martedì 8 ottobre 2019

Giordania: alla scoperta di Jerash, l'antica Gerasa. - Eva Tobalina

Giordania: alla scoperta di Jerash, l'antica Gerasa
Una veduta del Foro ovale dal Tempio di Zeus. Il foro collegava la porta meridionale di accesso al Cardo Massimo della città. Queste particolari piazze ovale sono tipiche delle città romane d’Oriente. Fotografia di Kitti Boonnitrod/Getty images
Fiorente polo commerciale dal passato leggendario, la città conobbe il suo periodo più prospero sotto l’Impero romano. E ancora oggi i suoi meravigliosi monumenti fanno rivivere lo splendore dell’Impero.
Nell’Antico Testamento viene descritto il viaggio degli Ebrei verso la Terra promessa. Una volta giunti ai confini del Regno di Edom, nel Deserto del Negev, implorarono il popolo che lo abitava di lasciarli transitare:
“Lasciateci passare per il vostro paese, seguiremo la Via Regia finché avremo oltrepassato i vostri confini”
La Via Regia, citata nei versetti della Bibbia, era un’antichissima via mercantile che esisteva già nell’Età del Bronzo e connetteva le genti e le città del Medio Oriente, dal Golfo di Aqaba  fino a Damasco. Anche se lungo la via non sorsero grandi imperi, le città che ne erano attraversate prosperarono grazie ai commerci, poiché tutte le mercanzie più pregiate dell’epoca, spezie, grano, incenso e perle, viaggiavano su quella direttrice.
Giordania: alla scoperta di Jerash, l'antica Gerasa
Il Teatro meridionale. - Fotografia di Jochen Schlenker/Age Fotostock
Una delle città più importanti che si svilupparono lungo la Via Regia fu Jerash, fondata durante la colonizzazione greca della regione. La città continuò a crescere e ad arricchirsi grazie ai traffici commerciali fino alla conquista romana. Distante poco meno di 50 chilometri dalla capitale della Giordania Amman, Jerash resta una delle città meglio conservate della Decapoli romana, un gruppo di dieci città di stampo ellenistico - romano in territorio semitico che prosperano durante l’Impero romano.
Sulle sponde del fiume d’oro.
Secondo alcune antiche iscrizione, il nome Jerash o Gerasa deriverebbe dai suoi primi abitanti, ossia i vecchi soldati - gerasmenos significa vecchio o anziano in greco - che avevano partecipato alle campagne militari di Alessandro Magno nel IV secolo a.C.. Dopo le guerre persiane pare infatti che i veterani macedoni furono ricompensati con delle terre fertili tra il fiume Giordano e il deserto.
Sebbene il sito possa essere stato effettivamente usato come un presidio militare da Alessandro Magno, la storia della fondazione ad opera dei suoi veterani è poco verosimile. Il primo nome della città non era Jerash, un termine semitico, ma un toponimo greco: Antiochia ad Chrysorrhoam, ossia “Antiochia sul rive del fiume d’oro”. Questo era il nome che venne dato al primo insediamento ellenistico, fondato nel II secolo a.C. dal re seleucide Antioco IV Epifane.
Giordania: alla scoperta di Jerash, l'antica Gerasa
Un capitello corinzio.
I Seleucidi discendevano dal generale macedone Seleuco Nicatore che nel 312 a.C. conquistò il controllo della parte orientale dell’impero di Alessandro. Durante la dinastia seleucide si diffusero in Medio Oriente la lingua e costumi greci, e tra il terzo e il secondo secolo a.C. i coloni greci si mescolarono con le popolazioni locali. In questo periodo vennero avviati i grandi progetti di sviluppo della città con la costruzione dei templi dedicati alle divinità del pantheon greco. Anche se in costante competizione con le città elleniche dell’area, Jerash mantenne comunque solide relazioni con alcune di loro, come Philadelphia, l’attuale Amman, ed Heliopolis, oggi Baalbek in Libano
Jerash diventò un fiorente polo commerciale, dove diverse genti, lingue e religioni si mescolavano tra di di loro. Era normale per i coloni greci ritrovarsi fianco a fianco di mercanti persiani, indiani e parti. In città si parlava il greco e l’aramaico e si professavano la fede ellenistica e quella semitica, grazie anche all’influenza dei commercianti che provenivano dalla vicina Petra, la capitale del ricco Impero Nabateo.
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Una moneta d’oro con la testa dell’Imperatore Adriano. Durante i suoi viaggi nelle provincie romane d’Oriente l’imperatore passò un inverno a Jerash. Fotografia di Asf/Album
L’influenza romana.
Il governo seleucide non durò a lungo. La rapida ascesa dei Parti ad oriente, infatti, allentò il dominio seleucide nell’area e nel 129 a.C. il re Antioco VII morì durante un attacco dei Parti. L’attuale Siria piombò nel caos e Jerash cadde sotto un governo militare. Dopo il declino della dinastia seleucide nel 102 a.C. Jerash fu conquistata da Alessandro Ianneo, appartenente alla dinastia degli asmonei e Re della Giudea, che regnò sull’odierna Israele fino al 63 a.C.. Nello stesso anno Pompeo sconfisse il re del Ponto, Mitridate VI, garantendo così a Roma l’espansione verso il Medio Oriente. I Romani conquistarono la Siria, e Jerash e le altre città ellenistiche furono annesse alla nuova provincia romana. Plinio il Vecchio racconta che Jerash divenne parte della Decapoli romana, un gruppo di dieci città di tradizione classica situate nella regione semitica. Questa caratteristica garantì loro uno speciale trattamento da parte di Roma che le rese città - stato quasi del tutto autonome. 
Crescita urbanistica. Nel I secolo d.C. il regno dei Nabatei fu conquistato da Nerone. La città di Petra visse un periodo piuttosto fiorente e tutta la regione, compresa Jerash, ne trasse beneficio. Un secolo dopo l’Imperatore Traiano incorporò formalmente la città di Jerash e le terre nabatee nella provincia d’Arabia. Furono costruite nuove strade che collegavano il Golfo di Aqaba alla città di Jerash, e la Via Traiana Nova, l’antica Via Regia, fu pavimentata.
La ricchezza di Jerash si rifletteva nei suoi templi e nei maestosi edifici che abbellivano la città. Nella seconda metà del II secolo d.C. furono eretti l’imponente tempio di Artemide, il Foro ovale, il Teatro meridionale e l’Arco di Adriano che svetta ancora oggi tra le rovine della città antica. Dopo la caduta dell’Impero Romano, Jerash visse un altro periodo di splendore quando nel IV secolo entrò a far parte dell’Impero Bizantino. Nel 749 fu quasi completamente distrutta da un terremoto, ma nel 1806 l’esploratore tedesco Ulrich Jasper Seetzen riuscì a localizzare i suoi resti. Oggi Jerash, patrimonio dell’Unesco, è considerata tra le più affascinanti e meglio conservate città romane del Medio Oriente, “antico luogo di incontro tra Occidente e Oriente”.

