giovedì 20 novembre 2025

SE LEGGENDO NON VI INCAZZATE, NON STATE CAPENDO. - Il Fatto Quotidiano Da Themis & Metis

 


Avvertite Miranda Priestly, il più elegante dei personaggi interpretati da Maryl Streep: il Diavolo veste ministero delle Riforme istituzionali.

E scrive pure con una ricca dotazione di penne ministeriali, non prima di essersi spalmato le mani con la miglior crema fornita dalla Farnesina.
È ora di capirci qualcosa: da quando si è insediato, il governo Meloni ha investito oltre 3 milioni di euro in gadget di vario tipo da distribuire a fiere ed eventi per promuovere il proprio lavoro. O il proprio brand, in pieno stile Open to Meraviglia. Questa ricca produzione riguarda gli articoli più svariati, dalle penne alle magliette fino alle borse e i cappellini.

Tralasciando l’oggettistica a uso interno e considerando solo i gadget da distribuire, nel 2025 i ministeri hanno finora investito oltre mezzo milione.

Il #Fatto aveva già raccontato le avventure del ministero delle Riforme di Elisabetta Casellati, che ha iniziato con le shopper e ha finito con mille t-shirt personalizzate con scritta e logo del dipartimento.
Quasi 16 mila euro di gadget.

Ma un po’ tutti vogliono la propria parte. La Farnesina, per esempio, ha destinato 9 mila euro per l’acquisto di “gadget celebrativi per il 60esimo anniversario delle relazioni diplomatiche Italia-Singapore”.
Altri 4 mila euro sono serviti per “50 kit vino, 500 quaderni, 100 borse di tela e 50 zaini” da distribuire a un evento, mentre per la Festa della Repubblica il ministero di Antonio Tajani ha pensato a “1.002 creme da mani” da regalare agli ospiti della cerimonia.
Costo: 12 mila euro.

È il fascino dei gadget.

Che colpisce pure il ministero della Cultura, che in solo affidamento ha acquistato 22 mila euro di articoli, il ministero dell’Istruzione (per “prodotti e gadget con il logo del ministero”, 67 mila euro) e persino l’austero Mef di Giancarlo Giorgetti, che si è lasciato andare a un’infornata da 64 mila euro.

Penne, Magliette, borse e quant’altro.
Andando al 2024 il conto per i gadget è ancora più alto, intorno al milione di euro. E qui la voce grossa la fanno in due: il ministero dell’Agricoltura di Francesco Lollobrigida, che si è dato da fare con un affidamento da 77 mila euro per promuovere il suo dicastero; e il vicepremier Matteo Salvini, 119 mila euro per prodotti brandizzati.

Se si aggiungono i quasi 900 mila euro del 2023 e gli scampoli di 2022, si arriva ai 3 milioni di cui sopra nell’arco dei tre anni di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi.

Oltre ai ministeri già citati,
il Viminale non fa mancare oggettistica della Polizia di Stato. Per esempio, nel 2023 ha distribuito ben 40 mila “agendine scolastiche personalizzate”, al costo di 90 mila euro.

Per chi volesse cambiare genere, c’è poi il Dipartimento Casa Italia di Palazzo Chigi, più frugale ma fantasioso.
La scorsa estate, all’interno di un affidamento da 5 mila euro, ha commissionato vari articoli tra cui “shopper in cotone 140 grammi con manici lunghi e soffietto”, “portachiavi a forma di casa”, “salvadanaio in forma di casa, in plastica”,
“mouse pad per sublimazione con superficie in poliestere e gomma sul fondo”.

Messa tutta insieme, ce n’è per mettere su una multinazionale:
dal tessile alla cancelleria. Testimonial, i ministri.

