domenica 4 luglio 2021

Sennò? - Marco Travaglio

 

Guai a farsi distrarre troppo dall’ultimo show di Grillo “Te lo do io il M5S” (l’ultima gag è il Comitato dei 7 al posto del Direttorio dei 5) e dal serial “La spallata” del generalissimo Figliuolo (passato dal Cts a Santa Rita da Cascia e da “Un milione di vaccini al giorno a luglio” a “Il piano resta a 500mila” che poi sono meno). Sennò non resta tempo per la sit-com “Casa Letta”, inteso come Enrico. Da quando il Pd entrò nel governo Draghi alleandosi con la Lega, Letta non fa che ripetere che Salvini deve scegliere: o fa quello che gli dice lui, oppure molla il governo. Salvini risponde: “Sennò?” e resta nel governo continuando a fare e a ottenere tutto quel che vuole, mentre il Pd non tocca palla come 5Stelle e Leu. E tutto va avanti come prima. Anzi, se qualcuno fa notare che gli intrusi in questo governo di centrodestra non sono i partiti di centrodestra, ma quelli di centrosinistra, si sente rispondere: zitto, sennò regali Draghi a Salvini (manco fosse un pacco postale). Ergo, l’unico modo per non regalare un premier di centrodestra al centrodestra è approvare le sue politiche di centrodestra senza fiatare, anzi ringraziando e sorridendo. Che è un po’ come dire che Chiellini, nella semifinale degli Europei, deve garantire almeno due autogol nella porta azzurra, sennò regala Morata alla Spagna. Intanto Salvini, per non regalare Orbán alla Meloni, firma con Orbán, Meloni e altri nazionalisti il manifesto antieuropeista perfettamente coerente col programma della Lega, oltreché con quello della Meloni. E Letta riattacca con la tiritera: “Salvini o sta con Draghi o sta con Orbán, stare con entrambi è come tifare per l’Inter e il Milan”.

È il classico sillogismo a cazzo, visto che è proprio Draghi a tifare Inter e Milan, governando con Letta e Salvini. Infatti il manifesto Salvini-Orbán fa infuriare Letta, ma non Draghi. E Salvini, per nulla preoccupato di regalare Draghi a Letta (mission impossible), risponde: “Se non gli sta bene Orbán, Letta esca dal governo”. Infatti anche Letta tifa Inter e Milan. Almeno finché non risponderà ai “sennò?” salviniani con la conclusione di ogni aut aut che si rispetti: “Sennò il Pd esce dal governo”. Ma è proprio questo che spaventa Letta: il fatto che poi, siccome Salvini non ha alcun motivo per non essere Salvini, il Pd dovrebbe uscire per davvero. E non ne ha alcuna intenzione (certi miracoli, tipo stare al governo avendo perso le elezioni, càpitano una volta nella vita, e per il Pd è già la sesta in dieci anni). Anche perché né Salvini né Draghi lo rincorrerebbero. Quindi Letta continuerà a chiedere a Salvini di uscire dal governo e a restare al governo con Salvini, riuscendo persino a farlo apparire più coerente di lui. Sennò rischia di regalare Salvini a Draghi.

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Il mistero dello statuto nascosto. - Antonio Padellaro

 

“Mostrare lo Statuto? Se c’è un invito lo farò”: nell’annunciare il prossimo, chissà, disvelamento della famosa “bozza” della discordia, Giuseppe Conte, forse terminati i giorni degli scazzi furiosi con Beppe Grillo (e delle mediazioni grazie preferisco di no) ci riporta al mistero, doloroso o glorioso, fate voi, dove tutto è cominciato.

