venerdì 17 settembre 2021

Altro che fannulloni, anche a giugno boom di lavoratori stagionali: 70mila in più rispetto al periodo pre-pandemia. Lo certifica l’Inps. - Mauro Del Corno

 

Forte rialzo per i licenziamenti disciplinari, tecnicamente esclusi dal "blocco" scaduto a fine giugno. Nel complesso nella prima metà del 2021 i nuovi contratti sono stati 3,3 milioni a fronte di 2,4 milioni di cessazione. Il mercato del lavoro cresce ma diventa sempre più precario. Ampio ricorso agli stagionali anche in Campania, la regione che conta più percettori di reddito di cittadinanza.

E’ proseguito anche in giugno il boom di ricorso ai lavoratori stagionali. A dimostrazione di quanto siano infondati gli allarmi su un presunto ruolo del reddito di cittadinanza nello scoraggiare la ricerca dei posti di lavoro, anche a termine. Lo certifica l’Inps che nell’aggiornamento del suo osservatorio sul precariato segnala come in giugno i nuovi contratti per stagionali siano stati 246mila, ovvero 80mila in più rispetto al giugno 2020 e 70mila rispetto al giugno 2019, ovvero quando ancora la pandemia non era iniziata. Nei primi sei mesi del 2021 i contratti stagionali sono stati 495mila, a fronte dei 293mila dei primi sei mesi del 2020 e dei 483mila dello stesso semestre 2019. Gli stagionali, insomma, sono sempre di più e lo scorso giugno è stato caratterizzato da un vero e proprio boom per questo tipo di contratto di lavoro. Questo nonostante le condizioni di lavoro siano spesso caratterizzate da irregolarità nel trattamento, stipendi bassi e orari arbitrari, come documentato dalle inchieste de IlFattoquotidiano.it

In generale, nel solo mese di giugno 2021, si sono registrate quasi 677mila posizioni di lavoro in più rispetto a giugno 2020 dopo la prima ondata di Covid ma anche 378mila in più di giugno 2019, prima della pandemia. Ma mentre i nuovi contratti a tempo indeterminato salgono da 77mila a 97mila, quelli a termine schizzano da 246mila a 337mila. Crescono di 30mila unità anche i contratti di somministrazione (quelli attraverso le agenzie interinali) e di 20mila i contratti intermittenti. Quello che emerge dall’ Osservatorio Inps è insomma un mercato del lavoro in ripresa ma sempre più precario. Il tutto in attesa di conoscere i dati di luglio, primo mese senza il blocco dei licenziamenti, prorogato fino ad ottobre solo per la moda e il tessile. Le regioni più dinamiche sono state la Lombardia, con 61mila contratti in più rispetto a giugno 2019, il Lazio (+48mila) oltre a Campania (+53mila) e Sicilia (+45mila) dove però è forte l’incidenza di stagionali per i mesi estivi.

Come scrive l’Inps nel primo semestre del 2021 sono state registrate 3.323.000 assunzioni (a fronte di 2,4 milioni di cessazioni), con un aumento rispetto allo stesso periodo del 2020 del 23%, esito di una crescita iniziata a marzo 2021. L’aumento ha riguardato tutte le tipologie contrattuali, risultando però più accentuato per le assunzioni di contratti stagionali (+78%) e in somministrazione (+34%); pressoché stabili risultano invece le assunzioni a tempo indeterminato (+2%). Le trasformazioni da tempo determinato nei sei mesi del 2021 sono risultate 214.000, in flessione rispetto allo stesso periodo del 2020 (-21%); nel secondo trimestre 2021 si sono registrate comunque variazioni positive. I licenziamenti economici relativi a rapporti di lavoro a tempo indeterminato – anche se ancora bloccati, salvo particolari fattispecie – nel secondo trimestre del 2021 sono aumentati del 29% rispetto al corrispondente trimestre dell’anno precedente; maggiore risulta l’incremento dei licenziamenti disciplinari: +67%. Le cessazioni per dimissioni costituiscono la tipologia di cessazioni che ha evidenziato nel medesimo periodo l’incremento più consistente (+91%).

