mercoledì 13 gennaio 2021

Può un uomo che è riuscito a distruggere la sinistra, che ha creato un suo partito che non ha consensi, indagato per presunti reati, decidere di far cadere il governo in un periodo di emergenza sanitaria ed economica?

Se questo succede è perchè abbiamo una legge elettorale che non prevede una stabilità di governo.
Io credo che ciò sia esecrabile e pretendo che venga varata una legge che preveda un governo stabile.
Sono stanca di dover stare in continua ansia e di dover essere massacrata di tasse senza poter vantare neanche un diritto.
Se potessi farlo, mi dimetterei dalla Nazione che mi priva della sensazione di tranquillità che mi trasmette il governo attuale, specie nella situazione precaria che stiamo vivendo, affidando il mio futuro nelle mani di un egocentrico senza scrupoli.
cetta.

La prescrizione unica al mondo. - Piercamillo Davigo

Errore di fondo - Istituto in sé ragionevole, le modalità con le quali viene applicato nel nostro Paese (non ultima la sentenza sulla strage di Livorno) lo rende addirittura dannoso e non riduce i tempi dei processi.

Come accade di frequente in Italia, una pronunzia di prescrizione ha in parte vanificato le attese di giustizia delle vittime e dell’opinione pubblica.

La prescrizione è un istituto in sé ragionevole: se passa troppo tempo cessa l’interesse a ricostruire i fatti, a stabilire torti e ragioni, nel diritto penale a punire (tranne per delitti di estrema gravità che sono imprescrittibili). Nel diritto civile la prescrizione opera però solo fino a quando non inizia un processo, da quel momento cessa di decorrere. Nel processo penale la situazione è diversa e da poco tempo si è cambiata la disciplina.

Nonostante gli strilli sul processo infinito e le richieste di riformare la riforma della prescrizione, l’Italia è uno dei pochi Paesi al mondo ad avere (sarebbe meglio dire ad aver avuto, ma non si sa mai) una prescrizione congegnata in modo irragionevole.

In linea generale tutti i sistemi processuali conoscono la prescrizione, ma di norma è un istituto di diritto processuale, mentre in Italia è di diritto sostanziale, sembra una questione di forma ma non lo è. Le norme processuali si applicano nel testo in vigore al momento della applicazione (tempus regit actum), mentre in diritto penale quelle sostanziali sono retroattive solo a favore del reo. Perciò le modifiche alla prescrizione si applicano e solo se più favorevoli, mentre se di sfavore operano solo per i reati commessi dopo la modifica normativa. Questo spiega perché la legge 9 gennaio 2019, n. 3, che peraltro vale dal 1° gennaio 2020, non poteva operare.

In altri Stati la prescrizione decorre solo fino all’inizio del processo. Per esempio, negli Stati Uniti d’America per felony (cioè quello che noi chiamiamo delitto) la prescrizione è in genere di cinque anni (tranne che per i reati imprescrittibili e salve le differenze fra singoli stati e sistema federale), ma con l’inizio del processo smette di decorrere. In Italia, invece, nel processo penale, la prescrizione continuava a decorrere anche dopo l’inizio del processo.

La Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza 8 settembre 2015, rilevò che il nostro sistema di prescrizione era in contrasto con il diritto comunitario perché impediva l’applicazione di sanzione efficaci, proporzionate e dissuasive in materia di Iva.

La Corte costituzionale segnalò i problemi che quella pronunzia comportava in ragione del nostro diritto nazionale e la Corte di Giustizia tornò sui suoi passi. Ciò non escludeva il rischio che l’Italia fosse sottoposta a procedura di infrazione.

Il criterio di calcolo della prescrizione era semplice: si faceva riferimento a fasce di pena prevista, ma, siccome il sistema penale conosce aggravanti e attenuanti, nel corso del processo se qualche aggravante veniva esclusa o qualche attenuante riconosciuta (soprattutto cambiava il giudizio di comparazione fra le stesse con le attenuanti generiche ritenute prevalenti) improvvisamente la prescrizione si dimezzava.

L’onorevole Edmondo Cirielli, meritoriamente, propose di sterilizzare in parte aggravanti e attenuanti per il computo della prescrizione. La legge 5 dicembre 2005, n. 251 è conosciuta come “ex Cirielli” in quanto, dopo le modifiche nell’iter di approvazione, che di fatto dimezzava i termini di prescrizione, il proponente votò contro e chiese di non chiamarla più col suo nome. Ci fu una strage di processi a carico di colletti bianchi, che se la cavarono con la prescrizione.