Ovvero: possibile che nel tempo in cui della privacy c’è rimasto solo il Garante, un normale documento politico come lo Statuto di Conte debba restare blindato, censurato, occultato perché diocenescampieliberi, nessuno deve vedere e sapere? Ma dove siamo, in Corea del Nord? In un mondo equilibrato, il Garante furioso, d’accordo con il leader disarcionato, avrebbe immediatamente reso pubblico il testo. Affinché il Movimento tutto – iscritti, parlamentari, elettori – leggesse e giudicasse. E magari potesse anche esprimersi con un voto, con un sì o con un no. Purtroppo, come tutti i paradisi in terra, pure quello della democrazia diretta non prevede la sconfitta degli elevati, neppure per ipotesi. Al di là di pennacchi, status e di chi comanda cosa, dai pochi frammenti conosciuti si capisce solo che lo Statuto di Conte è stato ritagliato sul profilo dell’odierno elettorato M5S, meno radicale rispetto a quello delle origini.

Secondo un’indagine dell’Istituto Cattaneo, pubblicata sul Domani, si tratta di un voto d’opinione che si è lasciato alle spalle il MoVimento dei Vaffa, ed è pienamente inserito nella dinamica della democrazia parlamentare. “Una transizione che oggi riflette molto di più l’impostazione ‘moderata’ assunta dall’ex capo politico Luigi Di Maio e promossa – nel ruolo di presidente del Consiglio – da Giuseppe Conte piuttosto che l’aggressiva retorica anti-tutti degli esordi”. Lo Statuto è un pezzo di carta che si potrà anche nascondere o stracciare. Più difficile rinchiudere con un chiavistello procedurale il sentimento di milioni di persone.

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Detesto le generalizzazioni. - Andrea Scanzi

 

Detesto le generalizzazioni. Per questo mi fa paura chi odia a prescindere le forze dell’ordine. Dentro quelle forze ci sono donne e uomini straordinari. Straordinari. Ne conosco tanti.

Analoga paura, nonché disgusto, mi fanno coloro che difendono a prescindere le forze dell’ordine. Anche le “mele marce”. Anche i violenti. La scuola Diaz, Bolzaneto, Aldrovandi, Cucchi, Uva, Magherini. Eccetera eccetera eccetera.
E se a difendere “sempre” le forze dell’ordine sono politici di peso e di grido, il fatto diviene di gravità inaudita.
Quello che emerge sul carcere di Santa Maria Capua Vetere è aberrante. Mattanze su mattanze. Nelle chat degli agenti penitenziari (lavoro difficilissimo, sia chiaro) si leggono frasi come queste: “Prendiamo chiavi e piccone, abbattiamo i vitelli”, “I ragazzi sanno cosa fare”, “Spero che acchiappano tante di quelle mazzate che domani li trovo tutti ammalati”.
I video sono tremendi e i racconti di più.
“Oggi appartieni a me, sono io che comando, sono lo Stato. Comando io oggi”, avrebbe detto il 6 aprile 2020 un agente ad Antonio, detenuto poi picchiato e sodomizzato con un manganello nella cella 13 della III sezione.
Sono stati 17 gli agenti ad accanirsi su Antonio, identificati poi grazie alle telecamere di sorveglianza che peraltro avevano cercato di manomettere.
Vi riporto questa ricostruzione allucinante: “Antonio è stato accerchiato è colpito ripetutamente a mani nude e coi manganelli. Poi i poliziotti lo hanno trascinato fino all’ingresso delle scale, dove hanno continuato a pestarlo. Le sevizie, di ogni genere, sono andate avanti fino a che un compagno, vedendolo stremato, insanguinato e sofferente, chiese agli agenti un po’ d’acqua per soccorrerlo. “Beviti l’acqua del cesso” gli risposero”.
Terrificante. E ci sono altri racconti analoghi.
Ecco: di fronte a queste mattanze nel nome dello Stato, Salvini (già autore di frasi schifose sulla famiglia Cucchi) e Meloni hanno espresso solidarietà alla forze dell’ordine. Minimizzato “i singoli errori che vanno puniti” (cioè le torture). E dimostrato la solita visione orgogliosamente “fascia” di giustizia. Una posizione moralmente ed eticamente raccapricciante, nonché abominevole.
Come ha scritto Globalist, Salvini e Meloni meriterebbero la cittadinanza onoraria di Guantanamo.