ILFQ

Siete proprio sicuri? - Marco Travaglio

 

Come volevasi dimostrare, l’obbligo vaccinale annunciato da Draghi il 3 settembre era una bufala: il premier sapeva benissimo che non si può fare il Tso a 4-5 milioni di persone, salvo essere il Turkmenistan, la Micronesia o la Polinesia. Così ha optato per la soluzione saudita: imporre il vaccino senza avere il coraggio di imporlo, cioè vietare di lavorare a chiunque non esibisca il Green pass o un tampone fresco di almeno 48 ore. Noi – lo ripetiamo per gli imbecilli che confondono vaccini, tamponi e Green pass, dunque No Vax, No Pass e magari No Tav – siamo favorevolissimi ai vaccini (volontari, non forzati) e al Green pass per chi lavora con soggetti fragili (in ospedali e Rsa) e per il tempo libero (in ristoranti, bar, cinema, teatri, musei, stadi, concerti…). Ma nutriamo molte perplessità quando c’è di mezzo il diritto su cui è fondata la Repubblica: il lavoro. Dubbi non filosofici o costituzionali (in casi gravi l’articolo 32 giustifica pure l’obbligo vaccinale), ma pratici. Qual è lo scopo del Green pass? Contenere il più possibile i contagi e dunque indurre il maggior numero di persone a vaccinarsi, visto che i vaccinati rischiano di morire, ammalarsi in forma grave e contagiare altri molto meno dei non vaccinati. Finora gli italiani hanno aderito in massa alla campagna e, stando a Figliuolo, siamo prossimi alla copertura dell’80% dei vaccinabili, sia pur più lentamente delle sue mirabolanti road map. Siccome la campagna prosegue, si può puntare al 90%, sempre senza costrizioni.

Che bisogno c’è di forzare la mano all’improvviso, senza uno straccio di dibattito parlamentare, col Super Green Pass e le sue odiose sanzioni (multe, sospensioni dal lavoro, demensionamenti, discriminazioni fra chi può pagarsi i tamponi e chi no)? Perché irrigidire l’ampia fetta di non vaccinati “perplessi”, che attendono di essere convinti, e gettarli con minacce e divieti fra le braccia dei No Vax ideologici? Se siamo i migliori d’Europa, perché tutti gli altri Paesi (peggiori di noi e con più No Vax di noi) non pensano neppure alla tessera verde per lavorare? Se l’80% degli over 12 sono vaccinati e dunque – sempre secondo la vulgata ufficiale – quasi totalmente al sicuro, che problema c’è se incontrano qualche raro non vaccinato con mascherina e distanziamento? Se almeno il governo ci mettesse la faccia con l’obbligo vaccinale, potrebbe punire i fuorilegge: ma, senza l’obbligo, è il governo stesso a riconoscere il diritto a non vaccinarsi. E allora che senso ha imporre a chi lo esercita il pizzo del tampone per lavorare, come – se fra l’altro – tampone e vaccino fossero intercambiabili e non due cose diversissime? Un supplemento di riflessione farebbe bene a tutti. Persino ai Migliori.

ILFQ

Green pass per tutti a lavoro. Brunetta: "Riguarda 23 milioni di lavoratori". - Serenella Mattera

 

Via libera unanime al nuovo provvedimento. Draghi: "Serve per continuare ad aprire il Paese"


Senza il Green pass dal 15 ottobre non si potrà entrare in nessun luogo di lavoro, pubblico o privato. Il premier Mario Draghi estende l'obbligo a oltre un terzo degli italiani.

Con una stretta accompagnata da controlli e sanzioni, ma solo allo scopo - spiega ai suoi ministri - di "continuare ad aprire il Paese" ed evitare nuove chiusure. Il via libera del governo è unanime, a dispetto dei malumori di Matteo Salvini e di una parte della Lega.


L'obiettivo è dare alla campagna vaccinale la spinta necessaria a raggiungere entro la metà di ottobre l'80% della popolazione. Ai lavoratori, ma anche ai sindaci, ai governatori, ai vertici istituzionali, viene dato un mese per adeguarsi, con la prima dose di vaccino. Poi dalla metà di ottobre per accedere ai luoghi di lavoro se non vaccinati o guariti dal Covid dovranno fare un tampone ogni 48 ore (72 ore se molecolare), altrimenti incorreranno nella sospensione dal lavoro o dallo stipendio e in multe fino a 1500 euro.

