martedì 3 dicembre 2019

Conte vs. Salvini e Di Maio... Il Mes fa scoppiare il M5S. - Luca De Carolis

Conte vs. Salvini e Di Maio Il Mes fa scoppiare il M5S

Distanza - Nelle informative alle Camere il premier bastona la Lega ma non risparmia il numero 1 dei 5Stelle. In serata smorza i toni: “Comprensibile che Luigi parli di criticità”.

Alle sette della sera di un lunedì che sembra una porta sulla fine, e dopo due informative alle Camere su quel Mes che la porta l’ha spalancata, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si decide a citare Luigi Di Maio. Cioè il ministro degli Esteri e capo politico dei Cinque Stelle, che a Montecitorio si siede alla sua sinistra e lo ascolta, immobile, e invece a Palazzo Madama no, neanche si fa vedere. “Di Maio ha espresso delle criticità sul Mes per conto del Movimento ma in un negoziato così complesso è pienamente comprensibile” assicura Conte. Ma i discorsi alle Aule erano contro di lui? “Assolutamente no” giura per forza il presidente. Così gli chiedevano di dire gli sherpa di Palazzo Chigi e Farnesina, palazzi che sono fronti contrapposti. E c’è tutta, quella distanza, nelle informative a Camera e Senato del premier che, certo, con la sua valanga di parole (26 pagine) demolisce innanzitutto il solito nemico, Matteo Salvini. “La disinvoltura e la resistenza a studiare i dossier di Salvini mi sono ben note” morde subito.
Però il bersaglio più rumoroso è quello di cui Conte non fa nome e cognome, quel Di Maio che gli siede accanto. “Alle riunioni sul fondo salva stati ministri e viceministri c’erano” ricorda il premier, sciorinando date e passaggi. Alla sua destra il ministro dell’Economia, il dem Roberto Gualtieri, annuisce: alla sua sinistra Di Maio pare di sale. Perché tra i ministri che non rammentano c’è pure lui, ex vicepremier. Anche se Conte se la prende prima di tutto con l’opposizione: “Sta dando prova di scarsa cultura delle regole e mancanza di rispetto per le istituzioni”.
Ma dà una sberla anche al M5S, quando afferma che il Mes è “a vantaggio di tutti”. E saluti al capo del M5S, che da giorni lo ripete: “Sull’accordo c’è molto da rivedere, va migliorato”. Logico che a Di Maio non piaccia il discorso di Conte. E a Palazzo Chigi i suoi lo fanno sapere in tempo reale. Tanto che si discute di una correzione, ossia dell’inserire qualche parola a favore del capo e dei 5Stelle nel discorso a Palazzo Madama. Però non è usanza modificare l’informativa nel passaggio da una Camera all’altra. E forse l’avvocato non ha voglia di farlo. Di certo ci sono le facce scure dei grillini. “Così com’è per noi il Mes è invotabile, il rinvio è il minimo sindacale” ringhia il deputato Raphael Raduzzi, uno dei due 5Stelle che voleva presentare una mozione contro il vecchio fondo salva stati.
L’altro è l’ex sindaco di Mira, Alvise Maniero: “Mi accusano di essere filo-leghista, ma è una sciocchezza. La verità è che noi siamo sempre stati contro il Mes”. Qualche metro più in là, un paio di grillini di governo: “Conte e Di Maio ormai nelle riunioni si parlano tramite battute, hanno fatto così domenica”. Cioè nel vertice di maggioranza che è andato male, più o meno come il dialogo tra i Palazzi a 5Stelle. Così alle 15 in Senato Di Maio non si fa vedere. E assieme a lui marcano visita un bel po’ di grillini, 35. “Se il governo può cadere sul Mes? Magari…” scandisce Gianluigi Paragone. Attorno a lui, volti da tutti a casa. “Se dobbiamo continuare così forse è meglio chiudere ora” sibila un veterano. Stanco, grosso modo come il Dario Franceschini che ascolta con aria plumbea Conte dai banchi del governo. Un altro frammento che dice molto. Invece il senatore romano Emanuele Dessì si schiera: “Il merito di questa vicenda si può discutere, ma il metodo è ineccepibile, ed è quello di Conte”. In Aula il premier ripete la sua verità, ma poi arriva Salvini, in facile contropiede: “Condivido le richieste del gruppo M5S, vogliamo capire”. Un bacio al cianuro, o magari no. Perché il sospetto che riemerge tra i dem è che Di Maio e Salvini abbiano tanta voglia di riabbracciarsi.
Un cattivo pensiero che ritorna anche tra i 5Stelle (un auspicio, per alcuni), mentre Salvini infierisce: “Presidente, guardi quanti banchi vuoti nella maggioranza, io mi preoccuperei”. Conte però ha un’altra urgenza, rassicurare Di Maio. Così ecco le frasi serali, a cui segue la replica del capo politico: “Il premier ha messo a tacere le falsità diffuse dalle opposizioni, e abbiamo apprezzato la posizione circa la logica di pacchetto come richiesto ieri al vertice di maggioranza dal M5S”. E comunque la riforma “presenta criticità evidenti”.
Per questo, Di Maio riunisce i suoi ministri e dà mandato ai capigruppo e alla sottosegretaria agli Affari europei Laura Agea di lavorare alla risoluzione sul Mes, da presentare in Parlamento l’11 dicembre come documento di tutta la maggioranza. Ma sarà maledettamente complicato. Per Di Maio, per i 5Stelle e per tutto il governo, quello di Conte.

