mercoledì 27 giugno 2018

Latina, inferno dei centri migranti privati Il gestore intercettato: per farli mangiare ‘spendo 1,6 euro al giorno, pranzo e cena’. - Marco Pasciuti

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E' solo la porta dell'inferno spalancato dall'inchiesta della Procura di Latina sulla gestione di alcuni Cas, Centri di accoglienza straordinaria, di Fondi, nel sud pontino. L'indagine ha portato all'arresto di 6 persone, tra cui i gestori di due onlus: facevano mangiare gli ospiti con poco più di un euro, ma dalla Prefettura ne percepivano 32,5 al giorno. E puntavano ad abbassare ancora i costi.

Un euro e 66 centesimi a testa, pranzo e cena”. Per ospitare i richiedenti asilo nelle sue strutture. A fronte dei 35 che la Prefettura garantiva alla onlus per ogni migrante ospitato. E’ solo la porta dell’inferno spalancato dall’inchiesta della Procura di Latina sulla gestione di alcuni CasCentri di accoglienza straordinaria, di Fondi, nel sud pontino. L’indagine coordinata dal sostituto procuratore Giuseppe Miliano ha portato all’arresto di 6 persone, tra cui i gestori di due onlus, La Ginestra e L’Azalea, che gestivano diverse strutture di accoglienza nel piccolo centro laziale. I reati ipotizzati nei confronti dei presunti responsabili sono, a vario titolo, falso, truffa aggravata, frode nelle pubbliche forniture, maltrattamenti.
Lunghissima la lista delle irregolarità emerse dagli accertamenti effettuati dagli uomini della squadra mobile di Latina e quelli del Commissariato di Fondi. Rasenta il grottesco la condotta del presidente de L’AzaleaLuigi Pannozzo, che era riuscito a farsi assegnare la convenzione per 20 migranti fornendo nella richiesta un indirizzo cui non corrispondeva alcuna struttura di accoglienza: nell’appartamento in via Vespasiano Gonzaga 35, in pieno centro storico a Fondi, infatti, abitava la sua nonna materna e al pian terreno c’era il suo studio legale.
I 20 richiedenti asilo che la Prefettura gli aveva affidato erano ospitati, invece, in un centro in via dei Martiri Fondani, che oltre a presentare “carenze igienico-sanitarie” era situato in un immobile abusivo (“realizzato in assenza di permesso a costruire“, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare), risultava “privo di sanatoria di certificato di agibilità” e su una delle sue strutture usate come alloggio per i richiedenti asilo “era posto dell’eternit danneggiato“. Servizi per i quali tra il novembre 2016 e il giugno 2017 Pannozzo aveva percepito 630mila euro.
Sono i dati relativi alle spese che danno l’idea della scarsa qualità dei servizi forniti ai richiedenti asilo. Il 4 aprile 2017 Orlando Tucci – rappresentante legale e socio amministratore di un’altra onlus, la Philia, finito agli arresti domiciliari con l’accusa di spartirsi la gestione dei richiedenti asilo con Pannozzo senza le dovute comunicazioni alla Prefettura – fa i conti con tale Giuseppe su quanto L’Azalea spende per il cibo da somministrare ai suoi ospiti: 5mila euro al mese per 100 persone. “Tu devi fare 5.000 diviso 30 e sono i soldi che tu spendi al giorno… e sono?”, domanda Giuseppe. “Sono cento e rotti”, replica Orlando. “Tu stai a spendere “un euro e 66 a testa, pranzo e cena” per ogni migrante. Quando la Prefettura di Latina, ricordano i magistrati, “corrisponde a tal fine l’importo di 32,50 euro al giorno per ciascun immigrato effettivamente ospitato”, oltre ai cosiddetti pocket money per 2 euro e 50.
Ma i due non si accontentano e così, non soddisfatti del lauto guadagno, avevano programmato anche una revisione dei menu per abbattere ulteriormente i costi. “Possiamo rifare un po’ il menù e arrivare ad un euro e cinquanta… ma non è che puoi abbattere del 50, se abbatti del 50% arrivi a…”. “80 centesimi“, risponde Tucci. E Giuseppe si fa una risata.
E’ questo il capitolo che illustra al meglio il modo in cui centri venivano gestiti. La Ginestra, altra onlus finita sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti, aveva percepito 4,1 milioni di euro tra il 1° gennaio 2015 e il 6 settembre 2017. E teneva i richiedenti asilo ammassati come bestie: nella sede di Villa Luda, si legge nell’ordinanza, “venivano ospitate 39 persone mentre la capienza prevista era di 11 persone“. Nella struttura denominata Piccola Africa che poteva ospitare 21 migranti ne vivevano invece 67, mentre presso La Ginestra “erano ospitate 84 persone per una capienza di 24“.

martedì 26 giugno 2018

La Sinistra. - Marco Cristofoli


Grazie alla campagna elettorale di Saviano, Santoro, Vauro, Jovanotti, Orfini, Boschi, Fedeli, Pinotti, Rotta, Morani, Martina, Renzi, Del Rio, Serracchiani, Balottelli e Corona, il PD è stato definitivamente spazzato via dalla scena!