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CROSETTO DOUBLE FACE - Marco Travaglio

 

Non so se avete letto attentamente quel che dice il ministro Crosetto nel rapporto presentato lunedì al Consiglio Supremo di Difesa: l’Italia e l’Ue devono continuare a prosciugare le proprie casse e i propri arsenali per Kiev come se non ci fosse un domani, ma si sa che è tutto inutile, anzi ogni giorno che passa è un vantaggio per la Russia e un danno per l’Ucraina. Dopo 45 mesi di guerra, centinaia di migliaia di morti, 300 miliardi buttati e vari negoziati sabotati da Nato&C., Crosetto scopre che la “resistenza si traduce principalmente in una capacità di ‘guadagnare tempo’, senza riuscire verosimilmente a generare le condizioni per riconquistare i territori occupati o invertire in modo significativo l’andamento del conflitto”.

Non solo: “Mentre ogni ferito, caduto, giorno di combattimento conta e pesa tanto per l’Ucraina quanto per le opinioni pubbliche dei Paesi che la sostengono, la leadership russa sembra dare scarso peso al fattore tempo e al costo umano”. Ma va? Alla buon’ora: se avesse dato retta a Orsini, Mini, Basile, Spinelli, Caracciolo, Gaiani, Cacciari e pochi altri, l’avrebbe scoperto 45 mesi fa, risparmiando miliardi (nostri) e vite (ucraine). Ma, anziché scusarsi per aver sbagliato tutto e aver dato del putiniano a chi le azzeccava tutte, Crosetto contraddice platealmente la premessa: bisogna “continuare ad aiutare Kiev” e censurare vieppiù con apposita task force le “fake news ibride” (cioè le notizie vere).
Oggi l’unico “aiuto” sarebbe costringere Kiev a negoziare, rinunciando ai territori perduti e proteggendo con garanzie quelli rimasti. Cioè smetterla di finanziare la guerra e disintossicare Zelensky&C. dalle droghe della propaganda. Altro che sborsare altri 135,7 miliardi nei prossimi due anni, come chiede Zelensky spalleggiato dal duo Ursula&Kallas, per “guadagnare tempo”, cioè perdere altri uomini e territori fino al 2027. Già, perché questi pazzi criminali danno per scontati altri 24 mesi di guerra.
E meno male che a fregarsene dei “costi umani” è Putin: i nuovi morti inutili dei prossimi due anni chi li avrà sulla coscienza? E se di qui al 2027 uno dei tanti trucchetti ucraino-polacco-baltici per trascinare la Nato direttamente in guerra con attacchi sotto falsa bandiera (false flag) tipo la bomba ai gasdotti affibbiata a Mosca, i missili ucraini in Polonia spacciati per russi, il falso attentato all’aereo della Von der Leyen, i droni riassemblati con scotch e fil di ferro e spediti in Polonia, la casa abbattuta da un missile polacco gabellato per un drone russo, andasse a segno? In questo horror senza fine, l’unica buona notizia è che Usa e Russia trattano in segreto per chiudere la guerra. A questo ci hanno ridotti i nostri sgovernanti: al “meno male che Trump c’è”.

lunedì 17 novembre 2025

SE LO DICE UN EX GENERALE DELLA NATO … “MAI DISCUTERE CON UN IMBECILLE: PRIMA TI TRASCINA AL SUO LIVELLO E POI TI FREGA CON L’ESPERIENZA”.

 

