Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
domenica 28 novembre 2021
Essere donna.
sabato 27 novembre 2021
LA POLITICA COME AFFARE. - Nadia Urbinati
I togati arrivano quando la corruzione è un fatto e la legge è violata. In una democrazia costituzionale, la corruzione della politica è un’altra cosa. Prima di tutto perché anticipa il fatto e poi perché presuppone l’impurità (che gli esseri umani amino denaro e potere) ed escogita leggi e istituzioni per impedire questa commistione. La politica non ha un’ambizione purificatrice. Qui sta la sua semplicità e difficoltà al tempo stesso.
Le leggi, le costituzioni, sono buone non perché scritte da e per santi, ma perché scritte a partire dall’impurità; da e per persone esposte a passioni (la pleonessia prima di tutto) che, se non limitate, generano il massimo negativo in politica: la violazione della norma dell’eguale libertà, la costruzione di un recinto nascosto agli occhi del pubblico per un gioco di pochi a danno di tutti (Bentham parlava di “sinister interests”). Una vera e propria curvatura oligarchica. Le costituzioni sono state scritte pensando a questo desiderio di arbitrio.
Il problema è che chi le gestisce può col tempo perdere il senso del loro significato originario. E sviluppa uno spirito di corpo, interpretando la governabilità come riproduzione della stabilità della classe che gestisce le istituzioni. Le pessime leggi seguono a ruota, e corrompono la politica. Una di esse consiste nel trattare la politica come un agire economico – la competizione elettorale viene allargata fino ad includere la competizione per il reperimento delle risorse per poter competere per i voti. La politica come affare scrive le proprie leggi.
In Italia, l’eliminazione del finanziamento pubblico dei partiti è stata la madre della corruzione della politica. Di quel che oggi lamentiamo con il caso dell’oligarca ........ Oligarca non perché ricco di suo, ma perché arricchitosi attraverso la politica. Questa è la peggiore della corruzione politica possibile – è anzi, “la” corruzione. Che è stata facilitata negli ultimi decenni di erosione graduale delle norme che tenevano i politici al riparto della commistione con il soldo.
Un esempio: negli anni Sessanta vi erano leggi severissime nel determinare l’indennità spettante ai membri del Parlamento; e alcuni partiti, come il Pci, ponevano un tetto all’emolumento dei loro eletti, misurandolo sullo stipendio dei colletti bianchi e stabilendo che l’eccedenza andasse al partito. La fine dei partiti ha da un lato reso i parlamentari imprenditori di se stessi e dall’altro ha scatenato una corsa al rialzo dei loro emolumenti. Oggi un parlamentare è un privilegiato. Questa è corruzione politica, anche se “secondo la legge”.
Una volta che i politici si fanno professionisti viene loro spontaneo pensare che la politica sia il loro mercato – e il pubblico viene messo alla porta. Arriva così la legge che privatizza il finanziamento dei partiti e delle campagne elettorali. E arriva ........, che non è il solo. Tutto rientra nella norma, che ha generato le condizioni ideali per la corruzione della politica per mezzo della politica.
http://www.libertaegiustizia.it/2021/11/16/la-politica-come-affare/
I MILLE AVVOCATI DI STRADA CHE RESTITUISCONO DIGNITÀ AI SENZA DIMORA (E AGLI ULTIMI). - Maria Novella De Luca
Sono lo studio legale più grande d’Italia, tutti “soci” volontari, con il fatturato più povero: zero euro. Assistono persone precipitare nella povertà dopo licenziamenti, sfratti, divorzi, costrette oggi a vivere sui marciapiedi, nei dormitori, in auto. Per tutti la sfida più grande: ottenere un indirizzo di residenza per non essere più invisibili.
Sono lo studio legale più grande d’Italia (mille “soci” tra civilisti e penalisti) e anche il più povero: fatturato euro zero. Del resto, i loro clienti, nella scala sociale, sono gli ultimi degli ultimi, così privi di tutto da non avere nemmeno un indirizzo: sono clochard, senza tetto, senza fissa dimora. Si chiamano “avvocati di strada”, sono riuniti in un’associazione fondata nel 2001 da Antonio Mumolo, avvocato giuslavorista che nelle fredde notti di Bologna, da volontario portava cibo e coperte a chi viveva sui marciapiedi o sotto rifugi di cartone. “E molti di loro, conoscendo il mio mestiere, mi facevano domande legali, raccontandomi di pensioni perdute, di eredità negate, di figli mai più incontrati per mancanza di un indirizzo di residenza, di fallimenti economici per crediti inesigibili, di assistenza sanitaria negata. Capii che quel mondo di invisibili finiva per strada non soltanto per tossicodipendenza, alcolismo o per problemi psichiatrici, ma soprattutto per diritti negati”.