Andrea Scanzi -Fb

sabato 3 luglio 2021

Anche sul fisco ad esultare sono la Lega e Forza Italia. Nel documento finale delle Camere sparisce la patrimoniale (citata nelle bozze). Resta la mini flat tax e spunta l’abolizione dell’Irap cara a Confindustria. - Chiara Brusini

 

Il tema al centro del dibattito globale non è sfiorato dal testo approvato dalla maggioranza (astenuta solo Leu) che dovrà indirizzare il governo Draghi sulla strada della riforma. Il voto finale ha fatto piazza pulita anche dell'ennesimo tentativo di riformare il catasto, rivalutando le case di pregio. In compenso si auspica che l'aliquota sui redditi da capitale venga ridotta dall'attuale 26 al 23%. La Lega esulta insieme a Forza Italia: per Sestino Giacomoni è il segno che il partito di Berlusconi "ha vinto la battaglia culturale iniziata nel 1994".

Tra un’inevitabile citazione di Federico Caffè e un motto di Luigi Einaudi, il documento delle Commissioni Finanze di Camera e Senato propedeutico alla riforma del fisco ignora il proverbiale elefante nella stanza. Cioè la proposta del segretario Pd Enrico Letta di aumentare la tassa di successione sui patrimoni oltre i 5 milioni di euro. La versione finale, approvata due giorni fa con l’astensione della sola Leu (contraria invece Fratelli d’Italia) e frutto di sei mesi di audizioni degli addetti ai lavori, mette nero su bianco che al fisco italiano non serve più progressività: l’obiettivo principale deve essere “quello di favorire un incremento strutturale del tasso di crescita“. La redistribuzione? Meglio pensarci in una fase successiva, quella in cui lo Stato distribuisce benefit e agevolazioni. Così la parola “patrimoniale” è stata eliminata tout court dal testo. In compenso si auspica che l’aliquota sui redditi da capitale venga ridotta dall’attuale 26% a un livello “prossimo all’aliquota applicata al primo scaglione Irpef”, cioè il 23%. E viene pure promossa, al netto della richiesta di alcuni correttivi, la flat tax per gli autonomi con ricavi fino a 65mila euro cara alla Lega. Che esulta insieme a Forza Italia: per Sestino Giacomoni “con il testo approvato di fatto da tutta la maggioranza di salvezza nazionale” il partito di Berlusconi “ha vinto la battaglia culturale iniziata nel 1994. Nel nostro Paese non ci saranno patrimoniali o altre tasse di scopo, perché questo è il momento del ‘meno tasse per tutti'”.

E dire che le bozze la tassa sulle ricchezze la citavano, pur lasciando il paragrafo in bianco e segnalando che era un “nodo politico da sciogliere“. Le forze di maggioranza – ognuna delle quali ora descrive l’atto parlamentare come un proprio evidente successo – l’hanno sciolto nel senso di ignorarlo. Così il tema al centro del dibattito globale su disuguaglianze e redistribuzione post Covid non è nemmeno sfiorato dal testo che dovrà indirizzare il governo Draghi sulla strada dell’annunciata riforma del fisco, attesa sotto forma di ddl delega entro fine luglio. La votazione finale ha fatto piazza pulita pure dell’ennesimo tentativo – se ne parla dal 2014 – di procedere con la riforma del catasto, che avrebbe il probabile effetto di rivalutare le case di pregio che oggi in molti casi pagano meno del dovuto: non è passato l’emendamento dei presidenti delle Commissioni Luigi Marattin (Iv) e Luciano D’Alfonso (Pd) che esplicitava “l’opportunità di inserire nella prossima legge delega un riordino complessivo dei valori catastali, valorizzando il più possibile ruolo e funzioni dei Comuni”. Non a caso si dice “molto contento” Matteo Salvini, che festeggia il risultato di aver mandato “in archivio la tassa patrimoniale di successione o l’aumento dell’Imu che qualcuno aveva proposto”. Oltre a rivendicare che il documento prefigura labolizione dell’Irap” caldeggiata da Confindustria (il gettito andrebbe “riassorbito nei tributi attualmente esistenti), “la riduzione dell’Irpef soprattutto delle aliquote per il ceto medio, la difesa della Flat tax per le partite Iva fino a 65mila euro” e pure “l’inversione dell’onere della prova, che è molto importante per le imprese. Non è il cittadino o l’imprenditore che deve dimostrare all’Agenzia delle entrate la propria innocenza”.