Fusione nucleare importante per sviluppo energetico sostenibile.

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Roma, 7 ott. (askanews) - L'Italia gioca un ruolo di rilievo nella ricerca sulla fusione nucleare per produrre energia pulita e sicura, in quella roadmap tracciata dall'Europa per arrivare ad avere reattori commerciali in grado di portare l'energia elettrica nelle nostre case intorno alla metà di questo secolo. 
A Padova e a Frascati si sta lavorando a due importanti tasselli di questo percorso, come ci racconta il prof. Piero Martin, Ordinario di Fisica sperimentale all'Università di Padova, coinvolto in entrambi i progetti. Martin è infatti membro dell'Executive Board del Divertor Tokamak Test (DTT) che sarà sviluppato a Frascati sotto la guida dell'Enea ed è ricercatore presso il consorzio RFX (di cui fanno parte CNR, Enea, Unipd, INFN, Acciaierie Venete) che sta sviluppando a Padova il progetto NBTF - Neutral Beam Test Facility.Prima di addentrarci in questi due progetti, soffermiamoci sull'obiettivo della ricerca sulla fusione: riprodurre sulla terra il funzionamento del Sole."Stiamo cercando di rubare il segreto del Sole. Il Sole funziona fondendo nuclei di idrogeno e trasformando così l'energia necessaria per la vita sul nostro pianeta. Noi cerchiamo di fare qualcosa del genere. È molto più complicato - chiarisce il prof. Martin - ma ci stiamo lavorando. Vogliamo lavorare con un combustibile che sono isotopi dell'idrogeno, quindi nuclei estremamente leggeri che vogliamo far fondere insieme e da questi poi ricavare energia elettrica".E veniamo ai progetti sulla fusione in corso in Italia. A Padova si sta sviluppando NBTF - Neutral Beam Test Facility. Di cosa si tratta?"A Padova stiamo realizzando un grande acceleratore, un iniettore di particelle neutre che avrà il compito di scaldare il plasma di ITER. ITER è questo grande esperimento che dovrà dimostrare la fattibilità scientifica della fusione, lo stiamo costruendo nel Sud della Francia con un'ampia collaborazione internazionale. E il contributo di Padova - spiega il fisico - è proprio quello di costruire l'accendino, quel dispositivo che porterà il combustibile di ITER alle temperature necessarie per ottenere la fusione. Temperature elevatissime, decine di milioni di gradi".Ed è nella gestione di queste temperature così elevate che si inserisce un altro progetto italiano, DTT- Divertor Tokamak Test che si svilupperà a Frascati sotto la guida dell'Enea e che di recente ha avuto un finanziamento di 250 milioni di euro dalla Banca europea per gli investimenti."Esattamente. DTT sarà un esperimento intero, la ciambella in cui produciamo il plasma e tutti i sistemi ausiliari ed è proprio realizzato per capire come gestire i grandi flussi di potenza che escono da questi dispositivi, pari a quelli che abbiamo sulla superficie del Sole. Quindi veramente impegnativi per i materiali di oggi e quindi stiamo lavorando per cercare di gestirli al meglio. DTT servirà esattamente a questo".Guardando alla roadmap europea per l'energia da fusione, abbiamo detto di ITER e poi?" ITER dovrebbe entrare in servizio alla fine di questo decennio e ottenere i suoi primi risultati importanti agli inizi del prossimo, cioè dal 2030 in poi; sarà seguito da DEMO che sarà il primo prototipo di reattore per la produzione dell'energia elettrica e poi da una filiera di reattori commerciali. Credo che tutto questo ci porterà alla seconda metà di questo secolo, dal 2050-2060 in poi. Salvo improvvise accelerazioni dettate da emergenze vuoi sociali vuoi ambientali. Uno dei padri della fusione - prosegue il prof. Martin - agli inizi della ricerca verso la fine degli anni '50 disse: la fusione sarà pronta quando l'umanità ne avrà bisogno. Credo che sia arrivato il momento. Quindi il percorso scientifico potrebbe anche essere accelerato, ad esempio da ulteriori investimenti". La fusione non risolverebbe del tutto i problemi di approvvigionamento energetico da fonti alternative e sostenibili. "No, non li risolverà. Darà però un contributo importante. Credo che la filosofia per uno sviluppo energetico sostenibile sia quella di saper gestire e lavorare su un paniere di energie libere da CO2, quindi rinnovabili, da fusione, quindi tante sorgenti insieme. Certamente per quel che riguarda il cosiddetto 'baseload' cioè quella necessità di energia di cui per esempio una grande città ha bisogno 24 ore su 24 la fusione potrà dare un grossissimo contributo, probabilmente fondamentale".

