domenica 10 aprile 2022

Kiev compra gas da Putin (che paga per i tubi). - Nicola Borzi

 

ENERGIA - L’Ucraina lo acquista formalmente dai Paesi vicini, ma prelevandolo mentre passa sul suo territorio: Gazprom le sborsa 1,4 mld all’anno per i tubi.

La geopolitica del gas impatta sulla guerra tra Mosca e Kiev. Dopo decenni di scontri politici e di contenziosi economici sul sistema di transito del metano russo verso l’Europa e sui suoi costi, dalla fine del 2019 le due parti del conflitto parevano aver appianato i dissidi grazie a un accordo siglato con la mediazione di Stati Uniti e Germania. A dispetto del conflitto, i due paesi restano comunque legati dalle commissioni incassate da Kiev per il servizio di passaggio e dalla bolletta che l’Ucraina paga alla Russia per la fornitura. Kiev formalmente non dipende più dall’energia di Mosca, ma in realtà acquista un decimo dei suoi consumi ancora da Gazprom, sebbene solo indirettamente. In questa complicata partita doppia, l’Ucraina incassa ogni anno royalties per i servizi di trasporto per oltre un miliardo di dollari, ma poi è costretta a pagare trasversalmente il proprio aggressore.

I dati. Nel 2021 l’Ucraina ha consumato 27,3 miliardi di metri cubi di gas naturale. La sua produzione nazionale è stata pari a circa 19,8 miliardi di metri cubi, il resto è arrivato per 4,9 miliardi di metri cubi dalle riserve stoccate nei suoi depositi sotterranei e per altri 2,6 miliardi di metri cubi dalle importazioni. Secondo Gtsou, l’operatore pubblico del sistema di trasporto del gas dell’Ucraina, l’anno scorso attraverso il territorio di Kiev sono arrivati in Europa 41,6 miliardi di metri cubi di metano russo, in calo del 25% rispetto al 2020. Nello stesso periodo, l’Europa ha formalmente esportato in Ucraina 2,6 miliardi di metri cubi di metano, sei volte in meno rispetto al 2020. In sostanza, i gasdotti ucraini sono stati utilizzati per meno del 30% della loro capacità massima. L’import di gas in Ucraina è avvenuto per l’89% mediante l’inversione virtuale (il cosiddetto backhaul). Si tratta di una forma di trattenuta del gas introdotta da Gtsou all’inizio del 2020. In sostanza, in accordo con i Paesi di destinazione che comprano metano dalla russa Gazprom, Kiev ha trattenuto per sé una quota di metri cubi dalle forniture pattuite da questi ultimi con Mosca. Così ha evitato contatti diretti con l’invasore, come avviene sin dal 2015 dopo l’occupazione militare russa della Crimea e del Donbass.
Prima dell’escamotage introdotto nel 2020, invece, il metano di Mosca attraversava fisicamente l’Ucraina in andata verso i clienti europei e poi da lì tornava fisicamente indietro in direzione di Kiev. Per la loro “riesportazione”, oggi virtuale, l’Ucraina versa ai Paesi limitrofi le somme corrispondenti alla quantità di gas trattenuta, che poi questi ultimi girano a Mosca. L’Ungheria l’anno scorso è diventata il principale fornitore di gas russo a Kiev: oltre 2,2 miliardi di metri cubi di gas (-47% rispetto al 2020). Altri fornitori sono stati poi la Slovacchia (285,3 milioni di metri cubi, -97%) e la Polonia (78,6 milioni di metri cubi, -95%). Oltre alla questione diplomatica, per Kiev c’è un vantaggio formale: comprare gas dai paesi Ue costa all’Ucraina meno che acquistarlo direttamente da Mosca, che le praticava prezzi più elevati.

