% della produzione di energia da fonti rinnovabili. Inoltre, la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, analogamente alla potenza installata, e' cresciuta nel corso degli anni, con un aumento annuo medio dal 2008 al 2019 del 14,2%, passando da 1.476,7 GWh/anno nel 2008 a 5567GWh/anno nel 2019 con un incremento del 277%. A livello provinciale, nel 2018, la maggiore produzione da fonti rinnovabili arriva dalla provincia di Avellino. La seconda posizione, in termini di produzione, è invece occupata dalla provincia di Napoli, seguono Salerno e Benevento. E' Caserta la provincia dove l'idroelettrico risulta essere la tecnologia che presenta la maggior produzione, con il 53,97%, di energia da fonti rinnovabili. Tra i primi dieci Comuni da menzionare per le energie rinnovabili il Comune di Campagna, in Provincia di Salerno, con oltre 5.000 abitanti, in grado di produrre piu' energia elettrica di quella consumata dalle famiglie residenti.

https://www.salernotoday.it/green/campagna-energie-rinnovabili-legambiente-campania-report-10-novembre-2020.html

GIUSTIZIA & IMPUNITÀ Autostrade, 6 misure cautelari per ex e attuali manager: ai domiciliari l’ex ad Castellucci. “Attentato a sicurezza dei trasporti e frode”.


L'indagine avviata un anno fa è un filone nato dall'inchiesta sul crollo del ponte Morandi a Genova e riguarda le barriere fonoassorbenti sulla rete autostradale. Ai domiciliari l'ex amministratore delegato insieme a Michele Donferri Mitelli e Paolo Berti, rispettivamente ex responsabile manutenzioni e direttore centrale operativo dell’azienda. Per gli investigatori emerge la "consapevolezza della difettosità delle barriere e del potenziale pericolo per la sicurezza".

Sapevano che le barriere fonoassorbenti erano difettose e del potenziale pericolo per la sicurezza, ma non hanno voluto procedere alla loro sostituzione e hanno occultato la loro pericolosità. Sono queste le accuse che hanno portato a tre arresti domiciliari e tre misure interdittive per gli ex vertici e alcuni degli attuali manager di Autostrade per l’Italia. Ai domiciliari sono finiti l’ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia Giovanni Castellucci, ma anche Michele Donferri Mitelli e Paolo Berti, rispettivamente ex responsabile manutenzioni e direttore centrale operativo dell’azienda. Le misure interdittive, della durata di un anno, riguardano invece Stefano Marigliani, già direttore del primo tronco di Autostrade ora trasferito a Milano, Paolo Strazzullo, che era responsabile delle ristrutturazioni pianificate sul ponte Morandi, per l’accusa mai eseguite, distaccato a Roma, e Massimo Miliani di Spea, consociata di Aspi. La Guardia di Finanza ha eseguito le sei misure cautelari: le accuse ipotizzate sono attentato alla sicurezza dei trasporti e frode in pubbliche forniture. L’indagine, avviata un anno fa, è un terzo filone nato dall’inchiesta principale legata al crollo del Ponte Morandi. È relativa alle criticità – in termini di sicurezza – delle barriere fonoassorbenti montate sulla rete autostradale ed è proseguita in parallelo a quella principale sul crollo del 14 agosto 2018 che causò la morte di 43 persone. Autostrade per l’Italia comunica di aver “attivato le procedure previste dal contratto per una immediata sospensione dal servizio” dei due tecnici ancora dipendenti coinvolti nell’indagine.

L’inchiesta della Procura di Genova, procuratore aggiunto Paolo D’Ovidio e pm Walter Cotugno, parte da analisi dei documenti, indagini tecniche e testimonianze che hanno portato a “raccogliere numerosi e gravi elementi indiziari e fonti di prova in capo ai soggetti colpiti da misura”, si legge nel comunicato della Guardia di Finanza. In particolare, per gli investigatori emerge la “consapevolezza della difettosità delle barriere e del potenziale pericolo per la sicurezza stradale, con rischio cedimento nelle giornate di forte vento (fatti peraltro realmente avvenuti nel corso del 2016 e 2017 sulla rete autostradale genovese)”. Si parla delle barriere integrate modello ‘Integautos’ con specifico riferimento a quelle del primo tronco autostradale, dove sono stati registrati anche alcuni parziali cedimenti dei pannelli sulla A12.