Si gioca con la faccia del Paese. - Gaetano Pedullà



Si era partiti con le accuse di alto tradimento dello Stato fatte da Matteo Salvini e Giorgia Meloni e si è terminato con il presidente leghista della Commissione Finanze del Senato, Alberto Bagnai, che si arrampicava sugli specchi per mettere in imbarazzo il premier Giuseppe Conte riferendosi a una nuova inchiesta delle Iene sui rapporti di molti anni fa tra l’attuale premier e il suo maestro nella professione di avvocato, Guido Alpa. Vabbè, da giorni si era capito che la riforma del Meccanismo europeo di stabilità era solo l’ultimo disperato tentativo delle forze sovraniste per attaccare il Governo e in particolare il Presidente del Consiglio, ormai diventato l’arcinemico di un sempre più rancoroso leader del Carroccio, surclassato per affidabilità dalla più coerente presidente di Fratelli d’Italia. Che però una montagna di accuse ripetute per giorni finisse addirittura in farsa, agitando lo spauracchio delle Iene, non era affatto prevedibile.
Purtroppo per i rottweiler della Destra, Conte ha letteralmente demolito la ricostruzione di un trattato europeo condotto all’insaputa del Parlamento e dell’Esecutivo, allegando copiosa documentazione e una quantità di prove che se ci fossimo trovati in un processo avrebbero portato alla completa assoluzione dell’accusato e quanto meno al ricovero in una gabbia di matti per l’accusatore. Quando in questi casi non c’è più niente da fare e la frittata è finita rovinosamente a terra, lo stolto cerca scuse mentre il saggio chiede scusa. Ma di saggezza in questa stagione della politica italiana se ne vede così poca da farci apparire illuminate le sardine, un movimento che se non altro ha il pregio di ricordarci quanta parte del Paese sia delusa e confusa dai partiti, di cui infatti vieta nelle sue piazze l’ingresso alle bandiere.
Dunque Salvini, Meloni e compagnia imbrogliando continueranno a raccontarci che il Fondo Salva Stati in realtà (la loro) è un Fondo Salva banche tedesche, e Conte di nascosto da tutti ha promesso di metterci dentro 125 miliardi – pinzillacchere – per salvarsi la poltrona. La teoria, insomma, di una tangentona allungata alle cancellerie estere in cambio delle pressioni di quest’ultime per farlo confermare a Palazzo Chigi. Per questo – si rimpallano su Facebook i leghisti più scaltri – il presidente americano Trump si è speso addirittura con un tweet per Giuseppi, mentre dalla Merkel a Macron era tutto uno spedire letterine di raccomandazione a Mattarella per blindare l’avvocato del popolo alla guida del Governo di Roma.
Un’ipotesi tanto strampalata da non tener conto che nei complessi equilibri tra Washington e Berlino (o Parigi) chi sta con gli americani non può stare anche con chi litiga con loro su dazi, web tax e multe antitrust. Agli elettori leghisti però questa storiella va bene lo stesso, e se avessero dubbi ecco che tutto il sistema televisivo gli ricorda la menzogna, sulla scia di quanto diceva Goebbels, cioè quello che oggi definiremmo lo spin doctor di Hitler: se racconti mille volte una bugia questa poi diventa una verità.
Così in casa nostra cresce l’incertezza, s’insinua il messaggio che la politica è tutta uguale, che Conte e i 5 Stelle sono cinici quanto i vecchi partiti, anzi di più, perché a differenza di chi occupa da decenni i Palazzi del potere il Movimento è stato votato alle ultime elezioni politiche da 11 milioni di italiani per spazzare via quel vecchio sistema. In questo modo la propaganda delle opposizioni mette nuova legna in cascina, a prezzo di far scadere la credibilità del Paese. Dalle istituzioni europee ai mercati, nessuno dovrebbe permettersi di dire pio sull’Italia, tra i maggiori contributori netti e puntualissima nell’onorare tutti gli impegni finanziari, ma a furia di inventarci giochetti tipo i mini bot per pagare la spesa corrente delle pubbliche amministrazioni, accarezzare il pelo all’uscita dall’euro o promettere manovre senza copertura per decine di miliardi (almeno cinquanta solo per fare la flat tax) poi i mercati ci prendono per lo scemo del villaggio, e come tale ci trattano.
Invece siamo un grande Paese e la linea del Movimento recepita da Conte e Gualtieri per inserire la riforma del Mes dentro una nuova architettura complessiva dell’Europa può portarci benefici. Prima ancora che sul Fondo Salva Stati – un ombrello da aprire quando ormai diluvia – su tutti gli altri piani in cui l’Italia è penalizzata nel suo rapporto con Bruxelles.