Ci sono poi gli incassi per Kiev, regolati da un contratto di transito tra Naftogaz, la società nazionale ucraina del metano, e la compagnia nazionale russa Gazprom. Queste transazioni commerciali e finanziarie sono regolate da un’intesa, patrocinata da Washington e Berlino e firmata il 30 dicembre 2019 per un periodo di cinque anni. Il contratto prevedeva la prenotazione da parte di Gazprom di capacità di transito pari a 65 miliardi di metri cubi nel 2020 e a 40 miliardi di metri cubi nel quadriennio 2021-24. Per i suoi servizi di trasporto, nel 2020 Naftogaz ha incassato da Gazprom royalties di passaggio per 2,11 miliardi di dollari. Altri 1,27 miliardi di dollari l’anno sono previsti come entrate minime garantite, per un totale superiore a 7,1 miliardi nel quinquennio e pari a una media di oltre 1,4 miliardi di dollari l’anno. In questo modo, Mosca paga Kiev anche dopo averla aggredita (e di qui si spiega l’attenzione a non bombardare le pipeline), mentre l’Ucraina però deve restituire il favore alla Russia versandole attraverso Ungheria, Slovacchia e Polonia milioni di dollari che finiscono per finanziare indirettamente la macchina bellica di Putin. Un paradosso della geopolitica del metano e dei gasdotti che testimonia ancora una volta, se ve ne fosse ulteriore bisogno, quanto intricate e oscure siano le relazioni che passano, come i tubi del metano, sotto la superficie del campo di battaglia.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/10/kiev-compra-gas-da-putin-che-la-paga-per-il-transito/6554818/

sabato 9 aprile 2022

Lo Scemo osceno. - Marco Travaglio

 

Quando abbiamo scritto che i morti di Bucha sono quasi certamente vittime dei russi, ma che la ricostruzione minuziosa della strage – qualunque esito darà l’indagine indipendente – non sposterà di un millimetro il giudizio sulla guerra, come non lo sposteranno le atrocità ucraine (sempre più frequenti anch’esse), lo Scemo di Guerra Collettivo ci tacciò di putinismo. Poi il Dipartimento di Stato Usa disse di non avere elementi certi: putinista? Poi Francesca Mannocchi (Stampa) spiegò a La7 che la fossa comune accanto alla chiesa è il cimitero del vicino ospedale che, non potendosi celebrare funerali, getta lì i corpi dei caduti: putinista? Poi il sottosegretario ai Servizi, Franco Gabrielli, dichiarò che “al momento riteniamo che sia stato un eccidio, ma sulle responsabilità dobbiamo essere molto cauti. Se ci sono situazioni che possono essere rappresentate in maniera diversa, la lesione alla credibilità di una narrazione è devastante”: putinista? Poi si scoprì che i famosi “boia di Bucha” non erano mai stati lì. E molti osservano che i cadaveri ai bordi della strada sono privi di sangue, in condizioni incompatibili con una permanenza di quasi un mese, a distanze troppo regolari per essere morti lì. Altri notano l’assurdità di ordinare contemporaneamente di occultare i cadaveri nelle fosse comuni e di esibirli in strada. Come scrivemmo il primo giorno, l’unica certezza è che quegli esseri umani sono morti, quasi certamente per mano russa, perché la guerra è questo (basta leggere Gino Strada): 9 morti civili su 10. E chi è più bravo (o più creduto) sui media li usa a proprio vantaggio, mentre nasconde i propri (8 anni di orrori del nazi-battaglione Azov in Donbass chi li ha visti?).

Da quel giorno i negoziati sono evaporati. La parola d’ordine è quella dell’invaso invasato Kuleba: “Armi armi armi”. Biden e i suoi Lukashenko europei illudono Zelensky che sta vincendo, Putin batte in ritirata e, se tutto va bene, l’Ucraina (già sull’orlo del crac prima della guerra) invaderà presto la Russia. E ci prepariamo alla pioggia di fuoco incrociata nel Sud-Est con dieci, cento, mille Bucha. Sempre a scapito dei civili: più li armiamo, più è difficile distinguerli dai militari. Domenico Quirico (Stampa) dice che “Biden non vuole trattare con Putin, ma rovesciarlo. La sua guerra è diversa da quella europea: non gliene importa niente dell’Ucraina” (putiniano anche lui?). I veri amici di Putin sono proprio i suoi finti nemici: quelli che mandano altri tank e promettono la Nato pure alla neutrale Finlandia, così i pochi russi che ancora non si bevevano la propaganda di Putin sull’accerchiamento atlantico ora ci credono. L’elmetto è l’ultima maschera dello Scemo di Guerra per nascondersi meglio.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/09/lo-scemo-osceno/6553996/

Coglione sì, bimbominkia no. Ecco il tariffario degli insulti. - Ilaria Proietti

 

LE SENTENZE, I POLITICI E I POVERI CRISTI - Dire o non dire. “Rompiballe” va bene, che Salvini non abbia mai lavorato pure. Renzi “ebetino” invece no. 