La situazione degli ucraini è disastrosa. Stanno perdendo la guerra. Il loro capo supremo Zelensky ha probabilmente accumulato miliardi all’estero ma continua a chiedere che migliaia di soldati si immolino per gli interessi americani. Sembra che la guerra possa continuare almeno per un anno se qualcuno, cioè quei “bischeri”dei volenterosi, sgancino 360 miliardi. Il Generale Mini, ex comandante Nato, riporta un detto che trovo sublime: “Mai discutere con un imbecille: prima ti trascina al suo livello e poi ti frega con l’esperienza”. Il problema ora è capire chi sia l’imbecille. L’imbecille è colui che prova a spillarti 360 MILIARDI e trova una massa di capi di stato, inclusa la nostra Meloni, che pagano tutti i soldi che gli vengono chiesti dal boss americano mettendo in ginocchio l’economia europea ? Imbecilli sono coloro che pur vedendosi ridotto il benessere continuano a credere a dei bugiardi seriali che non hanno realizzato una singola promessa del loro programma elettorale? Oppure imbecilli siamo noi che ci incazziamo vedendo le tante cose che non vanno e comprendendo che quello che sta facendo chi è al governo non le migliorerà di una virgola? O imbecilli sono coloro che hanno smesso di andare a votare lasciando che chi comanda faccia tutte le porcherie del mondo?
FABIO MINI – IL FATTO – 06.11.2025
L’impressione che la guerra in Ucraina stia volgendo al termine è forte. Gli aiuti occidentali previsti o promessi non sono più sufficienti a salvare l’Ucraina. Zelensky ha chiesto altri 360 miliardi per continuare la guerra ancora un anno. Le sue infrastrutture energetiche non riusciranno a sostenerla nemmeno per questo inverno. La Russia avanza e le sue truppe stanno chiudendo le sacche in cui sono intrappolati migliaia di soldati ucraini, in pratica quasi tutti quelli ancora impiegati al fronte. Falliscono miseramente i tentativi di impedire la chiusura di altre sacche con commando ed elicotteri. Sono il segnale della disperazione piuttosto che della speranza. Le forze speciali ucraine sono gestite dagli inglesi, si muovono su elicotteri americani e forse hanno tentato di estrarre dalle zone occupate qualche importante personaggio, piuttosto che i soldati. In ogni caso ben due missioni nel giro di poche ore sono fallite e tutti i membri dei commando sono stati eliminati dai droni russi che evidentemente sapevano dove colpire. Gli Stati Uniti nicchiano sui missili Tomahawk e intanto forniscono agli ucraini i dati sugli obiettivi continuando nel coinvolgimento diretto nel conflitto. Zelensky appare in preda al panico. Circolano le sue immagini con l’elmetto circondato da comandanti militari turbati ma ossequiosi come si conviene a militari di fronte al Commander in Chief che viene a sollecitare il loro senso del sacrificio, per la Patria. In Ucraina, e non solo, a quelle immagini non crede più nessuno, un po’per nausea da assuefazione un po’perché il Comandante in capo è diventato tale a suon di sceneggiature. Chi lo manovrava sul set televisivo è ora lo sceneggiatore presidenziale, i militari turbati che lo circondano non prendono ordini da lui, ma dai loro alleati occidentali, lui stesso è ostaggio dei suoi sponsor europei e degli oligarchi che in tempo di “saldi”lo vogliono “saldo” al potere. E alla patria di Zelensky nessuno associa più l’Ucraina, ma i luoghi dei depositi dove si trovano i miliardi che non rispondono all’appello dei contabili americani e nemmeno del ragioniere sotto casa. La finzione sta prevalendo sulla realtà. L’Intelligenza artificiale su quella naturale che ormai è esaurita. Da parte sua, la Russia continua quasi imperterrita sulla strada dell’Operazione Militare Speciale (Oms). Un eufemismo adottato quando credeva veramente che sarebbe stata un’operazione temporanea a fini e obiettivi limitati sul piano militare. Un’operazione che doveva assistere quella diplomatica concentrata sui negoziati e sulla ricerca di un consenso internazionale che controbattesse lo schieramento antirusso occidentale. L’Operazione Diplomatica Speciale (Ods) modulava quella militare e non viceversa. Fino a quando la prospettiva diplomatica appariva possibile le truppe frenavano anche a costo di figuracce. Quando essa iniziava a perdere efficacia quella militare aumentava d’intensità. Guidata da un diplomatico di lungo corso che è rimasto alla guida del suo ministero anche quando i responsabili