venerdì 19 giugno 2015

Truffa da 28mln al S.Raffaele, 9 indagati. - Igor Greganti e Francesca Brunati

Alberto Zangrillo, primario del San Raffaele e medico personale di Berlusconi © ANSA

Irregolarità su rimborsi 4mila interventi chirurgici.


(ANSA) - MILANO, 16 GIU - Finito sull'orlo del crac nel 2011 anche per una serie di spese allegre, come l'acquisto di un jet privato per il fondatore, il defunto Don Luigi Verzè, ma poi salvato dal gruppo Rotelli, l'ospedale San Raffaele di Milano torna al centro di una bufera giudiziaria. E sempre per presunti rimborsi illeciti, come era già accaduto alla fine degli anni '90. Stavolta la Procura di Milano contesta una presunta truffa da 28 milioni di euro su circa 4 mila interventi chirurgici e si appresta a chiedere il processo per 9 persone, tra amministratori, dirigenti e primari, tra cui anche Alberto Zangrillo, da 20 anni anche medico personale di Silvio Berlusconi, per lo stesso ente ospedaliero e per la Fondazione Monte Tabor.
Stando all'avviso di conclusione delle indagini, coordinate dal pm Giovanni Polizzi e condotte dal Nucleo di polizia tributaria della Gdf, tra il 2011 e il 2013 nel corso di migliaia di interventi "le equipe" di medici sarebbero state solo sulla carta "regolarmente costituite", in quanto "chirurghi e/o anestesisti" figuravano, in realtà, come "presenti contestualmente in più sale operatorie". Come si legge negli atti, inoltre, in circa 2 mila interventi chirurgici gli specializzandi avrebbero sostituito anestesisti o chirurghi professionisti, mentre in 989 casi, nelle sale operatorie, mancava il "primo operatore". Sui "registri", invece, sarebbe stato segnalato che tutti i "requisiti" di presenze dei medici erano stati rispettati, così da ottenere i cosiddetti 'rimborsi dei drg', cioè per prestazione, dal sistema sanitario. Il San Raffaele, tuttavia, in una nota "contesta radicalmente le accuse che gli vengono avanzate perché assolutamente insussistenti sia in punto di fatto che relativamente alla disciplina amministrativa relativa all'accreditamento".
Tra i nove indagati per truffa aggravata e falso figurano Mario Valsecchi, amministratore della struttura fino al 2012 (ha già patteggiato 3 anni fa in seguito all'indagine per bancarotta, nata dopo il suicidio del vicepresidente Mario Cal), Nicola Bedin, attuale amministratore e Roberts Mazzuconi, storico direttore sanitario. Poi ancora: Ottavio Alfieri, direttore dell'unità operativa di Cardiochirurgia, Piero Zannini, primario di Chirurgia Toracica, Roberto Chiesa, primario di Chirurgia Vascolare, Patrizio Rigatti, ex primario di Urologia, Francesco Montorsi, attuale direttore dell'unità operativa di Urologia e direttore scientifico, e Alberto Zangrillo, primario di Anestesia e Rianimazione e da un paio di decenni 'angelo custode' dell'ex premier. Indagati per la legge sulla responsabilità amministrativa degli enti anche l'ospedale (formalmente rappresentato dal presidente Gabriele Pelissero) e la Fondazione Monte Tabor (di cui il legale rappresentante è Claudio Macchi).
Quest'ultima, c'è da aggiungere, nel novembre dell'anno scorso ha patteggiato un milione di euro di sanzione pecuniaria e una confisca di altri 9 milioni di euro come provento del reato di corruzione nell'ambito del processo sul caso Maugeri, che vede tra gli imputati l'ex Governatore della Lombardia Roberto Formigoni. Per il pm dirigenti, con la complicità dei primari, avrebbero truffato il sistema sanitario, violando i "requisiti di accreditamento" e, in particolare, quelli "relativi al numero minimo ed alle qualifiche degli operatori chirurgici ed anestesisti che debbono essere presenti per ogni tipo di intervento". Avrebbero fatto "apparire assolti tali requisiti attraverso 'Registri Operatori' riportanti equipe in apparenza regolarmente costituite" in modo da percepire i conseguenti rimborsi dal "servizio sanitario regionale", indotto, però, "in errore". Il tutto con "un ingiusto profitto rappresentato dall'indebito" incasso dei finanziamenti pubblici consistiti nei rimborsi "del costo degli interventi". Rimborsi ritenuti illeciti e che per un capo di imputazione ammontano ad un totale di "18.436.018" euro e per l'altro a "10.309.022" euro. Agli indagati viene contestata anche l'aggravante "di aver commesso il fatto con violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzione". Intanto anche la Procura della Corte dei Conti della Lombardia ha aperto un fascicolo per presunto danno erariale mentre cinque indagati (Alfieri, Chiesa, Zannini, Montorsi e Zangrillo) si dicono "indignati e sconcertati per un'accusa radicalmente inventata".(ANSA).

