giovedì 9 luglio 2020

Salvini e Toti sotto a un ponte. - Gaetano Pedullà

Toti Salvini

Quelli che ieri hanno usato il nuovo ponte di Genova per dimostrare che la revoca della concessione ai Benetton è stata una presa in giro da parte del premier Conte e dei 5 Stelle (ad esempio Salvini e Toti) sono più falsi di una moneta da tre euro. In realtà, l’affidamento temporaneo alla società Autostrade, la stessa che per contratto doveva garantire la manutenzione del viadotto Morandi, crollato due anni fa con 43 vittime, è un atto puramente formale, inevitabile per restituire al capoluogo ligure un collegamento oltremodo necessario senza perdere tempo. Tale provvedimento, che la ministra De Micheli non poteva non firmare, non sposta però di un millimetro la sostanza delle cose: la mangiatoia delle autostrade sta per finire.
Un destino ormai talmente chiaro che ieri in Borsa, dove non si investono chiacchiere ma soldi veri, il titolo della società Autostrade è stato tra i peggiori nonostante quello che veniva fatto passare come un punto decisivo a suo favore. Poi in serata è arrivata la decisione della Corte costituzionale, che ha giudicato legittima l’esclusione proprio di Autostrade dalla costruzione del ponte ormai realizzato da Fincantieri e Salini Impregilo, cioè da chi non ha alcuna continuità con le attività dei Benetton, come avevano promesso Di Maio e l’allora ministro dei Trasporti, Toninelli.
Adesso il Governo si assumerà la responsabilità di revocare la concessione autostradale, ben sapendo che questo innescherà una lunga battaglia legale, con richieste di risarcimenti miliardari da parte di chi dovrebbe invece andare a nascondersi per i miliardi che ha incassato dai pedaggi in oltre trent’anni, e per tenersi la gallina dalle uova d’oro si è inventato di tutto, compresa un’inutile trattativa che ha fatto perdere tempo prezioso e milioni all’Alitalia.
Un muro di cavilli giuridici di fatto sostenuto da chi fino a ieri non ha mai fatto una pressione sui Benetton. E ora dal leader della Lega, Salvini, al governatore ligure Toti, riversano accuse ipocrite contro chi si è sempre battuto per mandare a casa il concessionario, dai 5S al sottoscritto. A loro dedico col cuore una citazione di Albert Einstein: “È difficile sapere cosa sia la verità, ma a volte è molto facile riconoscere una falsità”.

Una favola e Toti salva i Benetton. - Gaetano Pedullà

Giovanni Toti

Una regione fatta prigioniera e chi se ne dovrebbe vergognare impazza in tv facendo campagna elettorale, ovviamente trasferendo ad altri le responsabilità proprie e di chi guadagna un sacco di soldi proprio per impedire un tale disagio. Ha dell’incredibile quello che accade da giorni in Liguria, con le autostrade paralizzate per i controlli sulla stabilità dei tunnel resi necessari dopo la sfilza di disastri partita con il crollo del ponte Morandi a Genova, ormai due anni fa.
Da allora la rete che lo Stato ha dato in concessione ad Autostrade per l’Italia, società controllata dai Benetton, ha mostrato altri segni di cedimento, con un’altra tragedia per fortuna solo sfiorata a dicembre scorso, quando vennero giù pezzi della volta di una galleria dell’A26 tra Masone e Voltri. Se il concessionario avesse fatto le manutenzioni non avremmo un tale degrado, ma solo adesso e su precisa richiesta della parte pubblica si stanno facendo i controlli, col risultato di bloccare l’intero traffico. Per il governatore della Liguria, Giovanni Toti (nella foto), questa però è l’ennesima prova dell’incapacità di chi governa a Roma, e con i soliti slogan un perfetto argomento per nascondere il suo sostegno di sempre ai Benetton.
Dal dibattito sulla costruzione del nuovo viadotto Polcevera alla battaglia condotta in quasi assoluta solitudine dai 5 Stelle per revocare la concessione, mai il presidente Toti ha preso posizione contro i signori dei caselli, se non con dichiarazioni di circostanza e senza alcun seguito. Così, dopo essere stati lasciati per strada, i liguri adesso sono pure presi in giro.

La Corte costituzionale dà torto ad Autostrade: "Legittimo estromettere la società dalla costruzione del nuovo ponte". - Liliana Milella e Marco Preve

La Corte costituzionale dà torto ad Autostrade: "Legittimo estromettere la società dalla costruzione del nuovo ponte"
(Leoni)

Aspi aveva presentato ricorso contro il decreto con cui veniva istituito il commissario per la ricostruzione dell'opera, escludendo di fatto la società. La Consulta: "Scelta dettata dalla grave situazione". I 5Stelle esultano: "Avevamo ragione". Conte: "Una scelta che ci conforta".