“È emersa la consapevolezza di difetti progettuali e di sottostima dell’azione del vento, nonché dell’utilizzo di alcuni materiali per l’ancoraggio a terra non conformi alle certificazioni europee e scarsamente performanti”, si legge ancora nel comunicato. Che evidenzia anche altri due elementi. Da un lato, la “volontà di non procedere a lavori di sostituzione e messa in sicurezza adeguati, eludendo tale obbligo con alcuni accorgimenti temporanei non idonei e non risolutivi”. Infine, si ipotizza anche la frode nei confronti dello Stato, “per non aver adeguato la rete da un punto di vista acustico (così come previsto dalla Convenzione tra Autostrade e lo Stato) e di gestione in sicurezza della stessa, occultando l’inidoneità e pericolosità delle barriere, senza alcuna comunicazione – obbligatoria – all’organo di vigilanza (ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti)”.

Castellucci non è più amministratore delegato di Aspi da settembre 2019, quando a un anno dal crollo del Ponte Morandi lasciò la guida della holding Atlantia concordando una buonuscita da 13 milioni di euro. Successivamente, nel dicembre dello stesso anno, il gruppo guidato dalla famiglia Benetton decise di sospendere la seconda rata del pagamento per “elementi sopravvenuti emersi dalle indagini in corso”. Quando la buonuscita fu concordata però erano già noti i tentativi di ostacolare le intercettazioni con l’utilizzo dei disturbatori di frequenze, le registrazioni dei dialoghi tra i manager addetti alle manutenzioni che strepitavano per risparmiare sui lavori e anche la circostanza secondo cui uno dei funzionari di Autostrade condannati in primo grado per la strage del bus ad Avellino non abbia raccontato tutto durante il processo. Un processo in cui l’ex ad Castellucci è stato assolto perché “nessuna norma imponeva la sostituzione delle barriere”.

La nota di Aspi – Autostrade per l’Italia “ha attivato le procedure previste dal contratto per una immediata sospensione dal servizio” dei due tecnici dipendenti coinvolti nell’indagine, si legge in una nota della società, in cui si precisa che gli altri 4 coinvolti sono già ex manager. “L’indagine della Procura di Genova, che ha portato stamane a misure cautelari nei confronti di 4 ex manager di Aspi e di due tecnici (uno del Tronco genovese e l’altro trasferito presso il Traforo del Monte Bianco), riguarda una specifica tipologia di barriere integrate anti-rumore, denominate “Integautos”, presenti su circa 60 dei 3000 km di rete di Autostrade per l’Italia”. Aspi sottolinea poi che “la totalità di queste barriere è già stata verificata e messa in sicurezza con opportuni interventi tecnici tra la fine del 2019 e gennaio 2020, nell’ambito del generale assessment delle infrastrutture messo in atto dalla società su tutta la rete autostradale”.

“La società era venuta a conoscenza delle attività di indagine lo scorso 10 dicembre 2019, a seguito di un provvedimento di sequestro di documentazione notificatole dalla Guardia di Finanza di Genova, come reso noto dalla società stessa nella successiva trimestrale”, si legge nella nota. “Per tali infrastrutture è stato parallelamente definito a inizio 2020 un piano di sostituzione – spiega ancora Aspi – di intesa con il Dicastero concedente, articolato in tre fasi: una prima fase propedeutica agli interventi, attualmente in corso. Una seconda fase, che prevede la sostituzione delle barriere nei punti maggiormente esposti a impatto acustico, pianificata dalla seconda metà del 2021. Una successiva terza fase completerà invece la sostituzione sugli altri punti”. “La spesa per la totalità degli interventi di sostituzione, pari a circa 170 milioni di euro, è già stata autorizzata dal Consiglio di amministrazione di Aspi dell’aprile 2020 e sarà a completo carico della società”, puntualizza Autostrade, aggiungendo che “tutte le procedure di controllo e di sicurezza, nonché le soluzioni progettuali per la sostituzione delle barriere, sono stati definiti con gli organi tecnici preposti del ministero delle infrastrutture e trasporti”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/11/11/autostrade-6-misure-cautelari-nei-confronti-di-ex-e-attuali-manager-ai-domiciliari-lex-ad-castellucci-attentato-a-sicurezza-trasporti-e-frode/5999467/

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https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/11/11/autostrade-lintercettazione-dellarrestato-40-morti-di-qua-43-di-la-stiamo-tutti-sulla-stessa-barca-lex-dirigente-condannato-per-la-strage-di-avellino-sullex-ad-castellucci-se-dicev/5999647/

Carrai e quei soldi dal Togo. Open, i donatori nel mirino. - Antonio Massari e Valeria Pacelli

 

Firenze - Altri guai per l’amico di Renzi e la moglie: riciclaggio.

