mercoledì 9 ottobre 2019

Taglio dei parlamentari è legge: sì definitivo della Camera. Gli eletti passeranno da 945 a 600. - Nicola Barone

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Si tratta della quarta e ultima lettura parlamentare del testo. Entro tre mesi dall'approvazione del disegno di legge un quinto dei componenti di uno dei rami del Parlamento, cinque Consigli regionali o 500mila elettori potranno chiedere un referendum confermativo.

Sì definitivo dell'Aula della Camera con 553 voti a favore e 14 no (2 gli astenuti) al disegno di legge costituzionale che taglia il numero dei parlamentari. Si tratta della quarta e ultima lettura della riforma che porta la quota dei senatori da 315 a 200 (con non più di cinque nominati a vita) e i deputati da 630 a 400.

Per il suo via libera definitivo era necessaria la maggioranza assoluta e, come stabilito dalla Costituzione, entro tre mesi dall'approvazione del disegno di legge un quinto dei componenti di uno dei rami del Parlamento, cinque Consigli regionali o 500mila elettori potranno chiedere un referendum confermativo (il cui quesito deve essere vagliato dalla Cassazione).
La riduzione dei seggi diventa effettiva al primo scioglimento del Parlamento ma non prima di 60 giorni dall'entrata in vigore della riforma.
Contro le modifiche fortemente sostenute dal Movimento 5 Stelle si era espresso nelle precedenti votazioni il Partito democratico, in mancanza di riforme concomitanti ritenute imprescindibili come quella della legge elettorale. I dubbi espressi in passato, ha spiegato nella discussione il capogruppo dem a Montecitorio Graziano Delrio, «avevano ragioni di merito e non ideologiche. Pensavamo e pensiamo che il Parlamento non sia un luogo oscuro ma la casa della democrazia. Il nostro no era a difesa di questa istituzione e proprio perché abbiamo ottenuto garanzie a questi principi ora diciamo sì convintamente». Mancava insomma «un contesto organico che dicesse che il taglio non serve solo a risparmiare, ma anche a garantire la rappresentanza». Ma ora il documento politico su cui la maggioranza ha convenuto «afferma che le storture che avevamo denunciato saranno subito risolte».
Alla Camera e al Senato tutte le circoscrizioni vedranno una riduzione drastica, con una media del 36,5%. Sopra la media alla Camera le circoscrizioni Sicilia 1 (da 25 a 15 deputati) e Lazio 2 (da 20 a 12). Da segnalare al Senato il caso dell’Umbria e della Basilicata. Sono le due Regioni che subiscono in percentuale l’emorragia maggiore. Qui i senatori sono più che dimezzati (-57%). In entrambe le regioni infatti si passa da 7 a soli 3 eletti.
Il taglio“costerà” al Nordest la perdita di 39 rappresentanti in Parlamento: 26 al Veneto, 8 al Friuli Venezia Giulia e 5 al Trentino Alto Adige. Il calcolo è riportato dall'Osservatorio elettorale del Consiglio regionale del Veneto. Alla Camera il Veneto perderà 18 deputati (da 20 a 13 in Veneto 1 e da 30 a 19 in Veneto 2), il FVG passerà da 13 a 8 mentre il Trentino AA scende da 11 a 7. In merito invece al Senato, per il Veneto si prospetta un calo di 8 seggi (da 24 a 16), 3 invece quelli che saranno persi dal Friuli (da 7 a 4) e 1 sarà tolto al Trentino AA (da 7 a 6). A Palazzo Madama il Friuli avrà un taglio del 42,9% dei rappresentanti, mentre alla Camera la sforbiciata arriverà al 38,5%.

https://www.ilsole24ore.com/art/taglio-parlamentari-all-ultimo-voto-test-la-maggioranza-ACouJ1p

Ergastolo, gli scenari dopo la sentenza: richieste di indennizzo e ricorsi. Di Matteo: “Gli stragisti mafiosi ottengono uno dei loro scopi”. Ardita: “Colpo di piccone al sistema di prevenzione”. - Giuseppe Pipitone