"L'eccezionale gravità della situazione" giustifica l'esclusione di Aspi dai lavori per la ricostruzione del ponte di Genova. Con questa motivazione la Corte costituzionale ha respinto i 6 ricorsi del Tar della Liguria che aveva sollevato dubbi di costituzionalità sull'articolo 41 della Carta per l'esclusione di Aspi dalla ricostruzione del Morandi, il cui crollo provocò la morte di 43 persone. Era stata la società a rivolgersi al Tar per lamentare la violazione di una serie di diritti che sconfinavano, secondo i legali dell'azienda, nell'illegittimità costituzionale. La sentenza arriva nel giorno delle polemiche per la notizia che sarà Aspi a gestire il nuovo ponte di Genova, almeno fino alla possibile revoca della concessione. A reagire sono innanzitutto i 5Stelle: "Avevamo ragione". E Di Maio: "Grazie a Toninelli". "La sentenza ci conforta", dice il premier, Giuseppe Conte. "Conferma la piena legittimità costituzionale della soluzione normativa a suo tempo elaborata dal governo". Ma ecco il comunicato con cui la Corte ha annunciato la sua decisione.

Il comunicato della Corte.

"La Corte costituzionale ha esaminato nell'odierna camera di consiglio le questioni sollevate dal Tar della Liguria riguardanti numerose disposizioni del Decreto legge n. 109 del 2018 (cosiddetto Decreto Genova) emanato dopo il crollo del Ponte Morandi. Il Decreto ha affidato a un commissario straordinario le attività volte alla demolizione integrale e alla ricostruzione del Ponte nonché all'espropriazione delle aree a ciò necessarie. Inoltre, è stato demandato al commissario di individuare le imprese affidatarie, precludendogli di rivolgersi alla concessionaria Autostrade Spa (Aspi) e alle società da essa controllate o con essa collegate. Infine, il Decreto impugnato ha obbligato Aspi a far fronte ai costi della ricostruzione e degli espropri.  

In attesa del deposito della sentenza, l'Ufficio stampa fa sapere che la Corte ha ritenuto non fondate le questioni relative all'esclusione legislativa di Aspi dalla procedura negoziata volta alla scelta delle imprese alle quali affidare le opere di demolizione e di ricostruzione. La decisione del Legislatore di non affidare ad Autostrade la ricostruzione del Ponte è stata determinata dalla eccezionale gravità della situazione che lo ha indotto, in via precauzionale, a non affidare i lavori alla società incaricata della manutenzione del Ponte stesso. La Corte ha poi dichiarato inammissibili le questioni sull'analoga esclusione delle imprese collegate ad Aspi e quelle concernenti l'obbligo della concessionaria di far fronte alle spese di ricostruzione del Ponte e di esproprio delle aree interessate". 

La ricostruzione del caso.

Il ricorso affrontato oggi dalla Consulta era intitolato "Aspi contro la presidenza del Consiglio dei ministri e altri undici". Fra questi "undici" c'era soprattutto la struttura commissariale, presieduta da Marco Bucci, il sindaco di Genova e commissario per la ricostruzione del ponte Morandi, che ha poi ricostruito il viadotto sul Polcevera.
 
Con il celebre decreto Genova, poi diventato legge, Autostrade per l'Italia era stata estromessa dalle attività di ricostruzione del Ponte Morandi, affidate al Commissario straordinario con spese a carico del concessionario. Aspi aveva presentato una serie di ricorsi al Tar Liguria. L'elenco delle presunte violazioni di diritti costituzionali era lungo e ruotava in primis attorno al mancato rispetto della Convenzione fra Stato e concessionaria. Soprattutto sull'imposizione ad Aspi, lasciata fuori dalla porta della ricostruzione, dei costi per il nuovo viadotto ma anche di quelli per i risarcimenti alle imprese e agli sfollati: "Non è dato comprendere - hanno scritto i giudici del Tar - con precisione sulla scorta di quali parametri economici sono state determinate le indennità per metro quadro".
 
I giudici, nelle sei ordinanze sul tavolo della Consulta, sostenevano "la sussistenza di un contrasto con i principi di  separazione dei poteri, di difesa e del giusto processo, nonché del complesso delle disposizioni censurate  con il principio di proporzionalità".  E che "l'esclusione della società concessionaria dalle attività  in questione costituirebbe una restrizione della libertà di iniziativa  economica  in contrasto con l'articolo 41 della Costituzione (che garantisce la libertà dell'iniziativa economica privata, ndr)".
 

