giovedì 21 marzo 2019

Devitalizzati. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 21 Marzo:


L’arresto per corruzione di Marcello De Vito, presidente dell’Assemblea capitolina, cioè del consiglio comunale della Capitale, è una notizia gravissima. E il fatto che non sia la prima volta – era già toccato nel 2015, per Mafia Capitale, a quello del Pd Mirko Coratti, poi condannato a 6 anni – non la sminuisce. Anzi, se possibile, la aggrava. Sia perché De Vito è un uomo di punta dei 5Stelle, storico militante fin dalla loro fondazione, soi disant campione dell’onestà. Faceva la morale alla sua acerrima nemica Virginia Raggi, che aveva il torto di averlo battuto alle primarie online nel 2016 e vinto le elezioni, diversamente da lui che le aveva straperse quattro anni prima. Accusava la Raggi e Daniele Frongia di avergli fatto la guerra a colpi di dossier, mentre si erano limitati a chiedere spiegazioni su alcune sue condotte opache, com’è giusto in un movimento che sbandiera la trasparenza. Ora, col senno di poi, si può dire che avrebbero dovuto approfondire meglio. Ma non è detto che avrebbero scoperto qualcosa di paragonabile a quel che si legge nell’ordinanza di arresto. L’impressione è che De Vito all’inizio non fosse una mela marcia, ma che – sempreché le accuse siano confermate in giudizio – lo sia diventato strada facendo, accumulando risentimenti per la mancata sindacatura e magari pensando a sistemarsi in vista della fine della sua carriera politica, tra due anni, alla scadenza del secondo mandato.
Di Maio ne ha subito annunciato l’espulsione, marcando la diversità da tutti i partiti che gridano al complotto, alla giustizia a orologeria, alle manette elettorali per rifugiarsi nella comoda scusa della presunzione di innocenza fino alla Cassazione. Si spera che l’espulsione sia stata decisa dopo aver letto le carte, perché un arresto è un fatto pesantissimo, ma non sempre risolutivo. Dipende dagli elementi d’accusa già dimostrati o suffragati da ampi riscontri, e in questo caso ce ne sono parecchi. Leggere le carte è sempre importante per sapere chi ha fatto cosa e assumere le decisioni che la politica deve prendere allo stato degli atti, a prescindere dagli aspetti penali, che seguono tutt’altri binari. Ora, cacciato De Vito, si tratta di decidere la sorte dell’amministrazione Raggi. La sindaca è stata rivoltata come un calzino dalla Procura e ne è sempre uscita pulita. La condanna dell’ex capo del personale Marra riguarda fatti dell’èra Alemanno e le tangenti addebitate al consulente Lanzalone non hanno inquinato alcun atto della giunta. Se però ora emergesse che De Vito aveva complici fra gli assessori, la sindaca dovrebbe trarne le inevitabili conseguenze.
Ma non pare questo il caso: sia per la correttezza dei vertici della giunta, sia per i pessimi rapporti di De Vito con la Raggi e i suoi fedelissimi, sia per gli scarsi poteri operativi del presidente dell’Assemblea, che al massimo può promuovere mozioni o interrogazioni, non risulta che costui abbia assunto o condizionato decisioni sulle operazioni immobiliari contestate dai pm (peraltro bloccate da un’eternità). Evidentemente i palazzinari – veri, eterni e intoccabili re di Roma – non riuscivano a penetrare nella giunta. E, in mancanza di meglio, hanno aggirato l’ostacolo agganciando l’anello più debole della catena, l’unico big M5S risultato finora permeabile alla tentazione. Un tizio che, in attesa delle sentenze, non possiamo ancora definire un corrotto, ma possiamo già considerare un fesso: un politico con un minimo di sale in zucca non parla al telefono con faccendieri di soldi da spartire pochi mesi dopo l’arresto di Lanzalone e tre mesi prima delle elezioni europee che tutto il sistema attende con ansia per ammazzare i 5Stelle. Tutti sanno che ogni scandalo targato M5S fa mille volte più notizia di quelli targati Pd (Zingaretti indagato per finanziamento illecito, ma lui si dice “tranquillo” e morta lì), FI (c’è l’imbarazzo della scelta) e Lega (49 milioni spariti, un sottosegretario bancarottiere, vari amministratori condannati, e tutti zitti). Dunque sta ai 5Stelle spalancare gli occhi per scoprire in anticipo qualunque trave nell’occhio del vicino di banco.
Chissà, forse senza la radicalizzazione della guerra intestina fra meetup “devitiani” e “raggiani”, qualcuno avrebbe potuto notare e segnalare credibilmente certi rapporti poco chiari di De Vito prima che arrivassero le forze dell’ordine. In ogni caso questo ennesimo scandalo in casa M5S, il primo che vede coinvolto un iscritto (e che iscritto) con l’accusa di corruzione, proprio questo segnala: l’incapacità di distinguere non tanto fra politici onesti e disonesti (spesso indistinguibili, specie quando si tratta di mele sane che si guastano strada facendo), ma tra politici capaci e incapaci, tra persone di valore e gentaglia o gentuccia. La selezione a caso, anzi a cazzo, praticata finora è un terno al lotto: può premiare gente valida, come alcuni ministri e sindaci M5S, ma anche soggetti che è meglio perdere che trovare. Ed è stupefacente che, dopo sei anni di esperienza parlamentare, si continui a discutere di regole interne, espulsioni di dissidenti, voti online, doppi mandati e scontrini, e mai di creare una scuola di politica e di amministrazione: cioè uno strumento fondamentale per attirare energie positive dalla società, selezionare una classe dirigente e formarla adeguatamente. Questo non basterebbe mai a scongiurare i casi di corruzione, almeno quelli legati alla disonestà di un singolo. Ma aiuterebbe a far crescere, maturare e nobilitare un movimento a cui, come ha detto Giorgia Meloni, “se levi l’onestà, restano solo gli show di Grillo”.