Perdere 52 comuni su 59 è stato un grande lavoro !


ESCLUSIVO. Svincoli Perpignano addio? Dopo il danno, la beffa: “Cariboni vuole essere risarcita”. - Davide Guarcello

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I 3 appalti ex Cariboni: sottovia Perpignano, Raddoppio Ponte Corleone e Collettore Sud-Orientale © D.G.
PALERMO. In una terra, quella Sicula, terra del Gattopardo e di Pirandello, dove tutto spesso funziona al contrario, capita pure questo: un’intera città (il Capoluogo di Regione, Palermo) danneggiata da oltre un decennio per il mancato completamento di ben 3 opere pubbliche fondamentali (il Sottopasso di via Perpignano, il raddoppio del Ponte Corleone e il Collettore fognario Sud-Orientalevede oggi combattere una lunghissima battaglia giudiziaria con l’impresa cui furono rescissi i contratti d’appalto.
Stiamo parlando della celebre “Cariboni strade e gallerie spa” di Rocca di Caprileone (Messina). Dopo anni e anni di silenzio emerge oggi una verità inquietante, a tratti imbarazzante: l’impresa (contrariamente alle voci di corridoio di quegli anni) non è mai fallita e oggi sta portando avanti ben 3 cause civili contro il Comune di Palermo per essere risarcita del danno subito. 
«Sono state emesse le tre sentenze nei processi di 1° grado; mentre in un caso siamo già in fase di appello», rivelano dal Polo Tecnico di via Ausonia. E – udite udite – pare che la magistratura non abbia dato ragione esclusivamente al Comune, ma abbia riconosciuto danni e risarcimenti «ad entrambe le parti». Un paradosso, se si pensa che, proprio a causa dei ritardi e presunti guai finanziari dell’impresa messinese, uno dei tre appalti addirittura non fece neppure in tempo a partire. E oggi un’intera città è rimasta sotto scacco, tanto da aver perso perfino i fondi statali, andati quasi certamente in perenzione.
Sottovia Perpignano
Il vecchio cartello col rendering del sottovia Perpignano
Stiamo parlando del Sottopasso di via Perpignano(valore 23,8 milioni di euro,  oggi costerebbe 34,1 mln) che avrebbe consentito di decongestionare una volta per tutte il traffico in viale Regione Siciliana, la Circonvallazione cittadina, meglio nota come “strada più trafficata d’Italia”, liberandola da quell’odioso attraversamento pedonale semaforico. Un’anomalia tutta palermitana quella di avere dei semafori in una tangenziale.“tappi” di via Evangelista Di Blasi e del “Palazzo dei Sogni” per fortuna oggi non esistono più; restano da eliminare gli attraversamenti semaforici di piazzale Giotto e via Perpignano.
Il Comune di Palermo nel 2008 (all’epoca c’era il sindaco Cammarata) si vide costretto a rescindere i 3 appalti per «ingiustificata inattività dell’impresa». Oggi non v’è più traccia di quei cartelli (vedi FOTO sopra) che un tempo annunciavano l’inizio di quell’opera fondamentale per Palermo, colpita dalla famigerata piaga del “traffico.
Cartello Ponte Corleone
Cartello lavori raddoppio Ponte Corleone
Per il raddoppio del ponte Corleone – opera da 14 milioni di euro (oggi lievitati a 21) – invece i cartelli ci sono ancora, arrugginiti per la verità, a pochi metri dall’ormai vetusta struttura esistente. Lì la Cariboni avviò i lavori, fermandosi però ad un misero 15% (costruzione delle “spalle” su un lato).
Per il sottovia Perpignano uno sconfortante 0%; mentre si fermò al 40% il cantiere del Collettore emissario Sud-Orientale (fondamentale opera fognaria oggi rifinanziata dalla delibera Cipe 60/2012) da 33,6 milioni di euro.
Ma andiamo con ordine. Ecco po’ di storia di quest’Odissea senza fine:
 Renzi e Orlando firma Patto per Palermo
Renzi e Orlando alla firma del“Patto per Palermo”
Patto per Palermo, tabella fondi per incompiute Cariboni
Patto per Palermo, tabella fondi per incompiute Cariboni (SCARICA QUI IN HD)
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Ponte Corleone.
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Collettore sud orientale