Insieme a un solo altro collega, Mumolo fonda la onlus “Avvocato di strada”, oggi presente in 56 città, con mille legali che offrono assistenza (gratuita) ai senza dimora, trentottomila persone seguite dal 2001 ad oggi, tremila pratiche aperte ogni anno, centinaia di cause vinte, ma soprattutto centinaia di ex drop-out tornati a vivere dal mondo di sotto al mondo di sopra. Con il motto non “esistono cause perse”, “Avvocato di strada” ha dedicato ai sessantamila clochard italiani addirittura un festival nell’ottobre scorso, per raccontare questo estremo segmento di povertà.
Spiega Antonio Mumolo: “Il senzatetto che dorme sui cartoni è solo la forma più evidente di questa emarginazione, figlia delle ripetute crisi economiche che hanno devastato l’Italia. A differenza di vent’anni fa quando i senza dimora erano persone con storie di alcol o malattie mentali, oggi sono cittadini, all’ottanta per cento italiani, che da un giorno all’altro perdono il bene fondamentale: la casa. Ci vuole poco: un licenziamento, le rate di mutuo non pagate, lo sfratto, una pensione troppo misera, un divorzio e ci si ritrova a dormire in auto, nei dormitori pubblici, negli edifici occupati, in fila alla mensa, alle docce, alle distribuzioni di vestiti usati. Bussando da una porta all’altra alla ricerca di lavoro”.
La storia di Francesca, da commessa in un supermercato ad una vita senza più figlie né una casa.
Come accade a F. che chiameremo Francesca, nelle tante storie che “Avvocato di strada”, pubblica sul suo bilancio sociale ogni anno. Francesca è italiana, ha 40 anni, è mamma di due bimbe di 6 e 8 anni. Emblema e paradigma di come si possa passare da una situazione dignitosa alla povertà in un tempo brevissimo, fulmineo. Un capitombolo nel baratro. “F. era commessa in un supermercato, conviveva con il suo compagno e padre delle bambine, finché i due non decidono di separarsi e l’uomo, abbandonata la casa, smette di prendersi carico delle spese. F. non ce la fa, il suo stipendio è troppo basso per pagare un affitto e gestire, da sola, due figlie. Arriva lo sfratto e le bimbe vengono affidate ai nonni paterni. Costretta a dormire in macchina, Francesca si rivolge ad “Avvocato di strada” perché è inverno, i soldi stanno finendo e pagare la benzina per arrivare al lavoro diventa impossibile”. F. si ammala di broncopolmonite, viene aggredita nella notte, la macchina si guasta irreparabilmente. Sul lavoro le assenze diventano troppe e Francesca viene licenziata.
“Dopo aver messo in contatto Francesca con i servizi sociali della città – ricorda Agostina, avvocata di strada di Milano – siamo riusciti a farle ottenere la residenza fittizia, grazie alla quale ha potuto cercare un nuovo lavoro e un alloggio”. Piano piano Francesca riemerge dal buio e ricostruisce un rapporto con le figlie. Con il sogno, oggi, di riaverle con sé.
Per chi nella vita ha sempre avuto un indirizzo e un nome sul citofono, la parola residenza evoca soltanto un fastidio burocratico da espletare quando, magari, si cambia casa o città. Invece no: la residenza è un diritto fondamentale che determina lo spartiacque tra l’esistenza e la non esistenza. Tra l’essere cittadini o clandestini. Essere invisibili oggi è non poter fornire un indirizzo, dunque ottenere una carta d’identità, quindi un lavoro e l’assistenza sanitaria.