Luoghi di delizia.





Renzi, per lui 40mila euro a conferenza. E’ top secret la lista delle destinazioni. - Luigi Franco e Thomas Mackinson

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ESCLUSIVO, L'ANTICIPAZIONE DI FQ MILLENNIUM IN EDICOLA DAL 14 DICEMBRE - Leader politico e oratore a pagamento: il tariffario delle sue agenzie. I nostri cronisti hanno finto di organizzare una conferenza, richiedendo l'intervento del leader di Italia Viva.
Per avere Matteo Renzi? “Forty thousand euros. Quarenta, qu-a-tro siii-ro”, scandiscono al telefono dalla Pro Motivate, una delle agenzie che propongono online l’ex premier come speaker. “Dovete contare anche un viaggio in business per una e a volte due persone”. Tanto costa ingaggiare il fondatore di Italia Viva a una conferenza che – facciamo credere all’interlocutore – sarà in programma l’anno prossimo a Barcellona, titolo “Populismo e dinamiche economiche”. Tema su cui Renzi – ci viene garantito – saprà dire la sua.
Del resto “politica globale, “affari correnti”, “finanza e tendenze future” sono solo alcuni degli argomenti elencati online di quello che è stato “il più giovane primo ministro in Italia e il più giovane leader del G7”. Analogo curriculum sponsorizza l’agenzia Chartwell Speakers, ma per “appena” 25mila euro. C’è un però: a sentire l’agente che risponde da Dublino, Renzi non è la scelta più azzeccata. Di conferenzieri che possano parlare di populismo ce ne sono altri, pure meno esosi: con 16mila euro, per esempio, ti porti a casa Anne Applebaum, un premio Pulitzer che “in quanto giornalista, e non politico, può affrontare il tema in modo più indipendente di Renzi”.
Dalla Chartwell quasi ci convincono, spendere tutti quei soldi per Renzi non conviene. È diventato troppo caro, più dei 20mila euro di cui parlava solo un anno fa Marina Leo, responsabile per l’Italia di un’altra agenzia che vende i suoi discorsi, Celebrity Speakers. “Sembrano tanti, ma la metà se ne va in tasse e lo speaker deve pagare le persone che mettiamo a disposizione, in quei soldi c’è pure il compenso dell’agenzia”, diceva alla stampa allora. Oggi che con i giornali non parla più, le si strappa solo: “È un’attività privata, non ha niente a che vedere con la sua attività di leader politico perché quando era primo ministro non poteva fare queste cose”.
Non c’entrerà la sua attività politica, ma è proprio questa ad averlo lanciato nel nuovo business. Il suo reddito dai 29mila euro dichiarati per il 2017 è salito a 830.000 euro nel 2018 e supererà il milione nel 2019. Dato per spacciato, non ha mai guadagnato tanto in vita sua. Dopo aver rottamato il Pd, Renzi è diventato una vera macchina da soldi. Altro che i 4.300 euro netti al mese percepiti come sindaco, i 6.700 che prendeva da Presidente del consiglio, ma anche i 14.634 che percepisce ora da senatore semplice.
Di quante conferenze parliamo? “Una cinquantina in due anni”, risponde il leader di Italia Viva. In media, un ingaggio ogni due settimane in giro per il mondo. Con viaggi e preparazione dei discorsi, sembra ormai un lavoro a tempo pieno, che però non lascia tracce. Non è infatti dato sapere dove sia stato di preciso, davanti a che pubblico abbia parlato, di cosa e chi l’abbia poi pagato. “La dichiarazione dei redditi è pubblica, la lista delle conferenze no”, taglia corto in uno dei messaggi che ci scambiamo nei giorni in cui la Finanza sta ricostruendo le vicende della sua fondazione Open. Dei suoi speech non c’è traccia nemmeno in rete o negli archivi dei giornali, al di là di qualche puntata a Pechino, Riad e poco altro.