https://www.ilsicilia.it/svincoli-perpignano-addio-dopo-il-danno-la-beffa-cariboni-vuole-essere-risarcita/

lunedì 25 giugno 2018

I deputati del Pd ci sono costati quasi 14 milioni di euro, il treno di Renzi 130mila.

I deputati del Pd ci sono costati quasi 14 milioni di euro, il treno di Renzi 130mila

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Il Partito Democratico ha speso nel 2017 circa 10 milioni di euro per il personale. Lo si evince nell'ultimo bilancio approvato dai revisori: tra le spese 158mila euro per telefonate, 373mila euro per sondaggi e 633mila euro per campagne comunicazione.


I deputati del Pd ci sono costati quasi 14 milioni di euro, il treno di Renzi 130mila

Nel 2017 il gruppo del Partito Democratico ha ricevuto dalla Camera, in base al regolamento di Montecitorio, quasi 14 milioni di euro: 13.702.968 euro per la precisione. Nel rendiconto di fine anno, approvato dai revisori alcune settimana fa, risulta un avanzo di 397.202 euro. Una chiusura in attivo, insomma.

Ma come ha speso il Pd il contributo della Camera? 

Andando alle spese, emerge che la voce di gran lunga più consistente è quella dei costi del personale: 10.592.918 euro."Le spese sostenute per il personale dipendente assorbono l'80% del contributo erogato dalla Camera dei deputati", si legge nel rendiconto.
Al 31 dicembre 2017 i dipendenti erano 143, più 8 distaccati dal partito. Di questi, molti non hanno visto confermato il contratto di lavoro per via della significativa riduzione del numero dei parlamentari dopo la sconfitta del 4 marzo. Ora i deputati Pd sono 111. A fine 2017 erano 282. E fino all'anno precedente erano ben 301, prima che in 9 lasciassero il gruppo ovvero Pier Luigi Bersani e gli altri confluiti in Mdp.
Il resto del contributo Camera è stato speso in vari modi, ma la maggior parte dei costi rientra nella categoria 'servizi': 1.991.120 euro. Qui rientrano le diverse attività del gruppo dall'organizzazione di convegni alla pubblicazione di materiale, gli stand alla Festa de L'Unità. C'è anche un contributo per il treno di Matteo Renzi: 130.133 euro. Una 'miseria' rispetto al contributo che diede il gruppo Pd l'anno precedente per il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016: quasi un milione e mezzo di euro, 1.416.384 per la precisione.
La campagna informativa nazionale, in collaborazione con il gruppo parlamentare Pd del Senato, sulla attività parlamentare svolta da deputati e senatori nei quattro anni di legislatura trascorsi, partecipando all'evento organizzato dal Pd denominato 'Treno Destinazione Italia'. L'onere complessivo riguardante la locazione di uno spazio apposito in una carrozza del treno, la stampa e la distribuzione del materiale di comunicazione è stato di 130.133 euro".
Nel 2017, poi, il gruppo dem di Montecitorio ha speso 373.320 euro nel capitolo 'studio' per "indagini demoscopiche commissionate a due società specializzate per rilevare informazioni e pareri dell'opinione pubblica su argomenti e materie trattate dal gruppo nelle commissioni permanenti e in aula".
Per quanto riguarda il capitolo 'editoria', il gruppo ha speso 107.216 euro per "l'acquisto di quotidiani e riviste per la presidenza del gruppo" e abbonamenti ad agenzie di stampa, a riviste specializzate. Tra queste ultime figurano pubblicazioni sul mondo del lavoro come 'Plus plus lavoro' del Sole24Ore, la 'Notizie Agenzia Agricoltura' di Agricolae e 'Ristretti Orizzonti' di Granello di Senape, associazione di volontariato che si occupa del mondo carcerario.
La voce di rendiconto oneri della 'comunicazione', pari a 1.203.744 euro, "si riferisce principalmente alle attività svolte per favorire e divulgare il lavoro prodotto dal Gruppo (...) Tra le principali iniziative -si legge nel rendiconto- ricordiamo: la creazione della campagne di comunicazione e informazione tv e radio locali e sui social network (633.197 euro); la partecipazione, con un proprio stand istituzionale, alla Festa nazione de L'Unità a Imola (129.588 euro)".
"Quindi altri 16.615 euro per altre iniziative come Scuola Dem e 65.951 per "opuscoli, manifesti e locandine su 'La verità sulla morte di Aldo Moro'".
Poi 26.241 euro per "attività di divulgazione del lavoro parlamentare sul territorio". E ancora i rimborsi delle spese sostenute dai deputati in rappresentanza del gruppo: 8.584 per attività svolte all'estero e 19.649 in Italia. Per il sito, l'app del tablet e i telefoni cellulari sono stati spesi 55.864 euro. La voce di rendiconto oneri 'altri servizi' riguarda l'ammontare di tutte le spese di gestione del gruppo ovvero 301.840. Di questi, 158.282 euro sono andati in spese telefoniche.