Una sentenza di non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione non è una sentenza di assoluzione, anzi se interviene nei gradi di appello e cassazione, talvolta conferma le statuizioni civili, cioè la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni a favore delle vittime e ultimamente in talune ipotesi la confisca.

Per queste ragioni è stata approvata la legge n. 3 del 2019 che blocca il decorso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Gli oppositori di questa legge sostengono che la prescrizione assicura la ragionevole durata del processo. Se fosse vero i processi imprescrittibili (a esempio quelli relativi a delitti puniti con l’ergastolo) non finirebbero mai.

La realtà è che molte impugnazioni sono proposte per due ragioni: differire l’esecuzione della pena (o, se l’imputato è in custodia cautelare sperare nella decorrenza di tali termini) e confidare nel sopraggiungere della prescrizione.

Infatti, sempre per stare all’esempio degli Stati Uniti d’America, la sentenza di primo grado è esecutiva (come da noi la sentenza civile). In Italia invece l’imputato non è considerato colpevole fino a sentenza definitiva di condanna.

L’organizzazione giudiziaria, nel nostro Paese come altrove, è strutturata in modo piramidale: esistono una Corte Suprema di cassazione, 26 Corti d’appello e 139 Tribunali, oltre ai giudici di pace. Un sistema di questo genere può funzionare solo se un numero limitato di processi passa dal primo al secondo grado e dall’appello alla cassazione, altrimenti si blocca. Non solo, ma troppe impugnazioni riducono il tempo che i giudici possono dedicare a ciascun processo, con scadimento della qualità e maggiori possibilità di errori.

La Corte Suprema di cassazione in Italia definisce quasi novantamila processi l’anno (quasi 60.000 penali e la metà civili); quella francese circa mille; quella federale Usa 80, con il quintuplo della popolazione italiana.

Si potrebbe anche ridurre il numero delle impugnazioni. In Italia ai giudici di appello e di cassazione, su impugnazione del solo imputato non è consentito aumentare la pena. Gli avvocati sostengono che hanno il dovere di tutelare il loro assistito con tutti i mezzi che l’ordinamento prevede ed hanno ragione. Si potrebbe aiutarli copiando dalla Francia, dove il divieto di aumentare la pena non c’è.

Non si dica che si violerebbero i diritti umani: lì hanno inventati i Francesi e in Italia è già consentito aumentare la pena in caso di opposizione al decreto penale di condanna.

La prescrizione è rinunciabile dall’imputato. Quando questi è accusato di reati commessi nell’esercizio di pubbliche funzioni, che secondo l’art. 54 della Costituzione dovrebbero essere svolte con disciplina e onore, non ci si dovrebbe attendere che rinunci alla prescrizione o a tali funzioni? Diversamente non si dovrebbero trarne le conseguenze prendendo le distanze da chi se ne avvale?

A proposito: onore a Mauro Moretti che alla prescrizione ha rinunciato.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/13/la-prescrizione-unica-al-mondo/6063850/

Più parla di sé e più sta sulle palle. - Antonio Padellaro

 

Non è nuova la tesi secondo la quale Matteo Renzi stia facendo tutto questo casino per “bisogno di visibilità”. Lo ha ripetuto, lunedì sera a Otto e mezzo, Pier Luigi Bersani, caricando sul leader di Italia Viva il termine “vigliaccata” a proposito della salute degli italiani usata a sproposito per ottenere i soldi del Mes. Ora, se è pur vero che la visibilità mediatica del senatore di Rignano è alle stelle (9.138 citazioni a fronte delle 8.754 del premier Giuseppe Conte) trattasi di una potenza di fuoco che non accresce di un solo decimale la “popolarità” del suo partitino personale, impantanata sotto un malinconico 3 per cento. Alla luce di questi numeri si potrebbe dedurre che il Rottamatore stia rottamando il principale postulato della civiltà dell’immagine (politica e non). Ovvero: parlate male di me purché parliate di me. Coniato sull’idea che la peggiore iattura che possa capitare a un essere umano sia quella di essere ignorato dai propri simili.