A esplicita richiesta del calendario degli incontri, rivendica il diritto a non far sapere. “Capisco la vostra amarezza ma devo rispettare le regole di ingaggio”. Cioè? “Per molte conferenze vigono le regole Chatham house” dice, citando un impegno che dal 1927 vincola chi prende parte a certe riunioni a porte chiuse a non divulgare l’identità dei partecipanti. Gli incontri del gruppo Bilderberg ne sono un esempio.
Insistiamo, e non per curiosità morbosa. Fin dall’esordio nel 2018, la sua attività da oratore è fonte di polemiche. Come nel caso della visita a Riad di fine ottobre, dove al Future Investment Iniziative ha glorificato l’Arabia Saudita come “superpotenza, non solo nell’economia, ma anche nella cultura, nel turismo, nell’innovazione e nella sostenibilità”, sorvolando su bombardamenti allo Yemen e omicidio Khashoggi. Questione di opportunità, ma anche rischio di potenziale conflitto di interessi. Se va a Timbuctù o Washington pagato da industriali, fondi di investimento o lobby, lo fa privatamente o per conto del partito? “I compensi sono redditi personali, nulla va al partito”, dice Renzi. “Non c’è alcun conflitto di interessi tra l’attività di conferenziere e il ruolo di parlamentare. Né problemi di opportunità che invece ci sarebbero in caso di ruolo istituzionale come ministro in carica”. Tuttavia, a parlare non è un ex leader ma il capo di un partito che esprime due ministri e un sottosegretario, nonché 41 tra deputati e senatori.
Da qui, il legittimo sospetto. L’indomani di una “conference” in cui il loro leader è stato ospite (a pagamento) di un privato, saranno del tutto liberi e imparziali o subiranno qualche condizionamento? Anche la gestione dei soldi solleva punti di domanda. A maggio Renzi ha fondato la società Digistart, a settembre si è fatto sostituire temporaneamente nel ruolo di amministratore unico dall’amico di sempre Marco Carrai, oggi indagato nell’inchiesta sulla fondazione Open.
Come mai quel fugace passaggio a cavallo del debutto di Italia Viva? “La società è stata aperta e poi chiusa per le polemiche mediatiche – rivela -. Carrai avrebbe dovuto gestire la società ma alla luce delle polemiche e dell’annuncio della chiusura ha subito lasciato la carica”. La Digistart, sottolinea, non ha fatturato nulla. Renzi, invece, continua a farlo. E con gran profitto.

Unicredit, piano taglia 8.000 dipendenti e 500 filiali.


Il palazzo dell'Unicredit a Milano (ansa)

Unicredit ridurrà il personale di circa 8.000 unità nell'arco del piano 2020-2023 mentre l'ottimizzazione della rete di filiali porterà alla chiusura di circa 500 sportelli. Lo si legge in una nota della banca.

Gli 8.000 tagli del personale Unicredit si concentreranno soprattutto in Italia, Germania e Austria, dove il personale verrà ridotto complessivamente del 12% e verrà chiuso il 17%  delle filiali. Il nostro Paese appare destinato a sostenere la parte più consistente degli esuberi: degli 1,4 miliardi di euro di costi di integrazione stimati per la loro gestione, infatti, 1,1 miliardi riguarderanno l'Italia (pari al 78% del totale) e solo 0,3 miliardi l'Austria e la Germania. Lo si legge nelle slide sul piano strategico.

Unicredit punta a creare 16 miliardi di valore per gli azionisti nell'arco del piano 2020-2023 e aumentare al 40 per cento la distribuzione di capitale per il 2019.