“Rompiballe” si può dire, per quanto sia assai “inurbano”. E pure “coglione”, ma sempre che si sia voluto dare alla parola il significato bonario di “sprovveduto”. “Talebano” non è lesivo della onorabilità, ma a patto “che rimanga nell’ambito di un dibattito politico”. Con “Bimbominkia” scatta la diffamazione aggravata, come ha invece stabilito l’altro giorno la Cassazione decidendo sul caso di Mavie Cattoi, colpevole di aver offeso la reputazione di Enrico Rizzi, segretario del Partito animalista europeo. Altro che fallo di reazione, per il Rizzi in questione neppur lui un amante del tiro al fioretto: quando è morto Diego Moltrer, presidente del consiglio regionale della Regione Trentino-Alto Adige e appassionato di caccia, dalla sua bocca non erano esattamente usciti petali di rosa, ma tant’è: non meritava di essere comunque “additato come mentalmente ipodotato”, ossia come un “bimbominkia”. Ancorché sull’insulto c’è dottrina: anche per i giudici, per dire, ormai un “vaffanculo” non si nega a nessuno, anche se esistono pronunce di segno opposte a quella del 2007 per la quale l’espressione è sì ingiuriosa, ma ormai entrata nell’uso comune, e quindi pace. Sulle offese a sfondo razziale sono stati scritti fiumi di inchiostro: “Sporco negro” si può dire più o meno impunemente o è solo un’aggravante razziale che scatta in presenza di un altro reato come in quel caso di Palermo in cui ci fu un’aggressione col cric? Sul termine “frocio” e/o “frocio schifoso” invece si va a sbattere di sicuro: ne sa qualcosa Bal Efe “transessuale esercente la prostituzione”, come scrivono gli Ermellini, che si è beccata una condanna per diffamazione per aver sostenuto su Facebook l’omosessualità di un suo presunto amante, apostrofato appunto “frocio” e “schifoso”. A scorrere le sentenze, “cornuto” resta un grande classico che fa il paio con “fedifraga” – pardon – “mignotta”: per i giudici specie se riferito a donna e moglie è tabù e integra il reato di diffamazione attribuire una storia extraconiugale con un altro uomo che non sia il legittimo consorte, perché “elemento intrinsecamente idoneo a vulnerare non l’opinione che la persona offesa ha di sé, bensì, oggettivamente, l’apprezzamento da parte della storicizzata comunità di riferimento del complesso dei valori e delle qualità che la vittima esprime, quale dinamica sintesi della sua dignità personale, apprezzamento cui si correla la lesione dell’altrui reputazione”.

E quando c’è di mezzo la politica? Nel 2006 la Cassazione stabilì per esempio che era diffamazione dire dell’avversario “Giuda Escariota” in un comizio elettorale. O descrivere nei volantini il tal candidato come “gaglioffo” e “azzeccagarbugli”. Il che fa ben sperare chi querela a tutto spiano anche per le intemperanze via social: nel 2014 Ilda Iadanza, una signora friulana, raccontò di esser stata denunciata da Matteo Renzi per diffamazione per un “ebetino” che le era scappato sul blog di Grillo. Matteo Salvini ha di recente avuto soddisfazione contro Oliviero Toscani che lo aveva dileggiato per il servizio fotografico apparso sul settimanale Oggi, in cui il Capitano leghista si era fatto ritrarre a letto, coperto da un piumino e rivestito della sola cravatta verde: “Una pompinara da due soldi” lo aveva apostrofato, salvo poi precisare che non aveva voluto gettare discredito sulla sua persona, ma stigmatizzarne i comportamenti politici e l’inclinazione a offrire in vendita persino il suo corpo agli ingenui elettori del suo partito. Ma niente: la Cassazione ha stabilito nel 2021 che la fellatio sarà stata pure una metafora politica, ma il fotografo aveva esagerato assai. Ma in altri casi gli è andata peggio: nel 2016 ad esempio il Tribunale di Bergamo ha stabilito che dire che Salvini non ha mai lavorato non è reato perché nonostante la querela al Fatto Quotidiano che lo ha definito “politico di professione” effettivamente “non svolge e non ha mai svolto nessuna attività civile”.