Non ci sono solo nomi importanti della politica, come quello di Matteo Renzi o degli ex ministri Maria Elena Boschi e Luca Lotti. L’indagine della procura di Firenze sulla Fondazione Open potrebbe allargarsi ai finanziatori, a coloro che negli anni scorsi hanno elargito donazioni a quella che è stata la cassaforte del renzismo. I magistrati fiorentini ritengono che la Open sia stata “un’articolazione politico-organizzativa del Pd (corrente renziana)” e vogliono andare avanti su questa strada. Tanto che nel mirino della Procura ora potrebbero finire alcuni finanziatori. Non tutti ovviamente. Finanziare una fondazione non è un reato, il problema sorge quando le donazioni non vengono iscritte a bilancio. Quindi la lista di chi finisce sotto accusa potrebbe allungarsi.

Nel frattempo sono già stati iscritti nel registro degli indagati Renzi, Lotti e Boschi: sono tutti accusati di finanziamento illecito. Secondo i pm, dal 2012 al 2018 hanno ricevuto 7,2 milioni di euro, in violazione della norma sul finanziamento illecito ai partiti. “Somme – riporta il capo di imputazione – dirette a sostenere l’attività politica di Renzi, Lotti e Boschi e della corrente renziana”. “E comunque – è scritto nell’invito a comparire – perché Renzi, Lotti e Boschi ricevevano dalla Fondazione contributi in forma diretta e indiretta, in violazione della normativa”. In quanto membri del consiglio direttivo della Open in questa indagine sono accusati di finanziamento illecito anche l’avvocato Alberto Bianchi e Marco Carrai, l’imprenditore ritenuto molto vicino a Renzi.

Per Carrai non è l’unica indagine in cui è coinvolto. Lo ha anticipato ieri Il Corriere Fiorentino: è accusato di concorso in riciclaggio con la moglie Francesca Campana Comparini. Secondo il quotidiano, le indagini sarebbero partite dopo che nel corso di un controllo all’aeroporto di Firenze furono trovati 160mila euro in contanti a una passeggera originaria del Togo in arrivo nel capoluogo toscano. Dalle stesse indagini sarebbe emerso che il denaro sarebbe stato destinato alla moglie di Carrai, per il pagamento dell’affitto di un appartamento di sua proprietà nel centro di Firenze. Secondo l’accusa, riporta sempre Il Corriere Fiorentino, il contratto di locazione dell’abitazione sarebbe stato fittizio, e sarebbe servito per far arrivare il denaro dal Togo in Italia. La Procura sta cercando di ricostruire il movimento di quel denaro. La difesa di Carrai, riferisce il quotidiano, sostiene che sia tutto lecito, dal momento che sarebbe stato lo stesso Carrai a chiedere informazioni su come fare arrivare quel denaro dal Togo senza incorrere in sanzioni.

Francesca Campana Comparini, classe ’88, è nota a Firenze anche per essere l’organizzatrice del Festival delle religioni, un appuntamento annuale dagli importanti ospiti. Nel 2019 c’era per esempio il segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin e ovviamente il sindaco Dario Nardella. Il festival è “copromosso dal comune di Firenze” con il contributo della Fondazione Cr Firenze, un ente senza scopo di lucro che tra i consiglieri del cda annovera proprio il marito Marco. Sono storie fiorentine queste. Quelle della procura invece sono invece indagini penali. Che Renzi sembra star mal digerendo. Dopo le affermazioni del leader di Italia Viva dei giorni scorsi, una quindicina di consiglieri del Csm hanno chiesto l’apertura di una pratica a tutela dei magistrati di Firenze. L’ex premier, insorgono i togati del Csm, “ha definito i magistrati della Procura di Firenze come ‘ossessionati’, mossi da ‘ansia di visibilità’, e ai quali ‘la ribalta mediatica piace più del giudizio di merito’. Si tratta di dichiarazioni che destano preoccupazione in quanto con esse vengono attribuiti ai magistrati intenti e finalità diverse e distorte rispetto all’accertamento della verità”.

Quelli di Renzi, continuano i magistrati, sono comportamenti che appaiono “lesivi del prestigio e dell’indipendente esercizio della giurisdizione tali da determinare un turbamento al regolare svolgimento o alla credibilità della funzione giudiziaria”. Renzi, però, respinge le accuse. “Nessuna guerra di religione” di berlusconiana memoria assicura, anche perché, è il ragionamento, fare di tutta l’erba un fascio impedisce un’analisi seria, serena e serrata dei singoli procedimenti.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/11/carrai-e-quei-soldi-dal-togo-open-i-donatori-nel-mirino/5999348/

“Senza protettori non entri”: odissee da ricercatori precari. - Roberto Rotunno


 

Il rapporto - Interviste a centinaia di studiosi in università ed enti: minacce, baronato e maltrattamenti. Solo promesse non mantenute.