"Scoperta loggia segreta": maxi blitz nel Trapanese. -

Scoperta loggia segreta: maxi blitz nel Trapanese

Una "loggia segreta capace di condizionare la politica e la burocrazia". E' quanto fanno sapere gli inquirenti sulla vasta operazione dei carabinieri nel trapanese nella quale sono state arrestate 27 persone tra cui l'ex presidente dell'Assemblea regionale siciliana Francesco Cascio. Della loggia avrebbero fatto parte, oltre ai politici, massoni e alcuni professionisti di Castelvetrano.

In carcere anche l'ex deputato regionale di Forza Italia Giovanni Lo Sciuto, ritenuto a capo della loggia segreta. Avrebbero tutti fatto parte, secondo l'accusa, di una "associazione a delinquere segreta". L’inchiesta è coordinata dal procuratore Alfredo Morvillo, dall’aggiunto Maurizio Agnello e dai sostituti Sara Morri, Andrea Tarondo e Francesca Urbani. E ci sono anche tre poliziotti tra gli arrestati nell'ambito dell'inchiesta denominata 'Artemisia': uno presta servizio alla questura di Palermo, uno a Castelvetrano e uno alla Dia di Trapani.

LE ACCUSE -
 Tutte le 27 persone finite in manette sono accusate, a vario titolo, di corruzione, concussione, traffico di influenze illecite, peculato, truffa aggravata, falsità materiale, falsità ideologica, rivelazione e utilizzazione del segreto d'ufficio, favoreggiamento personale, abuso d'ufficio ed associazione a delinquere secreta finalizzata ad interferire con la pubblica amministrazione (violazione della c.d. legge Anselmi).
Per gli stessi reati sono stati notificati anche 5 obblighi di dimora e una misura interdittiva della sospensione dall'esercizio del pubblico ufficio, nonché notificate altre 4 informazioni di garanzia ad altrettanti indagati: sono quindi 10 le persone indagate a piede libero. "Scoperto un vasto sistema corruttivo negli enti locali - dicono gli inquirenti -, quali il comune di Castelvetrano e l’Inps di Trapani". L'indagine ha inoltre portato "alla luce diversi episodi di violazione del segreto istruttorio e favoreggiamento nei confronti di Lo Sciuto" da parte "di appartenenti alle Forze dell'Ordine e di esponenti politici regionali, quali l'ex deputato regionale Francesco Cascio, tratto anch'egli in arresto".