Gli avvocati di strada ricostruiscono i fili spezzati di queste vite, cuciono una tela che riannoda affetti, patrimoni, dignità. Portano in tribunale comuni e datori di lavoro, enti previdenziali e familiari disonesti. “I comuni – dice Mumolo – spesso violano l’obbligo di assegnare per legge ai senza dimora una di quelle vie fittizie inventate proprio per dare una residenza a chi non ce l’ha”. Come via Modesta Valenti a Roma, clochard che morì di stenti, o via della Speranza, o via dei Senzatetto in altre città.
Si sentono rinascita e resistenza nelle storie degli avvocati di strada. C’è M, italiano, che viveva in un dormitorio dopo una dolorosa separazione. Grazie all’assistenza legale riesce a definire il divorzio, trova alloggio in co-housing. “La cosa più bella – è stata sentirmi di nuovo chiamare papà”.
La storia di Stella, da clandestina a una vita alla luce del sole.
C’è S. la chiameremo Stella, ucraina, mamma di un bellissimo bambino con cui viveva, però, quasi nascosta. “Nel periodo in cui è venuta al nostro sportello viveva in una situazione totalmente precaria fuori Genova. Non aveva documenti, non riusciva ad ottenere un permesso di soggiorno ed era costretta a vivere nella clandestinità, nella paura, senza assistenza sanitaria, senza potersi rivolgere ai servizi sociali, né poter iscrivere suo figlio a scuola” Stella era invisibile. Gli avvocati strada rintracciano in Grecia il padre del bambino, ottengono i suoi documenti, regolarizzano la posizione di Stella. “Oggi a lei ed al suo piccolo è stata restituita la dignità e il riconoscimento che per troppo tempo erano stati loro ingiustamente sottratti”. E Stella e il suo bambino non hanno più paura di camminare alla luce del sole.
La storia di Giuseppe non aveva più una residenza ora l’ha ottenuta.
C’è G, lo chiameremo Giuseppe, napoletano. “Arrivò ad Avvocato di strada dopo aver girato tutti servizi della città senza essere riuscito a far rispettare un suo diritto essenziale, quello alla residenza anagrafica. G. che un tempo aveva una casa e un lavoro, aveva camminato tanto, tra uffici freddi e pieni di inutile burocrazia, trovando tutte le porte chiuse. Quando arrivò da noi era veramente esausto e sfiduciato. Aveva perso la speranza e la sua voglia di credere in una società giusta e civile. In breve tempo, grazie al preziosissimo aiuto di una nostra volontaria, G. ottiene la residenza nella via fittizia. Oggi ha nuovamente diritto di voto, accesso alle cure mediche. È tornato a godere di tutti quei diritti fondamentali di cui gode un cittadino italiano residente sul territorio”.
Antonio Mumolo cita una frase “cult” del libro di John Grisham “L’avvocato di strada”: “Prima di tutto sono un essere umano. Poi un avvocato. È possibile essere entrambe le cose”.
venerdì 26 novembre 2021
In piedi, signori... - William Shakespeare
Riforma del fisco, la simulazione delle nuove aliquote Irpef: risparmi fino a 920 euro l’anno. - Alessandro D’Amato
Così la riforma del governo Draghi impatterà sui portafogli dei lavoratori: quattro scaglioni e sei fasce di imponibile. Gli effetti del taglio delle tasse sulle famiglie.
Le simulazioni delle nuove aliquote Irpef spiegano oggi come la riforma del fisco del governo Draghi impatterà sui portafogli dei lavori dipendenti. Che, a seconda della soglia di reddito, risparmieranno fino a 920 euro l’anno. Non solo per effetto della riduzione da 5 a 4 degli scaglioni. Ma anche per le detrazioni, che andranno ad assorbire il bonus 80-100 euro e per l’incremento della soglia della no tax area per pensionati e autonomi. Anche l’Irap viene cancellata per un milione di società di persone, partite Iva, start up e professionisti oltre che per gli enti non commerciali. Il conto totale della riforma ammonta a 7 miliardi per l’Irpef e uno per l’Irap. Ma per adesso a imprese e sindacati la riforma del fisco non piace.
Quanto si risparmia con i 4 scaglioni.