Ma, come è noto, Renzi è anche un innovatore e gli va perciò dato atto di avere creato, empiricamente, le basi per un secondo postulato. Ovvero: più parlo (parlate) di me e più sto sulle palle a tutti. Con un’eccezione (anche Carlo Calenda sta sulle palle a molti, pur tuttavia nei sondaggi cresce al 4 %) e un paio di corollari. Primo: provocare la crisi di governo con il Paese messo in ginocchio dalla pandemia avrebbe lo stesso effetto sulle persone di un tale che, poniamo, giura solennemente sul suo immediato ritiro della politica se perde il referendum (come è andata a finire si sa). Secondo: si può considerare la reputazione più importante dei voti, o viceversa, ma perdere l’una senza neppure avere gli altri è da bischeri (scusate il toscanismo). Esiste una terza ipotesi: che Renzi abbia deciso di sacrificarsi e di farsi esplodere, come Pietro Micca, per il bene supremo del Paese. Adesso però non c’è bisogno di ridere.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/13/piu-parla-di-se-e-piu-sta-sulle-palle/6063842/

E adesso, pover’uomo? - Marco Travaglio

 

Non so come sia finita in Consiglio dei ministri e me ne frega il giusto. Ieri, ogni volta che mi mettevo a scrivere, dai laboratori di Italia Virus fuoriusciva una flatulenza opposta a quella di un minuto prima. Prima il ritiro delle ministre-ostaggio Bellanova&Bonetti. Poi il ritiro del ritiro delle ministre. Poi l’annuncio di una conferenza stampa oggi sul ritiro del ritiro del ritiro delle ministre. La gag “Tiritiritu? Tarataratà”, peraltro rubata a Leone Di Lernia, potrebbe anche essere simpatica, se non fossimo in mezzo alla strage più drammatica del dopoguerra (ieri altri 616 morti) e se gli italiani bramassero una bella campagna elettorale anziché una buona campagna vaccinale. Quindi ho smesso di seguire la farsa, un po’ per questioni igieniche, un po’ perché avevo da fare. E ho pensato che ce la saremmo risparmiata se fin dalla prima minaccia (cioè a inizio dicembre) il Pd tutto si fosse associato a M5S e LeU in una dichiarazione ufficiale e solenne: “Caro Matteo, il ritiro delle tue ministre non sarebbe una gran perdita: ce ne faremo una ragione. Ma, dopo, non faremo mai più un governo con te e il tuo partitucolo. Stacci bene”. Invece le quinte colonne renziane che infestano il Pd hanno continuato a usarlo, vezzeggiarlo, legittimarlo, mandarlo avanti a dire ciò che pensavano loro. Intanto facevano uscire sui giornaloni fantomatici rimpasti, nuovi governi, doppi giochi di Di Maio e cedimenti di Conte su tutta la linea. Come se il padrone della legislatura fosse il Pd, che ha perso tutte le elezioni da quando è nato, nel 2018 ha subìto la più cocente sconfitta della sua storia e nel 2019 è tornato al governo e all’onor del mondo per tripla grazia ricevuta: il suicidio di Salvini, l’invito dei 5Stelle, la credibilità di Conte. Poi, aperto il vaso di Pandora, i doppiogiochisti non sono più riusciti a chiuderlo e si sono spaventati.

Per loro fortuna l’Innominabile, noto ai tempi d’oro per portare fortuna a se stesso e sfiga all’Italia, ora porta sfiga a se stesso e fortuna all’Italia. Aveva scommesso sulle riaperture, e ora persino i presidenti di Regione vogliono chiudere. Aveva scommesso sul governo incapace che non riesce a liberare i pescatori in Libia, e non aveva ancora finito di dirlo che erano liberi. Aveva scommesso sulle provocazioni a Conte per fargli saltare i nervi e addossargli la colpa della crisi, e Conte s’è morso la lingua per lasciarlo litigare da solo. Aveva scommesso sulla sponda di Zinga e Di Maio, invece “lo hanno rimasto solo”. Aveva scommesso sul flop dei vaccini, e l’Italia è prima in Europa. Aveva scommesso sulla minaccia di ritirare le ministre, come ai bei tempi su quella di lasciare la politica, e ha scoperto che anche stavolta la minaccia era una speranza.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/13/e-adesso-poveruomo/6063817/

Recovery: via libera del Cdm. Astenute le due ministre Iv. Ora lo spettro della crisi. - Michele Esposito e Serena Mattera

 

Palazzo Chigi, se Iv si sfila impossibile nuovo Governo con lui. Renziani verso lo strappo, Conte pronto alla sfida in Aula.


