lunedì 17 settembre 2012

Quanto costa Bankitalia: dai 7 milioni per i giardini agli 819 per il personale. Thomas Mackinson


banca d'italia interna nuova


Mentre la vigilanza va alla Bce via Nazionale resta un carrozzone da 7mila dipendenti che costa cifre mostruose tra stipendi, diarie per missioni e trasferimenti. E poi 15 milioni per i videocitofoni nuovi di zecca, poltrone d'oro e consulenze per tutti. E ancora sprechi, appalti milionari, doppi incarichi. Ecco come il tesoretto degli italiani si disperde, sotto gli occhi distratti del governo.


Bruxelles arriva la resa dei conti sull’acquisto di titoli di Stato dei Paesi in crisi e già si profila lo tsunami della vigilanza centralizzata che porterà ulteriore scompiglio negli assetti di potere delle banche nazionali. Come risponderà a tutto questo la Banca d’Italia? In via Nazionale si guarda ai prossimi direttivi della Bce con crescente apprensione e intanto si varano speciali contromisure: un plotone di giardinieri armati di semi, piante ornamentali e annaffiatoi pronti a sparare sul mercato una micidiale raffica di fiori. Fiori per sette milioni di euro. Tanto costa la manutenzione delle piante e dei giardini nelle sedi di rappresentanza e nel parco sportivo del Tuscolano a Frascati, quartier generale dell’istituto con campi da tennis, calcio e piscina. Non mancano progetti per l’orto didattico e la raccolta delle olive made in Bankitalia. E se non si fermano gli attacchi speculativi? Suoniamo l’allarme generale aggrappati ai videocitofoni e campanelli nuovi di zecca da 15 milioni di euro appena acquistati. 
Tutto pagato con fondi propri della Banca d’Italia, cioè nostri. Perché pur essendo in mano a banche private, che detengono il 94,33% delle quote, la Banca d’Italia è un istituto di diritto pubblico ed esercita su mandato la funzione di Tesoreria dello Stato. Alla fine dei conti il bilancio è sempre attivo grazie alla gestione del portafoglio di titoli pubblici e riserve (nel 2011 ha prodotto utili per 1,1 miliardi): in pratica, l’istituto ha nel suo forziere i buoni dello stato acquistati dagli italiani e le riserve auree. Ma tanti sono anche i soldi che volano letteralmente fuori dalla finestra di Palazzo Koch.
Spese difficili da mandar giù in tempi di crisi e più ancora da quando la Banca d’Italia s’è ristretta. Da tempo non si occupa più di politica monetaria e presto anche i compiti di vigilanza andranno a Francoforte“Sprechi e inefficienze ci sono ovunque ma la Banca d’Italia è un’eccellenza rispetto alle altre banche centrali europee”, spiega Donato Masciandaro, docente di economia monetaria alla Bocconi e direttore del Centro Paolo Baffi su banche centrali e regolamentazione finanziaria: “Il punto vero – continua – è che presto dovrà essere presto riformata in profondità per sostenere l’urto del nascente sistema di vigilanza accentrato nella Bce”. Intanto, però, i costi restano extra-large. Sulle spalle degli italiani è infatti rimasto il carrozzone dei tempi gloriosi, con un carico di settemila dipendenti, centinaia di immobili di pregio e una serie di costi, sprechi e privilegi che partono dall’alto: il presidente Ignazio Visco, per fare un esempio, guadagna 750mila euro l’anno, cioè il doppio dell’omologo tedesco Jens Weidmann, capo della potente Bundesbank che ha tenuto al guinzaglio i governi di mezza Europa sull’acquisto di titolo di Stato dei Paesi in crisi.
Ai tempi del rigore era inevitabile che la spending review bussasse al 91 di via Nazionale. Lo ha fatto però in punta di piedi, battendo un colpo all’ultimo minuto con un emendamento dei relatori al Senato poi ribadito dal governo, nero su bianco, giusto la settimana scorsa: a partire dal 2013 anche il salotto delle banche dovrà adeguarsi ai dettami della revisione di spesa con tagli su auto blu, ferie, buoni pasto e consulenze. Ma a ben guardare sarà una potatura leggera perché bilancio, affidamenti, acquisti della Banca d’Italia rivelano ben altri sprechi e risorse, mele d’oro in un giardino delle Esperidi dove neppure i super tecnici s’addentrano. E allora ecco come si disperde l’oro degli italiani sotto l’occhio distratto del governo.