L’accordo politico raggiunto ieri tra maggioranza e governo prevede in primo luogo la riduzione delle aliquote. Si abolisce lo scaglione al 41% e le aliquote diventano quindi quattro. Fino a 15 mila euro l’aliquota sarà al 23%; da 15 a 28 mila euro lo scaglione scenderà di due punti rispetto ad oggi e arriverà al 25%. I redditi da 28 a 50 mila euro invece avranno un imponibile del 35% (tre punti di taglio) mentre oltre i 50 mila euro scatta la trattenuta al 43%. Va spiegato però che l’Irpef è un’imposta progressiva. Se quindi c’è chi vede aumentare dal 38 al 43% l’imponibile sulla fascia di reddito, come quelli che guadagnano da 50 a 55 mila euro l’anno, dall’altra parte usufruisce del taglio degli scaglioni sulle quote di reddito precedenti. Che vanno a compensare l’incremento successivo.
Fatta questa premessa, le prime simulazioni delle nuove aliquote Irpef vanno valutate anche sulla base delle nuove detrazioni. Mentre per quanto riguarda la No tax area, quella dei pensionati passa da 8.125 a 8.174 euro. Quella dei lavoratori autonomi andrà da 4.800 a 5.500 euro. In questo quadro i risparmi per le classi di reddito vanno dai 100 ai quasi mille euro l’anno. Secondo la simulazione di Repubblica il beneficio è massimo per un reddito di 60 mila euro (970 euro) e poi arriva a 270 euro per chi ne guadagna da 75 mila in poi. In termini percentuali chi ha 45 mila euro di redditi porta a casa il 6% di tasse in meno. Ovvero 770 euro l’anno. Nella tabella del quotidiano la fascia dei 70 mila euro risparmia 370 euro, quella dei 65 mila ne risparmia 470, quella dei 55 mila ne risparmia 670.
Le sei fasce di imponibile.
E ancora: la fascia dei 40 mila euro l’anno risparmia 620 euro, la fascia dei 35 mila arriva a 470 e quella dei 30 mila a 320. La simulazione di PwC Tls Avvocati Commercialisti pubblicata da La Stampa invece prevede sei fasce di imponibile. E quindi, rispettivamente:
- i redditi imponibili fino a 20 mila euro risparmiano 100 euro l’anno;
- i redditi fino a 30 mila euro ne risparmiano 320;
- la fascia da 40 mila euro risparmia 620 euro netti l’anno;
- il reddito imponibile fino a 50 mila euro l’anno risparmia 920 euro l’anno;
- la fascia da 60 mila euro ne risparmia 570;
- il reddito da 75 mila euro risparmia 270 euro.
I calcoli del Messaggero riportano anche gli effetti su chi guadagna da 10 a 15 mila euro l’anno. In quel caso il beneficio è pari a zero. Per le fasce che vanno dai 16 ai 19 mila euro l’anno il beneficio aumenta progressivamente di 20 euro ogni mille di reddito. Le aliquote, come ricorda il quotidiano, rideterminano soltanto il 40% dell’effetto redistributivo. Il 60% è determinato da detrazioni per lavoro e famiglia.
Gli effetti del taglio per le famiglie.
Secondo invece la simulazione dei Consulenti del Lavoro citata dall’agenzia di stampa Ansa i vantaggi più significativi riguarderanno a partire dal 2022 chi ha un reddito tra i 30 mila e i 60 mila euro lordi l’anno. I dati del ministero dell’Economia dicono che sono circa 7 milioni di contribuenti. In questa simulazione per la fascia di contribuenti da 20 mila euro l’anno l’Irpef attuale, senza considerare alcun tipo di detrazione, è pari a 4.800 euro. Dal 2022, con il passaggio del secondo scaglione dal 27% al 25%, scenderebbe a 4.700 euro con un beneficio di 100 euro. Una famiglia con due lavoratori e 45 mila euro di reddito complessivo l’anno – equamente distribuito e non tenendo conto delle detrazioni per i figli – passa da un’Irpef lorda di 5.475 euro a 5.325 euro, con un beneficio di 150 euro a testa, pari a 300 euro per il nucleo. Infine, nel caso di un unico percettore di reddito da 30.000 euro si passa da un’Irpef lorda di 7.500 euro a 7.200 euro. Il vantaggio è di 300 euro ma concentrato su un’unica persona. Sale quindi al salire del reddito.
Confindustria e sindacati.