Letta dal canto suo ostenta soddisfazione perché rispetto all’imposta sui redditi il primo obiettivo indicato è l’abbassamento dell’aliquota media effettiva per quelli compresi tra 28.000 e 55.000 euro (che oggi pagano il 38%) e per gli imprenditori si ipotizza la reintroduzione del regime opzionale Iri, nato nel 2017 e abrogato due anni dopo. “Meno tasse per il ceto medio, per chi lavora e per chi fa impresa”, sintetizza il segretario dem, che però oltre alla tassa di successione vede bocciata (è indicata come “opzione meno preferita”) pure l‘aliquota personalizzata alla tedesca che era l’opzione preferita dai dem in favore di un “intervento semplificatore sul combinato disposto di scaglioni, aliquote e detrazioni per tipologia di reddito, incluso l’assorbimento degli interventi del 2014 e del 2020 riguardanti il lavoro dipendente”, vale a dire il bonus 80 euro di Renzi portato a 100 euro lo scorso anno con effetti deleteri sulle aliquote marginali effettive.

La flat tax che il leader Pd dà per morta (“non passa”) esce poi viva e vegeta dalla mediazione tra i partiti: vero è che le Commissioni non fanno cenno all’estensione del regime forfettario fino a 100mila euro di ricavi, prevista a suo tempo dal governo gialloverde, ma mettono nero su bianco che il regime “agevolato e semplificato” deve restare in vigore. Si chiede solo una modifica che riduca l’incentivo a nascondere al fisco i redditi superiori alla soglia massima, consentendo di godere di una aliquota piatta lievemente meno conveniente (20%) nei due anni successivi al superamento del tetto di almeno il 10%. Evitando così il salto dalla tassa piatta alla normale aliquota Irpef. Più dubbia, vista la dimensione del tax gap degli autonomi, la successiva raccomandazione “di accordare in favore del contribuente quale ulteriore misura di accompagnamento la limitazione dei poteri di accertamento dell’Agenzia delle Entrate per il periodo di vigenza dell’opzione”.

Tra auspici di sfoltimento dei prelievi minori e di rimodulazione della tassazione ambientale per raggiungere gli obiettivi del Green deal, cosa resta dunque per il contrasto all’evasione? Il penultimo paragrafo del documento predica la necessità dell’ennesimo Patto fiscale tra Stato e cittadini incentrato su un “cambio di paradigma nei rapporti tra amministrazione fiscale e contribuente”: “Vi è il bisogno di un’evoluzione culturale da ambo le parti: ciascuna di esse deve allo stesso tempo mutare i propri comportamenti in senso virtuoso e abbandonare i pregiudizi nei confronti della “controparte”“. Le priorità allora sono l’estensione dell’obbligo di fatturazione elettronica e la piena digitalizzazione del fisco, lo “scambio tra digitalizzazione e riduzione degli adempimenti per i professionisti, imprese e intermediari” (si afferma che va anche “valutato attentamente” il meccanismo del cosiddetto reverse charge“, cioè il versamento dell’Iva non a chi venda ma direttamente all’erario, che pure ha consentito un buon recupero di evasione) e “l’interoperabilità delle banche dati” nel rispetto della Privacy. Qui però iniziano i distinguo, dalla necessità che il contribuente sia messo a conoscenza dei dati in possesso dell’amministrazione alla richiesta che l’ente impositore abbia “l’onere di dimostrare che l’incrocio tra i dati è corretto e di motivare puntualmente la risposta in merito agli argomenti difensivi presentati dal contribuente”.