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Respingendo il ricorso dell'Italia contro la sentenza Viola, la Corte europea dei diritti umani rischia di causare un vero e proprio terremoto per l'intero sistema italiano. Il legislatore dovrà intervenire per attenuare quella norma. Nel frattempo altri 12 ergastolani hanno fatto ricorso alla Cedu. E altri condannati sono pronti a chiedere benefici e permessi: saranno i giudici a valutare caso per caso. "Ma è ovvio che ora le maglie si allargheranno", dicono fonti giudiziarie.
Loro hanno fatto le stragi per questo motivo. Adesso hanno ottenuto uno dei loro scopi principali”. Loro sono i boss di Cosa nostra, gli stragisti irriducibili seppelliti al 41 bis: Leoluca BagarellaGiuseppe Graviano, Piddu Madonia. Presto potrebbero avere diritto a un permesso premio. O in subordine a un indennizzo da parte dello Stato. E il commento alla sentenza della Grande Camera della Corte europea dei diritti umani arriva da Nino Di Matteo, pm simbolo della lotta alle mafie, contattato da ilfattoquotidiano.it.
Una decisione epocale quella dei giudici di Strasburgo che hanno confermato la decisione emessa nel giugno scorso su Marcello Viola, boss calabrese della ‘ndrina di Taurianova. Quattro ergastoli per plurimi omicidi, occultamento di cadavere, sequestro di persona e detenzione di armi: un curriculum che in base all’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario non permetteva a Viola di accedere all’assegnazione al lavoro all’esterno, ai permessi premio, e alle misure alternative alla detenzione. Una legge ideata personalmente da Giovanni Falcone nel 1991: è il cosiddetto ergastolo ostativo ed è una preclusione prevista per tutti i detenuti al carcere a vita che come il boss calabrese non hanno mai offerto alcuna collaborazione alla giustizia. Pure quella che risulta oggettivamente irrilevante alle indagini: lo stesso articolo 4 bis, infatti, i benefici carcerari possono “essere concessi anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata”. Insomma: basta manifestare l’intenzione di cambiare vita per ottenere benefici carcerari, anche senza fornire informazioni inedite o utili alle indagini. Adesso, però, la storia potrebbe cambiare. “La sentenza della Cedu è un colpo di piccone alla sistema di prevenzione antimafia”, dice il magistrato Sebastiano Ardita, già tra i vertici del Dipartimento amministrazione penitenziaria e oggi membro del Csm.
Cosa dice la sentenza e cosa c’era nel papello di Riina – Respingendo il ricorso dell’Italia contro la sentenza Viola, la Cedu rischia di causare un vero e proprio terremoto per l’intero sistema italiano. Secondo Strasburgo l’ergastolo ostativo viola l’articolo 3 della Convenzione Europea sui Diritti umani, quello che disciplina come nessuno possa “essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. I giudici, in pratica, scrivono che “lo Stato deve mettere a punto, preferibilmente su iniziativa legislativa, una riforma del regime della reclusione a vita che garantisca la possibilità di un riesame della pena”. Un riesame che, come si legge nella sentenza, “permetterebbe alle autorità di determinare se, durante l’esecuzione della pena stessa, il detenuto si sia evoluto e abbia fatto progressi tali” da non giustificare più “il suo mantenimento in detenzione”. Quel riesame, però, come detto esiste già: basta manifestare l’intenzione di collaborare con la giustizia. La Cedu, però, non la pensa così: “Pur ammettendo che lo Stato possa pretendere la dimostrazione della ‘dissociazione dall’ambiente mafioso“, scrivono i giudici di Strasburgo, sottolineano “che tale rottura può esprimersi anche in modo diverso dalla collaborazione con la giustizia” e senza l’automatismo legislativo attualmente vigente. In realtà non esistono precedenti simili. Non c’è nella storia delle associazioni criminali un esempio di boss che ha rotto con il suo clan senza collaborare con la giustizia. O meglio: era una delle richieste di Totò Riina, nel famoso papello che doveva essere recapitato allo Stato per far cessare le stragi. “Riconoscimento dei benefici dissociati per i condannati per mafia (come per le Brigate Rosse)”, era il punto cinque della lista che sarebbe stata compilata dal capo dei capi. Al punto due c’era invece “l’annullamento dell’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario (cosiddetto carcere duro)”.
“Ergastolo chiodo fisso degli stragisti” – E infatti è proprio il papello che cita Pietro Grasso: ““La decisione di non accogliere il ricorso dell’Italia è figlia di una scarsa conoscenza del modello mafioso italiano. Non è un caso che l’abolizione dell’ergastolo fosse uno dei punti del papello di Riina per fermare le stragi. Questa legge, dura ma non incostituzionale, pone i mafiosi davanti a un bivio: essere fedeli a Cosa nostra e pagarne le conseguenze o collaborare con lo Stato e iniziare il processo di ravvedimento e rieducazione previsto dalla Costituzione. Senza di questo non si può concedere alcun beneficio”, dice l’ex presidente del Senato ed ex procuratore nazionale antimafia. “Chi conosce storicamente Cosa nostra sa bene che l’unica vera preoccupazione per i mafiosi è proprio l’ergastolo, inteso come effettiva reclusione senza alcuna possibilità di accedere ai benefici”, aveva detto Di Matteo qualche giorno fa in un’intervista al Fatto Quotidiano. “Attenuare la portata dell’ergastolo costituisce un chiodo fisso nei vertici dell’organizzazione. Molti boss stragisti condannati definitivamente all’ergastolo non hanno preso la decisione di collaborare con la giustizia proprio perché in fondo ancora sperano che in un modo o nell’altro ci sia l’eliminazione degli effetti dell’ergastolo ostativo e che possano un giorno anche loro accedere ai benefici carcerari”, ha aggiunto Di Matteo.
La corsa a Strasburgo degli ergastolani – Un’ipotesi che si è effettivamente verificata. Respingendo il ricorso dell’Italia, infatti, la Cedu ha chiesto al nostro Paese di modificare la legge sull’ergastolo ostativo. Il legislatore dovrà intervenire per attenuare quella norma: non ci sono limiti di tempo e neanche alcuna automazione. Già il 22 ottobre, però, sullo stesso tema si esprimerà la Corte costituzionale: dopo aver già dichiarato costituzionale l’ergastolo ostativo, la Consulta dovrà ora decidere su un altro ricorso, quello di Sebastiano Cannizzaro, condannato per associazione mafiosa. Ed è probabile che la decisione della Cedu influenzi anche la Consulta. La legge insomma non è ancora cambiata: da Strasburgo però è arrivato un grosso colpo a quello che era un caposaldo della lotta a mafie e terrorismo. “Da anni nelle intercettazioni ascoltiamo mafiosi che parlano dell’Europa come ultima possibilità per non morire in carcere”, dicono alcuni investigatori. E infatti, dopo la prima sentenza Viola altri 12 ergastolani hanno depositato il loro ricorso davanti alla Corte europea, seguendo l’esempio di Viola: è evidente che Strasburgo darà ragione anche a loro. Duecentocinquanta condannati, invece, hanno presentato ricorso al Comitato delle Nazioni unite, mentre la maggior parte delle 1250 persone che sottoposte all’ergastolo ostativo sono pronte a chiedere permessi e benefici. Citando ovviamente la sentenza Viola nelle loro richieste. A valutare le loro richieste saranno, caso per caso, i giudici di sorveglianza. “Ma è ovvio che le maglie adesso si allargheranno. Anche perché i detenuti ai quali viene negato un permesso potranno chiedere i danni”, fanno notare le stesse fonti al fattoquotidiano.it.
Il proclama Bagarella – Facendo un esempio estremo: il rischio imminente è che il nostro Paese si trovi a dover risarcire, anche con cifre importanti, gli ergastolani colpevoli di diritti efferati come Leoluca Bagarella o Giuseppe Graviano. “Noi detenuti stanchi di essere strumentalizzati, umiliati, vessati e usati come merce di scambio dalle varie forze politiche abbiamo iniziato una protesta civile e pacifica. Tutto ciò cesserà nel momento in cui le autorità preposte in modo attento e serio dedicheranno una più approfondita attenzione alle problematiche che questo regime carcerario impone“, era il comunicato letto da Bagarella nel 2002, collegato in videoconferenza con il tribunale che lo stava processano. Nel 2009, invece, Graviano venne chiamato a deporre al processo a Marcello Del’Utri ma si avvalse della facoltà di non rispondere, lanciando un avvertimento criptico_ “Per il momento non sono in grado di essere sottoposto a interrogatorio. Vedremo quando il mio stato di salute me lo permetterà”. Non hanno parlato Graviano e Bagarella. Non hanno raccontato nulla degli incofessabili segreti di cui sono custodi. Adesso sono tornati a sperare. Con loro molti altri.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/09/ergastolo-gli-scenari-dopo-la-sentenza-richieste-di-indennizzo-e-ricorsi-di-matteo-gli-stragisti-mafiosi-ottengono-uno-dei-loro-scopi-ardita-colpo-di-piccone-al-sistema-di-prevenzione/5504453/
L'intromissione della Corte di Strasburgo in leggi e regolamenti che riguardano situazioni particolari che si verificano in un luogo specifico è inopportuna.
Non si possono emettere giudizi su qualcosa che non si conosce. Cetta

martedì 8 ottobre 2019

Nobel per la Medicina a Kailin, Ratcliffe e Semenza.