http://www.affaritaliani.it/coffee/video/scienza-tecnologia/fusione-nucleare-importante-per-sviluppo-energetico-sostenibile.html

Manovra, Istat: “Gli elevati livelli di evasione riducono crescita e competitività”. Bankitalia: “Incide su efficienza ed equità”.

Manovra, Istat: “Gli elevati livelli di evasione riducono crescita e competitività”. Bankitalia: “Incide su efficienza ed equità”

Il presidente Gian Carlo Blangiardo, in audizione sulla Nadef, ha ribadito quello che economisti, addetti ai lavori e istituzioni internazionali ripetono da anni: i soldi sottratti alle casse pubbliche da chi non paga le tasse contribuiscono ad affossare le prospettive di sviluppo. Il vice direttore generale di Bankitalia Signorini e la Corte dei Conti invece hanno avvertito che serve "cautela" nell'indicare come coperture i proventi dalla lotta all'evasione, che sono incerti.
dati contenuti nel rapporto sull’economia non osservata allegato alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza mostrano “la persistenza di elevati livelli di evasione fiscale e contributiva, aspetti critici per il rafforzamento della capacità competitiva e di crescita del nostro paese e per l’efficacia e l’equità delle politiche pubbliche”. Il presidente Istat Gian Carlo Blangiardo, in audizione nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato, ha ribadito quello che economisti, addetti ai lavori e istituzioni internazionali ripetono da anni: i soldi sottratti alle casse pubbliche da chi non paga le tasse contribuiscono ad affossare le prospettive di crescita dell’Italia. La relazione annuale presentata insieme alla Nadef quantifica il “tax gap” medio – cioè la differenza fra il gettito teorico e quello effettivo, che stima l’evasione fiscale – in 109,7 miliardi nel periodo 2014-2016.
Dal canto suo il vice direttore generale di Bankitalia, Luigi Federico Signorini, sempre nel corso dell’audizione ha sottolineato che “in Italia l’evasione sottrae all’erario una quantità elevata di gettito, ma il gettito mancato non è l’unica conseguenza dei comportamenti irregolari nei confronti del fisco. Chi evade riesce a offrire beni o servizi a un prezzo più basso rispetto ai concorrenti onesti; la connessa distorsione altera l’allocazione dei fattori della produzione, con conseguenze negative sull’efficienza, sulla produttività e sulla crescita. L’evasione si traduce in un inasprimento dei tributi per le aziende in regola, ostacolandone la competitività relativa; analogamente, l’aumento della pressione fiscale in capo ai contribuenti che adempiono correttamente agli obblighi fiscali pone un problema di equo trattamento dei cittadini, a maggior ragione se l’effetto di dichiarazioni infedeli si estende oltre il campo strettamente fiscale, per esempio alle agevolazioni o ai servizi sociali previsti per i meno abbienti. L’evasione insomma incide tanto sull’efficienza quanto sull’equità: ostacola il regolare funzionamento del mercato e altera i meccanismi redistributivi disegnati dalla legge. C’è, giustamente, ampio consenso sulla necessità di prendere misure efficaci per contrastarla.
Signorini però ha anche avvertito che serve “cautela” nella valutazione “dei risultati che si possono ottenere in un singolo anno nel contrasto all’evasione fiscale”da cui il governo conta di ricavare nel 2020 oltre 7 miliardi. “Gli effetti delle misure che si introducono e i loro tempi non possono essere quantificati in anticipo con certezza, ed è bene continuare a valutarne analiticamente, caso per caso, l’efficienza e l’efficacia, ed eventualmente fare le correzioni tecniche opportune”, ha spiegato Signorini. “In ultima analisi l’evolversi dei comportamenti dei contribuenti, che per lo più è graduale, ha un ruolo cruciale”.
D’accordo la Corte dei Conti secondo cui il ricorso “massiccio” per la copertura della manovra alla lotta all’evasione “rafforza le riserve su tale modalità di copertura”. “Sul fronte delle entrate, all’impegno per il riassorbimento di sacche di evasione ed elusione, dovrebbe necessariamente accompagnarsi un processo di riforma più complessivo, che risponda a criteri di equità e semplificazione del sistema e che restituisca un ambiente più favorevole alla crescita”. Considerate le dimensioni dell’evasione fiscale, stimata tra i 90 e oltre 100 miliardi, “sicuramente i margini d’intervento ci sono. Quello che noi abbiamo storicamente cercato di sottolineare è l’esigenza di una strategia coordinata, fatta di tante misure”, spiega il consigliere della Corte dei conti ed ex direttore dell’Agenzia delle entrate, Massimo Romano. “Non c’è uno strumento unico che risolve il problema ma una linea di interventi che devono avere una loro coerenza”.
L’auspicio è che si possano mettere in campo”, sottolinea Romano. L’utilizzo dei pagamenti elettronici “è un complemento, un pezzo di una strategia, non l’unica strategia possibile”.
Per quanto riguarda i dati macro della Nadef, l’Istat giudica “coerente” l’obiettivo di crescita programmatica fissato dal governo per il 2019, pari a +0,1%, “in assenza di perturbazioni derivanti da una significativa involuzione dello scenario internazionale”. Le previsioni complete sul 2020 verranno pubblicate il 4 dicembre. “Per un paese in cui il debito pubblico rappresenta uno dei principali fattori di fragilità, assicurare che la variazione abbia quanto meno il segno giusto è il minimo”, ha detto invece Signorini. “La situazione di questi anni è storicamente eccezionale. I tassi nominali sono i più bassi che si ricordino. Questa situazione va sfruttata per mettere il rapporto tra debito e prodotto su un sentiero di durevole discesa”. Per Signorini è necessaria una riforma fiscale complessiva e organica, fondata su un’attenta analisi che non può consistere nell’abbattere tutte le imposte. Nella definizione dei provvedimenti da adottare sarà opportuno prendere in considerazione in modo complessivo gli strumenti disponibili, incluse le imposte indirette”.
Quotazioni in borsa ed evasione fiscale non aiutano l'economia mondiale, ma contribuiscono a determinare una sostanziale differenza economica tra ricchi, sempre più ricchi perchè azionisti ed evasori fiscali, e poveri sempre più poveri perchè schiavi di chi non rispetta le regole. Cetta.