Esercito di dipendenti e poltrone d’oro. Visco: un tecnico da 750mila euroA scorrere il bilancio della Banca d’Italia due voci balzano all’occhio: il costo del personale per 819 milioni e le spese di amministrazione per 420. Cifre mostruose a discapito di un ruolo sempre più ridotto a favore della Bce. Partiamo dalla punta dell’iceberg perché in Banca d’Italia è d’oro anche quella. Il direttorio di nomina governativa che controlla l’autorità bancaria costa in organi collegiali e periferici 3,1 milioni di euro l’anno in compensi. Ma non si tratta di centinaia di persone ma poche decine: i 13 consiglieri superiori prendono 371mila euro, i cinque componenti del collegio sindacale 137mila. Ed ecco la punta, platino: al governatore Ignazio Visco, come detto, vanno 757.714 euro, al direttore generale Fabrizio Saccomanni vanno 593mila euro, i quattro vice-direttori (oggi tre, perché il 12 luglio Anna Maria Tarantola ha lasciato l’incarico per assumere la presidenza della Rai) hanno emolumenti da 441mila euro
I dipendenti sono 7.315 con 2mila tra funzionari e dirigenti mentre il precariato è poco da queste parti, il personale a contratto si ferma a 33 unità. Il punto è che questo personale da anni è in sovrannumero e finisce per costare una follia: 819 milioni di euro l’anno tra stipendi, accantonamenti per oneri maturati, diarie per missioni e trasferimenti. La spesa media per dipendente è di 109.300 euro. Com’è possibile? Semplice, il personale della Banca d’Italia eredita le conquiste degli anni migliori sul fronte dei trattamenti economici e dei servizi interni. Roba da gridare hip hip hooray! se il costo poi non ricadesse sugli altri italiani che questi “servizi” ormai se li sognano. Ecco alcuni esempi. L’assistenza sanitaria privata costa 32 milioni di euro l’anno, l’assicurazione 33,5 (fino al 2015). Il taglio dei buoni pasto della spending si farà sentire poco da queste parti. Le sedi di Roma, Frascati e 11 filiali hanno la sede interna: in cinque anni costa 41 milioni, otto all’anno. Le altre filiali hanno servizi mensa in convenzione. Il servizio di trasporto per i tragitti casa-lavoro per il personale dell’area romana un milione e due.
Prima che Draghi lasciasse via Nazionale per andare in Europa ha preferito esser certo che laggiù, a Roma, capissero bene quando dall’Eurotower parla di spread e fiscal compact. Così la Banca d’Italia ha affidato a un’agenzia un programma di formazione di inglese da 620mila euro, che per dei corsi di lingua non sono noccioline, soprattutto perché i bandi di assunzione dell’ente richiedono espressamente una conoscenza avanzata dell’inglese. Prima dell’assunzione, non dopo. Senza contare che da anni sette consulenti-traduttori sono a libro paga dell’ente al costo di mezzo milione di euro. E qui si apre il capitolo consulenze, un dossier sempre corposo e soprattutto costoso visto che al 30 agosto i consulenti esterni a libro paga di Bankitalia sono già 112 e totalizzano incarichi per due milioni e mezzo di euro. Alcuni sono plurimi e molti affondano le radici in rapporti che si sono persi nel tempo, rinnovati di anno in anno fin dagli anni Novanta e senza un termine o soluzione di continuità. La spending review qui non ci mette mano. 