Il Recovery Plan italiano c'è, il governo Conte-bis, fra una manciata d'ore, potrebbe non esserci più. Il Consiglio dei ministri notturno sul Piano di ripresa e resilienza certifica lo scontro totale tra il premier Giuseppe Conte e Matteo Renzi.

"Se non ci sarà il Mes le ministre di Iv si asterranno", annuncia l'ex premier in tv. E il piano passa infatti con l'astensione delle ministre Teresa Bellanova e Elena Bonetti. La conferenza stampa convocata da Renzi nel pomeriggio alla Camera potrebbe certificare l'addio di Iv al governo. "Decidiamo in mattinata e poi lo comunicheremo alla stampa", annuncia il senatore.

I margini di trattativa, dopo il Cdm, si assottigliano ulteriormente. Se nel pomeriggio fonti di maggioranza evocavano ancora la possibilità di un vertice tra i leader per una ricucitura e, prima di entrare a Palazzo Chigi, Vincenzo Spadafora vedeva ancora le "condizioni per gesti di responsabilità", alla fine della riunione l'impressione è che non restino molti margini per ricompattare la maggioranza. Tanto che continuano a circolare voci e 'conteggi' sui possibili "responsabili" pronti a prendere il posto di Iv al Senato: si accredita l'uscita di 4 senatori dal gruppo di Renzi e ben 8 da Forza Italia. E' sul Mes intanto che si consuma l'ultimo scontro tra Iv, Conte e gli altri partiti alleati. Le ministre renziane definiscono "incomprensibile" la rinuncia al fondo salva-Stati, lamentano ritardi sulle urgenze del Paese e sui nuovi ristori. "Il Mes non è compreso nel Next Generation, non è questa la sede per discutere il punto", è la replica di Conte, che invita a "non speculare sul numero dei decessi in Italia per invocare l'attivazione del Mes", con "un accostamento che offende la ragione e anche l'etica".

Subito dopo è Roberto Gualtieri a intervenire."Il Mes non ha "nulla a che vedere con il programma Next Generation Eu" e anche se si decidesse di attivarlo, "non avremmo a disposizione risorse per investimenti aggiuntivi", spiega il ministro dell'Economia. "Il Mes non c'entra, non c'è ragione per astenersi", è il concetto che sottolineano a loro volta Francesco Boccia e Enzo Amendola. Mentre il ministro della Salute, Roberto Speranza, ricorda quanto fatto per contrastare la pandemia, anche in termini di risorse. Il confronto viene descritto assai teso, lo strappo di Iv non rientra e le ministre si astengono. Ma Cdm terminato, Gualtieri esulta: "E' stato un gran lavoro, più importante d'ogni polemica. Ora via al confronto in Parlamento e nella società". Fra poche ore, però, potrebbe essere la crisi di governo a dominare nella politica italiana. Non a caso Conte decide di correre e convoca un doppio Cdm, uno in serata sul nuovo dl anti-Covid (con lo stato di emergenza che potrebbe essere prorogato al 30 aprile), l'altro giovedì sul nuovo scostamento per i ristori di gennaio. Tentando così di mettere in cassaforte i provvedimenti più cruciali per il Paese in questo momento. Poi, se le ministre di Iv si dimetteranno, per il premier si potrebbe davvero aprire la strada della conta e del sostegno dei Responsabili. "Sarà un governo Conte-Mastella e noi saremo all'opposizione o un esecutivo diverso", attacca Renzi.

"Ci sono delle forze che vogliono contribuire nel segno di un rapporto con l'Europa e penso che al momento opportuno queste forze possano palesarsi", è la previsione ribadita da Goffredo Bettini, gran tessitore di questi giorni di pre-crisi. Mentre al premier, e al suo argine a un Conte-ter se Iv si sfilasse nelle prossime ore, una sponda arriva da Romano Prodi. "Conte ha fatto bene. A me sembra che Renzi abbia assolutamente lo stesso obiettivo di Bertinotti (nel Prodi I, ndr), cioè rompere", spiega l'ex presidente del Consiglio. E il dado della crisi, ormai, sembra davvero tratto.