Il via libera al "super Green pass" arriva dopo una lunga discussione nella cabina di regia del governo, dopo un confronto con le Regioni e un'ora di esame delle norme in Consiglio dei ministri. Non passa la richiesta dei sindacati e della Lega di tamponi gratis per tutti i lavoratori non vaccinati, ma varranno solo per gli esonerati dal vaccino e le farmacie (con sanzioni per chi non si adegua) saranno obbligate ad applicare prezzi calmierati per tutti gli altri. Giancarlo Giorgetti porta il sì della Lega al nuovo decreto e ottiene il via libera a una norma - approvata in serata come emendamento in commissione alla Camera - per estendere la validità dei tamponi molecolari a 72 mesi.

Il ministro leghista in serata è assente alla conferenza stampa di presentazione del decreto, alla quale partecipano Brunetta e Gelmini per Fi, Speranza di Leu e Orlando del Pd, ma dal ministero spiegano che Giorgetti è assente per precedenti impegni, non per prendere distanze. La tensione in maggioranza però resta: Draghi punta tutto sul Green pass e per ora abbandona l'idea dell'obbligo vaccinale, che tra i partiti sarebbe ancor più divisivo. Alla misura esprimono sostegno convinto Enrico Letta, Matteo Renzi, i ministri di Forza Italia, un più cauto via libera Giuseppe Conte ("Una misura utile", dice). Salvini invece sembra conservare i suoi dubbi. E Giorgia Meloni afferma che la scelta del governo non ha eguali nel mondo. La scelta, dunque. E' quella di chiedere il Green pass a chiunque "entri da una porta per svolgere il suo lavoro" (la mette così Renato Brunetta). Dunque vale per dipendenti pubblici, autorità indipendenti, Bankitalia, per tutti i detentori di cariche elettive o istituzionali, per tutti i lavoratori privati, sia i dipendenti, che gli autonomi, dagli avvocati agli architetti, dagli idraulici, fino alle colf e le badanti. Ovunque si possa controllare, entra in vigore l'obbligo.

Dunque, spiega Brunetta, non sui mezzi di trasporto locale, ad esempio. Unico limite il governo lo incontra negli organi costituzionali, il Quirinale, le Camere e la Corte costituzionale, che hanno autodichia, cioè si autogovernano, e dunque vengono invitati ad adeguarsi (in una bozza compariva il termine del 15 ottobre, poi sparisce). In Parlamento si apre però il dibattito: la fronda leghista guidata da Claudio Borghi dice no. Quanto alle sanzioni, non si potrà arrivare al licenziamento del lavoratore. Lo stop allo stipendio varrà dopo cinque giorni di ingresso al lavoro senza Green pass, sia nel pubblico sia nel privato.

E poi per i mancati controlli dei datori di lavoro multe da 400 a 1000 euro, per le violazioni dei lavoratori da 600 a 1500 euro. La discussione tra i ministri si anima sul tema dello smart working: cosa fare per evitare che un No vax chieda di essere sempre esentato dal lavoro in presenza? Nel pubblico si tenderà a tornare in ufficio, spiega Brunetta, mentre Orlando osserva che nel privato le regole saranno riviste con accordi tra le parti. Qualche tensione poi si registra sulla richiesta del ministro Dario Franceschini di eliminare da subito i limiti di capienza per cinema e teatri, dal momento che si entra col Green pass. Il botta e risposta con il collega Roberto Speranza si ripete in cabina di regia e in Cdm (ma Speranza nega che si tratti di uno scontro).

Il ministro della Salute sostiene che non si possa procedere prima di aver visto come andranno i contagi a fine mese, quando si vedrà l'impatto della riapertura delle scuole. Franceschini insiste, ma Draghi sposa la linea di Speranza: entro il 30 settembre il Cts si pronuncerà sul distanziamento in tutti i luoghi chiusi, anche quelli di lavoro, poi il governo valuterà se cambiare le regole, per gli eventi - l'orientamento appare favorevole - ma eventualmente anche nelle fabbriche. Giorgetti ottiene che si valuti anche la riapertura delle discoteche (cavallo di battaglia leghista) e chiede che per i lavoratori sospesi i datori non paghino i contributi previdenziali.