Il piano strategico di Unicredit prevede di realizzare un utile di 5 miliardi di euro nel 2023, con una crescita aggregata dell'utile per azione di circa il 12% nel periodo 2018-2023. Il ritorno sul capitale tangibile (rote) sarà "pari o al di sopra dell'8%" per tutto il piano, si legge in una nota.

"Preferiamo il buyback alle fusioni e solo piccole acquisizioni bolt-on", cioè che integrano le attività della banca, "saranno prese in considerazione". Lo dice il ceo di Unicredit, Jean Pierre Mustier nella call con le agenzie.

'Pensiamo che in certi settori sia importante raggiungere una massa critica, in questi campi la nostra strategia è di lavorare con dei partner piuttosto che di fare da soli". Lo sottolinea il ceo di UniCredit, Jean Pierre Mustier, nella call con l'agenzie ad una domanda su quale sia la strategia del gruppo sulla bancassurance. "Il contesto regolamentare è favorevole per le banche grazie al Danish compromise, ma probabilmente non durerà per sempre" e per questo "non vogliamo prenderci rischi sul fronte regolamentare", sottolinea Mustier.


http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2019/12/03/unicredit-piano-taglia-8.000-dipendenti-e-500-filiali_c5f703d9-d314-4066-bd75-0bd4768c7223.html

In un mondo in cui si taglia sul valore di un'azienda per rimpinguare le tasche degli azionisti, non c'è molto da sperare.

Dell'Utri, che fu condannato per concorso esterno, da domani in libertà. - Aaron Pettinari


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Pena conclusa ma i fatti non possono essere dimenticati.
Da domani l'ex senatore Marcello Dell'Utri, ex senatore di Forza Italia che fu condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, finirà di scontare la pena e sarà un uomo libero.
Già è possibile immaginare i titoli dei soliti giornaloni o gli interventi di chi parlerà di persecuzione mediatica e giudiziaria. Del resto solo pochi giorni addietro l'ex premier Silvio Berlusconi, in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera, ha parlato di "affetto" e "profonda stima" nei confronti dell'ex braccio destro, addirittura dicendosi convinto che Dell'Utri, dopo la condanna in primo grado a 12 anni, sarà assolto in appello al processo sulla trattativa Stato-mafia. E pensare che ad inizio mese, chiamato a testimoniare dalla difesa Dell'Utri, davanti alla Corte d'assise d'appello si avvalse della facoltà di non rispondere di fatto, come sottolineato da diversi addetti ai lavori, abbandonando a sé stesso l'amico di un tempo. Anche la moglie di Dell'Utri aveva espresso il proprio rammarico quando già si prefigurava la via del silenzio.
Il "povero Silvio" si è subito smarcato dall'accusa di "tradimento" rilasciando dichiarazioni ed interviste a destra e a manca per ricucire il rapporto. "Ero disponibilissimo a rispondere a qualsiasi domanda ma i miei avvocati me lo hanno tassativamente vietato. Io non ho nulla da temere, ma i miei difensori ritenevano che essendovi un’indagine in corso (quella come mandante delle stragi del 1993, aperta a Firenze, ndr) - indagine che non potrà che concludersi con un’archiviazione, com’è già accaduto precedentemente - non fosse quella la sede corretta dove rendere dichiarazioni. Del resto avevo detto pubblicamente più volte che non vi era mai stata alcuna pressione o minaccia, né diretta né indiretta, da parte della mafia o di chicchessia durante i miei governi. Se fosse accaduto avrei immediatamente avvertito l’autorità giudiziaria". Quindi ha escluso "che vi sia stato qualsiasi intervento da parte di Marcello Dell’Utri, così come escludo totalmente e categoricamente che si volesse favorire la criminalità organizzata. Certamente Marcello non mi chiese mai nulla in tal senso e altrettanto certamente non chiese nulla neppure a nessuno dei protagonisti di quel decreto (il decreto Biondi, ndr), che altrimenti l’avrebbero già dichiarato. Sono convinto che Marcello, per il quale ho da sempre un grande affetto e una profonda stima, sarà assolto".
Non è difficile immaginare che la difesa Dell'Utri, così come ha fatto per un'intervista andata in onda su Rai News 24 dopo la sentenza dell'aprile 2018, ne chiederà l'acquisizione in dibattimento.
Sentenza canta.
Al di là dell'esito del processo di Palermo sicuramente non può essere dimenticato quanto è sancito dalla Cassazione. Nelle motivazioni della sentenza di condanna a sette anni per concorso esterno si legge chiaramente che per diciotto anni, dal 1974 al 1992, l’ex senatore è stato il garante “decisivo” dell'accordo tra Berlusconi e Cosa nostra con un ruolo di “rilievo per entrambe le parti: l’associazione mafiosa, che traeva un costante canale di significativo arricchimentol’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica”. Inoltre “la sistematicità nell'erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell'Utri a Cinà (Gaetano Cinà, boss mafioso, ndr) sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all'accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra”.
La Cassazione ha poi evidenziato come “il perdurante rapporto di Dell'Utri con l'associazione mafiosa anche nel periodo in cui lavorava per Filippo Rapisarda e la sua costante proiezione verso gli interessi dell'amico imprenditore Berlusconi veniva logicamente desunto dai giudici territoriali anche dall'incontro, avvenuto nei primi mesi del 1980, a Parigi, tra l'imputato, Bontade e Teresi, incontro nel corso del quale Dell'Utri chiedeva ai due esponenti mafiosi 20 miliardi di lire per l'acquisto di film per Canale 5”.
Inoltre i giudici della Suprema corte, più che di una polizia privata assunta per proteggere sé e la sua famiglia, parlano di un “patto di protezione andato avanti senza interruzioni”. E Dell’Utri era il garante per “la continuità dei pagamenti di Silvio Berlusconi in favore degli esponenti dell’associazione mafiosa, in cambio della complessiva protezione da questa accordata all’imprenditore”.
Ora Dell'Utri ha scontato la pena, seppur nell'ultimo periodo non in carcere, dopo le detenzioni a Parma ed a Rebibbia, ma ai domiciliari per ragioni di salute.
Lo ha fatto mantenendo l'assoluto silenzio. Ora però non si apra quel "processo di beatificazione" solita del popolo italiano che spesso dimentica i fatti ed il peso della storia. Del resto le vicende giudiziarie dell'ex manager di Publitalia non si sono ancora concluse: oltre ad essere imputato al processo Stato-mafia, ed indagato a Firenze per le stragi con lo stesso Berlusconi, è anche sotto processo a Napoli e Milano per la sottrazione di centinaia di libri antichi.