Sempre nel 2016, il Tribunale di Milano aveva archiviato una sua querela nei confronti dell’ex sindacalista Marco Bentivogli, che lo aveva preso di petto in tv: “Ma lei ha l’autoblu pagata dallo Stato, di cosa parla? Lei gira in autoblu. È andato una volta a Bruxelles. È il più grande assenteista di Bruxelles e parla delle condizioni delle persone. È andato a Bruxelles l’altro giorno e gli uscieri neanche si ricordavano di lei. Sono sicuro che da 25 anni mantengo lei con le mie tasse. Di questo sono sicuro. Lei fa politica da 25 anni mantenuto dai contribuenti italiani”. Gli è andata male anche con Carlo De Benedetti, che durante il Festival di Dogliani non era stato tenero: “Salvini? È il peggio. Antisemita, xenofobo e antieuropeo e finanziato da Putin”. Il Tribunale di Cuneo pochi giorni fa ha assolto De Benedetti con tanti saluti ai 100 mila euro di risarcimento chiesti dal leghista anche se ancora non sono note le motivazioni. Certe invece quelle del Tribunale di Milano che nel 2021 ha archiviato la querela di Salvini contro Ilaria Cucchi che lo ha aveva definito uno “sciacallo che fa politica di basso livello sulla morte di mio fratello”: è diritto di critica.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/09/coglione-si-bimbominkia-no-ecco-il-tariffario-degli-insulti/6553856/?utm_content=marcotravaglio&utm_medium=social&utm_campaign=Echobox2021&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR3i_Ba5FO4qI_pSVu7LJG37C3FxTN6mZOgZVd_jslJ2rji-aC7QKcdVp5Y#Echobox=1649493310


Quindi, per la Cassazione noi cittadini dobbiamo subire le angherie dei politici, ma non possiamo ribellarci anche solo a parole, insultandoli, perchè i parlamentari, con i nostri soldi, possono difendersi ad oltranza incanalando, dopo aver apportato le opportune modifiche alle loro stesse leggi, le decisioni dei giudici in loro favore. Per noi sempre meno diritti e più doveri, per lor signori più diritti, meno doveri e tanta, tantissima stravaganza e strafottenza da sbandierare a mo' di "io sono io e tu non sei un cabbaso!"

cetta

I “boia di Bucha” sono serviti, ma molti non sono mai stati lì. - Riccardo Antonucci

 

SCOOP MANIFESTO - La foto vecchia, del 2019, molti dei soldati yakuti sono in congedo.

“I volti sorridenti dei boia di Bucha”. Oppure no. Così è stata presentata una foto che ritrae una ventina di giovani in divisa militare russa, i tratti somatici tipici della minoranza etnica della Yakutia, in posa per un selfie di gruppo mentre stringono una bandiera della loro regione.

Tre giorni dopo le immagini dei cadaveri trovati per le strade della cittadina a nord di Kiev, su molti giornali i colpevoli sono serviti. Ma le cose sono più complicate. La foto è vecchia, almeno due di quei ragazzi non è più nelle forze armate russe e forse nessuno di loro è mai stato in Ucraina.

È stato il reporter Luigi De Biase a portare ieri, sul manifesto, alcune prove che mettono in dubbio il loro coinvolgimento. De Biase riferisce di aver rintracciato al telefono e videochiamato due dei ragazzi di quello scatto. Uno in particolare, Vladimir Osipov, dice di aver lasciato l’unità a dicembre 2021 dopo la fine del periodo di leva obbligatoria e che la foto è stata scattata nel 2019, vicino alla base siberiana dove prestavano servizio. Aggiunge che “tutti gli altri commilitoni” sono in congedo e non sono mai stati in Ucraina. Online si trova traccia di un post con quel selfie datato 25 ottobre 2020.

Come ha fatto questa foto a finire sui media come documento dei “mostri sorridenti di Bucha”. La spiegazione è sui social e pare dipendere dall’innesto di contenuti di intelligence aperta (Osint) con informazioni non verificate.

Questa la cronologia che siamo riusciti a ricostruire. Lunedì 3 aprile il consigliere del presidente ucraino Zelensky, Aleksey Arestovich, che è anche capo negoziatore ai tavoli con i russi, pubblica alcune sigle di brigate dell’esercito russo che, dice, sono state impiegate nell’occupazione di Bucha. Tra queste c’è la 64ª Brigata Motorizzata di Khabarovsk, città della Yakutia (da cui proviene Osipov). Il sito del ministero della Difesa ucraino diffonde inoltre un elenco di nomi, cognomi e numeri di passaporto di presunti appartenenti alla 64a brigata. Il giornale Kyiv Indipendent la riprende. Il nome di Osipov in questa lista non c’è.