Il premio è per la scoperta del modo in cui le cellule utilizzano l'ossigeno. Questo meccanismo ha un'importanza cruciale per mantenere le cellule in buona salute e averlo scoperto ha aperto la strada alla comprensione di molte malattie, prime fra anemia e tumori.


Il processo che permette alle cellule di adattarsi al livello di ossigeno è fondamentale sia per capire molti processi fisiologici (a sinistra) sia per affrontare molte malattie (fonte: Fondazione Nobel)

CHI SONO I PREMIATI
Sir Peter J. Ratcliffe, ha 65 anni, nato in Gran Bretagna, a Lancashire nel 1954, ha studiato a Cambridge e poi si è specializzato in nefrologia a Oxford. In questa università ha dato vita a un gruppo di ricerca ed ha avuto una cattedra nel 1996. Attualmente dirige il Centro per la ricerca clinica dell'Istituto Francis Crick di Londra ed è membro dell'Istituto Ludwig per la ricerca sul cancro.
L'americano Gregg L. Semenza, 63 anni, è nato a New York nel 1956 e ha studiato biologia ad Harvard e poi nell'Università della Pennsylvania. Si è specializzato in pediatria nella Duke University e dal 1999 insegna nella Johns Hopkins University, dove dal 2003 dirige il programma sulla ricerca vascolare.
William G. Kaelin, 62 anni, è nato a New York nel 1957 e, dopo gli studi nelle Duke University, si è specializzato in Medicina interna e oncologia nella Johns Hopkins University. Dal 2002 insegna a Harvard.
LA SCOPERTA
Il merito di Kaelin, Ratcliffe e Semenza è nell'avere scoperto il meccanismo molecolare che, all'interno delle cellule, regola l'attività dei geni in risposta al variare dei livelli di ossigeno. Il loro è stato un traguardo inseguito per decenni. La posta in gioco era infatti altissima perché l'ossigeno è l'elemento fondamentale che permette a ogni essere vivente di convertire il cibo in energia, e che è alla base di processi fisiologici fondamentali, dallo sviluppo embrionale alle difese immunitarie.
E' infatti nella capacità delle cellule di 'dialogare' con l'ambiente uno dei segreti della loro capacità di adattarsi, regolando il loro metabolismo e ogni loro funzione fisiologica. Il primo passo in questa direzione risale a 88 anni fa, quando il fisiologo tedesco Otto Warburg dimostrò che la conversione dell'ossigeno in energia dipende da un processo enzimatico, aggiudicandosi il Nobel per la Medicina nel 1931. Un altro passo in avanti è stato fatto dal fisiologo belga Corneille Heymans, Nobel per la Medicina nel 1938, con la scoperta che nella carotide esistono cellule che si comportano come sensori dell'ossigeno.
Le ricerche sono andate avanti negli anni, finché Semenza non ha individuato un altro sensore dei livelli di ossigeno nel gene chiamato Epo e ha dimostrato il suo legame con la carenza di questo elemento (ipossia) con esperimenti su topi geneticamente modificati. Parallelamente il gruppo di Ratcliffe studiava i meccanismi che regolano l'attività del gene Epo ed entrambe le linee di ricerca hanno finito per dimostrare che il gene è presente in tutti i tessuti dell'organismo. E' cominciata così la caccia agli altri protagonisti che aiutano le cellule ad adattarsi a diversi livelli di ossigeno e, nel 1995, studiando le cellule del fegato, Semenza ha scoperto il fattore che induce l'ipossia (Hif).
A trovare una risposta ulteriore è stato William Kaelin, che studiando una malattia ereditaria ha scoperto il ruolo di un altro gene, chiamato Vhl, capace di aiutare le cellule tumorali a superare l'ipossia. Ricerche successive hanno permesso di ricostruire l'intero processo che regola la risposta delle cellule all'ossigeno, e contemporaneamente hanno lasciato intravedere l'importanza che poter controllare questo meccanismo può avere per capire molti processi fisiologici, come metabolismo, sistema immunitario, sviluppo embrionale, respirazione e adattamento all'alta quota, e per affrontare molte malattie, come anemia, tumori, infarto, ictus, riparazione delle ferite.
L'incontro con ricerca italiana sulle piante
Non solo cellule animali: le piante percepiscono l'ossigeno con un meccanismo molto simile a quello che ha valso il Nobel per la Medicina al britannico Peter Ratcliffe e agli americani William Kaelin e Gregg Semenza. "Abbiamo voluto collaborare con Ratcliffe per verificare se il meccanismo con cui le piante percepiscono l'ossigeno, da noi scoperto, è simile a quello al quale stava lavorando sulle cellule animali lo studioso premiato oggi con il Nobel", ha osservato il ricercatore che ha coordinato lo studio nella Scuola Sant'Anna di Pisa, Pierdomenico Perata, in collaborazione con Francesco Licausi e Beatrice Giuntoli, ora entrambi nell'Università di Pisa.
Pubblicata sulla rivista Science nel luglio 2019, la ricerca è stata condotta negli ultimi tre anni in collaborazione fra il PlantLab dell'Istituto di Scienze della Vita della Scuola Sant'Anna, del dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa e il gruppo di Ratcliffe a Oxford. "Da sempre - ha detto Perata - il meccanismo di percezione dell'ossigeno negli animali e nelle piante era considerato diverso, così come da sempre si è guardato a piante e animali come a due mondi diversi". Oggi, ha aggiunto, "sappiamo che il meccanismo è molto simile e che è condiviso da piante e animali: é un esempio esempio molto bello di come la ricerca di base nelle piante può essere tradotta in applicazioni importanti, anche nell'uomo"

Nobel per la Fisica a Peebles, Mayor e Queloz, cacciatori di mondi alieni.




Sono un canadese e due svizzeri.