“Assuzioni, raccomandazioni e corruzione”, ecco le accuse al renziano Sammartino. 13 gli indagati.

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Assunzioni in aziende private, raccomandazioni per promozioni o trasferimenti in sanità o partecipate, spintarelle per la rateizzazione di cartelle esattoriali, ma anche l’ipotesi di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio per la liquidazione di un trattamento di fine rapporto. Sono le contestazioni fatte dalla Procura di Catania nell’avviso di conclusione indagine, e contestuale avviso di garanzia, nell’inchiesta per corruzione elettorale notificato al deputato regionale di Italia viva all’Assemblea siciliana, Luca Sammartino. Lo scrive La Sicilia rivelando che ci sono anche altri 12 indagati.
Tra questi, ci sono: il sindaco di Aci Castello, Carmelo Scandurra, per un episodio avvenuto prima della sua elezione; l’assessore di Mascalucia, Nino Rizzotto Salamone; l’ex consigliere comunale di Catania, Giuseppe Musumeci; il consigliere di Militello, Salvatore Cannata Galante; l’ex consigliere comunale di Caltagirone, Alfredo Scozzarella; il consigliere della seconda Circoscrizione di Catania, Giuseppe Damiano Capuano; l’ex consigliere municipale etneo Marco Mirici Cappa.
L’inchiesta coordinata dal procuratore Carmelo Zuccaro, dall’aggiunto Agata Santonocito e dal sostituto Fabio Saponara verte su indagini della Digos della Questura sulla campagna elettorale per le politiche del 2018. Luca politico, recordman delle preferenze alle elezioni regionali del 2017, era candidato alla Camera dei deputati nel collegio uninominale di Misterbianco e ottenne oltre 16mila voti, non sufficienti per essere eletto. Secondo l’accusa avrebbe fatto o promesso i ‘favori’ contestati nell’avviso di conclusione indagini in cambio di voti.
Sammartino in passato è stato indagato dalla Procura di Catania per le Regionali del 2017 in Sicilia nell’ambito di un’inchiesta sulla regolarità del voto espresso da persone anziane di una casa di cura della provincia etnea, ma il fascicolo fu successivamente archiviato.