In parallelo si muovono alcuni gruppi di attivisti digitali schierati con Kiev, che dall’inizio dell’invasione diffondono informazioni sulle posizioni e le azioni delle truppe russe. Il gruppo Infonapalm, molto seguito all’estero, rilancia su Telegram un post di un altro account minore che si presenta come canale di volontari ucraini, si chiama “Terza forza”. Questo post contiene diverse foto di soldati russi, tra cui quella dei coscritti siberiani incriminata. Le riprende su Instagram il musicista ucraino Oleksii Potapov, con oltre 2 milioni di follower. Aggiunge questo messaggio: “stupratori e assassini, presto conosceremo i vostri nomi”. Quasi centomila like, ma nessuna prova che le foto mostrino dei veri soldati russi impiegati a Bucha. Il contenuto però finisce sull’agenzia di stampa ucraina Unian, e da lì a cascata sui media internazionali. A supporto, Unian cita dichiarazioni di alcuni residenti riportate da un sito di news locale, Obozrevatel, che avrebbero riferito che i militari responsabili del massacro c’erano “buriati (nome della minoranza etnica siberiana, ndr) con gli occhi stretti e lunghi”. Il 5 aprile si ritrova sulle pagine dei principali giornali italiani come risposta alla domanda “chi sono gli aguzzini del massacro di Bucha”. Nel frattempo altre agenzie parlavano di gruppi di ceceni e di altre unità russe.

Anche la genealogia della lista di soldati russi diffusa dal governo ucraino è complessa. Non solo non ci sono i nomi dei protagonisti di quelle foto, né quello del tenente colonnello Azatbek Asanbekovich Omurbekov citato come comandante in capo a Bucha, ma sembra provenire da una elenco pubblicato il 27 febbraio dal gruppo hacker “Enigma”, rilanciato poi sia da InformNapalm che da Anonymous. È una lista di decine di migliaia di nominativi di militari, che però è accompagnata da un’avvertenza: sono dati di cittadini russi che “hanno o hanno svolto” il servizio militare, quindi potrebbero essere vecchi. “Non abbiamo ancora abbastanza dati per confermare la lista, ma continueremo a controllarla”, scrive Infonapalm. E molte verifiche restano ancora da fare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/09/i-boia-di-bucha-sono-serviti-ma-molti-non-sono-mai-stati-li/6553914/?utm_content=marcotravaglio&utm_medium=social&utm_campaign=Echobox2021&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR3vUDNtkq8zBq7tuiS1WhEDY84Okqe_3lf67K44UBJMVmeu94Xap-sdfIM#Echobox=1649492799

venerdì 8 aprile 2022

Guerra Ucraina, Angela Merkel riappare: il messaggio contro Zelensky su Ucraina e Nato mentre è in vacanza in Italia.

 

Nelle dinamiche inedite della guerra in Ucraina, “lei” è tra i protagonisti, per quanto protagonista invisibile. Angela Merkel. Il suo ruolo, afferente alla funzione di traino dell’Europa esercitata negli oltre tre lustri di cancellierato tedesco, è stato evocato, dibattuto, scandagliato nel dibattito pubblico in Germania in queste settimane. Così come la presunta quota di responsabilità politiche per l’attuale condizione dipendente alle forniture di gas russo, in cui versano il suo Paese e tutta l’Europa.

Qualche giorno fa, un portavoce ha filtrato (interrompendo in via indiretta la linea del silenzio) la sua posizione, che rivendica la scelta di aver detto no, nel 2008, all’ingresso dell’Ucraina nella Nato. A quanto pare, in questi giorni è in Italia, in vacanza. E si gode il suo soggiorno a Firenze che stando a indiscrezioni dovrebbe durare fino a lunedì.