La riforma non piace a Confindustria e sindacati. Per gli imprenditori «se la bozza dovesse essere confermata, saremmo in presenza di scelte che suscitano forte perplessità perché senza visione per il futuro dell’economia del nostro Paese». E questo perché, secondo l’associazione datoriale, «la sforbiciata alle aliquote Irpef disperde risorse, con effetti “impercettibili” sui redditi delle famiglie, soprattutto se venissero eliminate le detrazioni per coprire i costi. L’intervento sull’Irap, poi, non migliora la competitività delle imprese». Il segretario della Cgil Maurizio Landini sostiene che gli 8 miliardi dovrebbero andare tutti ai lavoratori dipendenti e ai pensionati. Mentre il segretario confederale della Cisl Giulio Romani, responsabile del dipartimento fiscale, dice «no ad accordi già confezionati coi partiti che renderebbero solo consultivo il ruolo dei sindacati. Viale dell’Astronomia e i rappresentanti dei lavoratori chiedono al governo una convocazione urgente perché l’intesa non ha coinvolto le parti sociali».
https://www.open.online/2021/11/26/governo-draghi-nuova-irpef-simulazione-aliquote/
giovedì 25 novembre 2021
Rapsodie ungheresi. - Marco Travaglio
È la primavera 2020: Storari confida a Davigo che i vertici della Procura di Milano non indagano i personaggi accusati da Amara. Davigo si fa dare i verbali (a lui non si può opporre il segreto) e ne avvisa alcuni colleghi del Csm. A voce e non tutti, perché due sono accusati da Amara e non devono sapere delle indagini. Sta commettendo un reato? I colleghi del Csm ritengono di no, sennò lo denuncerebbero per non commetterne uno a propria volta (omessa denuncia del pubblico ufficiale). Neppure il vicepresidente Ermini, che corre ad avvertire il presidente Mattarella, senza che questi eccepisca nulla, poi distrugge i verbali avuti da Davigo (cioè la prova del possibile reato che, se fosse tale, lo renderebbe colpevole di favoreggiamento, oltreché di correità nella rivelazione di segreti al capo dello Stato). Anche Salvi, Pg di Cassazione e titolare dell’azione disciplinare, si guarda bene dall’avviarne una contro Davigo. Anzi, usa le sue informazioni per chiamare il procuratore di Milano e sollecitare le iscrizioni di cui Storari lamenta l’assenza. Al processo, quando Davigo chiamerà tutti a testimoniare, ci sarà da divertirsi. Intanto, oltreché del dito (Davigo), magari qualcuno magari si occuperà della luna (la loggia Ungheria). Sempreché i confratelli e le consorelle ungheresi, che nel frattempo continuano a far carriera, non siano arrivati al Quirinale.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/11/25/rapsodie-ungheresi/6404627/
Taglio delle tasse, maggioranza verso una soluzione di compromesso che darà poco a tutti. I maggiori risparmi per i redditi medi. - Chiara Brusini
Il tavolo al Tesoro si riunisce di nuovo giovedì mattina. L'ipotesi che ha preso forma negli ultimi incontri è quella di ridurre le aliquote Irpef da cinque a quattro, alzare la soglia di esenzione totale e ripensare il sistema di bonus e detrazioni che oggi ha l'effetto perverso di gonfiare le aliquote marginali effettive, quelle che colpiscono premi e straordinari. L'Irap potrebbe essere azzerata per pmi e partite Iva con redditi medio bassi. Secondo l'Istat, se anche tutti gli 8 miliardi andassero ai lavoratori l'imposizione calerebbe solo dell'1,6%.
Se anche tutti gli 8 miliardi previsti in manovra per il taglio delle tasse fossero destinati ad abbassare il prelievo sulle retribuzioni, il vantaggio per le tasche del cittadino medio sarebbe quasi impercettibile. Secondo l’Istat, l’imposizione calerebbe dell’1,6% rispetto al 2020. Ma è probabile che vada peggio: il tavolo di maggioranza convocato al ministero dell’Economia per decidere come utilizzare le risorse a disposizione sembra vicino a un accordo sull’ennesima soluzione di compromesso, con l’obiettivo di dare un contentino sia ai sindacati che chiedono di aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori sia a Confindustria che spinge per un altro aiuto alle imprese. I partiti si stanno convincendo ad accettare una soluzione che secondo il Tesoro beneficerà tutte le fasce di contribuenti Irpef oltre ad azzerare l’Irap per le piccole partite Iva. Risultato: pochi risparmi per tutti. Chi ha redditi medi dovrebbe godere dei benefici maggiori, ma anche i (pochi) contribuenti con imponibile alto avranno un piccolo taglio.