LE INDAGINI - Le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo di Trapani, coordinati dalla Procura trapanese, sono iniziate nel 2015 e "hanno avuto come fulcro l'ex deputato regionale Giovanni Lo Sciuto", in carica fino al 2017, "a carico del quale sono emersi gravi indizi di reità in ordine alla commissione di numerosi reati contro la Pubblica amministrazione al cui fine ultimo era costantemente quello di ampliare la sua base elettorale in vista delle varie elezioni e di conseguenza il proprio potere politico".
Le indagini hanno permesso "di accertare che Lo Sciuto creava uno stabile accordo corruttivo con Rosario Orlando, ex responsabile del Centro Medico Legale dell'Inps, fino al maggio 2016, poi collaboratore esterno dello steso ente quale ''medico rappresentante di categoria in seno alle commissioni invalidità civili'', che riusciva a corrompere, attraverso regalie ed altre utilità, nonché la sua intercessione con l'ex Rettore Roberto Lagalla, oggi assessore regionale all'Istruzione e destinatario di informazione di garanzia, per l'aggiudicazione di una borsa di studio a favore della figlia presso l'università di Palermo". Lagalla è indagato per corruzione.

GLI INQUIRENTI - Da Orlando l'ex deputato regionale "otteneva la concessione di numerose pensioni di invalidità, anche in assenza dei presupposti previsti dalla legge". E "ogni pensione di invalidità fatta concedere, in forza del consolidato accordo corruttivo - dicono gli inquirenti -, rappresentava per l'ex onorevole regionale un cospicuo pacchetto di voti certi".
Lo Sciuto, 56 anni, nella scorsa legislatura faceva parte della Commissione regionale antimafia. L'ex assessore e consigliere provinciale di Trapani, eletto deputato alle regionali del 2012 nella lista Mpa-Partito dei Siciliani, aveva così spiegato la scelta di far parte della Commissione antimafia: "Cercherò di essere la sentinella alla Regione per l'intera provincia di Trapani e per Castelvetrano in particolare''. In passato, Lo Sciuto era finito più volte nei rapporti antimafia della provincia di Trapani e anche sotto processo per un giro nel campo del cablaggio e poi assolto.

CASTELVETRANO - La "complessiva attività di indagine" ha inoltre "dimostrato ancora l'esistenza di una associazione a delinquere promossa ed capeggiata dall'ex deputato regionale Giovanni Lo Sciuto con la collaborazione, nel settore organizzativo, del massone Giuseppe Berlino, associazione che, con certezza indiziaria, vede tra i suoi membri ad esempio l'ex sindaco di Castelvetrano Felice Errante Jr., l'ex vice sindaco di Castelvetrano Vincenzo Chiofalo e il commercialista massone Gaspare Magro".
E c'è anche il candidato sindaco di Castelvetrano, Luciano Perricone, tra i 27 arrestati nell'inchiesta 'Artemisia'. Castelvetrano andrà al voto dopo due anni di commissariamento in seguito allo scioglimento per mafia. Secondo il gip, Perricone, "si è reso disponibile all'esecuzione delle direttive impartitegli da Giovanni Lo Sciuto nella consapevolezza dell'esistenza dell'associazione segreta e di agire in favore di questa, in particolare e tra l'altro rendendosi disponibile, in qualità di candidato Sindaco alle elezioni per il Comune di Castelvetrano, a rappresentare e garantire le esigenze del gruppo rappresentato da Lo Sciuto a fronte per dell'appoggio elettorale da parte di quest'ultimo".

IL PERIODO 2012-2017 - "Lo Sciuto e i suoi sodali, dopo aver 'governato' tramite il sindaco Felice Errante e il vice sindaco Chiofalo dal 2012 al 2017, raggiungevano un accordo con l'ex rivale politico Luciano Perricone, finalizzato - dice il gip - alla elezione del predetto alla carica di Sindaco in occasione delle elezioni del 2017".
Per quanto riguarda l'esistenza di questa associazione a delinquere, gli investigatori sottolineano come "non viene contestata, dal Giudice delle indagini preliminari, l'appartenenza alla massoneria in quanto tale. Non viene addebitata infatti alcuna responsabilità al maestro venerabile della Loggia al cui interno si annidava l'associazione segreta, in quanto è emerso chiaramente come il 'gruppo occulto', facente capo a Lo Sciuto, prendesse le decisioni a prescindere dalle direttive della loggia palese e si avvalesse degli aiuti degli appartenenti occulti più che di quelli palesi in caso di bisogno".