Tra l’ex cancelliera e il nostro Paese c’è un legame antico, vista la sua tradizionale predilezione per la costiera amalfitana. Una scelta che fece “colore”, negli anni di maggiore ruvidezza di rapporti tra Roma e Berlino (non tanto a livello di governi, quanto di forze politiche d’opposizione e nell’opinione pubblica). Il suo amore turistico per il nostro Paese aveva, quindi, come contraltare l’intransigenza dei tempi dell’austerità come politica europea, di cui la Germania era ligia interprete. Un’epoca fa, oramai. 

https://www.iltempo.it/attualita/2022/04/07/news/guerra-russia-ucraina-bucha-angela-merkel-vacanza-italia-messaggio-contro-zelensky-nato-31129173/amp/?fbclid=IwAR3z98WOjMfnrmbQEBQyTR7w5qv4MzkdWUJwFgMku_v7BsprE-7jgOnXaFk

Ucraina, la guerra merita di essere condannata ma bisogna raccontarla tutta la storia. - Diego Fusaro

 

Come diceva qualcuno, in guerra la prima a morire è sempre l’informazione. I media occidentali lo stanno tragicamente confermando. Nella massima parte, essi figurano come megafoni della voce del padrone a stelle e strisce: sono portatori di una visione a tal punto di parte, a tal punto sfacciatamente ideologica, che sembrerebbe impossibile accettarla anche in minima parte. Eppure i più, letteralmente, se la bevono.

I monopolisti del discorso non vi dicono che la Ue ha già dichiarato guerra alla Russia. Ha inviato in Ucraina sistemi d’arma non solo difensivi ma offensivi, la Nato sta pensando di mandare gli aerei da combattimento. Inviare armi difensive a un paese in guerra non è un atto di guerra contro il suo nemico, lo è però l’invio di armi offensive. Gli Usa stanno conducendo una strategia bellica indiretta, usando l’Ucraina come “bastone contro la Russia” (Giulietto Chiesa). E, insieme, usando la Ue come “prima linea” del conflitto, inducendola a mandare armi offensive in Ucraina: e ciò del tutto contro l’interesse della Ue stessa, che in questa guerra ha solo da perdere.

Lo scopo di tutto ciò? Difendere l’Ucraina e la sua sovranità? Nemmeno per sogno! Avete sentito Draghi? Dobbiamo batterci perché l’Ucraina entri in Ue, ha asserito: altro che neutralità e sovranità ucraina! Lo vuole il popolo, dicono i media nostrani: ne siamo sicuri? Perché il guitto Zelensky – un attore Nato, è il caso di dire – limita i partiti d’opposizione, allora? Che cosa desiderano realmente gli ucraini?

A mio avviso l’obiettivo vero per gli Usa e per la loro colonia Ue è a) annettere l’Ucraina nella propria area d’influenza e b) provocare il regime change in Russia: detto altrimenti, sostituire Putin con un “fantoccio” atlantista, modalità Eltsin che svendeva il paese a Washington e rotolava ubriaco di vodka. E ciò di modo che la Russia, un poco alla volta, si normalizzi, fino a diventare colonia di Washington tra le tante.

Sembrava, in effetti, che quello fosse il suo destino dopo il 1989: piegarsi, umiliarsi, genuflettersi al cospetto della civiltà del dollaro. Tutto cambiò con Putin, che iniziò a dire di no: no all’espansionismo Nato, no all’atlantizzazione degli spazi post-sovietici, no alla cultura del nulla di marca globalista. Per quello, Putin è da anni tra i nemici principali della “globalizzazione”, vale a dire della americanizzazione coatta del pianeta.

Nel 2014 gli Usa dirigono da dietro le quinte un golpe in Ucraina (velvet revolution), noto come Euromaidan: e vi insediano un “governo fantoccio” a loro gradito, atlantista e filo-Ue. Tale governo inserisce in Costituzione la volontà di entrare nella Nato. Nel 2021 Usa e Ue armano pesantemente le forze armate ucraine. Il guitto Zelensky nasce in quel contesto: come prodotto in vitro di serie televisive hollywoodiane, letteralmente recitando un copione scritto in terra americana. Da attore a presidente del suo paese in un attimo, con un solo obiettivo: favorire il transito dell’Ucraina verso la Ue e verso la Nato, di fatto portando le basi militari Usa ai confini con Mosca.

Nessuno – almeno, non io – vuole giustificare o magari glorificare il gesto di Putin, ossia l’invasione dell’Ucraina: la guerra, ogni guerra, merita di essere condannata, a partire da quelle del proprio paese (l’Italia sta sciaguratamente mandando armi in Ucraina, come sappiamo, con una retorica guerrafondaia stomachevole e orwelliana, appellano “missione di pace” l’invio di mitraglie pacifiche e di missili democratici).