Bankitalia real estateFin qui il personale. Ma a gravare sui conti dell’istituto sono anche i costi di struttura legati alla manutenzione di un patrimonio immobiliare sterminato che la Banca d’Italia ha collezionato dai tempi della sua nascita a oggi. Correva l’anno 1893, la capitale era Firenze e c’era ancora Umberto I. Da allora la corsa al mattone dell’istituto non si è più fermata e nell’anno corrente – dicono i bilanci di via Nazionale – il patrimonio per fini istituzionali ha raggiunto una consistenza pari 4,2 miliardi (1.3 quelli a garanzia dei trattamenti di quiescenza del personale). Un centinaio di immobili, per la maggior parte stabili di gran pregio nei centri storici delle città capoluogo di regione e provincia dello Stivale (oltre a terreni per una valore di quasi due miliardi). Alcuni beni non più necessari sono in affitto (dalle locazioni entrano 27 milioni) mentre nel triennio 2008-2010 una parte eccedente del patrimonio è stata razionalizzata fino alla chiusura di 39 sedi provinciali. Nel 2010 è partita l’operazione di vendita di oltre 60 immobili affidata a un’advisor (Colliers International Italia – EXITone) per due milioni di euro. Dovevano arrivare 326 milioni ma ancora nessuno è stato venduto e i tempi stringono perché l’operazione era prevista entro tre anni. Siamo ancora alla pubblicazione del primo lotto da 16 immobili. Il secondo dovrebbe arrivare in autunno.
L’attuale rete operativa conta 20 filiali regionali e provinciali, 25 sportelli e 18 centri per la vigilanza, trattamento del contante, tesoreria dello Stato. Più tre sedi distaccate a New York, Londra e Tokyo.
Il budget per la manutenzione di questo patrimonio, stando agli affidamenti in corso, ha un budget 30 milioni di euro. Gli edifici del centro storico della Capitale ne impegneranno altri 14,6. Solo per mettere telecamere e citofoni al complesso di via Nazionale 91, Tuscolana e del Centro Donato Menichella a Frascati si stanno per spendere in progettazione, installazione e mantenimento 15 milioni (oltre Iva). Poi c’è l’area di via Tuscolano 417, quartier generale dell’istituto, che ha in corso affidamenti per 21 milioni. Per gli edifici romani e per il “Centro Donato Menichella” di Frascati, che ospita buona parte delle strutture di elaborazione dati, è in arrivo una green revolution: è in corso di affidamento una gara per la manutenzione del verde e il noleggio di piante ornamentali, fioriere, composizioni di fiori recisi e aiuole per sette milioni di euro. Solo gli interventi di manutenzione dell’ex Cinema Quirinale, portone di rappresentanza della Banca, costano 3 milioni di euro.
Il turismo è in crisi? Domanda da 8 milioni di euroIl fiore all’occhiello di Bankitalia è sempre stato il suo Ufficio Studi, munifico produttore di studi comparati, analisi dei settori produttivi e degli scenari economici. Alcuni studiosi, imprenditori e giornalisti hanno però iniziato a rimpiangere gli anni d’oro, la stessa Confindustria ha lamentato che anche questo ramo di attività si sta seccando. L’ultima relazione annuale al Parlamento, a onor del vero, da conto di una grande attività con 950 note congiunturali sull’Italia, l’area euro e i mercati internazionali e ancora studi su studi. Ma i programmi di ricerca vengono fatti spesso all’esterno con costi esorbitanti.
Qualche esempio. Che il turismo sia fiacco lo sanno tutti, basta chiedere a un albergatore di Venezia o Riccione. Ma a Palazzo Koch vogliono vederci chiaro e così hanno commissionato una Indagine statistica campionaria (in pratica interviste) sul turismo internazionale. L’intento, semplificando, è capire quanto spendono turisti e uomini d’affari durante il loro soggiorno italiano. Peccato che per saperlo spenda otto milioni di euro e che l’ultima ricerca di questo tipo risalga ad appena tre anni fa. Bankitalia pensa anche ai bilanci delle famiglie italiane. E lo fa commissionando un’indagine per gli anni dal 2013 al 2016. Anche qui l’intento è nobile perché si tratta di capire come si distribuiscono nel tempo la ricchezza e il reddito in un Paese in crisi. Le modalità sono le classiche interviste su un campione di 10mila famiglie in 600 comuni ma il costo è di tre milioni di euro. Qualche famiglia, questa è una certezza, si sarebbe accontentata di qualche dato in meno e qualche soldo in più.