L'ASSOCIAZIONE - "Caratteristica precipua di tale associazione è che gli scopi della stessa non si limitavano alla esecuzione di una serie indeterminata di delitti ispirati da un medesimo disegno criminoso, ma ha avuto ad oggetto anche il condizionamento e l'asservimento dell'attività di organi costituzionali e di articolazioni territoriali della pubblica amministrazione alle finalità segrete del consesso criminoso", dicono gli inquirenti. Le finalità venivano, in particolare, "perseguite con modalità che garantivano la segretezza degli scopi associativi e della reale composizione del sodalizio, anche e soprattutto grazie al ruolo di appartenenti alle istituzioni".
E ancora: l'ex deputato regionale siciliano Lo Sciuto "godeva del rapporto privilegiato con il presidente dell'ente di formazione professionale Anfe (Associazione Nazionale Famiglie Emigrati), Paolo Genco, anch'egli tratto in arresto, con il quale creava uno stabile accordo corruttivo. Genco infatti gli garantiva sostegno economico e raccolta di voti per le sue candidature, così da rafforzare la sua posizione politica, nonché il suo consenso popolare, strettamente connesso alle assunzioni presso l'Anfe", dicono gli inquirenti.

I LEGAMI - Lo Sciuto "riusciva infatti ad ottenere assunzioni per persone da lui segnalate oltre che appoggio elettorale, anche finanziario - aggiungono gli investigatori -. In cambio intercedeva al fine di agevolare la concessione dei finanziamenti a favore dell'ente. Inoltre in qualità di deputato regionale e membro della commissione cultura, lavoro e formazione si prodigava per l'approvazione di delibere e progetti di leggi regionali a favore dell'Anfe".

mercoledì 20 marzo 2019

L'Espresso: Zingaretti indagato per finanziamento illecito.




'Fiducia nella giustizia, M5S non mi fa paura'.


Nicola Zingaretti sarebbe indagato dalle procure di Roma e Messina per finanziamento illecito, come riporta il settimanale L'espresso on line. E' quanto risulta dalle dichiarazioni fatte dagli avvocati siciliani Piero Amara e Giuseppe Calafiore, arrestati nel febbraio 2018 per corruzione in atti giudiziari e che un mese fa hanno patteggiato 3 e 2,9 anni a testa. L'Espresso ha letto gli interrogatori inediti dei due legali in cui descrivono ai pm il loro modus operandi, facendo nomi e circostanze di altri big della magistratura e della politica. Sott'inchiesta ci sarebbe anche Silvio Berlusconi, per corruzione in atti giudiziari su una sentenza dei giudici del Consiglio di Stato che, secondo l'accusa, gli consentì di non cedere parte del pacchetto azionario di Mediolanum, come aveva invece stabilito la Banca d'Italia.

Per quanto riguarda Zingaretti l'inchiesta è portata avanti dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal pm Stefano Fava e prende spunto dalle dichiarazioni di Calafiore. Il governatore è stato citato dal socio di Amara in un interrogatorio dello scorso luglio, su alcune domande dei pm su Fabrizio Centofanti, ex capo delle relazioni istituzionali di Francesco Bellavista Caltagirone che, diventato imprenditore, era in affari con l'Amara e in buoni rapporti con Zingaretti. Inoltre, era sicuro di non essere arrestato grazie a erogazioni fatte per favorire l'attività politica di Zingaretti. Come risulta dai verbali, i pm chiedono a Calafiore se si tratti di erogazioni lecite e l'avvocato risponde: Assolutamente no, per quanto egli mi diceva. Non so con chi trattava tali erogazioni. Lui mi parlava solo di erogazioni verso Zingaretti. Mi disse che non aveva problemi sulla Regione Lazio perché Zingaretti era a sua disposizione. Me lo ha detto più volte, prima della perquisizione. Finora prove di presunte erogazioni non sono state trovate.

 "In merito all'articolo dell'Espresso sulla mia iscrizione nel registro degli indagati della Procura di Roma per un presunto finanziamento illecito, voglio affermare di essere estremamente tranquillo perché forte della certezza della mia totale estraneità ai fatti che, peraltro, sono stati riferiti come meri pettegolezzi 'de relato' e senza alcun riscontro, come affermato dallo stesso articolo del settimanale", afferma Nicola Zingaretti, che esprime fiducia nella giustizia e non si farà "intimidire dalle bassezze del M5S".  


http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2019/03/19/lespresso-zingaretti-indagato-per-finanziamento-illecito_64762dfb-2cfb-45da-bb0c-4f73a29c4935.html

Sarà per questo che il Franco CFA non può essere neanche nominato? - Thomas Fazi

Sarà per questo che il Franco CFA non può essere neanche nominato?