Sicilia, viadotto crollato: “L’Anas sapeva delle frane”. La relazione del ministero contro Ciucci e i suoi uomini. - Daniele Martini

Sicilia, viadotto crollato: “L’Anas sapeva delle frane”. La relazione del ministero contro Ciucci e i suoi uomini

Le cento pagine elaborate da 4 ingegneri incaricati dal ministro Delrio sono un atto d'accusa: secondo i tecnici la società era consapevole di esistenza, entità e gravità del dissesto e delle criticità geologiche fin dalla definizione del progetto "e a conoscenza dell'aggravio della situazione dal 2005". Eppure, uscito di scena il presidente, sono rimasti al loro posto tutti i suoi collaboratori.

Dissero che era colpa del destino cinico e baro, che i piloni del viadotto Himera sull’autostrada tra Palermo e Catania avevano ceduto a causa degli smottamenti causati dalle piogge torrenziali e quindi non era assolutamente possibile prevedere il repentino evento in modo da evitare il disastro. E che in ogni caso la faccenda non riguardava l’Anas. Non era vero niente. Il vertice della società stradale, a cominciare dal presidente di allora, Pietro Ciucci, e compresa la prima linea tecnica che gli faceva corona e che è rimasta al suo posto con il nuovo presidente ed amministratore Gianni Armani, sapevano benissimo che quel ponte era a rischio, ma non fecero assolutamente nulla per metterlo in sicurezza. Il risultato è che dal 10 aprile il viadotto è chiuso, impraticabile, l’autostrada in quel tratto non percorribile e la Sicilia spaccata in due dal punto di vista automobilistico. La situazione è così grave e destinata a durare a lungo che per unire le due importanti città le Ferrovie hanno deciso di impiegare sette treni in più al giorno.
Le gravi responsabilità dell’Anas emergono chiaramente dal rapporto di un gruppo di tecnici incaricati di fare chiarezza sull’accaduto dal ministro dei Trasporti, Graziano Delrio. I tecnici sono gli ingegneri Salvatore Acampora, Giovanni CoppolaCarlo Ricciardi e Andrea Tumbiolo. Dopo un’indagine accurata i quattro hanno consegnato al ministro un documento molto dettagliato di un centinaio di pagine che è un severo atto d’accusa nei confronti dell’ex presidente Ciucci e del vertice Anas. Le conclusioni non lasciano spazio a dubbi: “L’Anas era in possesso degli elementi atti ad avere la consapevolezza della esistenza, entità e gravità del fenomeno di dissesto e delle criticità geologiche sin dalla definizione della scelta di progetto ed era a conoscenza dell’aggravio della situazione dal 2005″. Detto in parole più semplici: l’Anas sapeva fin dal momento della costruzione del viadotto all’inizio degli anni Settanta che c’erano movimenti franosi gravi in atto, ma fecero finta di niente. Peggio: nel 2005, quando le condizioni complessive si aggravarono tanto da far temere il crollo, i responsabili dell’azienda pubblica delle strade fecero di nuovo orecchie da mercante.
Ciucci diventò presidente Anas l’anno successivo ed è rimasto in carica per circa un decennio fino alle dimissioni forzate a metà maggio 2015: in tutto questo tempo non ha mosso foglia per il viadotto Himera. E invece era suo dovere intervenire. A disastro avvenuto l’allora presidente si giustificò dicendo che avrebbero dovuto provvedere altri, a cominciare dalla Protezione civile. Il rapporto ministeriale sostiene esattamente l’opposto: “L’Anas aveva l’onere di intervenire in quanto soggetto cui spetta la gestione e la manutenzione delle infrastrutture autostradali in gestione diretta e, di conseguenza, aveva l’obbligo di vigilare sull’efficienza e salvaguardia di tali opere”.
Il disastro dell’Himera purtroppo non è isolato. In Sicilia soprattutto, ma anche in molte altre parti d’Italia, al sud in particolare, le strade, i ponti e i viadotti, segnatamente quelli costruiti dalla Cassa del Mezzogiorno, stanno letteralmente cadendo a pezzi. E’ un fatto gravissimo, ma assolutamente non imprevedibile. I tecnici Anas delle gestioni precedenti a quella di Ciucci sapevano che quelle opere stavano arrivando a fine corsa e per questo cercavano di curarle con una manutenzione costante. Con Ciucci cambiò tutto. Ossessionato dai tagli dei nastri e dalle grandi opere, l’ormai ex presidente mise la manutenzione in terza fila. I tecnici che più gli sono stati vicini hanno condiviso con lui questa scelta. Uscito di scena il capo, sono rimasti tutti ai loro posti.
A cominciare da Michele Adiletta ingegnere specializzato in aeronautica che conserva il compito di responsabile della manutenzione delle strade Anas. Sopra Adiletta c’è Alfredo Bajo condirettore generale tecnico, ex Stretto di Messinaex Toto costruzioni dove si occupava di nuove opere, ma a corto pure lui di competenze inerenti la manutenzione. Sul suo curriculum pesano i crolli e i monumentali fallimenti sulla Salerno-Reggio Calabria. Il vicedirettore esercizio e coordinamento del territorio, Roberto Mastrangelo, è laureato in ingegneria meccanica, quindi anche lui non ha competenze specifiche in geologia, geotecnica, frane, fondazioni, asfalti e cemento armato. Ancora:Stefano Caroselli fu assunto da Ciucci il primo gennaio 2014 per seguire le manutenzioni straordinarie, anche se nel suo curriculum ufficiale non sono segnalate precedenti e specifiche attività in materia.
Al suo posto resta pure Ugo Dibennardo, direttore centrale progettazione e per anni direttore regionale proprio in Sicilia, la regione del viadotto Himera e del record di crolli e strade interrotte. E non ha mosso un passo neanche Salvatore Tonti, il direttore regionale attuale della Sicilia, il tecnico che aveva negato di essere a conoscenza dei pericoli incombenti sull’Himera. Ai tempi di Ciucci era stato pure premiato per gli eccellenti risultati ottenuti sulla Salerno-Reggio.