Infine, i componenti delle Commissioni ritengono auspicabile pure “superare le residue forme ancora presenti di attività di controllo basate sulla ricostruzione presuntiva di reddito o ricavi” come il redditometro, di cui pure il ministero dell’Economia ha appena elaborato una nuova veste (il decreto è ora in consultazione), nei casi in cui con i dati sia possibile ricostruire puntualmente l’imponibile. Solo due righe sulla riscossione, di cui il governo dovrebbe a breve presentare una proposta di riforma ad hoc: il Parlamento si limita a immaginare una “rivoluzione manageriale in grado di superare l’approccio meramente formale e virare verso una gestione del processo produttivo interamente concentrata su efficienza ed efficacia“.

ILFQ

Si prega di non disturbare. - Marco Travaglio

 

Sarà il caldo, saranno gli effetti cerebrali del Covid, ma ormai si ha l’impressione che la terra non ruoti più attorno al sole, ma a Draghi. Qualunque evento dell’orbe terracqueo non viene più giudicato per ciò che significa in sé, ma per gli effetti che potrebbe avere sul governo Draghi. Che è l’unico metro di misura e di giudizio. Manco facesse capoluogo. Chi fino a sei mesi fa fomentava l’instabilità a tutti i costi, tifando per la caduta del governo precedente in piena pandemia, campagna vaccinale e scrittura del Pnrr, inventando fake news e pretesti ridicoli per giustificare il Conticidio, s’è convertito al dogma della stabilità a ogni costo. Non importa più ciò che fa o non fa il governo: l’unica cosa che conta è che nulla possa disturbarlo. Ricordate i titoloni su Salvini fascista? Ora, anche mentre firma patti con Le Pen&Orbán e difende i massacratori di S. Maria Capua Vetere, è un sincero democratico solo perché sta con Draghi. Che è come il Dash: lava così bianco che più bianco non si può. I due principali quotidiani di destra, Repubblica e il Giornale, accusano per i pestaggi in carcere nientemeno che l’ex ministro Bonafede: “Li ignorò”, “Sapeva tutto”, titolano, salvo poi precisare negli articoli che non poteva sapere nulla perché l’indagine della Procura era segreta anche per lui (tralascio il comico Riformatorio, che dà la colpa a me).

Anche sui 5Stelle, l’unica cosa che conta non è se vince Conte o Grillo, ma che continuino a portare l’acqua con le orecchie a Draghi, possibilmente carponi. Infatti Di Maio, sempre dipinto come un bibitaro, viene esaltato come uno statista dalle cheerleader draghiane tipo Stefano Folli, nella speranza che garantisca al premier i voti grillini, ovviamente gratis. Polito el Drito iscrive praticamente alle Br chi osa criticare gli economisti di ultradestra tecnocratica in un governo a maggioranza di centrosinistra. E i giornaloni fanno a gara a spegnere con gl’idranti qualunque vagito di dissenso dalla linea destroide del governo, col decisivo argomento che sennò “si regala Draghi alla destra”. Cioè: uno fa un governo di centrodestra al posto di uno di centrosinistra, ne smantella a una a una le riforme, dà i ministeri chiave a politici e tecnici di centrodestra, deride e cestina le proposte di M5S, Pd e Leu, si circonda di economisti di centrodestra, ricordandosi del centrosinistra solo quando deve chiedere i voti, e chi fa notare la contraddizione deve tacere per non “regalarlo alla destra”, come se non le si fosse regalato già lui da un pezzo. Ma, per quanto bizzarro, il ricatto funziona, persino su di noi. L’altro weekend, mentre andavo al mare, mi tormentavo: ma non starò regalando Draghi alla destra? Poi per fortuna non è successo niente. Ma ci è calato poco.