“In uno dei colloqui che ho provato a fare per vincere un dottorato, il presidente della commissione mi ha detto che, se non c’è un professore che mi vuole, non ha senso nemmeno presentarmi”. Chi parla è un ricercatore dell’Università di Padova, uno tra i tanti studiosi che alcune settimane fa hanno risposto all’indagine sul baronato del mondo accademico italiano promossa dal Comitato precari ricercatori universitari (Cpru). La sua è solo una delle centinaia di storie.

Quello venuto fuori è un mondo caratterizzato spesso da ricatti, discriminazioni, promesse non mantenute e professionalità non valorizzate. Più della metà degli intervistati lavora in università, gli altri in enti pubblici (epr), aziende e istituti di cura. Mentre tutti aspettano che la ricerca compia l’ultimo passo alla conquista del vaccino contro il Covid, nel nostro Paese il settore resta castrato dalle scarse risorse che ha a disposizione e finisce per demotivare chi ne fa parte. Tanto che l’83,3% degli intervistati ha detto di guardare con preoccupazione al futuro e il 49,5% si sente semplicemente sfruttato.

L’impressione che emerge dal report è che molti docenti tendano a premiare obbedienza e fedeltà piuttosto che la bravura. “Ho lavorato nella ricerca per dieci anni dopo il dottorato – racconta una ricercatrice – mi è sempre stato detto che in futuro si sarebbero aperte opportunità in Università, ma non si è mai presentata la possibilità di partecipare a concorsi”. Quasi il 36% ha detto di essere stato ingannato da false promesse che riguardano presunti avanzamenti di carriera. C’è poi la quotidianità. Il 38% dichiara di aver subito minacce, di essere stato demansionato, denigrato o isolato da parte dei superiori (quindi dal docente o da un dirigente nel caso degli enti di ricerca). Quasi il 15% delle donne, inoltre, sostiene di aver subito discriminazioni di genere. “In Università venivo chiamata con appellativi come cucciola, piccola, occhi belli, a fronte di colleghi uomini chiamati per cognome”, ricorda una ricercatrice. È andata peggio a chi ha affrontato una gravidanza: “Quando ho comunicato al mio capo che aspettavo un bambino – si legge su uno dei questionari – mi ha creato problemi e ha minacciato di sostituirmi se le cose non fossero tornate come prima. E ora, infatti, faccio i salti mortali per garantire più di otto ore al giorno, lavorando anche da casa”.

Praticamente tutti sostengono di essere in servizio per un tempo superiore a quello previsto dai contratti, e il 44,4% lo fa perché si sente obbligato e teme ripercussioni.

Le carriere sono frammentate, in genere si parte con un dottorato dopo la laurea, poi si passa a un assegno di ricerca e si spera di accedere in un nuovo concorso. Tra un passaggio e l’altro, tanti buchi che spesso si traducono in lavoro gratuito per non perdersi per strada. “Dopo il dottorato – racconta una ricercatrice – non ho percepito la retribuzione per dieci mesi in attesa di un assegno all’Istituto nazionale di Fisica nucleare (Infn)”. “Il problema – fa notare un collega dell’Università di Bologna – sono quelli che definisco i ‘progetti trappola’. Enormi, complessi, affidati da istituzioni prestigiose a una sola persona abbandonata a se stessa. Mi è successo la prima volta dieci anni fa, quando, terminata la borsa di studio annuale, non c’è stato il rinnovo. Pertanto nel secondo anno non sono stato pagato”. Secondo il rapporto a demotivare i ricercatori precari si sono soprattutto i mancati riconoscimenti, a partire dalle citazioni scomparse dalle pubblicazioni a cui però contribuiscono per la gran parte. “Non ho potuto nemmeno inserire il mio nome su un progetto di ricerca basato su una mia idea”, ha risposto una studiosa della Sapienza. Il 61,5% degli assegnisti dice che ha lavorato durante il lockdown senza che questo sia stato riconosciuto.

Il precariato, dunque, resta una condizione non solo contrattuale. Del resto il proliferare di contratti a termine non è stato sconfitto nemmeno dalla legge Madia, che a partire dal 2017 ha avviato le stabilizzazioni negli enti pubblici di ricerca. A oltre tre anni, oggi solo nel Cnr, il più grosso, sono ancora circa 400 i precari storici che aspettano l’assunzione. “Servono nuovi fondi per completare le stabilizzazioni – spiegano dalla UilRua – e bisogna anche creare un nuovo piano di reclutamento che non ripeta il circolo vizioso”. Infatti, nel frattempo si sono già create nuove sacche di precari storici che rivendicheranno un posto fisso.

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