Il bilancio 2017 del Partito Democratico

Il bilancio del Partito democratico per il 2017 si è chiuso con un avanzo di 555.329 euro, un passo in avanti rispetto al buco da 9.465.745 euro registrato solo un anno fa. Un risultato, come si legge nella nota integrativa, "principalmente dovuto a tre fattori": le somme derivanti dal 2xmille, "l'intensa azione di recupero delle quote dovute dai parlamentari morosi" e la "riorganizzazione del partito avviata nel corso del 2017".
Le cifre del 2xmille sono da record, il Pd è stato il partito più 'gettonato' in assoluto in Italia con 7.999.885 euro di donazioni. Per quel che riguarda invece il recupero delle somme dovute da deputati e senatori dem, la vicenda per il Nazareno è stata più rocambolesca. il tesoriere Francesco Bonifazi ne ha fatto una vera e propria crociata, lavorando su due fronti con una sorta di 'Equitalia interna' sui parlamentari del Pd e rivolgendosi alla magistratura per gli ex.

60 decreti ingiuntivi contro gli ex a partire da Grasso

Alla voce "contributi provenienti da parlamentari" il Pd ha potuto così annotare la somma di 9.099.749 euro e Bonifazi, nella sua relazione al bilancio, sottolinea che questa somma comprende "l'importo di euro 1.667.640 relativo a crediti vantati dal Partito non ancora incassati alla data di chiusura dell'esercizio 2017 e per i quali è stata promossa relativa azione di recupero". Si tratta di circa 60 decreti ingiuntivi nei confronti di diversi ex come Pietro Grasso (il Nazareno vanta un credito di 80mila euro nei suoi confronti), Simone Valiante (50mila), Gugliemo Vaccaro (43mila), Marco Meloni (10mila), tra i tanti.
L'altra iniziativa determinante per il salvataggio dei conti dem è stato il taglio delle spese. La nota integrativa promette una "ulteriore razionalizzazione dei costi di struttura, attraverso una riorganizzazione del Partito e connessa riduzione dei costi". L'intervento chiave in questo caso è stata la cassa integrazione per i dipendenti. Scrive ancora Bonifazi nella sua relazione: "Al fine di tutelare i lavoratori, il Partito chiederà una proroga della Cigs per ulteriori 12 mesi e costituirà un ufficio ad hoc al fine di facilitare la ricollocazione dei dipendenti".

Il partito resta in Cassa Integrazione

A bilancio, il Pd dichiara alla voce "costi per il personale dipendente" (150 persone) la somma di 6.724.225 euro. Tra le altre uscite, i dem hanno dichiarato come 'spese collaboratori e consulenze' 633.318 euro; come 'spese elettorali (propaganda, organizzazione eventi, sondaggi)' 2.576.621 euro; come spese 'per godimento beni di terzi afferenti le sedi operative' 712.170 euro; come spese 'per manifestazioni, eventi e servizi elettorali in genere' 282.522 euro.
Per il futuro dei conti del Nazareno, la nota integrativa sottolinea: "E' stato predisposto un Piano di risanamento per il biennio 2018-2019, il quale prevede di conseguire negli anni di piano dei risultati economici in avanzo tali da ricostituire il Patrimonio netto del partito, assicurando allo stesso la capacità di continuare ad operare come una entità in funzionamento".


http://www.today.it/politica/bilancio-pd-2017.html

I media (omertosi) si rassegnino: l’Italia cambierà l’Europa.