«Secondo i sostenitori del franco CFA, un regime di cambio fisso permette di importare “credibilità”, di combattere efficacemente l’inflazione, vale a dire un aumento permanente dei prezzi, e di facilitare gli scambi. C’è del vero in questo. Ma i costi economici di un tale sistema sono spesso trascurati. È assodato che un regime di cambio fisso determina tendenzialmente un livello di inflazione poco elevato. Viceversa, un regime di cambio flessibile provoca un po più di inflazione, ma favorisce una maggiore stabilità dell’attività economica: ha una funzione di ammortizzazione che rende possibile reagire agli shock e ridurre significativamente la volatilità (le variazioni) della produzione e dell’occupazione, cosa che invece non consente un regime di cambio fisso18.
Le statistiche dell'FMI sembrano suggerire che un tasso di cambio fisso non sia necessariamente una buona opzione per i paesi africani: dal 2000, i paesi dell’Africa subsahariana che operano in un regime di cambio fisso hanno registrato una crescita economica dall’1 ai 2 punti inferiore rispetto ai paesi con un tasso di cambio flessibile. Questo scarto è dovuto in particolare «alla minore crescita dei paesi membri della zona del franco», afferma il Fondo Monetario
«Se un piccolo paese fissa unilateralmente la propria valuta a un vicino più grande, in realtà sta trasferendo la propria sovranità in termini di politica economica a quel vicino più grande», disse il vincitore del premio Nobel Robert Mundell.
«Questo paese perde la propria sovranità perché non controlla più il proprio destino monetario; il paese più grande, invece, guadagna sovranità perché gestisce un’area valutaria più ampia e guadagna un maggiore “peso” nel sistema monetario internazionale». Nel caso della zona del franco, questa realtà significa che alcuni dei paesi più poveri del mondo, come il Niger e la Repubblica Centrafricana, hanno subìto delle politiche monetarie basate sulle esigenze dell’economia francese prima e della zona euro poi. Significa anche che i quindici paesi membri della zona del franco, presi individualmente, non hanno la possibilità di utilizzare il tasso di cambio per ammortizzare gli shock.
E questo in un continente in cui gli shock – politici (colpi di Stato, guerre, tensioni sociali, ecc.), climatici (variazioni pluviometriche, siccità, inondazioni, ecc.) ed economici (volatilità dei prezzi dei prodotti primari, dei tassi di interesse del debito estero, dei flussi di capitale, ecc.) – sono all’ordine del giorno. Per far fronte a degli shock avversi, dunque, i paesi del franco hanno un’unica soluzione, in assenza di trasferimenti di bilancio: la “svalutazione interna”, cioè un adeguamento dei prezzi interni che passa per riduzione dei redditi da lavoro e della spesa pubblica, l’aumento delle imposte e infine il declino dell’attività economica».

Mi ricorda qualcosa ma non saprei dire cosa.

martedì 19 marzo 2019

Viaggi interstellari “possibili” sfruttando due buchi neri e un raggio laser. - Andrea Centini

Credit: ESA advanced concepts team; S. Brunier /ESO

L’astrofisico David Kipping dell’Università Columbia di New York ha calcolato che è possibile far viaggiare un’astronave tra le stelle sfruttando un raggio laser alimentato dalla forza gravitazionale di due buchi neri. Il laser trasferirebbe l’energia accumulata alla vela della navicella, spingendola quasi alla velocità della luce.

Viaggiare tra le stelle sfruttando l'attrazione gravitazionale di una coppia di buchi neri e un raggio laser, che potrebbe spingere a velocità prossime a quella della luce (relativistiche) la vela di un'astronave avanzatissima. Non è la trama di un nuovo film di fantascienza, ma la teoria di un astrofisico dell'Università Columbia di New York, il professor David Kipping, secondo il quale una civiltà extraterrestre sufficientemente avanzata potrebbe essere in grado di spostarsi rapidamente da una parte all'altra dell'Universo proprio grazie a questa tecnologia. Anche se è al limite del suicidio, perché sebbene sulla carta funzioni, bisogna comunque avvicinarsi moltissimo a un buco nero, col rischio di essere fatti a pezzi dalla sua immensa forza gravitazionale. Insomma, serve anche una precisione estrema per evitare disastri.