L'esclusione di Aspi dalla ricostruzione, inoltre, era stata decisa in assenza di qualsiasi responsabilità accertata processualmente della società - visto che l'inchiesta della procura non è neppure arrivata all'udienza preliminare - nel crollo del 14 agosto 2018. Secondo i giudici del Tar "il legislatore" avrebbe "alterato il complesso di diritti e obblighi attribuiti alla ricorrente Aspi dalla Convenzione unica". Sulla base di queste considerazioni giuridiche il Tar ha sospeso il giudizio sul ricorso perché ha ritenuto "rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale". Ma oggi la Consulta ha bocciato queste argomentazioni. E ora, tra governo ed Autostrade, si preannuncia lo scontro finale.

https://www.repubblica.it/politica/2020/07/08/news/consulta_ponte_concessione_autostrade-261342237/?fbclid=IwAR3e0KZ4IO5QSURk2KcQolWOfSNpk0OK-Ku3oBDotin2XMp3cFtCJ9MEKME

Ponte di Genova: Conte, 'O arriva proposta o scatta la revoca'. -



Per la Consulta 'Non è illegittimo estromettere Aspi dalla ricostruzione'.

La vicenda Autostrade "si trascina da troppo tempo. Ma la procedura di revoca è stata avviata e ci sono tutti i presupposti per realizzarla, perché gli inadempimenti sono oggettivi, molteplici e conclamati. Quindi o arriva una proposta della controparte che è particolarmente vantaggiosa per lo Stato oppure procediamo alla revoca, pur consapevoli che comporta insidie giuridiche". Così il premier Conte. Quando? "Entro questo fine settimana". Ed "è una decisione di tale importanza che la porteremo in CdM".
Atlantia risente in Borsa della decisione della Corte Costituzionale di respingere il ricorso contro l'esclusione di Autostrade per l'Italia dalla ricostruzione del ponte Morandi. Il titolo, in un listino nel complesso in leggero aumento, segna in avvio di seduta in calo del 5,21% a 13,5 euro con il futuro della concessione di Aspi che appare oggi ancora più in bilico.
Secondo la Consulta non è illegittimo estromettere Aspi dalla ricostruzione del Ponte Morandi. La Corte costituzionale ha ritenuto non fondate le questioni relative all'esclusione legislativa di Aspi dalla procedura negoziata volta alla scelta delle imprese alle quali affidare le opere di demolizione e di ricostruzione del Ponte Morandi.
"La decisione del Legislatore di non affidare ad Autostrade la ricostruzione del Ponte è stata determinata dalla eccezionale gravità della situazione che lo ha indotto, in via precauzionale, a non affidare i lavori alla società incaricata della manutenzione del Ponte stesso": è quanto comunica l'ufficio stampa della Consulta in attesa delle motivazioni della sentenza.
"Ci conforta che la Corte costituzionale abbia confermato la piena legittimità costituzionale della soluzione normativa che venne a suo tempo elaborata dal governo", ha commentato il premier Conte. 
Intanto il Governo è diviso sulla decisione di affidare ad Aspi, anche se pro tempore e come atto dovuto verso l'attuale concessionario, la gestione del nuovo ponte di Genova. 
"Confermo che il nuovo Ponte Morandi sarà gestito da Autostrade. Ho scritto io la lettera al sindaco Bucci. La gestione va al concessionario, che oggi è Aspi ma sulla vicenda c'è ancora l'ipotesi di revoca", ha detto la ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli a Radio 24 Mattino, come riportato anche da un tweet della trasmissione. 
"Ebbene, dopo due anni di minacce, immobilismo, proclami, giustizia promessa e rimandata, il ponte di Genova verrà riconsegnato proprio ad Autostrade, come ha ordinato il Governo M5s-Pd", ha detto il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti via Facebook. "Voi ridate il ponte ad Autostrade senza ottenere nulla. Noi continuiamo a lavorare per l'interesse dei liguri. E intanto per la tragedia del Morandi e per le sue 43 vittime nessuno ancora ha pagato. Mentre a Roma litigavate, noi in Liguria almeno abbiamo ricostruito il ponte. Forse abbiamo ringhiato meno di voi... ma visti i risultati...", commenta.
"Sulla concessione delle autostrade il governo ha lavorato senza sosta. Dopo aver raggiunto un risultato importantissimo, con il nuovo ponte Morandi costruito in meno di due anni, adesso è arrivato il momento di decidere, possibilmente entro questa settimana", ha detto il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, e capo delegazione del Movimento 5 Stelle.
Intanto, sono iniziate in mattinata le operazioni di stesura del primo strato di asfalto sul nuovo viadotto sul Polcevera a Genova. Lo annuncia la struttura commissariale. Un 'tappeto' di circa 7 centimetri, chiamato binder, viene steso con un rullo sul materiale già applicato nei giorni scorsi (primer e cappa asfaltica). Una volta completata la posa, che avviene dal centro del ponte verso le estremità del viadotto, la strada sarà completata con lo strato di usura, un' ulteriore parte in asfalto dello spessore di 4 centimetri.
"Il ponte di Genova non deve essere riconsegnato nelle mani dei Benetton - scrive su Twitter il capo politico del M5s Vito Crimi -. Non possiamo permetterlo. Questi irresponsabili devono ancora rendere conto di quanto è successo e non dovrebbero più gestire le autostrade italiane. Su questo il Movimento 5 stelle non arretra di un millimetro". 
"Rinviare non significa risolvere i problemi! Il conto, salato, alla fine si paga sempre. I cittadini ci hanno eletto per cambiare e decidere e non per avere "l'anime triste di coloro che visser sanza 'nfamia e sanza lodo" #NonInMioNome #ViaIBenetton", dice, sempre su Twitter Stefano Buffagni, viceministro allo sviluppo economico. Buffagni cita la definizione degli ignavi di Dante.
"Confermata la concessione ad Autostrade? Cosa non si fa per salvare la poltrona, 5 Stelle ridicoli e bugiardi, due anni di menzogne e tempo perso: #colpadisalvini anche questo???": scrive in un tweet il leader della Lega Matteo Salvini.
"Siamo rimasti basiti". Lo ha detto Franco Ravera, presidente dell'associazione 'Quelli del ponte Morandi' ex Comitato sfollati di Genova commentando a 'Radio 1 Giorno per giorno' la decisione di dare ad Autostrade la gestione del nuovo ponte di Genova. "Siamo stati due anni a sentire che quel ponte lì veniva ricostruito e non sarebbe più stato gestito da Autostrade. Noi ci abbiamo creduto, perché c'era, e c'è ancora in corso, una procedura della magistratura, una verifica sulle responsabilità".
E sul Ponte di Genova, da Madrid, interviene il premier Giuseppe Conte: "Io sono stato molto chiaro, ho detto che questo dossier va chiuso. Io ho già detto ai ministri più direttamente competenti che mi aspetto di chiudere ad horas o comunque a fine settimana. Dobbiamo evitare una situazione paradossale, dobbiamo chiarire questo passaggio". "Porteremo il dossier Autostrade in Cdm. E' una decisione di tale importanza che dovrà essere condivisa al di là dei due ministri direttamente competenti. Va coinvolto tutto il governo".
La questione della gestione del ponte di Genova va "subito risolta", "non voglio esprimere sentenze, né alimentare scontri, non ce n'è bisogno in questo momento", ma bisogna "mantenere le promesse fatte", scrive su Facebook il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. "Alle famiglie delle vittime avevamo promesso due cose: che il ponte non lo avrebbero costruito i Benetton, ma un'azienda di Stato. Infatti lo hanno costruito Fincantieri con Webuild. E che i Benetton non avrebbero più gestito le autostrade. Tantomeno il ponte. Entrambe queste promesse ora vanno mantenute. La politica senta dentro di sé il peso di queste due promesse. E passi ai fatti".