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Come vi vuole vedere la UE

L’Italia è come un enorme Colosseo, bombardato da “naumachie” tra pro e contro «qualsiasi cosa faccia, dica e pensi il ministro Salvini, a tutte le ore del giorno, a reti unificate». Un continuo derby tra tifoserie rivali, scrive “Scenari Economici”, condito con la messa in ombra degli esponenti del Movimento 5 Stelle, «nel bislacco tentativo di insinuare motivi di disgreagazione di una solida maggioranza», la quale «non ha solo il merito di aver trovato “i numeri” in Parlamento, ma ha costruito un’infrastruttura politica che mancava da anni al paese». 
Cosa sta succedendo tra le righe di questa deprecabile manipolazione mediatica, ormai ai suoi massimi storici? A bordo campo, segnala il newsmagazine diretto da Antonio Maria Rinaldi, si stanno giocando infatti le partite che contano, «sulle quali regna un religioso silenzio». La prima? L’asse di Salvini con Austria (quindi un’area politica tedesca) e paesi dell’area Visegrad (Est Europa) sul tema immigrazione. Conseguenza: nuova centralità del tema sui tavoli dell’Ue e dei paesi membri. Tutto questo, «mentre sui giornali si strombazza di un asse franco-tedesco che ha appena preso la rivoluzionaria decisione di continuare con la linea attuale, ma ascoltando le esigenze dell’Italia: cioè una supercazzola».
Di fatto – seconda notizia – la presa di posizione dell’Italia sul tema immigrazione ha messo a nudo quella che è stata fino ad ora la politica europea in merito, ovvero “continuiamo finchè l’Italia non si rompe le scatole”, che poi è la linea adottata più o Giuseppe Contemeno su tutto il resto. Poi ci sono i conti economici, il Def: il Parlamento ha appena approvato il documento del precedente governo, tra non poche critiche. Nella certezza che il Def 2019 sarà molto diverso, non sono mancate anche importanti osservazioni da parte di alcuni senatori, come Alberto Bagnai e Claudio Borghi, che hanno evidenziato l’assenza di una vera programmazione economica, in un documento che è più un “aggiornamento/previsione dei fondamentali macro-economici”. Altra notizia ignorata dai media mainstream: il “no” del governo Conte alla ratifica del Ceta, cioè il trattato “gemello” del famigerato Ttip, che permette appunto di aggirare la bocciatura del Ttip collocando in Canada le sedi delle multinazionali super-protette dal trattato neoliberista euro-americano.
Nel frattempo è completamente cambiata la percezione dell’Italia all’estero, aggiunge “Scenari Economici”: il nostro paese è al centro del dibattito per il suo cambio di passo politico, e alcune forze anti-sistema ne stanno traendo una sponda indiretta. In alcuni casi, come quello tedesco, questo ha generato crisi di governo. «Ma in Italia la comunicazione di massa dei media convenzionali presenta un altro scenario: quello di un’Italia che si sta isolando rispetto alla linea degli paesi europei, e che “fa vergognare” agli occhi dei nostri partner» perché “ha preferito l’odio all’amore (ma in realtà «ha preferito l’amore per gli italiani a quello per i franco-tedeschi»). Attenzione: «Nessuno si chiede perché nonostante Monti, il Pd, una decina di trimestri consecuivi di recessione, l’Ue, l’euro e le politiche anti-italiane, l’Italia sia ancora la settima economia al mondo. Perché siamo invitati al G7 se contiamo un cetriolo, come ci raccontano? Cosa sta sfuggendo ai narratori?». Un dettaglio decisivo, secondo “Scenari Economici”: lo stesso che ha reso possibile l’esistenza di un governo del cambiamento. Ovvero: «La consapevolezza che molti italiani hanno su quanto sopra». E’ un fatto: «Il dibattito si è arricchito di nuove chiavi di lettura e di strumenti di difesa intellettuale, e dal basso. Il tutto condito con il consenso, un’arma sottovalutata ma potentissima».

domenica 24 giugno 2018

La lebbra europea: quella del vomitevole, xenofobo Macron.