Si tratta però di raccontarla tutta la storia: e se vogliamo, come vogliamo, condannare la guerra, dobbiamo condannarla a partire dal suo reale cominciamento e dalle sue reali cause, vale a dire, appunto, dall’espansionismo della Nato verso Oriente, verso le aree post-sovietiche. Detto altrimenti, con parola cara a Lenin e obliata dalle sinistre fucsia – la nuova “sinistrash” postmoderna, interscambiabile con la destra bluette –, la causa primissima è l’imperialismo made in Usa. Rammentiamo che, nel 2008, a Bucarest, la Nato aveva proclamato senza perifrasi che Ucraina e Georgia, presto o tardi, sarebbero entrate nella Nato stessa. Se si vuole condannare una rissa, si condanna non solo il contegno – certo criticabile – di chi ha tirato l’ultimo pugno, ma anche, ovviamente, di chi ha assestato i colpi precedenti, e magari anche di chi l’ha avviata.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/04/07/ucraina-la-guerra-merita-di-essere-condannata-ma-bisogna-raccontarla-tutta-la-storia/6551703/

Il tecnico del gas. - Marco Travaglio

 

Finora, nella crisi ucraina, Draghi non toccava palla. Poi l’altroieri l’ha toccata, ma per tirarla nella sua porta, che purtroppo è anche la nostra. È stato quando ci ha detto che “sull’embargo al gas russo seguiremo le decisioni della Ue” e ci ha posto l’aut-aut “fra la pace e i condizionatori accesi”, costringendoci a scegliere fra due possibili reazioni. La più irresistibile: una pernacchia. E la più faticosa: prenderlo sul serio. Proprio perché è lui, tentiamo la seconda. L’embargo sul gas russo, da cui dipendiamo per il 46,6%, ci costerebbe fino a 2,3 punti di Pil (75 miliardi), cioè crescita zero, metano a 200 /kwh, mezzo milione di disoccupati in più, migliaia di aziende che chiudono. Una cosetta, che però ingrasserebbe gli Usa. Dunque Draghi annuncia che, “se l’Ue ci propone l’embargo sul gas, noi saremo ben contenti di seguirla”. Ben gentile. Ma l’Ue non siamo anche noi, anzi soprattutto noi, da quando le gazzette draghiane ci assicurarono che la neopensionata Merkel passava lo scettro del comando a SuperMario? Qualcuno glielo dica: l’Ue sei tu, torna a bordo, cazzo!

Al nostro Di Foggia che osa fargli una domanda il premier risponde piccato: “Preferisce la pace o il condizionatore acceso? È questa la domanda che ci dobbiamo porre”. Veramente la domanda che ci dobbiamo porre è come sia possibile che uno che parla così venga scambiato da 14 mesi per un fenomeno, anzi il Migliore.

1) Come gli rammenta un basito Lucio Caracciolo, “non esiste l’alternativa pace-gas: non ricordo un conflitto di qualche rilievo interrotto da sanzioni e i russi hanno dimostrato di saper rinunciare a moltissimo pur di non perdere una guerra”. A furia di sanzioni inflitte dai governi che han fatto come o peggio di lui in Serbia, Afghanistan, Iraq e Libia, Putin è balzato all’83% di consensi.

2) Il premier è lì per risolverci i problemi, non per illustrarceli come se stesse al bar per farli risolvere a noi e farci pure sentire in colpa come sabotatori della pace perché accendiamo lo split.

3) In un referendum tra pace e condizionatori, specie se si tenesse a Ferragosto, vincerebbero i secondi (possibilmente accesi), perché tutti sanno che la pace non si agevola tagliandoci il gas da soli, ma smettendo di riempire di armi il campo di battaglia, che ne è già pieno zeppo, evitando di seguire Usa&Nato nell’ideona di allungare il conflitto e riprendendo l’esile filo del negoziato.

4) Abbiamo sempre considerato Draghi un grande sopravvalutato, ma sottovalutavamo la sopravvalutazione. Ora chi gli vuol bene dovrebbe spiegargli un paio di cose, anche con disegnini. Possibilmente prima che ci ponga i prossimi aut-aut fra la tregua e Alexa, fra il genocidio e l’aspirapolvere, fra l’atomica e il tostapane.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/08/il-tecnico-del-gas/6552734/