mercoledì 17 giugno 2015

Tensione nel Baltico, Putin annuncia l'acquisto di 40 nuovi missili nucleari. La Nato: "Spacconate"



La dichiarazione del leader del Cremlino è una risposta agli Stati Uniti sui progetti Nato di uno scudo antimissilistico in Europa occidentale. Ma il segretario generale della Nato bolla tutto come una "spacconata" e parla di "pericoloso tintinnio di sciabole". Renzi: "L'accordo di Minks va portato in fondo e l'Italia sta lavorando perché si rispetti: la Russia non sia isolata."
Roma, 16 giugno 2015 - L'esercito russo aggiungerà più di 40 missili nucleari intercontinentali al suo arsenale nel 2015, ha annunciato il presidente russo Vladimir Putin, scrive Interfax. Per il numero uno del Cremlino gli armamenti saranno in grado di contrastare qualsiasi sistema di difesa missilistica. Una dichiarazione da inserire nella polemica con gli Stati Uniti sui progetti Nato di uno scudo antimissilistico in Europa orientale.
Nel 2015 l'esercito russo si doterà di "altri 40 nuovi missili nucleari Icbm che saranno capaci di contrastare qualsiasi sistema di difesa missilistica, anche il più sofisticato", ha dichiarato Putin, aggiungendo che la Russia "presterà particolare attenzione ad implementare gli armamenti su larga scala e al programma di modernizzazione dell'industria militare".
Intervenendo al forum dell'industria bellica 'Army-2015' a Kubinka, vicino Mosca, Putin ha inoltre fatto sapere che le truppe russe "hanno cominciato a ricevere i mezzi corazzati" di ultima generazione mostrati nella colossale parata del 9 maggio in piazza Rossa per il 70/o anniversario della vittoria sovietica sul nazismo. Le dichiarazioni di Putin arrivano in un momento di particolare tensione tra Mosca e l'Occidente per la crisi ucraina.
Infine, un'esercitazione militare con decine di aerei è stata lanciata oggi nella Russia del sud. Lo fa sapere il Distretto militare meridionale delle forze armate russe.
LE REAZIONI IN USA - Il dispiegamento di nuovi missili nucleari annunciato dal presidente russo Vladimir Putin è "pericoloso". E' l'opinione del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. "E' ingiustificato, è destabilizzante e pericoloso", ha commentato Stoltenberg durante un punto stampa organizzato dopo un incontro con il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, a Bruxelles, parlando di"spacconate da parte della Russia" e di pericoloso tintinnio di sciabole.
IN ITALIA - Dell'irrigidimento delle relazioni Usa-Russia, che coinvolgono anche l'Europa, ha parlato anche il premier, ospite a Porta a Porta, soffermandosi sulla questione ucraina: "L'accordo di Minks va portato in fondo e l'Italia sta lavorando perché si rispetti: non facciamo le ripicchine sulle sanzioni", smentendo la notizia che in caso di mancato accordo sull'immigrazione la reazione dell'Italia possa essere quella di abbandonare il fronte delle sanzioni contro Mosca: "Ho incontrato il presidente Vladimir Putin perché a me interessa che la Russia non sia isolata, non tradiamo l'alleanza sulle sanzioni e la Russia con l'immigrazione non c'entra nulla".