Germania, divario tra ricchi e poveri ai massimi storici. - Isabella Bufacchi

(Marka)

La disuguaglianza dei redditi è ai massimi storici in Germania. Nonostante dieci anni di crescita e un boom economico segnato dall’aumento dei salari, cresce il divario tra ricchi e poveri. Lo dice un rapporto uscito oggi della Fondazione Hans-Böckler.

La disuguaglianza dei redditi, il divario tra ricchi e poveri ha toccato un nuovo massimo storico in Germania. Dieci anni di crescita, un boom economico e l’aumento dei salari non sono riusciti ad arrestare la tendenza di una crescente disparità di reddito. Secondo un rapporto uscito oggi dell’Istituto Ricerca Economica e Sociale WSI della Fondazione Hans-Böckler vicina al mondo dei sindacati e della DGB (Deutscher Gewerkschaftsbund, la maggiore confederazione dei sindacati in Germania), la disparità di reddito disponibile ha continuato ad allargarsi tra il 2005 e il 2016: alla fine del 2016, il coefficiente di Gini, il noto metro per misurare la disuguaglianza, era superiore del 2% rispetto al 2005. Le famiglie povere sono sempre più al di sotto della soglia di povertà, si evidenzia inoltre nel rapporto. «Sempre più persone sono colpite dalla povertà in Germania», afferma WSI.

Due fattori spiegano il divario più ampio
Sono due i fattori principali, secondo i ricercatori, che hanno contribuito all’aumento della disuguaglianza negli ultimi anni: le persone ad alto reddito hanno tratto maggiore beneficio dai profitti aziendali e dai rialzi delle azioni in Borsa, «mentre la stragrande maggioranza delle famiglie in Germania è rimasta indietro». Il 40% delle famiglie con i redditi più bassi non è riuscito a tenere il passo con l’aumento della ricchezza delle famiglie più benestanti. Secondo il rapporto - che tiene conto del mercato del lavoro con una disoccupazione ai minimi storici e un’occupazione piena, della crescita economica dal 2010 e degli aumenti salariali - il reddito disponibile è salito per il ceto medio ma non per i più poveri, con grandi disparità di trattamento tra chi percepisce regolarmente lo stipendio e chi no.