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Emmanuel Macron e Cédric Villani

La brutta notizia è che c’è ancora una parte di Italia, insieme a una parte di Francia, disposta a farsi prendere per i fondelli da un sinistro teatrante come Emmanuel Macron, ultimo erede di una famiglia di serial killer politici travestiti da statisti, pronti a indossare la maschera dell’orco (Van Rompuy, Schaeuble) o quella del pagliaccio finto-buono (Juncker, Prodi). L’Ogm Macron è una via di mezzo, un ibrido perfetto tra eleganza formale e trivialità sostanziale. Chiama i poveri “sdentati”, definisce l’attuale politica italiana “vomitevole”. E arriva a classificare “lebbra d’Europa” i movimenti democratici anti-establishment, dopo che Salvini e Di Maio hanno ridotto a carta straccia l’ultimo piano contro l’Italia approntato per i migranti insieme ad Angela Merkel, altro fossile vivente di un’Europa mascalzona, che in vent’anni non ha prodotto altro che crisi e paura, insicurezza sociale, terrorismo, diffidenza e risentimenti fra nazioni che avrebbero dovuto essere “sorelle”. 
L’Italia ancora dormiente – ormai minoranza, a quanto pare, arroccata attorno al patetico mainstream cartaceo e radiotelevisivo – non ha ancora capito chi è il fantoccio Macron, chi ne muove i fili, da quale curriculum proviene l’ombra nera che si aggira per l’Eliseo, attorno al presidente che insulta e minaccia – né più né meno come un monarca, indispettito dalle sconcertanti pretese del popolo. Chi si credono di essere, questi pezzenti italiani?
Parole che ricordano quelle del mentore di Macron, il tristemente celebre Jacques Attali: ma cosa crede, la plebaglia europea, che l’euro l’abbiamo creato per la loro felicità? Un grande economista francese, Alain Parguez, invitato a Rimini da Paolo Jacques AttaliBarnard per il primo, storico summit sulla sovranità monetaria, lavorò all’Eliseo – insieme ad Attali – con il presidente socialista Mitterrand, ai tempi in cui la Francia era ancora la Francia, e non un mero ingranaggio dell’euro-imbroglio. Insigne accademico, Parguez racconta del progressivo smottamento “reazionario” dello stesso Mitterrand, fortemente propiziato dal potente gruppo di pressione incarnato proprio da Attali, che Parguez definisce «un monarchico, travestito da socialista». Avvertimenti: dopo l’omicidio del leader socialdemocratico Olof Palme in Svezia, Mitterrand deve aver intuito quale trattamento sarebbe stato riservato ai “ribelli”, ai leader contrari al nuovo ordine neoliberista in fase di insediamento, in Europa. Dopo la parentesi di Jacques Chirac, che tenne la Francia fuori dalla Guerra del Golfo, il potere “nero” conquistò direttamente l’Eliso, non più restando dietro le quinte ma piazzando il suo uomo – Nicolas Sarkozy – sulla poltrona presidenziale. Risultati tangibili: orrore e violenza, il Medio Oriente in fiamme, la nascita dell’Isis, la macelleria della Libia.
Da Sarkozy – ora finalmente nei guai con la giustizia francese – lo stesso linguaggio da saloon esibito da Macron: «Ne avete abbastanza di questa feccia», disse, agli abitanti “bianchi” delle banlieues parigine “infestate” di migranti. «Ora ci penseremo noi a toglierli di mezzo». 
Poi venne il tempo del socialista incolore François Hollande, fotocopia (molto sbiadita) del repubblicano Chirac. Hollande, ha svelato Gioele Magaldi nel suo saggio “Massoni”, militava nella superloggia progressista “Fraternitè Verte”, a cui aveva promesso la fine del rigore socio-economico. Ma il suo governo è stato letteralmente travolto dall’emergenza terrorismo, dalla strage di Charlie Hebdo a quella del Bataclan, fino al massacro di Nizza. Sotto ricatto, con servizi segreti “colabrodo” e ministri sempre più “di destra” (fino all’esordiente Macron), Hollande ha tradito ogni promessa elettorale, imponendo ai lavoratori francesi l’harakiri della Loi Travail, il Jobs Act transalpino, destinato a favorire le aziende penalizzando i dipendenti. Contro l’ectoplasmatico Hollande, ennesimo politico di sinistra passato armi e bagagli al neoliberismo dell’ultra-destra economica, in Francia si è levata la protesta sovranista di Marine Le Pen, votata però alla Alain Parguezsconfitta per via delle tare xenofobe del suo Front National. A quel punto, l’élite “nera” ben rappresentata da personaggi come Attali ha fatto la sua mossa, lanciando l’erede di Sarkozy: Emmanuel Macron.