Gli 8 miliardi complessivi messi sul piatto dal governo Draghi, va ricordato, sono l’antipasto della complessiva riforma del fisco affidata a una delega da attuare nel prossimo anno e mezzo. L’articolo 2 della manovra prevede che siano usati per ridurre l’imposta sui redditi delle persone fisiche – sia attraverso la riduzione delle aliquote sia con una revisione delle detrazioni – e l’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive, ma lascia al Parlamento il compito di mettere nero su bianco le disposizioni scegliendo quindi chi privilegiare. Il Tesoro siede al tavolo con le forze di maggioranza per fornire le simulazioni di impatto sulle varie ipotesi di intervento.
Un’altra riunione, simulazioni alla mano, è in calendario per giovedì mattina. Ma la strada che ha preso forma negli ultimi incontri è quella di iniziare a ridurre le aliquote Irpef dalle attuali cinque – 23, 27, 38, 41 e 43% – a quattro: 23, 25, 34 e 43%, alzare la soglia di esenzione completa (oggi poco sopra gli 8.100 euro l’anno) e ripensare il sistema di bonus e detrazioni che oggi ha l’effetto perverso di gonfiare le aliquote marginali effettive, cioè quelle che colpiscono i proventi aggiuntivi come premi e straordinari. Chi percepisce redditi fino a 35mila euro e oggi ricade nel terzo scaglione, quello con aliquota “ufficiale” al 38% ma un’aliquota marginale effettiva al 45%, si ritroverebbe un domani nel secondo scaglione, mentre tra i 35mila e i 55mila euro di reddito si resterebbe nel terzo scaglione ma con aliquota ridotta al 34% (dall’attuale 38% con aliquota marginale effettiva al 61%): i maggiori vantaggi si concentrerebbero qui ma si parla comunque di non oltre una sessantina di euro al mese. Tra 55mila e 75mila euro l’aliquota legale si alzerebbe dal 41 al 43%. L’intervento sulle detrazioni dovrebbe comunque garantire un risparmio.
Il capo del Servizio Struttura economica della Banca d’Italia Fabrizio Balassone, audìto sulla manovra, ha fatto però presente che se l’intenzione è quella di alleggerire il carico fiscale sui lavoratori intervenire sulle aliquote non è il modo più efficace: così facendo l’impatto positivo risulta diluito, perché a beneficiarne sono anche i redditi diversi da quelli da lavoro a partire da quelli da capitale. “L’obiettivo sarebbe più efficacemente raggiungibile con la revisione di detrazioni e trattamento integrativo”, ovvero l‘ex bonus 80 euro di Renzi aumentato a 100 euro dal governo Conte. “Ciò consentirebbe interventi più selettivi anche per l’obiettivo di riduzione delle aliquote marginali effettive, concentrando le risorse sulla platea di contribuenti esposta alle criticità più evidenti”.
Per quanto riguarda l’Irap, una delle ipotesi è quella di azzerare l’aliquota (3,9%) solo per pmi e partite Iva con redditi medio bassi, sotto i 30-35mila euro, che comunque sono circa la metà dei due milioni di imprese che oggi pagano l’imposta il cui gettito – 25 miliardi nell’ultimo anno prima della pandemia – va a finanziare il Servizio sanitario nazionale. In alternativa si potrebbe procedere con un taglio verticale in base alla forma giuridica, comunque premiano anche in questo caso i “piccoli”. Il centrodestra, Lega in testa, non avendo incassato l’allargamento della flat tax per redditi fino a 100mila euro insiste per ottenere l’abolizione dell’imposta: la quadra non è ancora stata trovata. Confindustria intanto, nonostante la manovra sia all’esame del Parlamento che ha circa 800 milioni a disposizione per le modifiche, ha già provveduto a rilanciare: secondo il presidente Carlo Bonomi “va fatta una scelta forte per cui 8 miliardi non bastano, ne servirebbero 13“.