militari venivano drasticamente sostituiti, l’Ods ha ottenuto dei grandi successi in campo internazionale essenzialmente perché si è posta su un piano diverso dal conflitto sul campo. Il suo obiettivo non è la soluzione del conflitto ma la ripresa delle relazioni con gli Stati Uniti, la garanzia della propria sicurezza e dei propri interessi nel mondo e non soltanto in Europa. La Cina, il colosso che dovrebbe essere il prossimo nemico statunitense e occidentale, è con la Russia e così tutti gli altri Stati dei tre quarti del mondo suoi clienti e fornitori. Gli Stati Uniti parlano e trattano con la Russia come non accadeva da anni, anche se in maniera altrettanto ambigua e lingua biforcuta come i precedenti approcci di Clinton, Bush, Obama e lo stesso Biden hanno dimostrato. Parlano di guerra in Ucraina, ma pensando al dopo e altrove e se non ci fosse la guerra in Ucraina probabilmente non avrebbero alcun pretesto per parlarne ora a quattr’occhi. L’Ods tiene aperto il conflitto perché ora è il momento migliore per trattare sulle armi nucleari strategiche, sulle sanzioni, sulle regole d’ingaggio nel mondo, sui cambi di regime, sugli interessi reciproci e sulle nuove partite da giocare con somma diversa da zero. L’Ods va avanti da decenni e non finirà con la fine dell’Ucraina. Ha incontrato parecchi ostacoli, molti per errori interni e altri per quelli esterni, ma un elemento che impedisce il raggiungimento di obiettivi più durevoli è la difformità degli interlocutori. La Russia, ancorata al concetto del diritto internazionale e agli equilibri di potenza stabiliti dalle Nazioni Unite, ha applicato alla perfezione i metodi statunitensi di ignorare il diritto e gli equilibri quando questi non favoriscono gli interessi nazionali. A ogni cambio di interlocutori americani ed europei, la Russia ha dovuto cominciare da capo spiegando cosa siano il diritto internazionale, la diplomazia e gli interessi superiori sul piano globale. Ha trovato sempre gente con la bocca spalancata e niente da dire, ma sufficientemente arroganti da non voler capire. Così continua a trovarsi davanti degli ignari che se ne fregano degli interessi globali e duraturi e si concentrano su quelli locali e transitori. Locali in tutti i sensi: ristretti fra quattro mura e temporanei fino a che dura un mandato elettorale. Tuttavia ciò che disturba maggiormente la Ods non è il fatto di avere a che fare con degli ignoranti, o dei tangheri che in missione diplomatica in zona di guerra vanno a suonare e cantare nei pub, o dei perfetti imbecilli. Gli ignoranti e i tangheri si possono educare e istruire mentre con gli imbecilli è sufficiente non parlarci proprio, come insegna un antico adagio: “Mai discutere con un imbecille: prima ti trascina al suo livello e poi ti frega con l’esperienza”. La cosa peggiore per la Ods è avere interlocutori che pur conoscendo le forme e la sostanza della discussione si lasciano sedurre dalle fandonie o dalle ideologie perverse. Interlocutori un tempo ammirati per cultura e ragionevolezza sono ora prigionieri di vecchi schemi, maestri del linguaggio forbito si dedicano ora agli insulti gratuiti. Questo è per l’Ods un tradimento non della Russia ma dell’intelligenza. L’Italia si trova in questa infelice situazione e non è più rispettata come un tempo. Nemmeno da quelli che ne accarezzano i leader come se fossero cagnolini e che sono così affascinati dalla sua storia e dalle sue bellezze da chiedere alle guide turistiche di poter visitare le “riserve” degli Etruschi, come se fossero le riserve dei pellirosse. L’Ods ha tuttavia un elemento di vulnerabilità: la mutazione della conoscenza e dell’esperienza in arroganza. La cinica osservazione della Zackarova, pilastro della Ods, sullo spreco dei soldi italiani nelle armi per l’Ucraina a scapito della salvaguardia del patrimonio culturale non è solo di cattivo gusto, è arroganza ed è un colpo basso per l’intera Ods. È grazie a questa operazione che la Russia ha potuto riaffermare il proprio legittimo ruolo globale e meritare il rispetto e il sostegno di tre quarti del mondo. Ma si trova ancora a dover combattere contro i pregiudizi del cosiddetto mondo occidentale, a dover difendere la propria immagine istituzionale dai peggiori attacchi mai subiti da altre nazioni sovrane. L’uscita della Zackarova non aiuta l’Ods e lei se la poteva e doveva risparmiare.