ANSA

DUE A CASO. - Orso Grigio

 

D’accordo sul no all’obbligo vaccinale. Bene, lo capisco.
Però chi fa una scelta del genere, piuttosto egoistica e contraria ai bisogni della collettività, se ne assuma tutte le responsabilità, come è normale che sia per ogni scelta che si fa.
E, se sceglie di non vaccinarsi, i tamponi se li paghi da solo. Lui non è solidale con gli altri, se ne sbatte le palle di cosa sia meglio per loro, e non vedo perché gli altri debbano frugarsi in tasca per lui.
Oppure stia a casa e pace.
E a Landini, che oggi si arrampica su sofismi costituzionali improbabili a favore della gratuità dei tamponi, dico che se il sindacato avesse usato la stessa passione per difendere l’art 18 e combattere lo sfacelo dello stato sociale, invece di lavarsene le mani con quattro ore di sciopero per non disturbare troppo il manovratore, non saremmo sprofondati nella merda dove siamo.

A Cacciari, invece, che ieri sera, quando l’hanno contraddetto, si è imbronciato e piccato come un bambino dell’asilo al quale hanno rubato la merendina, vorrei dire che sarebbe stato bello se lui, e quelli come lui, avessero usato tutto il loro sapere filosofico e la loro esagerata sapienza per denunciare la presa del potere di renzi e la conseguente agonia e poi morte delle residue tracce di sinistra rimaste, ma evidentemente anche lui trae maggiori fonti di ispirazione da questa cazzata del green pass.

In questo paese qualsiasi nefandezza è passata, passa e passerà, sotto il silenzio più responsabile, quando non complice, di chiunque: informazione, politica che di quei problemi dovrebbe farsi carico, sindacati, cultura. Chiunque.
Evidentemente ci voleva questa merendina del green pass per risvegliare le coscienze.
Peccato però: obiettivo sbagliato, e tempo scaduto. 

Fb.17.9.2021

mercoledì 15 settembre 2021

Da Pontida alla Sicilia, Salvini vuoto a perdere. - Giacomo Salvini

 

Crisi La festa sul “pratone” saltata e il fallimento del partito “nazionale”: pochissime liste nel Sud.

Domenica scorsa sul pratone di Pontida è tornata la gente. Ma stavolta non c’erano bandiere della Lega. Solo uno sparuto gruppo di militanti del “Grande Nord”, il movimento che si ispira agli ideali della secessione e che alle prossime Amministrative sostiene Gianluigi Paragone nella corsa a sindaco di Milano, con tanto di striscioni e magliette inneggianti al “Nord libero” e alla “indipendenza della Padania”. Quest’anno, per il secondo di fila, nello storico pratone dell’alta bergamasca la Lega di Matteo Salvini non si è fatta vedere. La festa è saltata senza dare tante spiegazioni ai militanti. Non era mai successo nella storia del partito. Il raduno era stato annullato in passato solo durante tre drammatici momenti del partito: nel 2004 per l’ictus che colpì Umberto Bossi, nel 2006 dopo la sconfitta al referendum costituzionale e nel 2012 dopo le dimissioni del Senatùr in seguito agli scandali di famiglia. Nel 2020 è stata la paura del Covid a far annullare il grande raduno nazionale del Carroccio lanciato nel 1990 da Bossi, ma quest’anno no. Quest’anno gli eventi all’aperto si potevano organizzare. E invece in via Bellerio hanno deciso di lasciar perdere. Troppo alto il rischio del flop di partecipazione, ma soprattutto troppo alto il rischio di contestazioni contro il segretario e contro il governo Draghi. E dunque addio alle ampolle, ai druidi, ai vichinghi, a Miss Padania, al Leone di San Marco e in epoca più recente al tricolore, alle truppe cammellate dal Sud, alle bandiere della Russia e a quelle blu di “Noi con Salvini”. Niente di niente. Nel 1167 a Pontida i comuni del Nord sancirono l’alleanza contro il Sacro Romano Impero di Federico Barbarossa. Oggi Barbarossa rischiava di essere Draghi, quindi meglio non far niente.