Un enfant prodige venuto dal nulla, lo presentarono i giornali, per i quali “il nulla” può essere, eventualmente, anche la filiale bancaria francese della famiglia Rothschild. Corressero il tiro: Macron, scrissero, almeno sul piano politico è un self-made assoluto. Falso, anche questo: il suo maestro Attali è stato (ed è) uno degli uomini di potere più influenti d’Europa. Milita saldamente ai vertici della massoneria sovranazionale di stampo oligarchico, abilissima nell’infiltrare la sinistra europea traviandone i leader, dall’anziano Mitterrand all’allora giovane D’Alema. Banche e multinazionali, con un’unica cabina di regia per le grandi operazioni politiche: una su tutte, l’Unione Europea senza democrazia e la moneta europea senza sovranità. 
Da quella scuola – la più pericolosa, per l’Europa – proviene Emmanuel Macron: è l’ennesimo avatar del potere nero, insinuatosi nelle istituzioni per svuotarle ulteriormente di democrazia, sulla rotta della privatizzazione universale. Una teologia funesta e spacciata per verità di fede, insieme al dogma dell’austerity – tagliare la spesa pubblica per impoverire la classe media, moltiplicando i profitti stellari dell’élite anche grazie al dumping salariale garantito dai migranti, a loro volta costretti a fuggire dai paesi d’origine, saccheggiati sempre dalla medesima oligarchia.
Sarebbe un errore madornale equiparare Macron alla Francia o, peggio ancora, ai francesi come popolo: il piccolo monarca per conto terzi, insediato all’Eliseo dalla peggior risma di parassiti in circolazione in Europa, ha ormai contro la maggioranza dei suoi connazionali. Lo contestano i sindacati, la sinistra di Mélenchon, il Fronte Nazionale della Le Pen. L’elettore medio – operaio, impiegato, agricoltore, imprenditore – ha capito che Emmanuel Macron non è l’uomo che sembrava essere: non sta dalla parte dei francesi, è manovrato da padroni potenti che non amano nessuno e detestano tutti – i francesi, gli italiani, i greci e ogni altra “plebaglia europea”, per citare l’ineffabile Attali. E’ questa, in fondo, la buona notizia: sembra che i popoli stiano cominciando a capire con chi hanno davvero a che fare. E in questa spettacolare procedura di sofferta autocoscienza ha un ruolo di primissimo piano proprio il neonato governo italiano, antropologicamente diversissimo dai precedenti: per iSarkozy e Merkelpadroni occulti di Macron dev’essere un film dell’orrore, l’inaudito spettacolo dei ministeri italiani occupati da grillini e leghisti. Ringhia, Macron, perché è il cane da guardia di un palazzo oscuro che adesso comincia ad avere paura del popolo. Insulta e minaccia, perché – come i suoi padroni – sa che i popoli di tutta Europa (cominciando da quello francese) guardano l’Italia che sfida Bruxelles, e prendono nota. Il tempo dei Macron potrebbe finire prima del previsto?
La prima a capirlo è stata Angela Merkel, sveltissima a indossare i panni improbabilissimi dell’amicona dell’Italia, paese che il suo governo ha letteralmente azzoppato a colpi di rigore: la sola operazione Monti, decisa tra Berlino e Francoforte nei santuari supermassonici frequentati da ex italiani come Mario Draghi, è costata al nostro paese la perdita di 400 miliardi di Pil e del 25% del potenziale industriale del “made in Italy”. Rideva, Angela Merkel – insieme al suo compagno di merende Sarkozy – quando i media italiani colonizzati dallo straniero bombardavano a tappeto il lebbroso di turno, l’inguardabile Berlusconi. Oggi alla Merkel (e al suo nuovo sodale, Macron) è passata di colpo la voglia di ridere: finalmente, il nostro paese li preoccupa. Macron con Attali«L’Italia traccia le strade», disse l’esoterista rosacrociano Rudolf Steiner, pensando al Rinascimento: una quasi-profezia ben nota ai massoni reazionari del massimo potere, quali Sarkozy, Merkel, Macron e compagnia complottante.
La loro paura è che la strada tracciabile oggi dall’Italia gialloverde, vera e propria incognita politica, sia quella di un’Europa da rivoltare da cima a fondo, sfrattando dai loro troni gli usurpatori regnanti, i piccoli boss del nuovo, deprimente Sacro Romano Impero costruito con l’imbroglio, la frode finanziaria, la menzogna economicistica, il crimine sociale dell’ordoliberismo mercantilista post-capitalistico e parassitario. Un regime occulto, a cui i governi fanno da paravento istituzionale. Un sistema autoritario e privatistico, sleale, scorretto e bugiardo, governato nell’ombra da élite che detestano il popolo, la democrazia e la plebaglia europea nel suo insieme, mezzo miliardo di straccioni e lebbrosi, a cui oggi l’Italia potrebbe tracciare una nuova strada, meno lorda di sangue greco e africano, di strazio italiano inferto dai tagli – senza anestesia – su lavoro e pensioni, sanità e scuola. Il consenso democratico di cui oggi godono Salvini e Di Maio, almeno il 60% degli elettori, l’ometto dell’Eliseo può solo sognarselo. Infatti gracchia, stizzito come un qualsiasi dittatore pericolante, sibilando i suoi insulti razzisti e xenofobi – un regalo illuminante, per chi ancora non aveva capito chi fosse, davvero, il micro-napoleonico Macron.