Dorothee Spannagel, tra gli autori del rapporto WSI, riconosce che la disuguaglianza sta crescendo a un ritmo molto più lento rispetto all’inizio del 2000, perchè chi percepisce regolarmente uno stipendio ha avuto un aumento del reddito disponibile, al netto dell’inflazione. Ma anche il divario tra ceto medio e classi più povere sta aumentando. «Nonostante questa tendenza positiva, la polarizzazione in Germania continua - sostiene Spannagel.- Il settore delle retribuzioni molto basse continua ad essere molto ampio, mentre i super ricchi, cioè i multimilionari e miliardari, hanno tratto più beneficio dal boom della Borsa, dall’impennata dei prezzi nel mercato immobiliare, dagli alti profitti aziendali. La disuguaglianza riduce la partecipazione sociale e politica e compromette il funzionamento dell’economia sociale di mercato». La crescita economica degli ultimi anni non è dunque servita a ridurre la disparità tra ricchi e poveri: uno sviluppo macroeconomico positivo non è sufficiente per ridurre le disuguaglianze e la povertà, secondo Spannagel.

Ricchi più ricchi.
La stampa tedesca cita anche un recente studio dell'Istituto tedesco di ricerca economica DIW secondo il quale la ricchezza in Germania è distribuita in modo molto disomogeneo: l’1% dei tedeschi più ricchi ha quasi un quinto del patrimonio netto nazionale, il 10% ha il 56 per cento. Il 50% della popolazione è il ceto più povero, circa 40 milioni di persone. Tuttavia secondo DIW la disuguaglianza di ricchezza non è aumentata negli ultimi dieci anni in Germania.

Le soluzioni. Dorothee Spannagel della Fondazione Böckler indica tra le tante soluzioni, una tassazione più alta per la popolazione con i redditi più elevati e un aumento dei salari minimi.
Il coefficiente di Gini. La ricerca tiene conto del coefficiente di Gini, l’indicatore più comune della distribuzione del reddito con valori compresi tra zero (tutte le famiglie hanno lo stesso reddito) e uno (una singola famiglia ha l'intero reddito nel Paese). Alla fine del 2016, il coefficiente Gini del reddito familiare disponibile in Germania era di 0,295 con un aumento del 19% della disuguaglianza rispetto alla fine degli anni '90 quando il Gini era poco meno di 0,25 e comunque in aumento rispetto allo 0,289 del 2005. La disuguaglianza in Germania è aumentata molto rapidamente alla fine degli anni '90 e nella prima metà degli anni 2000.

Tangenti Lombardia, i verbali su Mascetti: “Finanziava la Lega. Nel Carroccio non c’è una persona che prende soldi direttamente”.

Tangenti Lombardia, i verbali su Mascetti: “Finanziava la Lega. Nel Carroccio non c’è una persona che prende soldi direttamente”

Agli atti dell'inchiesta della procura di Milano sono stati depositati alcuni verbali di Alberto Bilardo, ex segretario di Forza Italia a Gallarate: "Mascetti è una persona di fiducia dell’onorevole Giorgetti ed è sponsorizzato da quest’ultimo". Il riferimento è per Andrea Mascetti, consigliere di amministrazione indipendente nel board di Banca Intesa Russia. Laura Bordonaro, ex manager della società partecipata Accam: "E' il professionista maggiormente sponsorizzato da parte degli esponenti leghisti".
Nella Lega non c’è una persona che prende soldi direttamente, ma c’è una suddivisione degli incarichi, ad esempio quando Mascetti prende un incarico poi fa lavorare altri professionisti”. A sostenerlo Alberto Bilardo, ex segretario di Forza Italia a Gallarate , in provincia di Varese, e uno degli uomini più vicini a Nino Caianiello, il presunto burattinaio nella maxi indagine della Dda di Milano su un sistema di tangenti e nomine pilotate. Il Mascetti citato da Bilardo è Andrea Mascetti, avvocato varesino e consigliere di amministrazione indipendente nel board di Banca Intesa Russia. Arrestato e interrogato il 10 giugno scorso, il verbale di Bilardo è tra le migliaia di pagine di atti depositati dopo la chiusura dell’inchiesta per 71 indagati. Secondo Bilardo, Mascetti “è una persona di fiducia dell’onorevole Giorgetti ed è sponsorizzato da quest’ultimo”. Caianiello, ha spiegato Bilardo, “mi aveva detto del ruolo importante che Mascetti ricopriva nella provincia di Varese in quanto deteneva le leve economiche. Mascetti ha preso molti incarichi dal comune di Gallarate”. Informazioni già anticipate dal Fatto Quotidiano nel luglio del 2019.
“Nella Lega c’è suddivisione di incarichi” – In relazione agli incarichi in Accam, una società partecipata di Varese, “faccio presente – ha messo a verbale Bilardo – che vi era la necessità di nominare il il presidente dell’Odv (organismo di vigilanza, ndr), nomina che spettava alla Lega che nominò il predetto Mascetti per tale incarico. Per gli altri due posti di componenti dell’Odv – ha aggiunto – gli stessi spettavano a Forza Italia“. E ancora: “Verso la fine del 2017, Caianiello mi disse, a tal riguardo, che ‘bisognava fare il Natale, frase con la quale voleva dire che bisognava contattare i professionisti per recuperare del contante”, ossia le cosiddette “retrocessioni” da parte di coloro che avevano ottenuto gli incarichi. Bilardo ha raccontato ancora che “per la nomina di un legale presso il Comune di Gallarate”, in sostituzione di un altro avvocato, “c’era da fare i conti con la Lega” e “venne fatta una riunione verso la fine del 2016” e il Carroccio propose “l’Avv. Mascetti”. Il nome di Mascetti è stato citato più volte anche nel cosiddetto Russiagate. Durante la famosa conversazione all’hotel Metropol, uno degli italiani cita Banca Intesa e spiega ai russi che la Lega aveva “un uomo lì dentro chiamato Mascetti”. “Dopo questo incontro dobbiamo parlare con il tizio che inizia con Ma e finisce con etti in modo che si incontrino dopo che i fondamentali sono chiusi”.
“Mascetti finanziava la Lega” – A parlare di Mascetti, è anche Laura Bordonaro, ex manager della società partecipata Accam arrestata lo scorso maggio (ora è tornata in libertà). “Mascetti è il professionista maggiormente sponsorizzato da parte degli esponenti leghisti, ricoprendo plurimi incarichi presso società pubbliche. Da più parti viene indicato come una persona che significativamente finanziava il partito della Lega anche mediante associazioni che a lui facevano capo quali ad esempio Terra Insubre“, ha detto la donna, che interrogata dal pm Luigi Furno, ha spiegato di non essere a conoscenza se esistesse o meno anche in “area della Lega” un “sistema analogo a quello (…) degli incarichi pilotati nei confronti del professionisti” attribuito all’ex coordinatore di FI di Varese Gioacchino Caianiello. Bordonaro nel parlare di Mascetti al pm ha precisato che le era “stato presentato durante un incontro da Matteo Bianchi“, ex segretario leghista sempre di Varese e da Caianiello” con il quale, “pur essendo esponente della Lega, ha buoni rapporti (…) avendo personalmente constatato che durante le elezioni amministrative del 2019 si sentivano spesso per accordi sui vari candidati sindaci”. Nello stesso verbale la ex manager ha anche spiegato che Mascetti “è stato indicato in quota Lega” nell’organismo di vigilanza di Accam, la società che si occupa di smaltimento rifiuti per 27 comini tra l’Alto Milanese e il Varesotto, e che “la sua candidatura è stata caldeggiata anche dallo stesso Caianiello”. 
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lunedì 7 ottobre 2019