Sopra il poil rischio della débâcle alle urne.

Disertare Pontida è un fatto, ma anche un simbolo. A cui si aggiungono le fosche previsioni delle prossime Amministrative: al Nord il rischio di perdere le grandi città – Milano, Bologna e Varese – è molto alto e Salvini se ne sta accorgendo perché ovunque vada trova piazze mezze vuote. I presidenti delle Regioni sopra il Po – Luca Zaia, Massimiliano Fedriga e Attilio Fontana – lo sanno e in caso di débâcle chiederanno a Salvini i congressi regionali. Ma non c’è solo Pontida. Dove le feste sono state organizzate – smentendo la motivazione del “non si può fare perché c’è la pandemia” – sono andate male. Anzi, malissimo. A Bologna il 4 e 5 settembre è stata organizzata una kermesse a La Montagnola, dove un tempo il Pci allestiva le feste dell’Unità. Poca gente, poco entusiasmo, molti militanti venuti solo per mangiare o addirittura per vaccinarsi perché fuori dalla festa era stato allestito uno stand con 200 dosi di Pfizer e Johson&Johnson. Anche a Formello, periferia nord di Roma, la festa “Itaca” organizzata da Claudio Durigon e dal senatore Francesco Giro è stata un mezzo flop. Aperta il 3 settembre da Salvini hanno partecipato tutti gli esponenti di governo del Carroccio, ma nessuno se n’è accorto.

Fuga dai comuni sotto Roma la lista in una città su 3.

Se al Nord la Lega rischia grosso, le previsioni al sud sono ancora più nere. Nonostante i proclami di Salvini, che nel dicembre 2019 inaugurava il percorso del partito nazionale, sotto Roma oggi la Lega è ancora un partito fantasma. Non si è strutturato, ha poche sedi a macchia di leopardo e alle prossime Amministrative presenterà una propria lista – sotto forma di “Lega” o come “Prima l’Italia” – in poco più di un comune su tre sopra i 15 mila abitanti: solo 20 su 54. Se invece allarghiamo la mappa a tutti i municipi al voto nel Meridione – compresi quelli più piccolo – il dato diventa ancora più impressionante: solo nel 5% dei casi è stata presentata una lista del Carroccio. Il caso più emblematico è quello di Napoli dove la lista leghista “Prima Napoli” in sostegno a Catello Maresca è stata esclusa lunedì per la presentazione in ritardo. Episodio che ha fatto imbufalire candidati e militanti e imbarazzare Salvini e Giancarlo Giorgetti che nei giorni scorsi hanno annullato due eventi elettorali in città. “Qualcuno vuole far fuori Maresca”, ha detto il segretario evocando il complotto contro l’ex pm che adesso rischia addirittura di essere superato dall’ex sindaco Antonio Bassolino. Gode invece Giorgia Meloni, che nel capoluogo partenopeo avrebbe voluto far correre Sergio Rastrelli.

Ma il caso di Napoli non è isolato. In Campania, regione su cui Salvini aveva investito molto, la Lega corre solo in 4 grandi Comuni su 16 – Benevento, Caserta, Salerno e Melito di Napoli – e ha deciso di disertare quasi ovunque: da Eboli ad Afragola, da Gragnano a Santa Maria Capua Vetere, da Sessa Aurunca a Battipaglia e Frattaminore. Male anche in Puglia: qui è presente in 5 grandi comuni su 14 e ha deciso di disertare in città come Adelfia, Gallipoli, Nardò, Noicottaro e Grottaglie. In Basilicata e Molise la Lega schiera una lista solo a Melfi e Isernia, mentre in Calabria solo a Cosenza ma non è presente a Siderno (Reggio Calabria). L’unica regione dove il Carroccio si presenta ovunque è l’Abruzzo: qui c’è una lista in 5 Comuni su 5 al voto.