MA MI FACCIA IL PIACERE di Marco Travaglio.

 

Tatuiamoci e partite.
“Ci sono battaglie che segnano epoche e cambiano il corso della storia. La guerra in Ucraina e quello che stanno facendo gli ucraini per la loro e per la nostra libertà è una di quelle.
Per questo ho deciso di tatuarmi il tryzub, ovvero il tridente simbolo del principato di Kyiv che preesiste a quello di Mosca.
Non pensavo di scatenare tutte queste reazioni, ma se la Russia ha paura di un tatuaggio (Carlo Calenda, leader Azione, Rai3, 10.11).
Ultim’ora: accanto al tridente, Calenda si tatua un water d’oro.
Non avrai altro pirla.
“Pensavo di essere l’ultimo pirla che si era fidato di Renzi, non ero l’ultimo e questo mi rassicura” (Calenda, 31.7.24).
“Caro Marco Travaglio, sempre apprezzando la signorilità del giornale che dirigi, ti rispondo affettuosamente meglio Pirla che Putiniano” (Calenda, X, 12.11.25).
L’unico pirla che può dare del pirla a Calenda è Calenda.

L’insaputo.
“Il più grande sconto ai ‘ricchi’ l’ha fatto Draghi. Giorgetti:
‘E massacrano noi…’” (Verità, 10.11).
Lui nel governo Draghi era solo il ministro dello Sviluppo Economico.

La parola all’esperto.
“Le tangenti in Ucraina? I corrotti ci stanno sempre in tutto il mondo” (Antonio Tajani, vicepremier FI, 14.11).
Sennò lui non avrebbe un partito.

The Fox.
“L’Ucraina è incorruttibile”.
“Ville in Svizzera e milioni all’estero: ecco la Tangentopoli che assedia Zelensky. Due ministri costretti alle dimissioni, fedelissimi in fuga: il presidente ora teme l’effetto valanga”
(Anna Zafesova, Stampa, 13.5 e 13.11).
Ammazza che volpe.

Ha stato Putin.
“Una giornata da dimenticare per Richetti, capogruppo di Azione, vittima di un doppio furto durante il rientro in treno da Brescia a Roma. ‘Stavamo rientrando da Brescia, con Calenda e Rosato… E a Calenda gli è scappata pure la battuta:
Matteo, forse coi russi stiamo esagerando…’” (Adnkronos, 13.11).
È la vendetta di Putin per il tatuaggio.

Lavoratoriiii!
“Gasparri: ‘Ma che lavoro ha fatto Fico finora?’” (Libero, 10.11).
Ha parlato il metalmeccanico.

Cattivi bidelli.
“Sofia Ventura è stata allieva di Angelo Panebianco”
(Stefano Folli, Robinson-Repubblica, 9.11).
Ah, quindi non è tutta colpa sua.

Lollo in ammollo.
“Se Gratteri indaga come cita, peggio mi sento” (Francesco Lollobrigida, ministro FdI dell’Agricoltura, Foglio, 14.11).
A proposito: com’era la citazione evangelica sulla moltiplicazione dei vini?

L’ideona.
“Ancora lame, ancora violenza, il ministro Piantedosi venga subito in aula a rispondere, se hanno una idea, una strategia su questa piaga.
Abbiamo una proposta di legge sui coltelli, discutiamola con urgenza” (Nomfup, alias Filippo Sensi, deputato Pd, 3.11).
Giusto: aboliamo i coltelli, così i tagliagole passano alle forchette.

Nuovi testimonial.
“Pierluigi Battista promuove il Sì”, “Marco Rizzo: io ex comunista voterò Sì” (Giornale, 10.11).
“Tarfusser spariglia il fronte del No” (Dubbio, 12.11).
“Lamberto Dini: ‘La riforma Nordio va sostenuta’” (Riformista, 14.11). “Pina Picierno: ‘Separare giudici e pm non è eversione’” (Dubbio, 14.11). “Michele Vietti: ‘Questa riforma va difesa’” (Giornale, 15.11). “Tiziana Maiolo: ‘La dura vita dei sostenitori del No’” (Dubbio, 15.11).
Ma allora ditelo che volete far vincere il Sì.

Fuori chi.
“Comitato per il Sì in campo. Di Pietro: ‘Fuori i partiti’” (Messaggero, 13.11).
Al suo fianco, i forzisti Costa e Cangini annuiscono giulivi.