ILFQ

venerdì 2 luglio 2021

Rc Auto: Ivass certifica il tesoretto da lockdown. Restituiti 800 milioni su 2,2 miliardi di risparmi. - Maurizio Caprino

 

Il documento mette in evidenza che le compagnie attive nel ramo danni hanno potuto contabilizzare due miliardi netti di risparmi dal calo dei costi della Rc Auto a fronte dei quali sono stati ’restituiti’ ai clienti solo 800 milioni di ristori

I punti chiave


Ora non c'è più dubbio: il tesoretto da lockdown accumulato dalle assicurazioni sulla Rc auto esiste davvero. Lo ha certificato l'Ivass, nella sua relazione annuale.
Le limitazioni alla circolazione imposte contro la pandemia hanno fatto diminuire di molto gli incidenti. Così in tutto il 2020 le compagnie hanno risparmiato 2,2 miliardi di euro.

Il Sole 24 Ore ha più volte sollevato il problema, ma le compagnie avevano sempre risposto di aver già restituito buona parte, tra voucher e altre iniziative, e che il resto sarebbe stato assorbito dall'aumento degli incidenti inevitabile con il ritorno alla normalità e con la diminuzione delle tariffe da quest'anno in poi.

L'Ivass ora stima che siano stati restituiti appena 800 milioni. Il miliardo e quattro avanzato ha contribuito a far salire del 45% i profitti delle compagnie nei rami danni. Non solo: le tariffe sono diminuite del 5,5%, mentre i costi di risarcimento sono stati abbattuti del 20%. Di qui l'invito del presidente dell'Ivass, Luigi Federico Signorini, alle compagnie, perché riesaminino urgentemente la questione.

Basterà? Autorevoli esperti temono che chiuderanno la partita aumentando le riserve, prevedendo un forte aumento dei sinistri. Toccherebbe di nuovo all'Ivass verificare nei prossimi anni la giustificazione e l'impiego di tali riserve.

IlSole24Ore

M5s, Conte accetta l’invito dei deputati: “Mostrare lo Statuto? Sempre a disposizione”. Comitato direttivo: Crimi avvia il voto chiesto da Grillo, ma non su Rousseau.

 

Dopo il terremoto delle scorse ore e mentre i vertici 5 stelle scelgono il silenzio, chi fa un passo avanti sono i parlamentari. E vengono subito assecondati dall'ex premier. Scaduto l'ultimatum di Grillo al capo politico reggente lui avvia le procedure per il voto su SkyVote (ma non sulla piattaforma di Casaleggio).

Mentre i vertici M5s si trincerano dietro il silenzio, un passo avanti lo hanno fatto i parlamentari. Nella giornata dello stallo, dopo il terremoto senza precedenti dei giorni scorsi, a dare un segnale sono i deputati 5 stelle, subito assecondati da Giuseppe Conte: il capogruppo a Montecitorio Davide Crippa ha infatti chiesto, a nome dell’assemblea, di vedere la bozza dello Statuto al centro delle polemiche e di incontrare sia Beppe Grillo che l’ex premier. Una richiesta ufficiale alla quale l’avvocato si è affrettato a rispondere positivamente: “Sono sempre a disposizione di deputati e senatori”, ha detto intercettato dai giornalisti davanti a casa. Intanto si muove qualcosa anche sul fronte del voto per il comitato direttivo: Vito Crimi, dopo che alle 15.30 è scaduto l’ultimatum di Beppe Grillo, ha fatto sapere di aver avviato le procedure di voto per l’elezione, ma sulla nuova piattaforma SkyVote e non sulla piattaforma Rousseau come chiedeva il garante.