All'indomani dell'annuncio dei vincitori del Nobel per Medicina, il cosmologo James Peebles e i planetologi Michel Mayor e Didier Queloz sono stati premiati con il Nobel per la Fisica 2019 per le loro scoperte relative alla radiazione cosmologica di fondo e ai primi pianeti esterni al Sistema Solare: scoperte che hanno cambiato la nostra immagine dell'universo. 
Chi sono i vincitori.
Il Nobel per la Fisica 2019 è andato al canadese James Peebles, 84 anni, per il suo contributo alla radiazione cosmica di fondo, ossia l'eco del Big Bang che ha dato origine all'universo. Nato a Winnipeg nel 1935, ha lavorato nell'Università americana di Princeton. A lui è assegnata la metà del premio.
Gli svizzeri Michel Mayor e Didier Queloz dividono l'altra metà del premio per la scoperta dei primi pianeti esterni al Sistema Solare. Michel Mayor, 77 anni, è nato a Losanna nel 1942 e ha insegnato nell'Università di Ginevra. Con il collega Didier Queloz, che ha lavorato fra le università di Ginevra e Cambridge, ha scoperto nel 1995 il primo pianeta estero al Sistema Solare intorno a una stella simile al nostro Sole.
DUE RICERCHE DIVERSE, ENTRAMBE RIVOLUZIONARIE.Sono due ricerche molto diverse, quelle che si dividono i tre premiati, ma entrambe hanno il merito di avere aperto strade nuove, capaci di portare a una nuova visione dell'universo. La scoperta di Peebles ha avuto il merito di avere osservato le tracce dell'evoluzione dell'universo dall'epoca del Big Bang, interpretandole al punto da proporre un'immagine completamente nuova, nella quale l'universo non era fatto soltanto di stelle, galassie e pianeti. 
La nuova immagine dell'universoLa materia visibile, anzi, lo occuperebbe solo per una minima parte, pari al 5% e il restante 95% sarebbe costituita dalla materia oscura, fatta di particelle invisibili e finora mai viste, e dall'energia oscura, anche questa dalla natura misteriosa. Scoprire la natura di questi oggetti misteriosi è la grande scommessa della fisica contemporanea, sulla quale stanno indagando centinaia di ricercatori in tutto il mondo e grandi progetti, come quelli condotti dal più grande acceleratore del mondo, il Large Hadron Collider (Lhc) del Cern di Ginevra.

Localizzazione della stella 51 Pegasi, attorno alla quale ruota il primo pianeta esterno al Sistema Solare mai scoperto, individuato da Michel Mayor e Didier Queloz (fonte: © Johan Jarnestad/The Royal Swedish Academy of Sciences”) 
Infiniti mondi.Mayor e Queloz hanno aperto un'altra porta sull'universo, altrettanto sorprendente, dimostrando che il nostro Sistema Solare non è affatto unico né un'eccezione nell'universo. Nel 1995 i due astronomi svizzeri hanno scoperto infatti il primo pianeta esterno al Sistema Solare, in orbita intorno alla stella 51 Pegasi e chiamato 51 Pegasi b. Era un gigante gassoso simile a Giove.

Localizzazione della stella 51 Pegasi, attorno alla quale ruota il primo pianeta esterno al Sistema Solare mai scoperto, individuato da Michel Mayor e Didier Queloz (fonte: © Johan Jarnestad/The Royal Swedish Academy of Sciences”)
Da allora nuovi pianeti sono stati scoperti con i telescopi basati a Terra e poi con i telescopi spaziali, come Hubble e i cacciatori di pianeti Kepler e Tess, entrambi della Nasa: è stata una vera e propria esplosione di scoperte che in poco più di 20 anni ha permesso di scoprire oltre 4.000 pianeti extrasolari. Molti di questi sono giganti gassosi come 51 Pegasi b, ma stanno diventando sempre più numerosi i pianeti rocciosi simili alla Terra.

L'area nella quale si è andati ginora in cerca di pianeti esterni al Sistema Solare, localizzata nella Via Lattea (fonte: © Johan Jarnestad/The Royal Swedish Academy of Sciences”) 
Fioramonti, studiare il cosmo aiuta lo sviluppo
Un premio che ricorda come studiare il cosmo possa diventare un motore per lo sviluppo: è anche questo, per il ministro per l'Istruzione, Università e Ricerca Lorenzo Fioramonti, il Nobel per la Fisica assegnato oggi a James Peebles, Michel Mayor e Didier Queloz.
 "E' un modo per ricordarci che la ricerca sull'universo non è importante solo dal punto di vista scientifico, ma può avere anche un impatto sul miglioramento dell'economia e dello sviluppo industriale", ha detto ancora il ministro a margine della presentazione dell'Expoforum europeo dedicato alla Space economy. Per il ministro un esempio dell'impatto che la ricerca sull'universo può avere sull'economia e lo sviluppo è la costruzione della più grande rete di radiotelescopi del mondo, chiamata Ska (Square Kilometre Array), "di cui l'Italia è capofila". 
Saccoccia (Asi), Italia protagonista della ricerca sull'universo.
"Il Nobel assegnato oggi - ha osservato - è un altro risultato straordinario che premia la ricerca sull'universo: un settore nel quale l'Italia è da sempre impegnata da protagonista. È fondamentale continuare a impegnarsi in questo campo".

Il Jova Beach Party e la protezione delle aree naturali. - Lisa Signorile

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Un'immagine della tappa di Roccella Ionica del Jova Beach Party. Fotografia Ansa

A conclusione del tour di concerti di Jovanotti sulle spiagge ci si pone la domanda su quali siano stati gli effettivi impatti ambientali, e se questo tipo di esibizione sia - sul lungo termine - sostenibile in ambienti fragili e sotto costante pressione antropica come le coste italiane. Abbiamo voluto fare il punto per le estati a venire.


L'estate appena trascorsa ci ha regalato un'insolita operazione di divulgazione mista a marketing, il "Jova Beach Party", in cui 17 dei 19 concerti del cantante e musicista Jovanotti sono stati organizzati sulle spiagge italiane ed erano accompagnati dalla campagna del WWF Plastic Free Tour.

“Tante persone”, dice a National Geographic Italia Gaetano Benedetto, direttore generale del WWF Italia, “hanno ritenuto che questo fosse un cambio di linguaggio dell’ambientalismo, che avvicinava la gente comune alle problematiche globali. Quest’anno si è svolta la più grande campagna popolare sul tema delle plastiche che sia mai stata fatta”.