L’ultimo giapponese.
“Basta balle, l’Iraq ci dice che la guerra di Bush era giusta e che ‘nation building’ ed esportazione di democrazia e benessere non sono bestemmie” (Giuliano Ferrara, Foglio, 15.112).
Altre cazzate?

Il miracolato.
“Sotto un governo di sinistra – quello di Enrico Letta – il sottoscritto venne arrestato, secondo caso nella storia repubblicana dopo quello di Guareschi” (Alessandro Sallusti, Giornale, 10.11).
No, fu il 13° caso.
Però fu il primo di un giornalista arrestato e salvato dalla grazia di un presidente di sinistra: Napolitano.

Senti chi parla.
“Iervolino, i guai sul tax credit del produttore che finanzia il nuovo giornale di Casalino” (Repubblica, 13.11).
Non tutti hanno la fortuna di avere un editore indagato per frode fiscale e truffa allo Stato che chiede i lavori socialmente utili e restituisce al fisco 183 milioni di tasse evase.

Il titolo della settimana/1.
“La difesa di Zelensky: controlli a tappeto sugli appalti pubblici” (Repubblica, 14.11).
Casomai ne fosse rimasto qualcuno regolare.

Il titolo della settimana/2.
“Il giusto no del Corriere a Lavrov. Le interviste senza contraddittorio sono propaganda (e non vale solo con i russi)” (Foglio, 14.11).
Vale anche per il Foglio con Calenda e Renzi?

Il titolo della settimana/3.
“Confondere la libertà di espressione con il diritto di menzogna” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 13.11).
Tipo inventare una sentenza di Cassazione che assolve Berlusconi da morto sui rapporti con la mafia per cui non l’avevano mai processato da vivo.

Il titolo della settimana/4.
“Giustizia, una terza via per il referendum”
(Folli, Repubblica, 13.11).
Il Ni. 

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domenica 16 novembre 2025

Separazione delle carriere, Zagrebelsky: “Questa riforma ha come scopo intimidire i pm”. -

 

Folla per il dibattito con il giurista e Travaglio.

di Andrea Giambartolomei - FQ 12/11/2025
“Alla fine il punto è questo –dice Gustavo Zagrebelsky–: il senso di questa riforma è l’intimidazione nei confronti dei magistrati”. Seguono applausi. Sono quasi le 23 di lunedì sera, gli occhi di molti sono puntati verso la partita di Jannik Sinner alle Atp Finals di Torino, ma nella stessa città qualche centinaia di persone affollano nella gran sala del Palazzo della Luce dove l’Anm del Piemonte e della Valle d’Aosta ha organizzato un dialogo tra il presidente emerito della Corte costituzionale, Zagrebelsky, e il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, intorno alla separazione delle carriere. Sono passate quasi due ore e il pubblico –composto da molti magistrati ed ex tra cui Gian Carlo Caselli, ma c’erano anche volti comuni, qualche ventenne, alcuni avvocati e qualche politico, come la senatrice Pd Anna Rossomando e l’assessore Jacopo Rosatelli – non accenna ad andarsene. I 250 posti a sedere sono tutti occupati. Un centinaio di persone restano in piedi lungo le pareti. Alcuni cercano di ascoltare da fuori. A questa platea Zagrebelsky e Travaglio, moderati da Flavia Panzano, presidente Giunta Anm Piemonte e Valle d’Aosta, hanno spiegato loro le insidie e i paradossi della riforma Nordio.
“La domanda alla quale con questo referendum siamo chiamati a rispondere è: a chi serve? –premette il giurista– Secondo voi, nel nostro Paese, i politici hanno troppo potere o ne hanno troppo poco? Questa riforma, secondo me, si basa anche sulle dichiarazioni ufficiali di quelli che dicono ‘Bisogna contenere le tendenze dei magistrati a invadere il campo della politica’. Quindi coloro che hanno proposto questa riforma dicono: ‘La magistratura ha troppo potere e noi troppo poco. Quindi facciamo la riforma per averne di più’”. Secondo Zagrebelsky, “già oggi la magistratura è troppo intimorita dal potere politico” ed evidenzia quanti siano pochi i potenti in galera rispetto ai non potenti: “L’eguaglianza di fronte alla legge è davvero realizzata?”, si chiede. Ai magistrati, i due interlocutori danno dei consigli. “Non dite che la magistratura è un contropotere –dice il presidente emerito della Consulta–. Usate un’immagine chiara, quella di un fiume che scorre nel suo letto, la politica, e poi ci sono gli argini, la magistratura”.
“Insisterei molto sul fatto che le vittime siano i cittadini”, sottolinea Travaglio, mettendo in guardia da uno dei possibili effetti della separazione, cioè la creazione di un “super pm” a cui interessa soltanto arrestare, rinviare a giudizio e poi alle condanne, senza valutare le prove a discarico degli indagati.
Unica sostanziale divergenza tra i due riguarda il sorteggio per la scelta dei componenti del Csm: Travaglio a favore, Zagrebelsky –pur riconoscendo i danni della deriva delle correnti della magistratura– contrario: “L’estrazione a sorte farebbe sì che i magistrati estratti sarebbero in una condizione debole nei confronti dei loro colleghi. Il Csm deve essere formato da persone estremamente autorevoli, nei confronti della magistratura e della politica, per difendere l’indipendenza. Questa riforma combatte il correntismo, ma riduce l’autorevolezza. È una sconfitta della ragione e una rinuncia alla qualità”.