Se la giornata di ieri si era chiusa con l’ennesimo botta e risposta tra garante ed ex leader in pectore, quella di oggi è iniziata con un faccia a faccia di un’ora tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte: un incontro dal quale non è trapelato praticamente niente, ma al quale è seguito un colloquio privato tra il ministro degli Esteri e Roberto Fico. Nel frattempo nei gruppi in subbuglio ci si chiede cosa succederà e tutte le strade rimangono aperte: c’è chi non esclude (o spera) in una possibile ricucitura e chi invece parla dell’ipotesi che anche lo stesso garante possa essere messo sotto accusa. Decisive saranno le prossime ore e ogni valutazione, su questo sono quasi tutti unanimi, è ancora prematura.

Di Maio a colloquio con Conte. Poi vede Fico – Gli unici segnali pubblici delle ultime ore sono arrivati da Luigi Di Maio: come prima cosa, in mattinata, il ministro degli Esteri è andato a casa dell’ex premier e si è intrattenuto per un colloquio di circa un’ora durante il quale, secondo le indiscrezioni, si è cercata l’ennesima mediazione. Il ministro degli Esteri, che ieri era ufficialmente impegnato per il G20, non ha ancora detto una parola sullo scontro in atto nel M5s. Proprio lui, nelle ore più calde dello scontro tra Conte e Grillo, aveva predicato calma, fatto appelli all’unità e addirittura, alla vigilia dello strappo, si era detto “ottimista” che la situazione sarebbe rientrata. Poi più niente: mentre il garante e l’ex premier si affrontavano pubblicamente, Di Maio ha scelto di non parlare. Un solo segnale è arrivato dal suo staff: una smentita alle ricostruzioni che lo avrebbero voluto a favore delle rottura per ribadire che “sta lavorando come sempre per l’unità”. Da non sottovalutare poi il fatto che, subito dopo il faccia a faccia con Conte, Di Maio ha avuto un lungo colloquio con il presidente della Camera, Roberto Fico: i due si sono intrattenuti al termine della cerimonia per la fine dell’anno all’Accademia dei Lincei, a Roma. Il colloquio è durato per tutto il tragitto di uscita dall’edificio, finché il presidente e il ministro si sono salutati per salire sulle rispettive auto. Avvicinato dai giornalisti, Di Maio ha salutato, ma non si è fermato per rispondere. E’ fondamentale, in questo clima di grande incertezza, capire come si muove e come si muoverà l’ex capo politico: la sua parola ha molta influenza sia con il garante che con l’ex presidente del Consiglio. E se c’è ancora spazio per mediare, lui è uno dei pochi a poter intervenire.

La mossa dei deputati M5s e il subbuglio nei gruppi – La situazione rimane molto complicata, di una gravità senza precedenti per il M5s. I gruppi parlamentari sono in subbuglio: l’assemblea dei senatori sembra compatta in sostegno dell’ex premier (e di Vito Crimi), mentre alla Camera la spaccatura è più netta. Resta il fatto però che il primo passo lo hanno fatto oggi i deputati: Davide Crippa, il capogruppo a Montecitorio che ieri non aveva diffuso note di solidarietà con Crimi, oggi si è fatto portavoce della richiesta dell’assemblea di incontrare sia Conte che Grillo. E soprattutto di vedere la bozza di Statuto e della carta dei valori: sono i documenti al centro dello scontro, ma che effettivamente nessuno (a parte una cerchia ristrettissima) ha potuto leggere. La mossa come dicevamo, ha accolto il favore di Conte, mentre dal fronte del garante tutto tace. Del resto, in questo scenario di rapporti umani fortemente logorati, c’è una terza via ipotizzata ed è quella per cui spingono big come Paola Taverna: votare lo Statuto di Conte in rete e lasciar decidere gli iscritti. Sarebbe un modo per spaccare definitivamente con Grillo? Forse. Anche se c’è chi dice che sarebbe la strada per arrivare a una decisione prima di tutto democratica. Da non sottovalutare le parole della sindaca di Roma Virginia Raggi che molti, nella conta del “chi sta con chi”, danno schierata con Beppe Grillo: “Sono assolutamente fiduciosa”, ha dichiarato in mattinata, “che si riuscirà a ricomporre anche questo periodo. Sento entrambi e sono due persone che stimo e apprezzo. Credo che questo momento di complessità si riuscirà a ricomporre”‘. Una visione che è meno campata per aria di quello che può sembrare e che viene condivisa da altri parlamentari, tra cui anche il deputato Luigi Gallo“Io credo nel miracolo”, ha scritto nel blog su ilfattoquotidiano.it.