RENZI, CAROFIGLIO, MAZINGA E IL MONNI. - Andrea Scanzi

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Venerdì, a Otto e mezzo, Carofiglio ha ribadito il concetto antico (tra gli ex renziani) secondo cui Renzi “ha un gran talento, ma non sa gestirlo”. La solita analisi autoassolutoria. Renzi è sempre stato così, e in tutta onestà bastava guardarlo: un concentrato politicamente improponibile di provincialismo, faciloneria, insipienza, mestizia caricaturale, berlusconismo e bulimica tendenza alla bugia. Dire che Renzi “ha tanto talento” è come dire che Duarte piscia in testa a Nesta e Baresi. Avete preso una cantonata allucinante: ammettetelo e stop. Chi lo ha appoggiato per anni, peggio ancora se intellettuale, dovrebbe ammettere un errore così marchiano, che ha permesso a un tipo simile di devastare il centrosinistra. Nulla è stato politicamente peggiore di Renzi da Berlusconi in poi: gli anni renziani sono stati indecenti, e se il 4 dicembre 2016 avesse vinto il “sì”, avremmo vissuto anni tremendi. (Intendo più di questi).

Ora Renzi fa il “fenomeno” (cit. Conte) e cannoneggia il Mazinga. Era ovvio che lo facesse, da dentro o fuori il Pd nulla cambia. Ha creato il tremebondo ossimoro Italia Viva unicamente per farsi intervistare come leader di qualcosa. Anche solo di una conventicola accreditata se va bene (?) del 4%. La Diversamente Lince di Rignano è il più grande rischio del Mazinga: ha contribuito a farlo nascere e, se non lo farà (per ora) cadere, sarà solo per paura delle elezioni: non si vota neanche da solo ed è giustamente il “leader” più odiato dagli italiani. Quindi (per ora) aspetta, ma nel frattempo straparla, con quella mimica da Panariello minore comicamente convinto d’essere figo. In questi giorni prima si è accreditato il merito di non avere aumentato l’IVA (che nessuno voleva aumentare) e poi se l’è presa coi pochi soldi destinati alla riduzione del cuneo fiscale (che sono pochi perché Italia Viva e M5S si sono rifiutati di alzare dell’1% l’aliquota per chi usa contante e non moneta elettronica). Renzi è cioè riuscito a dire in due giorni due cose diametralmente opposte: come sempre. Nel frattempo il caso Consip va avanti, come aveva sempre vaticinato il Fatto, ma pochi ne parlano perché Il Cazzaro Rosè resta ancora amato (solo) da non pochi giornaloni e tivù, sempre più fuori dal mondo e dalla realtà.
Si potrebbe andare avanti a lungo, ma la sostanza è più o meno questa. 
1) Renzi e Salvini sono le due facce della stessa medaglia. 2) Renzi è la più grande iattura politica abbattutasi sulla sinistra italiana (con cui ovviamente nulla c’entra). 
3) La sbornia e la deferenza avuta da troppi italiani (anche “famosi”) per questo gazzilloro irricevibile resteranno nei secoli un’onta nazionale. 
4) Infine. Per dirla ironicamente - e si perdoni il francesismo - con una massima dell’amatissimo Monni, lui sì toscano vero e brutale come solo i migliori toscani sanno essere: “tu sei come la fava, sempre in mezzo ai coglioni”. Amen.