sabato 15 novembre 2025

IL SILENZIO È D’ORO. - Marco Travaglio

 

La notizia che a Kiev, mentre i soldati vengono mandati al macello senza più uno scopo, i fedelissimi di Zelensky rubano tutto il rubabile dai fondi e dalle armi inviati da Nato e Ue senz’alcun controllo, viene accolta in Italia e nel resto d’Europa con un misto di sorpresa e incredulità.
Ma come: noi paghiamo, gli ucraini crepano e il regime sguazza tra mazzette e water, bidet e rubinetti d’oro massiccio?
Ma Zelensky non era il “nuovo Churchill” (Nancy Pelosi e Messaggero), il “De Gaulle ucraino” (Prospect Magazine),
il redivivo “Scipione l’Africano” (Minzolini, Giornale)? E la sua Ucraina non era “incorruttibile” (Zafesova, Stampa)?
In realtà bastava leggere l’inchiesta internazionale “Pandora Papers” del 2021 per sapere che Zelensky è una creatura dell’oligarca, prima latitante e ora detenuto, Ihor Kolomoisky, re dei metalli, finanziatore di milizie fascio-nazi (dall’Azov al Dnipro) e titolare della tv 1+1 che lo lanciò;
e che il presidente ucraino ha una villa a Forte dei Marmi con 6 camere da letto, 15 stanze, parco e piscina, acquistata nel 2017 per 3,8 milioni, intestata a una società italiana controllata da una cipriota e mai dichiarata prima dell’elezione nel 2019, come pure una delle quattro offshore controllate da lui e dai suoi soci nella casa di produzione Kvartal95 con conti correnti in vari paradisi fiscali (Isole Vergini, Cipro e Belize).
Uno dei soci, Timur Mindich, che fino all’altrogiorno ospitava Zelensky in casa sua, è l’uomo dal cesso d’oro e dalle credenze piene di pacchi di banconote da 200 euro, esentato dalla naja malgrado l’età da leva e appena fuggito all’estero grazie a una soffiata per scampare all’arresto: sarebbe il regista del sistema tangentizio che grassava il 10-15% di ogni appalto per il sistema elettrico.
Che, non bastando i bombardamenti russi, veniva rapinato dal regime, come i fondi per le uniformi e persino i 170 milioni versati dalla Nato per costruire trincee di legno.
Notizie che non possono che galvanizzare il morale delle truppe superstiti intrappolate nelle sacche russe da Pokrovsk a Kupyansk, in attesa che Zelensky e il generale Syrsky (una sorta di Alì il Chimico o il Comico ucraino) la smettano di millantare successi e resistenze o di incolpare la nebbia e suonino la ritirata finché ci sarà qualcuno vivo da ritirare. Dinanzi alla disfatta militare e morale dell’Ucraina con i nostri soldi, i governi europei tacciono imbarazzati.
Per promettere altri soldi, vista la fine che fanno, attendono tutti che la gente dimentichi le foto dei cessi d’oro. Tutti tranne uno, il più sveglio della compagnia: Antonio Tajani che, temendo di essere preceduto da qualcun altro, si affretta ad annunciare “un nuovo pacchetto di aiuti a Kiev nelle prossime ore”.
Casomai non sapessero più cosa rubare.