Fionda gravitazionale. Le basi del viaggio interstellare ideato dal professor Kipping affondano le radici in pratiche ben collaudate e in altre teorie fisiche molto promettenti. Tutto ruota attorno al concetto della cosiddetta fionda gravitazionale, una tecnica già utilizzata con successo per le attuali missioni robotiche. Le sonde, infatti, vengono spinte a grandissima velocità verso gli obiettivi (fondamentalmente oggetti del Sistema solare) sfruttando il movimento e la forza di gravità dei pianeti, cui orbitano attorno prima di essere “fiondate”. La sonda OSIRIS-Rex della NASA, ad esempio, recentemente ha utilizzato proprio la Terra per lanciarsi a tutta velocità verso l'asteroide Bennu. È una tecnica estremamente efficiente che fa risparmiare tantissimo carburante.

Al limite della fantascienza. Nel caso della tecnologia teorizzata dal professor Kipping, la fionda gravitazionale sarebbe garantita da un sistema di due buchi neri, che tuttavia verrebbero sfruttati ‘solo' per potenziare un raggio laser inviato dalla navicella impegnata nel viaggio interstellare. I fotoni “sparati” dalla navicella, infatti, rimbalzando da un buco nero all'altro verrebbero caricati di energia, che a sua volta sarebbe trasferita come energia cinetica per spingere la vela dell'astronave. La tecnica chiamata Halo Drive è molto simile a quella progettata da Stephen Hawking per mandare su Proxima Centauri delle minuscole navicelle dotate di vele, la stella più vicina alla Terra (a 4 anni luce). Al momento non disponiamo di una tecnologia in grado di sostenere l'idea di Kipping, ma sulla carta “funziona” e forse in un lontano futuro riusciremo a governarla. I dettagli sulla teoria dell'astrofisico americano sono stati pubblicati su arXiv.

https://scienze.fanpage.it/viaggi-interstellari-possibili-sfruttando-due-buchi-neri-e-un-raggio-laser-lo-studio/

"Benedetto autismo", il grande affare delle coop sociali gestito dall'ex deputato arrestato per mafia. - Marco Bova

"Benedetto autismo", il grande affare delle coop sociali gestito dall'ex deputato arrestato per mafia

Dall'inchiesta su Paolo Ruggirello salta fuori il business delle cooperative riconducibili all'ex parlamentare del Pd. Che garantivano soldi grazie alle buone relazioni con gli uffici della Regione. E lui al telefono diceva: "Benedetto autismo".

Ogni vulnerabilità era pronta a diventare un business. Dalle procedure per l’accreditamento, all’affitto dei locali fino alle assunzioni. A creare e tenere in vita i progetti delle coop era Paolo Ruggirello, l’ex deputato all’Ars arrestato martedì dai carabinieri nell’ambito del blitz “Scrigno”. Con lui sono finiti in carcere altre ventiquattro persone, tra cui i fratelli Francesco e Pietro Virga (figli del capomafia Vincenzo, in carcere dal 2001) ritenuti a capo della famiglia di Trapani e il loro luogotenente Franco Orlando ma i boss nei progetti sanitari non c’entrano nulla.


Ruggirello faceva tutto da solo, con l’aiuto di medici, funzionari e dirigenti delle Asp, delle Asl, della Regione, dei comuni e contattando perfino l’allora assessore alla Sanità Gucciardi. C’era Ruggirello alle spalle della “Serenità società cooperativa sociale onlus”, impegnata nel settore dell’assistenza sociale residenziale e di fatto gestita da Stefania Mistretta, psicoterapeuta legata sentimentalmente a Ruggirello. Il politico si era occupato “dell’accreditamento” utile alla concessione dei fondi pubblici ma era pronto a creare una società per investire sul «benedetto autismo», così diceva intercettato al telefono. La patologia era finita al centro di uno dei progetti della coop, un “Centro per l’autismo” attivato a Marsala, in contrada Strasatti.