L’iniziativa era interessante da un punto di vista della comunicazione, ma secondo gli addetti ai lavori tra cui ornitologi e associazioni ambientaliste impegnate sul territorio, ha costi troppo alti in termini ambientali, e questo tipo di concerti sarebbero in futuro assolutamente da scoraggiare. Recentemente, gli oltre 200 iscritti al Convegno Italiano di Ornitologia hanno infatti 
sottoscritto all’unanimità un documento in cui chiedono “che non vengano svolti eventi che prevedono consistenti afflussi di pubblico, negli ambienti costieri naturali o con residua naturalità frequentati o potenzialmente utilizzabili dal Fratino e da altre specie di interesse conservazionistico”

Infatti, l’infrastruttura del concerto, pensata per accogliere tra 25.000 e 40.000 persone a serata, doveva essere montata, come ha scritto la Trident, la società che organizzava questi concerti, su “alcune tra le più belle spiagge italiane”. In breve, giusto sulle spiagge meno antropizzate, quelle che accolgono ancora alcuni degli ecosistemi costieri relitti, proprio quelle zone umide che, secondo il recente rapporto delle Nazioni Unite sul preoccupante e rapido declino degli ambienti naturali, negli ultimi tre secoli si sono ridotte di oltre l’85%, una perdita, secondo il rapporto, “tre volte più rapida, in percentuale, della perdita delle foreste”.

“Le aree costiere italiane”, dice a National Geographic Italia Magazine Augusto De Sanctis, consigliere della ONLUS Stazione Ornitologica Abruzzese e ornitologo specializzato in limicoli costieri, “sono sottoposte ogni giorno a stress immensi. L’80-85% di spiagge, almeno in Abruzzo, non ha più specie psammofile, ovvero adattate a vivere negli ambienti sabbiosi. Sono rimasti piccoli tratti di duna degradata e frammenti di dune pioniere con vegetazione annua, il che non vuol dire che il primo stadio sia meno importante dell’ultimo. Siamo a favore dei concerti e della musica, ma da farsi nei luoghi adeguati, come gli stadi”.

Le tappe e gli "intoppi"
Delle varie tappe del tour programmate, tre sono state modificate: quella di Albenga è stata annullata a causa di una mareggiata che ha eroso la spiaggia. Quella prevista a Ladispoli è stata spostata a Marina di Cerveteri dopo la protesta delle associazioni ambientaliste. Quella di Vasto è stata spostata a Montesilvano per motivi legati a ordine pubblico e sicurezza, ma anche per via di esposti e proteste degli ambientalisti.

Nelle altre tappe invece i concerti si sono svolti regolarmente, malgrado le contestazioni. “Si è fatta una sorta di frullatore di valori” dice il direttore del WWF, coinvolto nell’organizzazione dei concerti, “per cui spiagge antropizzate come, ad esempio, quelle di Rimini, Lido degli Estensi, Castel Volturno, erano trattate con la stessa enfasi e approccio valoriale di spiagge sottoposte a vincoli”.

Non tutti però concordano, e tra questi c’è l’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che in una replica a una richiesta di informazioni di un privato sugli effetti ambientali del Jova Beach Party a Lido degli Estensi replica che “la documentazione fotografica inviata a corredo della richiesta sembra testimoniare sostanziali trasformazioni della situazione ambientale originaria”.

La stessa situazione, secondo le associazioni ambientaliste, si applica a Castel Volturno, dove per il concerto, avvenuto a ridosso di un Sito di Interesse Comunitario (SIC), è stata rimossa con mezzi meccanici la vegetazione perenne psammofila, che include specie rare come l’Achillea maritima.

“Sembra che una parte di questo paese abbia scoperto oggi che le spiagge italiane vengono pulite con le ruspe, comprese le aree naturali protette”, afferma Benedetto. “Dire che questa situazione è responsabilità di Jovanotti o il fatto che per pulire un’area per 40000 persone si usano gli stessi mezzi che si utilizzano quotidianamente diventa un momento d’accusa forse un po’ eccessivo”. Tuttavia in futuro bisognerebbe forse evitare in toto di pulire le spiagge con mezzi meccanici, a prescindere se si tratti di lidi per turisti o di concerti con decine di migliaia di partecipanti.

Roccella Jonica e le tartarughe.
Le ruspe, infatti, possono essere distruttive. “Ma lei le ha viste le immagini di Roccella Jonica?” Esclama scoraggiato De Sanctis. “Una ruspa che fa una spianata di quel tipo porta via un intero tratto di spiaggia con ambienti protetti dalla direttiva habitat e tutto ciò che consegue. In questo caso i mezzi meccanici hanno spianato un tratto grande come due o tre campi da calcio”.

La posizione di Roccella Jonica era particolarmente critica in quanto è un sito potenziale di nidificazione delle tartarughe marine. “Di solito”, mi spiega uno dei soci fondatori di Caretta Calabria Conservation che preferisce rimanere anonimo, “la femmina elegge a proprio sito riproduttivo un tratto di costa più o meno vasto e fa un nido ogni 15 giorni circa, sino a 4, 5 deposizioni. Quest’anno, manco a farlo apposta, probabilmente la stessa femmina ha nidificato proprio nei dintorni della zona del concerto: a Riace, a Grotteria a Mare (subito a nord e subito a sud) e a Marina di Gioiosa Jonica che è il comune limitrofo. Non lo sapremo mai, ma magari ne ha fatto proprio un altro nella zona in cui le ruspe hanno fatto spazio al concerto di Jovanotti, solo che nessuno lo ha rinvenuto”.

Persino Benedetto ammette che a Roccella “c’era un’area anche interessante sotto un profilo di ripresa naturalistica dopo che la spiaggia si è formata a seguito della realizzazione del porto” e che “si poteva far meglio”. Ma c’è di più. A cosa era destinato quel tratto di spiaggia? Secondo Benedetto “nell’area dove si è svolto il concerto a Roccella Jonica, nel piano spiagge approvato dalla provincia di Reggio Calabria con valutazione ambientale strategica e quindi con tutto l’iter, la destinazione di quell’area è per eventi, è pubblica”.

Tuttavia l’area spianata dalle ruspe, fotografie aeree alla mano, si espande ben oltre l’area destinata a uso turistico. Va infatti a occupare una grande porzione dell’area destinata a rinaturalizzazione, ovvero, secondo il piano spiagge approvato dalla città metropolitana, “aree demaniali nelle quali l'ambiente naturale deve essere conservato/ripristinato nella sua totale integrità”. Chi ha autorizzato l’intervento non ha quindi tenuto conto della destinazione dell’area indicata dal piano spiagge, riducendo di fatto il tutto a una spianata desertificata.

Anche l’ISPRA è perplessa. Risponde infatti così a una richiesta di chiarimenti di De Sanctis: “Si ritiene che sia gli interventi ambientali necessari alla preparazione del sito in funzione dell’evento, sia la realizzazione dell’evento stesso e il successivo ripristino dell’area, comportino rischi di impatto su diverse componenti ambientali compresi habitat e specie tutelati dalla normativa comunitaria vigente”.