venerdì 14 novembre 2025

"RISPOSTA SBAGLIATA" - Marco Travaglio

 

Prendetevi 5 minuti del vostro tempo e leggetevi l'editoriale odierno (14 novembre 2025) di Marco Travaglio in cui il grande giornalista mette in risalto con la solita ironia, le incongruenze culturali della stampa di regime e in particolare quelle del primo giornale italiano per vendite, ovvero il Corriere della Sera, dove scrivono le peggiori firme del giornalismo nostrano, da grasso a milei passando per fontana.
Buona lettura e massima condivisione.
"RISPOSTA SBAGLIATA
Dopo il cronista licenziato per domanda sbagliata (che in realtà era giusta: perché la Russia dovrebbe pagare la ricostruzione dell’Ucraina e Israele non dovrebbe pagare quella di Gaza?), il giornalismo italiano tocca un’altra vetta inesplorata: l’intervista censurata per risposte sbagliate.
L’intervistato è il ministro degli Esteri russo Lavrov: il Corriere gli aveva inviato una serie di domande scritte, a cui il ministro ha dato altrettante risposte scritte. Ma il Corriere - dice Lavrov - gli ha comunicato che le sue risposte 'contengono troppe affermazioni discutibili che devono essere verificate o chiarite e la loro pubblicazione andrebbe oltre i limiti ragionevoli'.
Lavrov ha proposto di pubblicare 'una versione abbreviata nel cartaceo e il testo completo sul sito', ma invano. Si pensava che la sua fosse l’ennesima puntata della famosa guerra ibrida di Mosca contro l’Italia e la sua libera stampa.
Poi però il Corriere ha confermato tutto: Lavrov 'ha risposto alle domande inviate preliminarmente dal Corriere con un testo sterminato pieno di accuse e tesi propagandistiche. Alla nostra richiesta di poter svolgere una vera intervista col contraddittorio e la contestazione dei punti che ritenevamo andassero approfonditi, il ministero ha opposto un rifiuto categorico. Evidentemente pensava di applicare a un giornale italiano gli stessi criteri di un Paese come la Russia dove la libertà d’informazione è stata cancellata. Quando il ministro vorrà fare un’intervista secondo i canoni di un giornalismo libero e indipendente saremo sempre disponibili'.
Già, ma è stato il Corriere a chiedere un’intervista a Lavrov, non viceversa. E di solito, quando si intervista qualcuno, è per sapere come la pensa lui, non per dirgli come deve pensarla. Se il Corriere voleva porgli tutte le sacrosante obiezioni con le famose 'seconde domande”, doveva chiedergli un’intervista orale.
Purtroppo gli ha inviato le domande scritte e poi ci è rimasto male perché Lavrov non elogia Zelensky, la Nato e l’Ue, non insulta Putin, non attacca la Russia, insomma la pensa come il governo di cui fa parte. Roba da non credere, eh?
A quel punto, fatta la frittata, non restava che pubblicare le risposte di Lavrov, magari aggiungendo commenti critici e fact checking (cosa che peraltro non si usa con i politici italiani ed europei che mentono, cioè quasi tutti).
Invece l’intervista l’ha pubblicata Lavrov sul web, trasformando l’assist del Corriere in un gol a porta vuota. Come la Bbc col montaggio tarocco del discorso di Trump. Se il Corriere voleva dimostrare che la Russia ha abolito la libera stampa (come se servissero altre prove), ha ottenuto l’effetto opposto: dimostrare che in Occidente la libera stampa se la passa maluccio. Come se servissero altre prove".