Fatture false, genitori Renzi condannati a 1 anno e 9 mesi. - Paolo Martini

Fatture false, genitori Renzi condannati a 1 anno e 9 mesi

Un anno e nove mesi di reclusione (pena sospesa) per Laura Bovoli e Tiziano Renzi, genitori dell'ex premier Matteo Renzi, e due anni per l'imprenditore Luigi Dagostino. E' questa la sentenza emessa oggi pomeriggio dal tribunale di Firenze al termine del processo per due fatture false emesse dalla Party srl (da 20mila euro più Iva) e alla Eventi 6 srl (140mila euro più Iva), società imprenditoriali gestite dai coniugi Renzi. Dagostino era accusato, oltre che di fatture false, anche di truffa aggravata, perché avrebbe pagato i coniugi di Rignano sull'Arno (Fi) per lavori inesistenti.

Il giudice Fabio Gugliotta ha accolto in piene le richieste del pm Christine Von Borries nei confronti dei Renzi. L'accusa aveva invece chiesto 2 anni e 3 mesi per Dagostino, che è stato condannato anche al pagamento dei danni alle parti civili e delle spese processuali. Renzi e Bovoli sono stati, inoltre, interdetti per sei mesi da incarichi direttivi nelle imprese e per un anno dai pubblici uffici e dal trattare con la pubblica amministrazione. Il giudice ha concesso la sospensione condizionale della pena.
"Abbiamo comunicato la notizia ai nostri assistiti, che sono molto sereni, molto tranquilli. Quello che dovevamo dire lo abbiamo detto e lo abbiamo scritto in una memoria consegnata al giudice. Aspettiamo le motivazione della sentenza e poi faremo assolutamente ricorso", ha commentato l'avvocato Lorenzo Pellegrini, uno dei difensori dei coniugi Renzi. Il difensore di Dagostino, l'avvocato Alessandro Traversi, ha detto dopo la sentenza: "Aspettiamo le motivazioni della sentenza per capire le ragioni per le quali le fatture sono state ritenute relative a operazioni non effettivamente esistenti. Ovviamente ricorreremo in appello".
Lo stesso Tiziano Renzi ha commentato: "Ho il dovere di credere nella giustizia italiana, oggi più che mai. E continuo a farlo anche se con grande amarezza. Perché i fatti sono evidenti: il lavoro che mi viene contestato è stato regolarmente svolto, regolarmente fatturato, regolarmente pagato. Nessuno può negare questo e sono certo che i prossimi gradi di giudizio lo dimostreranno. Nell’attesa presenteremo immediatamente l’appello. Almeno è stato appurato che non c’è un neanche un centesimo di evasione: passerò i prossimi anni nei tribunali ma dimostrerò la totale innocenza".
I fatti al centro delle indagini risalgono al 2015, quando l'imprenditore Luigi Dagostino, anch'egli a giudizio con l'accusa di false fatturazioni e, nel suo caso, anche truffa, era amministratore delegato della Tramor, società di gestione dell'outlet del lusso The Mall di Leccio di Reggello (Firenze), e avrebbe incaricato le società Party ed Eventi 6, entrambe facenti capo ai Renzi, di studi di fattibilità per lavori all'outlet.
Le fatture considerate false e oggetto del processo, perché secondo l'accusa non corrisponderebbero a prestazioni realmente effettuate, sono due: una da 20mila e l'altra da 140mila euro più Iva. Le fatture vennero pagate alla società Party srl (quella da 20mila euro) e alla Eventi 6 srl (quella da 140mila euro) nel luglio 2015.
Secondo la procura la fattura da 140 mila euro per progetti di fattibilità su aree ricreative e per la ristorazione all'outlet del lusso 'The Mall' sarebbe per consulenze pagate ma non realizzate L'altra fattura da 20 mila euro risulta emessa dalla Party srl (unica fattura emessa dalla Party nel 2015), società fondata da Tiziano Renzi (con il 40% della quote) e dalla Nikila Invest, srl amministrata da Ilaria Niccolai (60%), compagna dell'imprenditore Luigi Dagostino.
Durante il dibattimento in aula, un consulente tecnico citato dalla difesa, il commercialista Francesco Mancini, rispondendo alle domande di uno dei legali di Laura Bovoli, avvocato Francesco Pistolesi, aveva affermato che le due fatture oggetto del processo furono regolarmente contabilizzate e non provocarono alcun danno all'Erario.
D'Agostino, rilasciando dichiarazioni spontanee, aveva detto di non aver emesso "nessuna fattura falsa" e di non aver "truffato nessuno", sostenendo di essere rimasto perplesso per l'importo delle fatture ma di aver "subito la sudditanza psicologica" per il fatto che "i coniugi Renzi erano i genitori del presidente del Consiglio" e quindi "ho ritenuto di non contestarle". Il legale dei Renzi, l'avvocato Federico Bagattini, aveva replicato affermando che "se avesse ritenuto quelle fatture troppo alte per il lavoro svolto avrebbe dovuto non pagarle".