Il fosso Marino e le fogne di Nuova Delhi.
Le anomalie di Roccella si sono ripetute a Vasto, dove però il concerto non si è più svolto. A Vasto le problematiche erano molteplici, e alcune riguardavano la sicurezza stessa del pubblico del concerto. La prefettura di Chieti infatti ha annullato il concerto “a causa di gravi carenze di carattere documentale riscontrate, nonché l’assenza di alcune necessarie pianificazioni”. In particolare c’erano problemi riguardanti “la viabilità e i parcheggi” perché si voleva destinare a parcheggio un tratto della statale 16, una delle principali vie percorribili lungo l’Adriatico, nel periodo del massimo traffico ferragostano.

Inoltre il fosso Marino, un corso d’acqua ritenuto “a rischio idrogeologico”, è stato preventivamente ‘tombato’ dal comune, cioè reso sotterraneo, per allestire l’area per il concerto. Secondo la Prefettura di Chieti, “l’evento è stato programmato su un sito inidoneo dal punto di vista della safety e della security con potenziali pericolosità per gli spettatori”. Come a Roccella, anche il piano spiaggia del comune di Vasto indicava quell’area come zona di rinaturalizzazione. Inoltre, il canneto nel tratto terminale del fosso Marino, rifugio invernale di molte specie tra cui anfibi a rischio, è stato tagliato durante i lavori per tombare il corso d’acqua in violazione della normativa comunitaria.

La Trident e Jovanotti hanno preso molto male la decisione, ed è stato questo l’evento che, insieme a qualche piccola polemica locale a Montesilvano, dove è stato spostato l’evento di Vasto, ha portato Jovanotti a paragonare su Facebook l’ambientalismo italiano alle fogne di Nuova Delhi. Il WWF è rimasto al fianco del cantante: “Non bisogna perdere di vista”, ha chiarito Benedetto, “che non stiamo buttando giù le dune del Circeo”.

Policoro e gli eliporti.
A Policoro la tappa si è svolta in un SIC che si chiama Foce dell’Agri. “La foce dell’Agri”, afferma il direttore del WWF,  “è stata alterata con autorizzazione certamente sbagliata, che ha consentito la realizzazione di un porto, di un villaggio turistico, di una darsena, di un albergo a 5 stelle, di un eliporto, di una serie di attività commerciali e ha costruito una piccola città su questo fiume, tutto regolarmente autorizzato. Il concerto di Jovanotti è avvenuto a ridosso del muraglione del porto, chilometri lontano dai siti di nidificazione della tartaruga”.

Un’area protetta, quindi, ma già gravemente compromessa. Alcuni video amatoriali, indubbiamente di parte, mostrano le ruspe sulla vegetazione dunale protetta. Ma quello che sorprende di più è che il redattore della valutazione di incidenza ambientale fatta effettuare dalla Trident, sia l’ing. Marco Vitale, che risulta essere il proprietario del centro turistico di Marinagri, ovvero di quegli stessi alberghi, porti, eliporti, etc. etc., che hanno compromesso il SIC. Tutto regolarmente autorizzato.

La plastica e l’ambiente.
Le polemiche sull'impatto ambientale del tour hanno accompagnato quasi tutte le tappe. Un punto fermo dell’ecologia moderna è che qualunque attività umana svolta in ambiente non antropizzato ha un impatto più o meno grande. Ci sono altri punti quindi su cui forse vale la pena di soffermarsi.

Ammassare in un punto solo le auto di 20-30mila persone (i carabinieri di Vasto stimavano per il 17 agosto 27.000 veicoli circolanti) ha una carbon footprint elevatissima, anche considerando gli ingorghi, lamentati da molti partecipanti, alla fine del concerto, e questo moltiplicato per 19 tappe. Sempre dalla relazione del verbale dei carabinieri di Vasto si apprende che i “fuochi d’artificio freddi che non prevedono combustibile e fiamme ma solo polveri di farina di riso”, previsti nella relativa valutazione di incidenza ambientale, sono effettivamente prodotti con macchine alimentate con isoparaffina liquida, un derivato del petrolio e “bidoni di fuoco” che producono fiamme bruciando bioetanolo. Non citiamo i 12.000 euro spesi solo in energia elettrica a serata, che fanno quasi 150.000 euro in energia, ma vale la pena di menzionare che le bottiglie in alluminio -a causa della legge vigente-erano vietate, a favore di quelle di plastica (riciclata, per carità).

Spiagge e eventi di massa, un futuro da riconsiderare.
Il Jova Beach Party è stata una manifestazione di grande successo, sia in termini di popolarità (con circa mezzo milione di spettatori complessivi), sia in termini di fatturato (un biglietto singolo costava circa 60 Euro), e così lo sono state altre analoghe, sebbene più piccole, esibizioni canore in altri luoghi naturali italiani più o meno protetti. Visto il successo, è molto probabile che questi eventi si ripetano i prossimi anni, e che possano dare il via a una “moda” di grosse iniziative con decine di migliaia di spettatori che si riuniscono in aree naturali delicate e prive delle infrastrutture necessarie alla ricezione, tra cui il trasporto pubblico. Viste le numerose problematiche sollevate quest’anno dai concerti di Jovanotti, sorge tuttavia il dubbio che queste iniziative non siano ecosostenibili e che dovrebbero essere scoraggiate dagli organi competenti.

Il ministero dell’Ambiente, silente per tutta l’estate, a una esplicita richiesta di National Geographic Italia ha così commentato: “Sul versante della gestione dei Siti Natura 2000 è in fase di approvazione un documento di indirizzo alle Regioni per la corretta valutazione d’incidenza di piani e progetti. Tale atto, insieme all’attenzione sollevata da questi eventi, contribuirà ad una maggiore consapevolezza e di conseguenza ad una più attenta programmazione e valutazione di futuri eventi analoghi”.

Resta il dubbio che non ci sia il tempo e/o la volontà di limitare la prossima estate questi eventi in aree più idonee come stadi o palazzetti dello sport. Ha senso educare solo su un aspetto ecologico (la plastica in mare) ignorando invece la fragilità delle nostre coste e di altri ambienti a rischio? Il nostro pianeta, come dice Greta Thumberg, “è in fiamme”, e non abbiamo molto tempo per agire. Forse una prima azione sarebbe proprio educare il pubblico al rispetto di tutti gli ecosistemi, prima che sia troppo tardi, utilizzando quello che abbiamo imparato quest’anno per prevenire errori futuri.