Lui si occupava di tutto e quando le pratiche non andavano avanti alzava la cornetta e tutto si sbloccava. «Amici miei che si sono aggiudicati una gara riguardante il sociale stanno avendo dei problemi», diceva Ruggirello al sindaco di Marsala, Alberto Di Girolamo prima di fiondarsi a casa sua per parlarne. Quando i problemi nascevano alla Regione, chiedeva l’intervento del ragioniere generale Salvatore Sammartano, e appena venivano risolti bastava un semplice sms con scritto «Grazie», come accadde con l’allora direttore dell’Asp, Fabrizio De Nicola. Oltre al “Centro per l’autismo” la coop gestiva anche un altro progetto. Si tratta di una “Casa di accoglienza a favore di gestanti, ragazze madri e donne in difficoltà» attivata nella frazione trapanese di Guarrato, il quartier generale del politico trapanese. Il centro sorge all’interno dell’ex sede della Banca Industriale Trapanese, l’istituto finanziario acquistato negli anni ‘70 dal padre di Ruggirello, Giuseppe, che da piccolo ragioniere avviò una scalata economica diventando anche presidente del Trapani calcio, prima di finire in un’indagine su Enrico Nicoletti, all’epoca cassiere della banda della Magliana. Per l’affitto dei locali, di proprietà di Paolo Ruggirello, la coop pagava 24 mila euro all’anno e inoltre il politico era riuscito a far assumere sua moglie e la fidanzata del nipote Nicola Sveglia, già consigliere comunale a Trapani. Da tempo l’accreditamento delle coop era diventato il suo core business.

«L’accordo con Ruggirello, con me è che lui vuole salvare a Lillo e in contropartita, io ho un progetto da presentare e lui me lo fa approvare, per fare una cosa per anziani». A parlare ad ottobre 2013 è Francesco Marino, consigliere comunale di Castelvetrano. Lillo, invece, è Calogero Giambalvo, finito in una controversa vicenda giudiziaria che nonostante la sua assoluzione in appello portò allo scioglimento del comune di Castelvetrano. Poi ci sono anche i nomi di altri politici siciliani, tuttora in auge. «Quando io ho iniziato questo percorso ne parlai con questo Fallaci Del Sette che è “cazzo e culo” con Turano – racconta Mistretta a Ruggirello – perché mi continuano a dire che comunque dietro la struttura di Alcamo per quanto c’è Faraone, c’è anche Turano». Il riferimento è al centro diurno Autos, inaugurato nel luglio 2017 alla presenza di Davide Faraone, all’epoca sottosegretario alla Salute, e Mimmo Turano, oggi assessore alle Attività produttive del governo Musumeci.

https://palermo.repubblica.it/cronaca/2019/03/09/news/_benedetto_autismo_il_grande_affare_delle_coop_sociali_gestito_dall_ex_deputato_arrestato_per_mafia-221082421/?fbclid=IwAR09Rpclw-WNlyF3ACSw37AvQvMlbTGPgkbvqnbUcpvO_M5NpYTmFnVZy84