Il nodo del voto su Rousseau e l’elezione del comitato direttivo – Decisivo in questo quadro di stallo è anche quello che succede sul fronte del voto per l’elezione del comitato direttivo. Crimi ha, attraverso una mail, comunicato al garante di aver avviato questa mattina tutti “gli adempimenti prodromici allo svolgimento delle votazioni per il comitato direttivo”, individuando modalità e tempistiche per la presentazione delle candidature, per le verifiche dei requisiti e per lo svolgimento della votazione, ribadendo che si procederà al voto utilizzando lo strumento di voto messo a disposizione da SkyVote. La conferma è arriva da fonti del Movimento 5 stelle.

Crimi si è di fatto adeguato a quanto richiesto dal fondatore: solo ieri lo ha minacciato dicendo che sarebbe stato “direttamente e responsabile” delle conseguenze in caso di rifiuto. Beppe Grillo infatti, scaricando Giuseppe Conte, è tornato indietro alla decisione degli Stati generali M5s che erano terminati con la richiesta di eleggere un comitato a 5 e quindi consegnare al Movimento una leadership collegiale. Grillo però, ha anche chiesto che questa elezione fosse fatta su Rousseau, nonostante solo a inizio giugno scorso l’ex presidente del Consiglio e i vertici M5s siano arrivati a una separazione consensuale con la piattaforma di Davide Casaleggio. Una separazione arrivata dopo mesi di scontri e minacce di finire in tribunale. Grillo solo ieri ha intimato a Crimi di autorizzare l’uso dei dati degli iscritti per due voti sulla piattaforma Rousseau: uno per l’elezione del comitato direttivo e uno per la modifica dello Statuto. Il capo politico reggente, che ha in consegna appunto l’accesso ai dati, ha accettato di indire la votazione, ma ha scelto la nuova piattaforma SkyVote, quella con cui è stato stretto un accordo quando Conte era già leader in pectore (e si muoveva come tale). E di fatto Crimi ha (nuovamente) scaricato Rousseau. Ora si attende la reazione di Grillo (e Davide Casaleggio).

Nel silenzio, chi si è mosso è stato un gruppo di eletti 5 Stelle “ortodossi”, tra cui figura la consigliera regionale laziale Francesca De Vito (sorella di quel De Vito che ha mollato il M5s per passare con Fi), il consigliere napoletano ed ex candidato sindaco Matteo Brambilla e la ex probivira Raffaella Andreola, ha diffidato il Comitato di garanzia, il suo presidente e i suoi membri, “a porre in essere quanto necessario per procedere” alla votazione su Rousseau. Riservandosi anche di “adire le competenti sedi giudiziarie, anche in via risarcitoria, per lesione dei diritti associativi e politici dei sottoscritti, in caso di inottemperanza”. Insomma, il gruppo degli eletti ha messo in pratica quanto minacciato da Beppe Grillo. Ma anche qui, il silenzio del Presidente e reggente e dei componenti del Comitato Roberta Lombardi e Giancarlo Cancelleri, che ancora ieri minacciavano dimissioni, lascia intuire una guerra che potrebbe finire in tribunale.

Telefonata Conte-Raggi – In serata c’è stata una lunga telefonata tra Conte e Virginia Raggi, a ridosso a della cena elettorale organizzata dal Comitato Per Virginia che sostiene la ricandidatura della sindaca a Roma. “Confido che tutto si ricomponga. Giuseppe e Beppe sono due persone ragionevoli”, ha detto Raggi ai giornalisti.

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