Classe dirigente Imbarcati Cuffaro e altri ras siculi

Malissimo invece in Sicilia da dove è partito l’assalto della Lega al Sud. Salvini negli ultimi mesi è sbarcato più volte sull’isola per lanciare la candidatura di un leghista per il dopo Musumeci alle regionali del 2022. Ma il test delle Amministrative si annuncia già fallimentare. Qui si vota tra il 10-11 e il 24 ottobre e quindi le liste devono ancora essere presentate ma, sui 43 Comuni al voto, il Carroccio non si presenterà in 35. Tra le città più grandi correrà solo a Favara, Adrano e Caltagirone. Qui, nel catanese, la coalizione di cui fa parte anche la Lega che sostiene il forzista Sergio Gruttadauria ha deciso di imbarcare anche la Dc di Totò Cuffaro, ex presidente della Regione Sicilia che ha scontato una condanna a 7 anni per favoreggiamento alla mafia. Per lanciare l’opa sull’isola Salvini ha bisogno anche di imbarcare riciclati e ras delle preferenze e quindi, dopo l’arrivo di cinque tra parlamentari e consiglieri regionali tra cui l’imputato Luca Sammartino da Italia Viva, la Lega ufficializzerà l’arrivo anche del deputato ex FI, oggi renziano, Francesco Scoma, indagato ad Agrigento come responsabile della campagna elettorale di Gianfranco Miccichè per l’inchiesta sulla società “Girgenti Acque”. Per vincere, questo e altro.

ILFQ

Ottimismo obbligatorio. - Marco Travaglio

 

A metà luglio, appena Carlo Fuortes fu nominato ad della Rai, fu salutato con tappeti di saliva dall’intera stampa nazionale, come del resto il nominante Mario Draghi. Il quale, essendo il genio onnisciente e infallibile che sappiamo, non poteva che aver nominato un altro genio. Infatti Fuortes – che, a dispetto del cognome da tanguero, è nato a Roma – iniziò subito a sfornare idee geniali, come Repubblica notò col dovuto risalto: “Ribattezzato in azienda Napoleone per la postura con la quale si aggira nel palazzo – mano sul petto quando parla, piglio decisionista – Fuortes ha già inviato a tutti i direttori le lettere con i tagli da fare… Ha vietato ai membri del Cda di parlare con l’esterno e con le strutture interne. Ha imposto il ‘lei’ a chiunque, dall’ultimo degli uscieri ai top manager. Una rottura di prassi consolidate che la dice lunga sul nuovo corso del servizio pubblico. E sulla mission ricevuta da Draghi”. Erano anni che si denunciava la vera piaga della Rai: tutti si davano pedestremente del tu o del voi. Ci volevano i Migliori, col nuovo corso e la mission, per imporre finalmente il lei. Ora, risolto il problema principale, restano i dettagli. L’informazione sarà improntata al più sfrenato ottimismo perché – ripete Fuortes – “la Rai deve tornare a una narrazione positiva”. Oggi, com’è noto, tg e talk sono armi improprie lanciate h 24 contro i poteri costituiti. Inchieste sul ruolo di Draghi nel bidone Mps-Antonveneta, reportage à gogo sulla trattativa Stato-mafia, non-stop sul Ruby-ter, inseguimenti ai commercialisti della Lega, renziani perseguitati da domande sulle complicità del Rinascimento Saudita nell’11 Settembre, interviste a pm e vittime di reati sulla schiforma Cartabia, speciali sulle tangenti americane di Fca e sugli scandali vaticani, rubriche fisse di Greta Thunberg sulla transizione ecologica di Cingolani dal fossile al nucleare. Ora basta: “narrazione positiva”.

Non c’è neppure bisogno di inventare nuovi ordini: basta copiare le veline del Minculpop, che 90 anni fa abolirono la cronaca nera (nessun furto, rapina od omicidio nel paradiso fascista) e toccarono vette ineguagliabili di humour involontario: “Notare come il Duce non fosse stanco dopo 4 ore di trebbiatura”, “Non occuparsi della Garbo”, “Non pubblicare fotografie del pugile Carnera a terra”. Uno dei gerarchi meno proni, Leandro Arpinati, quando il Duce gli comunicò la nomina di Achille Starace a segretario del Partito nazionale fascista, protestò: “Ma è un cretino!”. “Sì”, rispose la Buonanima, “ma è un cretino obbediente”. Poi, a Salò, ebbe un lampo di sincerità: “Come si fa, in un Paese di servitori, a non diventare padrone?”. La Rai ovviamente non c’entrava, ma solo perché si chiamava Eiar.