Geppetto e Pinocchio. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano dell'8 Ottobre.

L'immagine può contenere: 2 persone, persone che sorridono

La condanna di babbo e mamma Renzi a 1 anno e 9 mesi ciascuno per false fatture, cioè per frode fiscale, potrebbe essere una questione privata del signor Tiziano e della signora Laura. Non c’è alcun elemento che dimostri un qualunque ruolo del figlio Matteo nella vicenda. E il fatto che il loro amico Luigi Dagostino, imprenditore del ramo outlet, condannato (anche per truffa) a 2 anni, abbia dichiarato al processo di aver pagato nel 2015 quelle due fatture esorbitanti da 160 mila euro per “sudditanza psicologica” verso i “genitori del presidente del Consiglio”, non significa che Matteo ne sapesse qualcosa (anche se dovrebbe astenersi, per pudore, dal parlare di evasione fiscale). Ma solo che i genitori approfittavano della posizione del figlio per fare affari, per così dire, border line.

Come del resto il babbo nel caso Consip e nelle avance del fido Carlo Russo al governatore Emiliano per un business in Puglia parlano da sé. Purtroppo per Matteo Renzi, è stato lui a trasformare le indagini sui genitori da questione privata a questione pubblica, cioè politica. Perché non s’è limitato a esprimere solidarietà ai congiunti, ma ha messo la mano sul fuoco sulla loro assoluta estraneità; non contento, ha accusato i magistrati di indagare su di loro per colpire lui con finalità politiche; e, non bastando, ha minacciato e addirittura firmato in pubblico raffiche di denunce ai (pochi) giornalisti che osavano raccontare gli scandali della sua famiglia, mescolando la sua figura pubblica a quelle private di babbo e mamma col noi maiestatico.


Il 22 febbraio scorso disse: “Sono fiero e orgoglioso di esser figlio di Tiziano Renzi e Laura Bovoli perché conosco i fatti e perché mio padre e mia madre vogliono difendersi nel processo…


Noi non vogliamo impunità, immunità, scambi per non andare a processo. Noi non scappiamo come gli altri, vogliamo andare in quell’aula. Lì vedremo chi ha ragione e chi torto”. Ecco: fermo restando che non è prevista alcun’immunità per i parenti dei politici, dunque è ridicolo vantarsi di rinunciare a qualcosa che non esiste, ieri in quell’aula è arrivata la condanna.


Il 13 febbraio aveva dichiarato: “Quando tuo padre viene intercettato, pedinato, seguito quasi fosse un camorrista per quattro anni, la sua vita scandagliata come mai era accaduto a un libero cittadino che fino a 63 anni aveva commesso forse quale unica infrazione un eccesso di velocità, è evidente che qualcosa non torna. Non voglio far leva su un elemento soggettivo, ovvero… come muta il clima al pranzo di Natale quando i tuoi familiari… ti considerano responsabile della crisi cardiaca che ha colpito tuo padre”.


Ora, la sentenza di ieri conferma che i genitori non sono stati indagati perché avevano quel figlio, ma perché facevano pasticci con le loro società: sennò non ci sarebbe stata alcuna indagine.


“Chi ha letto le carte – sostenne Renzi il 18 febbraio appena i suoi finirono ai domiciliari – mi garantisce di non aver mai visto un provvedimento così assurdo e sproporzionato. Mai. Da figlio, sono dispiaciuto per aver costretto le persone che mi hanno messo al mondo a vivere questa umiliazione immeritata e ingiustificata. Se io non avessi fatto politica, la mia famiglia non sarebbe stata sommersa dal fango. Se io non avessi cercato di cambiare questo Paese, i miei sarebbero tranquillamente in pensione”. Invece chi ha letto le carte sa che le sue presunte riforme, con le indagini sui familiari, non c’entrano una mazza.


A proposito di Consip, Renzi rincarò: “È indegno il tentativo di tacere sullo scandalo di un premier contro il quale elementi della magistratura, delle forze dell’ordine, dell’intelligence agiscono di concerto con qualche servitore dello Stato che arriva a falsificare prove e a meritarsi l’accusa di depistaggio”. Giusto il 3 ottobre il gup ha stabilito che nessun servitore dello Stato falsificò prove né depistò le indagini Consip, a parte il Giglio magico renziano: l’errore del capitano Scafarto nel riportare una delle migliaia di intercettazioni fu “sicuramente involontario” e ininfluente sul quadro accusatorio; e gli unici depistaggi “volti a impedire il regolare corso delle indagini” furono di “ambienti istituzionali vicini all’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi”. Il quale ora dovrebbe scusarsi con Woodcock e Scafarto per averli calunniati e con gli italiani per averli buggerati con montagne di fake news.


Una volta però ne disse una giusta persino lui: “Il tempo è galantuomo. Mentre scrivo, mio padre non è stato condannato per nessuno dei reati contestati. E le uniche condanne sono arrivate a chi, come il direttore del Fatto Marco Travaglio, ha diffamato mio padre”.


Ecco, il tempo è talmente galantuomo che suo padre e sua madre sono stati condannati per frode fiscale, mentre noi abbiamo scritto solo cose vere, ma purtroppo le nostre sentenze di primo grado sono arrivate prima di quelle sui suoi genitori: ergo ci vediamo in appello.


Intanto apprezziamo l’improvvisa sete di verità che ha colto Renzi nell’intimare a Conte di fare ciò che ha già detto che farà: spiegare al Copasir il suo ruolo negli incontri fra i nostri 007 e un ministro Usa.


Mentre ci auguriamo che il premier lo faccia al più presto, rammentiamo (a pag. 7) alcune questioncine che Renzi si scorda da anni di chiarire: le sue spese “istituzionali” da sindaco di Firenze; la soffiata a De Benedetti sul DL Banche; gli spifferi nel suo entourage sull’inchiesta Consip e il famoso incontro fra Tiziano-Romeo, sempre negato dai due e anche da lui, ma alla fine accertato; lo strano leasing dell’Air Force Renzi a un prezzo 26 volte superiore a quello speso da Etihad per acquistarlo; e altre cosette così. Ci fa sapere?