Perquisizioni a Rai, Mediaset, La7, 44 indagati per appalti.

La sede della Rai in viale Mazzini (Ansa)


ROMA (Reuters) - Perquisizioni della Guardia di Finanza sono in corso tra Rai, Mediaset, La7 e Infront nell'ambito di un'inchiesta della procura di Roma che vede indagati 44 tra dirigenti e funzionari delle quattro società con l'accusa di aver affidato appalti a un imprenditore in cambio di tangenti.
Lo riferisce una fonte giudiziaria, precisando che sono circa 60 le perquisizioni in corso da parte del Nucleo di polizia tributaria delle Fiamme gialle.
Secondo il pm romano Paolo Ielo, l'imprenditore titolare della società in questione, accusato di corruzione, avrebbe pagato le tangenti attraverso sovrafatturazioni per i lavori che gli venivano affidati.
Gli indagati della Rai, che avrebbero commesso il reato nello svolgimento di un servizio pubblico, sono accusati di concorso in corruzione. Gli altri indagati devono rispondere invece del reato di appropriazione indebita.
Non è stato possibile per il momento avere un commento da Rai e Mediaset.

Il Congresso Usa blocca Obama (per ora) sul Tpa. - Mario Platero




Clamorosa battuta d’arresto per gli accordi commerciali internazionali Ttp e Ttip: una violenta battaglia all’interno del partito democratico ha portato a un voto negativo al Senato sull’apertura del dibattito per la concessione di un’autorità negoziale speciale (Tpa) al presidente Barack Obama. A questo punto, il presidente potrebbe essere costretto a introdurre delle modifiche nelle bozze di accordo per accontentare l’ala sinistra del suo partito. Ma questi cambiamenti potrebbero minare alla base la credibilità degli accordi agli occhi delle controparti. Si tratta della più grave crisi politica tra un presidente democratico e la base del suo partito da molti anni a questa parte.
La battaglia delle ultime settimane è stata durissima: il presidente è stato schierato contro i suoi stessi compagni di partito, ma i suoi sforzi non sono bastati. La campagna diventa a questo punto più difficile ma non c’è dubbio che l’amministrazione proseguirà nel suo sforzo perché da un punto di vista dell’interesse della nazione procedere verso un’apertura commerciale è più importante degli interessi dei gruppi speciali di pressione che si sono finora opposti: una coalizione inusuale formata da sindacati, esponenti della sinistra del partito democratico, ambientalisti, luddisti diversi, anti Ogm e No Global, oltre ai repubblicani di destra. Eppure la svolta sarebbe potenzialmente storica: se la Casa Bianca potrà ottenere il sì nel negoziato Tpp con 11 paesi del Pacifico e subito dopo nel negoziato Ttip con l’Europa, ci sarà una rivoluzione nei commerci mondiali con un impatto forte su crescita e occupazione. Per molti economisti, una delle risposte agli elementi strutturali di caduta della produttività, bassi tassi di crescita e deflazione, sarà proprio nella caduta di barriere commerciali, tariffe e altri ostacoli al libero commercio. Per Obama si potrebbe trattare di uno dei risultati più importanti della sua amministrazione. Per questo il Presidente e il suo capo negoziatore commerciale, l’ambasciatore Michael Froman ce l’hanno messa tutta: l’obiettivo di ottenere il TPA (Trade Promotion Authority), passaggio chiave per procedere rapidamente verso la fase conclusiva dei grandi accordi commerciali si è tradotto in viaggi dell’ambasciatore sull’aereo presidenziale con parlamentari per incontri individuali, di gruppo e in interventi diretti del Presidente. Tutti sforzi per ora non sufficienti per ottenere il risultato. Un voto del resto non facile perché il TPA mette il Congresso davanti al fatto compiuto: non si potrà votare per degli emendamenti ma solo per un sì o per un no. Il Presidente ha dedicato nelle ultime settimane molte energie allo sforzo di lobby perché il TPA gli fosse concesso: ha ospitato il Primo Ministro giapponese Abe che ha pronunciato uno storico discorso al Parlamento; ha attaccato i suoi compagni della sinistra del partito e il sindacato, e in modo specifico il Senatore Elizabeth Warren, democratica del Massachusetts, già sua alleata. Obama la propose infatti per la nomina alla guida della nuova agenzia, ma la sua candidatura fu respinta in Senato. E Obama la propose allora per la corsa elettorale per il seggio lasciato vacante da Ted Kennedy. La Warren considerata da molti alternativa a Hillary Clinton nella corsa per la Casa Bianca del 2016 sostiene che il Tpp potrebbe eliminare gran parte delle regole che limitano lo strapotere delle istituzioni finanziarie.
Con una scelta rischiosa, Obama è andato una settimana fa a Beaverton in Oregon, ai quartieri generali della Nike per dimostrare come l’accordo avrebbe creato posti di lavori in America. La tappa è stata dubbia: se è vero che i vertici della Nike hanno promesso che assumeranno 10.000 nuovi dipendenti in America oltre ai 26.000 già esistenti, l’azienda dà lavoro a circa un milione di dipendenti al di fuori dall’America . La tariffa per le importazioni di scarpe in America è del 20%, ma serviva soprattutto a proteggere la New Balance, una delle ultime fabbriche di scarpe sportive. La possibile eliminazione della tariffe renderà le cose più difficili per la New Balance, ma come ha detto Obama, oltre ai vantaggi per alcuni vi saranno degli svantaggi, l’importante, come nel caso di questi accordi commerciali, è che i vantaggi superino di gran lunga gli svantaggi.

CASERTA, SCOPERTA LA PIÙ GRANDE DISCARICA D'EUROPA. LA FORESTALE: "IL SISTEMA È DEI CASALESI."



Nell'area ex Pozzi di Calvi Risorta (Caserta), in piena Terra dei Fuochi, le ruspe hanno portato alla luce una maxidiscarica di 25 ettari. Potrebbe essere la più grande d'Europa rinvenuta sottoterra. L'indagine della Forestale, partita circa un anno fa, non esclude l'ipotesi di disastro ambientale.

Solventi, vernici, fanghi industriali, plastica lavorata e buste con Pvc riempiono l'area ex Pozzi di Calvi (Caserta), dove è stata rinvenuta quella che potrebbe rivelarsi la discarica sotterranea più grande d'Europa, estesa per 25 ettari e stipata da circa 2 milioni di metri cubi di rifiuti. 
Siamo nella Terra dei Fuochi, in Campania, in un ex area industriale dismessa da ormai trent'anni, dove da venerdì proseguono gli scavi coordinati dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere ed effettuati dai mezzi del Genio Militare. Sono parte dell'indagine della Forestale partita circa un anno fa a seguito della denuncia di due giornalisti del posto. 
Gli indagati sono una decina di persone, proprietari dei terreni in primis, e per loro non è esclusa l'ipotesi di disastro ambientale.  La procura di Santa Maria Capua Vetere, però, invita alla prudenza con una nota: "Il materiale è in fase di campionamento", ha fatto sapere, "solo all’esito delle analisi si potrà valutare l’effettiva natura dei rifiuti e quindi la loro eventuale potenzialità dannosa“. 
Un rischio che non sfugge al ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, che per domani ha convocato una riunione urgente con il Corpo Forestale dello Stato, il Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente e le strutture tecniche del Dicastero. L'eventualità di una matrice mafiosa è stata presa in considerazione dal Comandante Regionale del Corpo Forestale dello Stato Sergio Costa, che ha dichiarato: "Nell'area ex Pozzi di Calvi Risorta i rifiuti sono stati tombati secondo un sistema quasi scientifico usato dal clan dei Casalesi", pur sottolineando che si tratta soltanto di "uno spunto investigativo che va approfondito". Per ulteriori analisi sul terreno (che presenta colorazioni rosse, azzurre e grigie) si attende l'arrivo, nella giornata di domani, dei tecnici dell'Ingv .