Domanda retorica.



Ma se la Fiat dovesse CHIUDERE DEFINITIVAMENTE gli stabilimenti italiani (come presto farà, ora che la legge Fornero permette i licenziamenti), creando CENTINAIA DI MIGLIAIA di disoccupati nell'indotto, questi BUFFONI "demoKratici" convintamente pro-Marchionne CON CHE FACCIA pensano di poter chiedere ancora il "voto dei lavoratori" alle prossime elezioni? (VB)

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PROCEDIMENTI GIUDIZIARI A CARICO DI SILVIO BERLUSCONI.



1 Elenco riassuntivo
2.1 Indagine su rapporti con società svizzere
2.2 Traffico di droga

2.3 Falsa testimonianza
2.4 Tangenti alla Guardia di Finanza
2.5 Bilanci Fininvest 1988-1992
2.6 Processo All Iberian
2.6.1 All Iberian 1 (finanziamento illecito al PSI)
2.6.2 All Iberian 2 (falso in bilancio aggravato)
2.7 Processo Lentini (falso in bilancio)
2.8 Medusa cinematografica
2.9 Falso in bilancio nell'acquisto dei terreni di Macherio
2.10 Lodo Mondadori
2.11 Consolidato Fininvest
2.12 Processo SME
2.12.1 Processo SME, capo di accusa A
2.13 Spartizione pubblicitaria Rai-Fininvest
2.14 Tangenti fiscali sulle pay-tv
2.15 Stragi del 1992-1993
2.16 Concorso esterno in associazione mafiosa
2.17 Diffamazione aggravata dall'uso del mezzo televisivo
2.18 Telecinco (in Spagna)
2.19 Caso Saccà
2.20 Compravendita di diritti televisivi
2.21 Mediatrade
2.22 Inchiesta Mediatrade di Roma
2.23 Corruzione dell'avvocato David Mills
2.24 Voli di Stato
2.25 Inchiesta di Trani
2.26 Il caso Ruby
2.27 Unipol
2.28 Laurea di Antonio Di Pietro




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Romano, ambasciator porta ritardo. - Marco Travaglio


Marco Travaglio

Carta Canta - l'Espresso, 14 settembre 2012

Con tutto il rispetto per l'ambasciatore Sergio Romano, quando si legge un suo editoriale sulCorriere della sera, non si capisce mai se ci è o ci fa. L'altro giorno, in uno stupefacente articolo intitolato “Le liste pulite prima garanzia”, auspicava partiti “capaci di accordarsi sui concetti di corruzione e concussione” per punirle più adeguatamente con una nuova legge. Come se non fosse fin troppo chiaro che non ne vogliono sapere, visto che corruzione e concussione sono due specialità della casa. Poi, tomo tomo cacchio cacchio, Romano si spingeva a scrivere: “Non vorremmo trovare nelle liste persone impresentabili”. Come se fosse appena calato da Marte e non fosse al corrente del fatto che dal 1996 i maggiori partiti italiani inbottiscono le loro liste di personaggi impresentabili. A cominciare dal leader del centrodestra che, essendo lui stesso impresentabile, attira e candida i suoi simili. E che un certo Sergio Romano, in tutti questi anni, ha ripetutamente difeso dall'”accanimento” dei magistrati cattivi e dei giornalisti giustizialisti. Il 14 marzo 2001, per esempio, chi scrive fu ospite del “Satyricon” di Daniele Luttazzi e rivolse alcune domande a Silvio Berlusconi sui suoi rapporti con la mafia e sull'odore dei suoi soldi. Tre giorni dopo un certo Sergio Romano scrisse sul Corriere: “Non si può pretendere che Berlusconi spieghi come si è arricchito. Una pretesa inquisitoria, frutto di vecchio anticapitalismo, a cui non furono assoggettate le dinastie dei Kennedy e dei Bush”. Lo svagato ambasciatore dimenticava, pur avendo girato il mondo, le centinaio di inchieste, programmi tv e libri sui Kennedy e su tutti gli altri presidenti e aspiranti presidenti degli Stati Uniti, culla del capitalismo. Tant'è che di lì a poco la bibbia del capitalismo, The Economist, uscì con la copertina dedicata ai misteri delle fortune del Cavaliere, anche per questo “unfit” a governare l'Italia.