ILFQ

Energia, ecco perché (e come) rincara la bolletta. - Jacopo Gilberto

 

La domanda alle stelle e l’offerta bassa tengono alte in Europa le quotazioni di gas e luce. Allarme in Germania, prezzi fuori scala in Inghilterra.

I punti chiave


I prezzi dell’energia potrebbero crescere tra poche settimane fra il 30% e il 40%, se il Governo o l’autorità dell’energia Arera non interverranno per mitigare le bollette di luce e gas togliendo alcune voci di costo che aggiungono peso alla fattura energetica. Il fenomeno non è italiano e non c’è da immaginare dietrologie cospirologiche o una complottologia per far tornare il nucleare in Italia, come alludono i soliti sospettosi dall’umor nero. Semplicemente, in tutto il mondo e in tutta Europa, la domanda di energia corre all’impazzata, le materie prime faticano a stare al passo con la crescita della produzione, la richiesta di metano usato soprattutto dall’industria è altissima e l’offerta bassa, le fonti rinnovabili non bastano a soddisfare il fabbisogno, le normative ambientali fanno rincarare i costi di produzione.

Più di metà dell’elettricità prodotta in Italia viene dalle centrali termoelettriche a ciclo combinato alimentate con metano. Nell’ Inghilterra che punta sull’energia eolica la mancanza di vento sta facendo volare il costo del chilowattora oltre i 2 euro, un prezzo da primato fuori scala, e prezzi orgogliosi in tutti i Paesi europei , indipendentemente dalle loro fonti energetiche predilette, compreso nucleare o rinnovabili. Chi da anni invoca che vengano chiusi i pozzi di petrolio e gas per ridurne l’offerta e far salire i prezzi ha centrato in pieno l’obiettivo. In Italia, ai costi all’ingrosso, si aggiungono le spese di distribuzione e trasporto, le tasse, le addizionali, gli oneri per finanziare la ricerca elettrica, smaltire l’eredità nucleare, finanziare le fonti rinnovabili d’energia. In particolare, gli incentivi alle fonti rinnovabili d’energia pesano sulle bollette finali degli italiani circa 12 miliardi di euro l’anno.

I rincari a monte.

Qualche indicazione molto sommaria per avere i confronti fra i diversi ordini di grandezza: un anno fa le quotazioni internazionali del metano si aggiravano fra i 20 e i 30 euro per mille chilowattora, oggi sono raddoppiate fra i 50 e i 60 euro; le quotazioni europee Ets delle emissioni di anidride carbonica sono raddoppiate dai 20-30 euro la tonnellata e oggi si aggirano sui 50-60 euro; il prezzo del chilowattora all’ingrosso alla borsa elettrica italiana del Gme un anno fa si aggirava fra i 20 e i 40 euro per mille chilowattora e oggi la quotazione si aggira attorno ai 140 euro.

Che cosa accade il primo ottobre?

Il rincaro scatterà il primo ottobre per un gran numero di consumatori domestici, professionali e industriali. Il primo ottobre comincia l’anno termico, cioè il periodo contrattuale di fornitura industriale dell’energia.
I contratti pluriennali a prezzo fisso sono salvi e i consumatori liberi di corrente elettrica e di gas evitano il rincaro e ne accollano il sovraccosto ai loro fornitori. Ma i contratti di fornitura a rinnovo annuale ora sono arrivati all’aggiornamento di prezzo e sarà impossibile riuscire a tenere contenuti gli aumenti. 

Per le famiglie e le piccole attività legate alle tariffe regolate (settore definito di «tutela»), le bollette di luce e gas sono aggiornate ogni tre mesi dall’autorità dell’energia Arera sulla base degli andamenti dei costi di produzione elettrica e del mercato del gas, fra loro strettamente interrelati.