sabato 23 giugno 2018

Migranti nei lager. Sgominata la banda dell'accoglienza. - Patricia Tagliaferri

Svelato quanto guadagnava al giorno il “re dei migranti” arrestato ieri a Benevento 
Paolo Di Donato in Ferrari

Cinque arresti a Benevento: assegnazioni pilotate grazie a un complice in Prefettura.

Ci sono i migranti, vittime due volte, e chi lucrava su di loro incassando fiumi di denaro per occuparsene e che invece gli riservava un trattamento disumano, costringendoli a vivere ammassati in veri e propri tuguri senza riscaldamento, talvolta senza acqua ed elettricità, senza materassi e coperte, senza vestiti di ricambio né pocket money.
Era un sistema criminale che lucrava sull'accoglienza quello scoperchiato dalla Procura di Benevento e che ha portato all'arresto di cinque persone, tra cui un funzionario pubblico, un impiegato del ministero della Giustizia e un appartenente alle forze dell'ordine, accusati a vario titolo di truffa ai danni dello Stato per il conseguimento di erogazioni pubbliche, frode in pubbliche forniture, corruzione e rivelazione di segreto d'ufficio. Ci sono anche 36 indagati. Tutto ruotava intorno a Paolo Di Donato, il «re dei rifugiati», che intercettato ammette di guadagnare anche 50mila euro al giorno sulla testa dei migranti. Amministrando il consorzio Maleventum che gestisce tredici centri di accoglienza arrivando ad ospitare anche mille immigrati ha costruito un impero. Quando ha cominciato a sentire il fiato degli investigatori sul collo, visto che c'era un carabiniere infedele che gli spifferava le notizie coperte da segreto, per evitare conseguenze giudiziarie ha rinunciato alle cariche operative rimanendo un semplice consulente, ma nonostante questo la Procura è riuscita ad ottenere dal gip la misura cautelare e adesso è ai domiciliari. Stessa misura per Giuseppe Pavone, dipendente del ministero della Giustizia, per il funzionario della prefettura Felice Panzone, poi trasferito, per il carabiniere Salvatore Ruta e per uno dei gestori dei centri, Angelo Collarile.
L'indagine va avanti dal novembre 2015, quando un esposto aveva denunciato una serie di irregolarità. È emerso un vero e proprio business sulle assegnazioni pilotate dei migranti, sul sovraffollamento dei centri, sulla falsa attestazione di presenze degli ospiti. Tutto grazie alla compiacenza del funzionario della prefettura che consentiva a Di Donato di ottenere l'assegnazione di un numero di immigrati ben oltre le capacità dei suoi centri. I fondi lievitavano ulteriormente grazie a qualche trucchetto, come quello di non denunciare l'allontanamento degli ospiti, che continuavano ad essere censiti attraverso firme false apposte palesemente con la stessa grafia o gonfiando il registro delle presenze. Errori talmente evidenti da convincere gli investigatori che dovesse esserci un nesso tra controllore e controllato. Grazie alla dritta di Panzone, che dalla prefettura avverte i gestori («Passate la cera»), nel gennaio 2016 i centri-lager riescono a passare indenni anche un'ispezione Onu dell'alto commissariato per i rifugiati. I tuguri vengono sistemati, vengono preparati pasti decenti, forniti abiti puliti ai migranti, ai quali viene consentito di lavarsi e di non farsi trovare ammassati. Ma qualcuno è meno scaltro e lascia tracce che si riveleranno utili all'inchiesta.
La Procura aveva chiesto il sequestro delle strutture, il gip ha detto no. Le indagini hanno portato alla luce situazioni ai limiti della decenza. I migranti venivano ammassati anche in dieci in stanze che potevano ospitarne al massimo quattro, con servizi igienici assolutamente insufficienti e condizioni sanitarie ben al di sotto degli standard richiesti. Ma ottenere l'autorizzazione della prefettura di Benevento non era un problema, sempre grazie alla compiacenza di Panzone.