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Calvi-Risorta-rinvenuta-maxidiscarica-nel-casertano-06ed3c3d-8f43-4fd3-9ba3-8e4d671f4bf1.html

La Cassazione e la vendita di frutta esposta all’aperto ai gas di scarico. - Gianfranco Amendola

La Cassazione e la vendita di frutta esposta all’aperto ai gas di scarico

La messa in commercio di frutta all’aperto ed esposta agli agenti inquinanti costituisce una violazione dell’obbligo di assicurare l’idonea conservazione delle sostanze alimentari e rispettare l’osservanza di disposizioni specifiche integrative del precetto”. Lo ha stabilito la Cassazione confermando, con una articolata sentenza (sezione terza, Pres. Teresi, relatore Ramacci, n. 6108 del 2014), la condanna inflitta ad un fruttivendolo dal Tribunale di Nola per aver detenuto per la vendita “tre cassette di verdura esposte all’aperto e, pertanto, a contatto con agenti atmosferici e gas di scarico dei veicoli in transito”.
La legge richiamata dal supremo Collegio è quella alimenti (n. 283/1962) il cui art. 5, lett. b), punisce, con l’arresto o con l’ammenda, l’impiego nella produzione, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione.
Il punto di partenza è costituito da una lontana sentenza della Cassazione a sezioni unite (n. 443 del 2002) la quale aveva chiarito che questa disposizione tende a perseguire un autonomo fine di benessere, assicurando una protezione immediata all’interesse del consumatore affinché il prodotto giunga al consumo con le cure igieniche imposte dalla sua natura; aggiungendo che, ai fini della configurabilità del reato, non vi è la necessità di un cattivo stato di conservazione riferito alle caratteristiche intrinseche delle sostanze alimentari, essendo sufficiente che esso concerna le modalità estrinseche con cui si realizza, che devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a regole di comune esperienza. La giurisprudenza successiva aveva precisato che l’interesse protetto dalla norma è quello del rispetto del cd. ordine alimentare, volto ad assicurare al consumatore che la sostanza alimentare giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte per la sua natura; e pertanto, non è necessaria la prova di un danno alla salute ma è sufficiente accertare che le modalità di conservazione siano in concreto idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento delle sostanze o che vi sia detenzione in condizioni igieniche precarie; escludendo, in proposito la necessità di analisi di laboratorio o perizie, ben potendo il giudice di merito considerare altri elementi di prova, come le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, quando lo stato di cattiva conservazione sia palese e, pertanto, rilevabile da una semplice ispezione.
Per la condanna, quindi, si è ritenuta sufficiente la testimonianza della polizia giudiziaria, la quale ha evidenziato che tre cassette di verdura erano esposte all’aperto e, pertanto, a contatto con agenti atmosferici e gas di scarico dei veicoli in transito.
Conclusione: “Tale diretto accertamento da parte della polizia giudiziaria risulta del tutto sufficiente a giustificare l’affermazione di penale responsabilità, evidenziando una situazione di fatto certamente rilevante a tal fine, la cui sussistenza risulta peraltro confermata dallo stesso ricorrente, laddove, nell’atto di impugnazione, si riconosce che la verdura era esposta per la vendita sul marciapiede antistante l’esercizio commerciale”.
Questo dice la Cassazione e mi è sembrato opportuno ricordarlo all’inizio dell’estate in un paese dove l’esposizione di frutta e verdura all’aperto senza alcuna cautela, a ridosso di strade congestionate dal traffico, è dato di comune esperienza.
Certo, ci sono tante altre cose che contano a tutela della nostra salute, soprattutto per quanto concerne le modalità di coltivazione, l’uso di pesticidi, i mezzi di trasporto ecc., specie in un momento in cui gli organi pubblici di controllo sono in grandi difficoltà per mancanza di mezzi e di personale.
Né intendo sollecitare alcuna denunzia penale. La vera penalizzazione per chi si comporta con disprezzo per l’igiene e la salute pubblica è quella che può derivare dalle nostre scelte.
Cambiare fruttivendolo può essere un primo, piccolo ma importante passo per farci sentire e far comprendere che non tutti sono disposti a subire tutto.