Ora, d'improvviso, Romano scopre le “liste pulite”. Il finale dell'articolo è roba da far impallidire il Tartuffe di Molière: “Siamo garantisti e sappiamo che un'indagine non equivale a una condanna. Ma le segreterie, dal momento che non vogliono privarsi del diritto di scegliere i candidati, dovrebbero almeno impegnarsi pubblicamente a rispettare questo elementare principio di moralità politica: non servirsi del Parlamento per mettere qualche loro compagno al riparo dalla giustizia”. E quando mai, di grazia, negli ultimi 15 anni, Romano ha denunciato con nomi e cognomi i leader che candidavano inquisiti per sottrarli alla giustizia, compresi se stessi? Nei “V-day” del 2007 e del 2008 Beppe Grillo riunì centinaia di migliaia di persone nelle principali piazze d'Italia per raccogliere firme su tre referendum e tre leggi d'iniziativa popolare che chiedevano, fra l'altro, un “Parlamento pulito”: una norma semplice semplice, già in vigore negli enti locali, per l'ineleggibilità dei condannati per reati dolosi di una certa entità. Non risulta che Romano abbia mai sostenuto quella battaglia, anzi, al contrario, la demonizzò dalle colonne del Corriere. A suo avviso, quelle centinaia di migliaia di cittadini che chiedevano “liste pulite” cinque anni prima di lui, erano protagonisti di un “carnevale plebeo e volgare”, animati da “sentimenti beceri e forcaioli”. Infine l'ambasciatore fulminava Grillo, che quella proposta lanciava, con una memorabile previsione-maledizione: “La irresistibile ascesa del comico-politico dura generalmente qualche mese o pochi anni e si spegne quando il pubblico si stanca di ascoltare sempre le stesse battute o si accorge che nessuna soluzione politica potrà mai venire dal mondo dell'avanspettacolo. Cosa che accadrà, suppongo, anche nel caso di Beppe Grillo”.

Ora che il Movimento 5 Stelle si è talmente “spento” da insidiare il Pdl e il Pdl e finalmente, con la dovuta calma, Romano è giunto alle stesse conclusioni, gli basterebbero tre paroline per riconoscerne la primogenitura al legittimo titolare e magari fare ammenda: “Aveva ragione Grillo”. Invece Romano scrive come se le liste pulite fossero una sua folgorante invenzione. Ambasciator non porta pena. Ma porta parecchio ritardo.

Aboliamo la casta.



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Caro presidente, non è stagione di segreti. - Guido Scorza