I DELITTI ELEGANTI. - Marco Travaglio

Risultati immagini per imane fadil e Berlusconi

Probabilmente Benito Mussolini non ordinò l’assassinio di Giacomo Matteotti: lui o chi per lui si limitò a far sapere ai suoi che quel deputato socialista, con le sue denunce sulla fine della democrazia e sulle corruzioni di alcuni gerarchi del neonato regime fascista, stava rompendo i coglioni. E, siccome Mussolini era circondato da delinquenti, qualcuno di essi si incaricò di risolvergli il problema alla radice, sequestrando e assassinando Matteotti. Da quel momento gli assassini divennero intoccabili. Infatti il processo fu dirottato a Chieti per la solita “legittima suspicione”, poi depistato e infine chiuso con le ridicole condanne a 5 anni per omicidio preterintenzionale di alcuni squadristi coinvolti come esecutori materiali, senza che se ne scoprisse il mandante. E il duce dovette coprire tutto e tutti, fino ad assumersi pubblicamente alla Camera “la responsabilità politica, morale e storica di tutto quanto è avvenuto”.
Probabilmente Giulio Andreotti non ordinò l’assassinio di Mino Pecorelli: lui o chi per lui si limitò a far sapere ai suoi che quel giornalista molto, troppo informato, con i suoi articoli sulla rivista OP e le sue allusioni agli affari e ai malaffari della cricca andreottiana, stava rompendo i coglioni. E, siccome Andreotti era circondato da delinquenti, qualcuno di essi si incaricò di risolvergli il problema alla radice, assassinando Pecorelli. Da quel momento gli assassini divennero intoccabili. Infatti le indagini furono depistate in ogni modo e il processo a Perugia, costellato di testimonianze false o reticenti come quello di Palermo, passò dalle assoluzioni in primo grado alle condanne in appello all’annullamento tombale in Cassazione.
Sicuramente Silvio Berlusconi non ha ordinato il probabile avvelenamento di Imane Fadil, la ragazza marocchina che nel 2009, a 25 anni, frequentò ben sei “cene eleganti” a base di bungabunga nella sua villa di Arcore e lo incontrò altre due volte in un ristorante milanese e in un’altra villa in Brianza. I testimoni B. di solito li compra, non li ammazza. E tutto poteva augurarsi, fuorché la morte di una teste-chiave del processo Ruby-ter (dov’è imputato, tanto per cambiare, per corruzione di testimoni) e il ritorno del bungabunga sulle prime pagine dei giornali. Infatti, negando le sentenze e persino l’evidenza, ha provato a smentire di aver mai visto Fadil. Ma purtroppo nessuno può escludere che c’entrino i vari ambienti criminali che lo circondano da quasi mezzo secolo, da Cosa Nostra alla massoneria deviata, dal sottobosco dell’eterna Tangentopoli ai gigli di campo di Putin.
Cioè che qualcuno abbia voluto fargli un favore non richiesto, o lanciargli un messaggio avvelenato per ricattarlo, o sputtanarlo, o ricordargli qualche promessa non mantenuta. Non sarebbe né la prima né l’ultima volta che chi si mette di traverso sulla sua strada ne patisce le conseguenze: domenica abbiamo ricordato la catena di terrificanti “coincidenze” toccate a una ventina di personaggi che sapevano troppo o gli davano noia o nominavano il suo nome invano. E ci siamo scordati di Maurizio Costanzo, ex maestro della P2, che il 14 maggio ’93, mentre tentava di dissuadere B. dall’entrare in politica, scampò per miracolo a un attentato mafioso ai Parioli: la prima autobomba di Cosa Nostra fuori dalla Sicilia. Agatha Christie diceva che “una coincidenza è una coincidenza, due coincidenze fanno un indizio, tre coincidenze fanno una prova”. Ora, può darsi che per B. non ne basti nemmeno una ventina. Ma questo riguarda i pm che stanno indagando sulla morte di Imane e ricostruendo le sue ultime ore prima del ricovero all’Humanitas. Un altro aspetto invece riguarda tutti noi, e non da oggi, ma da quando B. vinse le sue prime elezioni il 27 e 28 marzo 1994, esattamente 25 anni fa: le conseguenze politiche e morali dell’irruzione di quel po’ po’ di interessi affaristici e criminali nella vita dello Stato. L’inventore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, sta scontando ai domiciliari, per ragioni di salute, una condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa (e, altra coincidenza, aveva chiesto gli arresti ospedalieri all’Humanitas). L’altro regista dell’operazione, Cesare Previti, è stato radiato dal Parlamento, dall’avvocatura e dai pubblici uffici per due condanne a un totale di 7 anni e mezzo per corruzione in atti giudiziari. Lo stesso B. è pregiudicato per frode fiscale, pluriprescritto per altri gravi reati e tuttora indagato a Firenze, con Dell’Utri, per le stragi del ’93. E la lista dei delinquenti portati in Parlamento da questa fairy band e poi condannati è lunga chilometri. Eppure ci è voluta la morte terribile di quella povera ragazza per riportare l’attenzione sul versante criminale del berlusconismo. Da un anno, cioè da quando Pd e FI sono fuori gioco, è di gran moda rimpiangere il berlusconismo e rifargli la verginità in funzione anti-“populista”, descrivendo l’attuale governo – il primo deberlusconizzato della storia repubblicana – come il peggiore mai visto. Eugenio Scalfari, in campagna elettorale, disse che fra B. e Di Maio preferiva B. E Carlo De Benedetti giunse alla stessa conclusione. Lo scrittore Sandro Veronesi non vede l’ora di “firmare col sangue per il ritorno di Berlusconi”. Renzi dice che “dovremmo chiedergli scusa”. E ancora l’altro giorno, su Repubblica, Corrado Augias definiva il governo Conte “il peggiore della storia repubblicana”, perché, sì, B. è “amorale” (sic), ma “non ha scardinato le strutture dello Stato”, cosa che invece stanno facendo “questi homines novi”: ergo, “se la sola scelta possibile fosse tra un bandito consapevole e un fanatico ignaro di tutto sceglierei, tremando, il bandito”. Chissà chi preferirebbe Imane Fadil, se ancora potesse scegliere.