Il padre e la madre di Matteo Renzi avevano scelto, invece, di non presentarsi in aula ma, tramite i loro legali, hanno depositato due memorie scritte. Nelle memorie difensive "i coniugi Renzi - spiegò Bagattini - hanno sostenuto quello che i loro difensori hanno già anticipato, e cioè che le due fatture sono assolutamente vere, relative a prestazioni effettivamente eseguite, e che tutte le tasse e le imposte relative a questa fatturazione sono state regolarmente versate".
"Ho sempre lavorato e dato lavoro: non ho avuto bisogno di avere il figlio premier per lavorare" e "chi dice il contrario mente" scrisse Tiziano Renzi in un passaggio della memoria consegnata al tribunale. "Non c'è nessuna fattura falsa - proseguiva Tiziano Renzi - solo tante tasse vere, tutte pagate fino all'ultimo centesimo: questo è oggettivamente esistente". Mentre Laura Bovoli aveva scritto che "non sono abituata alle telecamere e vivo con profondo disagio tutto ciò che è accaduto negli ultimi mesi" in cui "sono passata da cittadina irreprensibile a criminale incallita" e "da nonna premurosa al 'lady truffa'".
Nel febbraio scorso Tiziano Renzi e Laura Bovoli, accusati di bancarotta fraudolenta e false fatture, erano finiti agli arresti domiciliari nell'ambito di un'altra inchiesta della procura fiorentina sul fallimento di alcune cooperative che facevano capo a loro. Misura poi revocata l'8 marzo dal tribunale del riesame.
Durante la requisitoria di oggi, il pm Von Borries ha puntualizzato , sollevando le riserve dei legali degli imputati, che la fattura di 20mila euro alla società Party fu pagata da Luigi Dagostino il 17 giugno 2015, lo stesso giorno in cui l’imprenditore pugliese fu ricevuto a Palazzo Chigi. Il pm ha citato un atto estraneo al processo fiorentino e relativo a un’inchiesta della Procura di Trani da cui emerge che nel 2015 Dagostino si era rivolto a Tiziano Renzi, che aveva conosciuto l'anno precedente, per chiedergli di fissare un appuntamento presso la Presidenza del Consiglio dei ministri con l'allora sottosegretario Luca Lotti, considerato il braccio destro di Matteo Renzi.
L'incontro a Palazzo Chigi avvenne il 17 giugno 2015 e durò, secondo la ricostruzione del pm fiorentino, circa 40 minuti. Nello stesso giorno Dagostino saldò la fattura a Bovoli. All’incontro nell’ufficio di Lotti a Palazzo Chigi, ha precisato il pm Von Borries, intervennero anche Antonio Savasta, all’epoca pm a Trani, e l’avvocato Ruggero Sfrecola. A sollecitare l’incontro a Dagostino con Lotti sarebbe stato il suo avvocato. In quel periodo Savasta indagava su un giro di fatture false in Puglia che coinvolgeva anche Dagostino. Il pm Von Borries ha anche ricostruito "i tanti incontri incastrati con l’emissione delle fatture false" tra Tiziano Renzi e Dagostino, avvenuti soprattutto a Roma con esponenti della politica e "anche con pubblici ufficiali".
L'incontro che il magistrato pugliese Antonio Savasta ebbe con Luca Lotti a Palazzo Chigi era annotato anche nell'agenda dell'imprenditore Dagostino, ha precisato Von Borries, Altri incontri, secondo la ricostruzione del pubblico ministero Von Borries, avvennero nell'estate 2015 e "si intersecarono" con la data del 22 luglio, quando venne pagata alla Eventi 6 la fattura da 140mila euro per una consulenza. Il pm ha citato, tra gli altri, gli incontri con il senatore Nicola Latorre e uno con il magistrato Cosimo Bottazzi, che sarebbero avvenuti alla presenza sia di Tiziano Renzi che di Dagostino.
L'incontro tra Dagostino e Lotti "non c'entra assolutamente nulla: è una coincidenza temporale, che non è esposta nel capo di imputazione e che quindi non ha il benché minimo riferimento e rilevanza rispetto a questa vicenda", ha commentato l'avvocato Federico Bagattini, difensore di Tiziano Renzi. "E' una coincidenza che crea una suggestione e che fa fare delle domande ma che ai fini del processo non vuol dire assolutamente nulla", ha aggiunto il legale. "D'altro canto il fatto di avere rapporti personali di amicizia, conoscenza e frequentazione tra Tiziano Renzi e Luigi Dagostino non fa sì che questo tipo di rapporto generi rapporti illeciti e fatture false", ha concluso Bagattini.
Sempre a proposito dell'incontro Dagostino-Lotti, il difensore dell'imprenditore, avvocato Alessandro Traversi, ha commentato dopo la sentenza: "E' oggetto di altri eventuali procedimenti. In questo processo non c'è nessun atto che faccia riferimento a quello di cui ha parlato la pm questa mattina. Infatti gli abbiamo contestato la non conferenza di questi richiami a palazzo Chigi, a Lotti, a Sfrecola a Savasta. Sono oggetto di altre indagini e altri procedimenti che qui assolutamente non hanno nessuna attinenza con questo processo".