Caro Presidente,
milioni di cittadini italiani, in un momento di crisi economica ed istituzionale senza precedenti nella storia nel nostro Paese, stanno assistendo ad un indecoroso spettacolo nel quale alla magistratura che indaga su una presunta trattativa tra lo Stato e la mafia, cercando di accertare fatti e responsabilità, la Presidenza della Repubblica oppone il segreto e la riservatezza delle conversazioni telefoniche del Capo dello Stato.
Questo media e politici, ormai da settimane, vanno raccontando – a torto o a ragione – e di questo i cittadini sono ormai convinti.
Che si tratti di una distorsione dei fatti o della realtà, conta, a questo punto, davvero poco.
Milioni di cittadini italiani assistono o sono convinti di assistere ad un vergognoso scontro tra poteri dello Stato, proprio nel momento in cui avrebbero più bisogno di guardare verso il colle che Lei abita e di trovarvi la più alta e rassicurante espressione delle istituzioni e dei valori democratici sui quali è fondato il nostro Paese.
Non sono tra quelli – e come sa ce ne sono molti anche illustri – che ritengono che Lei non avrebbe dovuto chiedere alla Corte Costituzionale di pronunciarsi sulla legittimità o illegittimità delle intercettazioni di alcune conversazioni tra Lei e l’ex Presidente del Senato Nicola Mancino.
Se lo ha fatto nella sincera convinzione che il segreto delle conversazioni del Presidente della Repubblica anche rispetto alle orecchie dei magistrati sia una garanzia prevista dalla legge ed indispensabile a consentire al Capo dello Stato – chiunque esso sia – di svolgere al meglio il proprio compito, ha fatto il suo dovere.
Personalmente non credo che certi segreti siano istituzionalmente né utili né sostenibili, ma questo, naturalmente, conta davvero poco.
Il punto, ora, è un altro.
Lei sa benissimo, caro Presidente, che il contenuto delle conversazioni tra Lei e Nicola Mancino è, ormai, noto ad alcuni – non molti ma neppure pochissimi – e non può sfuggirLe da grande ed attento osservatore della storia che, come insegna la recente vicenda Wikileaks, il contenuto di quelle conversazioni, nelle mani di pochi, rappresenta, allo stato, uno straordinario strumento di ricatto e minaccia democratica e istituzionale.
Nelle prossime settimane – se non è già avvenuto – il contenuto di quelle conversazioni finirà nell’agone politico pre-elettorale e sarà utilizzato per influenzare l’esito delle consultazioni, per garantire a qualcuno seggi, poltrone e potere e chissà per quali altri imponderabili impropri utilizzi.
Il privilegio informativo sul contenuto di quelle telefonate costituisce una pericolosissima mina di destabilizzazione istituzionale che deve essere disinnescata senza ritardo.
Solo Lei può farlo.
È per questo che Le chiedo di procedere alla pubblicazione, sul sito internet del Quirinale, del contenuto di quelle conversazioni che prima che l’accidentale risultato investigativo di una procura, rappresenta un fatto storico di grandissimo rilievo: il Capo dello Stato e l’ex seconda carica dello Stato che parlano al telefono a proposito – presumibilmente – di una trattativa tra lo Stato e la mafia.
È l’unico modo per disinnescare la vera minaccia che incombe sul Paese, per dimostrare ai cittadini italiani che esiste ancora un’Istituzionie repubblicana che antepone il bene democratico all’egoistico interesse di chi la rappresenta e, soprattutto, per insegnare che nell’era di Internet e dell’informazione globale la migliore medicina democratica è la trasparenza perché non è più stagione di segreti anche ammesso che esistano ancora.
La ringrazio, se avrà avuto la bontà di leggermi, per l’attenzione e aspetto di leggerLa sul sito del Quirinale.

Trattativa: un iscritto al Pci e un difensore di Berlusconi i relatori alla Consulta. Gianni Barbacetto


Napolitano_nuova interna


A istruire il procedimento sul conflitto di attribuzione sollevato da Napolitano contro i pm di Palermo saranno Gaetano Silvestri e Giuseppe Frigo. Il primo eletto dallo stesso partito del presidente della Repubblica, il secondo ex avvocato del Cavaliere e di Cesare Previti.