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2021/01/11/renzi-approviamo-recovery-ma-spendiamo-bene-soldi_1a2da47d-1bd1-4e9a-902b-0139c28980d2.html

Liguria, il pasticcio della giunta Toti sui ristori: nell’elenco di beneficiari un centinaio di attività fallite, doppie o chiuse da anni. - Paolo Frosina

 

In ballo ci sono oltre 7 milioni che la Regione vorrebbe dividere tra 6.300 piccole imprese. Ma Pd e M5s denunciano: "La presenza di attività cessate e/o inattive riduce l'aspettativa dell’ammontare destinato alle imprese bisognose". Anche Forza Italia presenta un'interrogazione. La replica dell'assessore: "Fase di puro screening, poi l'elenco verrà scremato". La Camera di Commercio: "Contatteremo le aziende una per una, fondi solo dopo autocertificazione".

C’è il Vanilla, discoteca genovese un tempo assai in voga tra i giovanissimi, chiusa dai primi anni Duemila. Ci sono il teatro Cantero di Chiavari, fuori uso da inizio 2018, e la pizzeria ‘La Capannina’, sul lungomare di Ventimiglia, che non si chiama più così da un decennio. Sono oltre un centinaio i bar, ristoranti, palestre, centri benessere, locali da ballo, cinema e teatri liguri che, pur avendo cessato l’attività, compaiono nell’elenco dei potenziali beneficiari dei fondi del decreto Ristori quater, approvato il 23 dicembre scorso dalla giunta guidata da Giovanni Toti. Una torta da 7 milioni e 750mila euro che la Regione vorrebbe dividere tra 6.300 piccole imprese: quelle di “prima classe”, che nella seconda ondata sono rimaste chiuse, ne porteranno a casa 3mila a testa, quelle di “seconda classe”, che hanno subito “restrizioni parziali”, appena mille. Quest’ultima somma, poi, è riservata a una platea ristretta: bar e ristoranti otterranno il bonus solo se impiegano non più di un addetto, catering, agenzie di viaggio e organizzatori di eventi non devono averne più di nove.

Eppure, scorrendo l’elenco allegato alla delibera di giunta, si trova di tutto. Imprenditori falliti o con licenza ritirata, centri massaggi durati lo spazio d’un mattino, cinema di quartiere che non esistono più. Addirittura, in vari casi, le attività passate di mano compaiono due volte, con la nuova ragione sociale e con la vecchia: per esempio una sala giochi di Rapallo, registrata allo stesso indirizzo come “Kursaal Star Casinò srl” e “New Kursaal Srl”, o una storica sala a luci rosse di Genova, presente sia come “Cinema Eldorado di Baglietto Sabrina” che come “Cinema Eldorado di Vincenzo di Vara”. In teoria, entrambi hanno diritto al ristoro. Ma a chi si deve imputare il pasticcio? La lista approvata dalla Regione è quella fornita dalla Camera di Commercio di Genova, scelta come soggetto attuatore della misura. “Non spetta a noi cancellare le imprese inattive dal registro, devono essere loro a fare domanda”, spiega il segretario generale Maurizio Caviglia, raggiunto da Ilfattoquotidiano.it. “Poiché i tempi sono stretti, la giunta ci ha chiesto gli elenchi delle attività raggruppate per codici Ateco (che identificano il settore economico, ndr), per avere un’idea di quanti sarebbero stati i beneficiari. Ma è un elenco dinamico, non statico: contatteremo le aziende una per una, ed erogheremo i fondi soltanto dopo autocertificazioneDichiarare il falso è un reato che, immagino, nessuno vorrà commettere per mille euro”, chiosa.