Il rincaro superiore al 30% stimato dal Sole24Ore o vicino al 40% ipotizzato dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani non è sul costo finale al consumatore ma sulla sola componente energia , circa il 60% del costo finale. Nel ridurre eventuali oneri e sovraccosti, spostando o riducendo voci che gravano sulla bolletta, il Governo dovrà stare attentissimo a evitare di creare aiuti di Stato nascosti.

Una crescita internazionale. I casi di Inghilterra e Germania

Il rincaro è internazionale. In questi giorni alla borsa elettrica europea Epex le forniture di corrente elettrica all’ingrosso sono carissime, il record è dell’Inghilterra dove le quotazioni spot dell’elettricità si aggirano sulle 400 sterline per mille chilowattora, con punte fino ai 2 euro al chilowattora per le consegne della sera alle ore 20 (1.675 sterline per mille chilowattora). La Germania invece rinvia a dopo le elezioni la botta mostruosa dei rincari energetici: la benzina potrebbe balzare a 2,2-2,5 euro al litro (secondo le analisi del quotidiano Handelsblatt), l’elettricità arriverà a prezzi mai visti e vengono tenuti fermi per non spaventare l’elettore. La Germania, inoltre, sta andando a tutto carbone mentre l’eolico, senza abbastanza vento, è sceso di posizione. Secondo l’ Ufficio federale statistico , nei primi sei mesi del 2021 c’è un boom dei fossili e le fonti convenzionali sono cresciute del +20,9% e sono il 56% mentre il carbone è tornato la prima fonte energetica.

Il nucleare, i giacimenti e le rinnovabili non risolvono.

Il nucleare, che non emette CO2, e le altre fonti non fossili, come le rinnovabili, aiutano ma non bastano a mitigare il fenomeno dei rincari. Come mai la Francia tutta atomica, il Paese industrializzato con il minore tasso di emissione di CO2 al mondo, ha prezzi alti? E prezzi alti nell’Austria idroelettrica? Semplice. I produttori rinnovabili e nucleari quando vendono le loro partite di corrente alla borsa elettrica cercano di spuntare il miglior prezzo possibile e collocano le loro offerte a un valore immediatamente inferiore di quello dei concorrenti fossili, conseguendo così margini interessantissimi per i loro azionisti. Un fenomeno simile anche per chi ha giacimenti, come l’Italia che è ricchissima di metano ma non vuole sfruttare le risorse nazionali: il metano estratto in Italia è venduto a prezzi internazionali, o immediatamente inferiori, poiché le società estrattive cercano di massimizzare il valore del loro bene, così come lo massimizzerà lo Stato al momento di incassare le royalty su quei giacimenti, che sono in percentuale con il prezzo di mercato. Da anni gli ecologisti invocano che vengano sospese le perforazioni e le ricerche di giacimenti, e il loro sfruttamento, in modo da ridurre l’offerta di petrolio e gas e quindi farne salire i prezzi: obiettivo centrato in pieno.

I 12 miliardi di sovraccosto delle rinnovabili.

Ad accrescere i costi ci sono anche i valori delle emissioni di CO2, che sul prezzo finale rappresentano circa un quinto del rincaro. Gli incendi estivi in molte zone di giovane rimboschimento hanno distrutto foreste che erano state piantate per neutralizzar le emissioni di CO2, e questo è uno dei fattori che ha aggiunto punte di rincaro ai prezzi della CO2. Nel frattempo, attenzione. Tra le materie prime rincarano a botta anche quelle per fare i pannelli solari e le pale eoliche: gli investimenti rinnovabili non sono più così convenienti. Secondo gli analisti di Rystad , con questi costi della filiera è difficile garantire gli obiettivi climatici. Tuttavia in questo periodo il freno alle rinnovabili è dato anche dalle lentezze della logistica internazionale per la componentistica e poi per la consegna del prodotto finito. Il costo dei moduli fotovoltaici è cresciuto, ma con un effetto modesto sul costo finito delle centrali solari, mentre sovraccosti più importanti sono dettati dalle condizioni complessive di mercato.

IlSole24Ore