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Giordania: alla scoperta di Jerash, l'antica Gerasa. - Eva Tobalina

Giordania: alla scoperta di Jerash, l'antica Gerasa
Una veduta del Foro ovale dal Tempio di Zeus. Il foro collegava la porta meridionale di accesso al Cardo Massimo della città. Queste particolari piazze ovale sono tipiche delle città romane d’Oriente. Fotografia di Kitti Boonnitrod/Getty images
Fiorente polo commerciale dal passato leggendario, la città conobbe il suo periodo più prospero sotto l’Impero romano. E ancora oggi i suoi meravigliosi monumenti fanno rivivere lo splendore dell’Impero.
Nell’Antico Testamento viene descritto il viaggio degli Ebrei verso la Terra promessa. Una volta giunti ai confini del Regno di Edom, nel Deserto del Negev, implorarono il popolo che lo abitava di lasciarli transitare:
“Lasciateci passare per il vostro paese, seguiremo la Via Regia finché avremo oltrepassato i vostri confini”
La Via Regia, citata nei versetti della Bibbia, era un’antichissima via mercantile che esisteva già nell’Età del Bronzo e connetteva le genti e le città del Medio Oriente, dal Golfo di Aqaba  fino a Damasco. Anche se lungo la via non sorsero grandi imperi, le città che ne erano attraversate prosperarono grazie ai commerci, poiché tutte le mercanzie più pregiate dell’epoca, spezie, grano, incenso e perle, viaggiavano su quella direttrice.
Giordania: alla scoperta di Jerash, l'antica Gerasa
Il Teatro meridionale. - Fotografia di Jochen Schlenker/Age Fotostock
Una delle città più importanti che si svilupparono lungo la Via Regia fu Jerash, fondata durante la colonizzazione greca della regione. La città continuò a crescere e ad arricchirsi grazie ai traffici commerciali fino alla conquista romana. Distante poco meno di 50 chilometri dalla capitale della Giordania Amman, Jerash resta una delle città meglio conservate della Decapoli romana, un gruppo di dieci città di stampo ellenistico - romano in territorio semitico che prosperano durante l’Impero romano.
Sulle sponde del fiume d’oro.
Secondo alcune antiche iscrizione, il nome Jerash o Gerasa deriverebbe dai suoi primi abitanti, ossia i vecchi soldati - gerasmenos significa vecchio o anziano in greco - che avevano partecipato alle campagne militari di Alessandro Magno nel IV secolo a.C.. Dopo le guerre persiane pare infatti che i veterani macedoni furono ricompensati con delle terre fertili tra il fiume Giordano e il deserto.
Sebbene il sito possa essere stato effettivamente usato come un presidio militare da Alessandro Magno, la storia della fondazione ad opera dei suoi veterani è poco verosimile. Il primo nome della città non era Jerash, un termine semitico, ma un toponimo greco: Antiochia ad Chrysorrhoam, ossia “Antiochia sul rive del fiume d’oro”. Questo era il nome che venne dato al primo insediamento ellenistico, fondato nel II secolo a.C. dal re seleucide Antioco IV Epifane.
Giordania: alla scoperta di Jerash, l'antica Gerasa
Un capitello corinzio.
I Seleucidi discendevano dal generale macedone Seleuco Nicatore che nel 312 a.C. conquistò il controllo della parte orientale dell’impero di Alessandro. Durante la dinastia seleucide si diffusero in Medio Oriente la lingua e costumi greci, e tra il terzo e il secondo secolo a.C. i coloni greci si mescolarono con le popolazioni locali. In questo periodo vennero avviati i grandi progetti di sviluppo della città con la costruzione dei templi dedicati alle divinità del pantheon greco. Anche se in costante competizione con le città elleniche dell’area, Jerash mantenne comunque solide relazioni con alcune di loro, come Philadelphia, l’attuale Amman, ed Heliopolis, oggi Baalbek in Libano
Jerash diventò un fiorente polo commerciale, dove diverse genti, lingue e religioni si mescolavano tra di di loro. Era normale per i coloni greci ritrovarsi fianco a fianco di mercanti persiani, indiani e parti. In città si parlava il greco e l’aramaico e si professavano la fede ellenistica e quella semitica, grazie anche all’influenza dei commercianti che provenivano dalla vicina Petra, la capitale del ricco Impero Nabateo.
Giordania: alla scoperta di Jerash, l'antica Gerasa
Una moneta d’oro con la testa dell’Imperatore Adriano. Durante i suoi viaggi nelle provincie romane d’Oriente l’imperatore passò un inverno a Jerash. Fotografia di Asf/Album
L’influenza romana.
Il governo seleucide non durò a lungo. La rapida ascesa dei Parti ad oriente, infatti, allentò il dominio seleucide nell’area e nel 129 a.C. il re Antioco VII morì durante un attacco dei Parti. L’attuale Siria piombò nel caos e Jerash cadde sotto un governo militare. Dopo il declino della dinastia seleucide nel 102 a.C. Jerash fu conquistata da Alessandro Ianneo, appartenente alla dinastia degli asmonei e Re della Giudea, che regnò sull’odierna Israele fino al 63 a.C.. Nello stesso anno Pompeo sconfisse il re del Ponto, Mitridate VI, garantendo così a Roma l’espansione verso il Medio Oriente. I Romani conquistarono la Siria, e Jerash e le altre città ellenistiche furono annesse alla nuova provincia romana. Plinio il Vecchio racconta che Jerash divenne parte della Decapoli romana, un gruppo di dieci città di tradizione classica situate nella regione semitica. Questa caratteristica garantì loro uno speciale trattamento da parte di Roma che le rese città - stato quasi del tutto autonome. 
Crescita urbanistica. Nel I secolo d.C. il regno dei Nabatei fu conquistato da Nerone. La città di Petra visse un periodo piuttosto fiorente e tutta la regione, compresa Jerash, ne trasse beneficio. Un secolo dopo l’Imperatore Traiano incorporò formalmente la città di Jerash e le terre nabatee nella provincia d’Arabia. Furono costruite nuove strade che collegavano il Golfo di Aqaba alla città di Jerash, e la Via Traiana Nova, l’antica Via Regia, fu pavimentata.
La ricchezza di Jerash si rifletteva nei suoi templi e nei maestosi edifici che abbellivano la città. Nella seconda metà del II secolo d.C. furono eretti l’imponente tempio di Artemide, il Foro ovale, il Teatro meridionale e l’Arco di Adriano che svetta ancora oggi tra le rovine della città antica. Dopo la caduta dell’Impero Romano, Jerash visse un altro periodo di splendore quando nel IV secolo entrò a far parte dell’Impero Bizantino. Nel 749 fu quasi completamente distrutta da un terremoto, ma nel 1806 l’esploratore tedesco Ulrich Jasper Seetzen riuscì a localizzare i suoi resti. Oggi Jerash, patrimonio dell’Unesco, è considerata tra le più affascinanti e meglio conservate città romane del Medio Oriente, “antico luogo di incontro tra Occidente e Oriente”.