Nel frattempo, però, le opposizioni hanno buon gioco a cavalcare il paradosso: Pd e Movimento 5 Stelle hanno presentato sulla questione due diverse interrogazioni in consiglio regionale. Ripulendo gli elenchi dalle imprese-fantasma, è il ragionamento, si potrebbe ampliare la platea dei beneficiari o aumentare l’entità dei rimborsi. “Toti sui giornali chiede ristori certi e immediati per le attività colpite – attacca il capogruppo M5S Fabio Tosi –, ma nel frattempo li vuole destinare a imprese chiuse anche da dieci anni. Le lezioncine al governo, in particolare dopo questa vicenda, suonano inaccettabili”. “La presenza di attività cessate e/o inattive nell’elenco delle imprese beneficiarie dei ristori riduce l’aspettativa dell’ammontare destinato alle imprese realmente bisognose, inducendo a previsioni errate nella programmazione del futuro della propria attività imprenditoriale”, scrivono invece i consiglieri Pd, chiedendo “quali saranno i criteri utilizzati per escludere esplicitamente dal novero dei beneficiari le ditte in posizione inattiva”. I dem suggeriscono, poi, di inserire al loro posto “quelle categorie che sono state ingiustamente escluse, come i circoli ricreativi, che spesso rappresentano gli unici centri di aggregazione in piccoli comuni o quartieri periferici”. Ma per la Camera di Commercio, in ogni caso, non c’è il rischio che avanzino fondi: “Le imprese cessate, non più di 150, saranno sostituite da altre imprese che per i motivi più vari non sono rientrate nel primo elenco, pur avendone diritto, e hanno presentato domanda. La platea rimarrà invariata”, assicura il segretario Caviglia.

Una versione identica la fornisce l’assessore regionale allo Sviluppo economico, Andrea Benveduti: “In una fase successiva alla prima di puro screening, verrà scremato il numero delle imprese da quelle che sono sì iscritte, ma che non sono più in attività, o non come lavoro primario. E compensato da quelle che, pur avendo i requisiti, non figurano erroneamente in elenco”. Ma richieste ufficiali di chiarimenti arrivano persino dalla maggioranza: in un’altra interrogazione, il capogruppo di Forza Italia Claudio Muzio invita la giunta “a una puntuale verifica delle liste di assegnatari”, sollecitando “iniziative urgenti per garantire che i danari pubblici vadano a beneficio di attività non cessate e aventi quindi pieno titolo per il ristoro”. “Solo tra i beneficiari di Ventimiglia ho notato una decina di esercizi chiusi da anni, tra cui un ristorante a cui avevo personalmente dato lo sfratto”, racconta al Fatto.it il consigliere Pd Enrico Ioculano, ex sindaco della città di confine. “È grave che la giunta approvi senza verifiche elenchi non aggiornati, e non si capisce perché il lavoro di scrematura non potesse essere fatto prima”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/13/liguria-il-pasticcio-della-giunta-toti-sui-ristori-nellelenco-di-beneficiari-un-centinaio-di-attivita-fallite-doppie-o-chiuse-da-anni/6063136/

martedì 12 gennaio 2021

Conte alla rovescia. - Marco Travaglio


I retroscena del Giornale Unico, sempre più simili alle “bombe di Mosca” al processo di Biscardi, danno per certo uno sbocco “pilotato” della crisi di governo che più ridicolo non si può: Conte si dimette dopo l’approvazione del Recovery Plan, perché Bettini ha parlato con l’Innominabile, che gli ha garantito l’appoggio a un “Conte-ter”, dunque c’è da fidarsi. Dopodiché 5Stelle, Pd, LeU e Iv si siedono al tavolo per spartirsi i ministeri all’insegna di un “riequilibrio” in base a fantomatici “nuovi rapporti di forze”. Magari con Orlando e Di Maio vicepremier, e/o Bettini sottosegretario a Palazzo Chigi, e tre ministri Iv al posto di due, compresi la Boschi, Rosato e magari pure l’Innominabile (sempreché vinca la naturale ritrosia alle “poltrone”). In cambio di queste radiose prospettive, Conte cederebbe la responsabilità sui Servizi (che gli spetta per legge) e rinuncerebbe alla fondazione sulla cybersicurezza (e ai 2 miliardi che l’Ue ci mette a disposizione). Così Messer Due Per Cento, ora isolato all’angolo, potrà resuscitare e cantare vittoria (“Mi han dato ragione su tutto, quindi avevano torto tutti gli altri”). Poi ricomincerà subito a ricattare e minacciare il nuovo governo sul Mes, il ponte, la prescrizione, il rapporto Barr e altre puttanate prêt-à-porter.

Ora, può darsi che Conte sia così fesso da accettare questo suicidio: nel qual caso, peggio per lui. Ma siccome a noi importa poco delle sorti dei singoli e molto di quelle dell’Italia, rivolgiamo qualche domandina facile facile agli strateghi di questa ideona. 