Gaetano Silvestri Giuseppe Frigo: saranno loro, gemelli diversi, i giudici relatori della Consulta a cui toccherà d’impostare il lavoro della Corte costituzionale sul conflitto tra poteri dello Stato sollevato dal presidente Giorgio Napolitano contro la procura di Palermo. Silvestri e Frigo avranno una parte importante nel disporre le carte sul tavolo da gioco, per la delicatissima partita che sarà poi decisa dai giudici costituzionali, alle prese con la questione spinosa delle telefonate del capo della Stato restate indirettamente registrate nei file dei pm palermitani che indagano sulla trattativa tra Stato e Cosa Nostra. Sono due giuristi che provengono da opposte sponde politiche, il centrosinistra per Silvestri, il centrodestra per Frigo. Ora si troveranno a dover affrontare insieme il caso più spinoso tra quelli capitati alla Corte costituzionale negli ultimi anni e forse in tutta la storia della Repubblica.
Gaetano Silvestri è entrato alla Corte costituzionale nel giugno 2005, eletto (con 587 voti) dal Parlamento in seduta comune, su indicazione del centrosinistra. Resterà in carica fino al 28 giugno 2014. Giurista e professore universitario, ma anche uomo di partito. Nato a Patti nel giugno del 1944, è dal 1970 docente all’università di Messina, di cui diventa rettore nel 1998, dopo gli scandali (“il verminaio”) che coinvolsero l’ateneo e i poteri della città siciliana. Resterà rettore fino al 2004, anno in cui diventa vicepresidente della Conferenza dei rettori delle Università italiane. Iscritto al Pci e poi al Pds, dunque compagno di partito di Napolitano negli anni Ottanta e Novanta, mantiene sempre buoni rapporti con i vertici del partito, che nel 1990 lo mandano a Roma, al Consiglio superiore della magistratura, come membro laico. Ci resterà fino al 1994 (sono gli anni roventi delle stragi di mafia e della trattativa). Tra il 1988 e il 1991 era stato membro del Comitato direttivo dell’associazione italiana dei costituzionalisti. Dal 1997, dopo la morte del professor Temistocle Martines, porta a compimento il lavoro di quest’ultimo, curando il suo manuale universitario di Diritto costituzionale.
Nel maggio 2010 i giornali scrivono che il nome di Gaetano Silvestri sarebbe presente nella cosiddetta lista Anemone”, ossia l’elenco di 370 persone che avrebbero usufruito di ristrutturazioni edilizie fornite dall’immobiliarista della “cricca”, Diego Anemone. Il giudice Silvestri smentisce con decisione e dichiara la sua assoluta estraneità a quella vicenda. La primavera scorsa è un suo parente, invece, a inciampare in un caso giudiziario: il cognato Giuseppe Fortino, avvocato a Messina, è condannato in primo grado a 4 anni di reclusione per corruzione, in relazione a una speculazione edilizia realizzata con l’intervento di politici locali. L’avvocato Fortino è ora in attesa dell’appello.
L’altro relatore del caso Napolitano-trattativa presso la Corte costituzionale è Giuseppe Frigo, entrato alla Consulta nell’ottobre 2008, eletto dal Parlamento in seduta comune con 690 voti, su proposta del centrodestra. Bresciano, nato nel 1935, Frigo diventa avvocato di fama e docente all’università di Brescia. Nella sua carriera legale ha difeso Silvio Berlusconi, suo fratello Paolo e Cesare Previti in più processi. Ha rappresentato in aula la famiglia Soffiantini nel dibattimento per il sequestro dell’imprenditore Giuseppe Soffiantini. Ha chiesto la revisione del processo sull’assassinio del commissario Luigi Calabresi, a nome del suo assistito Adriano Sofri, condannato per omicidio. Ha patrocinato il finanziere bresciano Emilio Gnutti nel processo per la scalata alla banca Antonveneta. E ha difeso il cantante napoletano Gigi D’Alessio dall’accusa di concorso esterno in associazione camorrista. Dal 1998 al 2002, per due mandati consecutivi, è stato presidente dell’Unione delle Camere penali, che rappresenta 9 mila legali italiani. In questa veste, si è particolarmente distinto nella battaglia per la separazione delle carriere dei magistrati (pm e giudici) e in quella per il cosiddetto “giusto processo”. L’inserimento nella Costituzione dell’articolo 111 può essere considerata anche una sua vittoria, ottenuta da leader dei penalisti italiani. Ha sostenuto con vigore il principio dell’oralità della prova, che si deve formare in aula, davanti a un giudice terzo, nel contraddittorio delle parti. Chissà se ora avrà dubbi sul caso di cui è chiamato a fare il relatore: elementi raccolti nelle indagini (le telefonate del capo dello Stato) dovrebbero essere distrutti direttamente dal pm, senza intervento del giudice e senza il controllo delle parti…
Da Il Fatto Quotidiano del 15 settembre 2012