1. Gli italiani quale beneficio ne trarrebbero? 

2. Perché mai un premier che ha sempre teorizzato e praticato la parlamentarizzazione delle crisi, dovrebbe dimettersi senza essere stato sfiduciato dalle Camere? 

3. Chi può fidarsi della parola di un bugiardo matricolato, detto il Bomba fin dalla più tenera età, che in vita sua ha sempre fregato chiunque avesse stretto accordi con lui? 

4. Che senso ha buttare giù un governo che gode della fiducia del Parlamento per farne un altro con la stessa maggioranza? 

5. Hanno idea, i giallorosa, di quanti voti regalerebbero alle destre con qualche settimana di mercato delle vacche su ministri, viceministri e sottosegretari mentre gl’italiani pensano al virus, ai vaccini, alle aziende chiuse, ai posti di lavoro in fumo? 

6. Lo sanno lorsignori, 5Stelle in primis, che l’Innominabile e la Boschi sono indagati per illecito finanziamento e, quando finirà l’inchiesta Open, rischiano di diventare imputati? E che il Conte 2, come l’1, vantava il raro pregio di non avere ministri inquisiti? E che Conte ha cacciato dal governo gialloverde il sottosegretario Siri perché indagato in uno scandalo di soldi? 

7.Quale mente malata può pensare di rimpiazzare una ministra competente come Lamorgese con un Rosato o una Boschi, fra l’altro molto più molesti e destabilizzanti di quanto oggi non siano la Bellanova e la Bonetti? 

8. Per quale strano algoritmo un partitucolo del 2 virgola qualcosa per cento dovrebbe avere tre ministeri, mentre l’equivalente LeU ne ha uno solo (Speranza)? 

9. Chi l’ha detto che è meglio farsi ricattare per tutto il resto della legislatura da quel pelo superfluo, anziché cercare in Parlamento i voti necessari per liberarsene per sempre? 

10. Perché mai, in una democrazia parlamentare con sistema proporzionale, i voti di quei “transfughi” (purché gratuiti, diversamente da certi “responsabili” di B.) sarebbero più indesiderabili di quelli di Iv, tutta formata da transfughi dal Pd, da FI, da LeU, dall’Udc e dal M5S?

La via maestra è una sola: quella costituzionale. Conte non ha alcun motivo di dimettersi, a meno che non venga sfiduciato dal Parlamento. Ed è improbabile che ciò accada, sempreché M5S, Pd e LeU dicano la verità quando assicurano che, se cade lui, si vota. Ergo, non sono disponibili ad altre formule con altri premier. Nel qual caso altri governi non ne possono nascere perché non avrebbero la maggioranza. Basterà dunque tenere il punto “O Conte-2 o elezioni” per indurre i “responsabili gratuiti”, cioè interessati soltanto a completare la legislatura, a uscire allo scoperto nel voto di fiducia, quando Conte lo chiederà in Parlamento. Senza neppure l’imbarazzo di contattarli prima. Lì tra l’altro si vedrà quanti di Iv seguiranno il loro capetto al macello, o se se ne sganceranno all’ultima occasione utile. Così l’Innominabile e i suoi quattro guastatori andranno a cuccia fino alle elezioni del 2022, data della loro agognata estinzione.

Se invece qualcuno gioca sporco – e una parte del Pd che ancora tiene bordone all’Innominabile ne è gravemente indiziata – quella sarà l’occasione per smascherarlo in Parlamento. Il governo cadrà, Conte andrà a casa (tanto un mestiere ce l’ha) e chi avrà licenziato “il politico più popolare d’Italia per darla vinta al più impopolare” (copyright D’Alema) lo spiegherà ai suoi eventuali elettori, se troverà le parole. Noi ci ciucceremo per qualche mese un’ammucchiata con Pd, FI, Iv, Calenda e frattaglie poltroniste di Lega e M5S guidata dai premier preferiti dai giornaloni (Cottarelli, Cartabia, Amato, Cassese, robe così: Draghi non è fesso). Una sbobba talmente immangiabile che molta gente urlerà: “Ridateci Conte”. E lo costringerà a tornare in pista, come capo dei 5Stelle o di una lista al loro fianco. Allora sì che ci sarà da divertirsi. Perché si voterà prima che gl’italiani si scordino chi ha fatto cosa.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/12/conte-alla-rovescia/6062543/