A che ora viene l’apocalisse di Settembre? - Antonio Padellaro

CORONAVIRUS: un piano segreto per preparare il Mondo all ...
“Alle diciotto ci sarà il giudizio universale”. Forse i meno giovani ricordano la scena di un film dei primi anni ’60: Il giudizio universale, diretto da Vittorio De Sica, con Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Silvana Mangano, e altri nomi famosi. 
Un’implacabile voce che tuona nel cielo di Napoli e annuncia l’orario preciso in cui tutto finirà. Qualcosa di simile da mesi rimbomba nelle nostre teste: l’annuncio di un’apocalypse now di cui conosciamo il mese, purtroppo non ancora né il giorno né l’ora. A settembre viene giù tutto, ci sentiamo ripetere da ogni dove con certezza indubitabile, inevitabile, categorica. Una realtà a cui veniamo crocifissi da Istat, Doxa e agenzie di rating con i chiodi dell’inarrestabile crollo delle vendite, dell’abisso del Pil, del dramma della povertà di massa, della disoccupazione straripante, delle sempre più numerose famiglie destinate a mendicare una minestra presso la Caritas. Andrà sempre peggio preconizzano opinionisti e grandi filosofi (Massimo Cacciari: “Ci sveglieremo a settembre e sarà una tragedia”). E perfino chi, arginato il coronavirus si sentiva un tantino più al sicuro, sprofonda nell’incubo della “seconda ondata”. Che negli esperti Oms suscitano terrificanti analogie con “i cinquanta milioni di morti della Spagnola”. Quando? A settembre, naturalmente. 
Allora, l’insurrezione divamperà da un’estremità all’altra dello Stivale e palazzo Chigi sarà cinto d’assedio dai forconi inferociti. Con la tipica incoscienza degli irresponsabili noi, però, non si sta come d’autunno sugli alberi le foglie. Infatti è ancora luglio e i più, invece di barricarsi in casa e di mettere sacchi di sabbia vicino alle finestre, tornano a trafficare le strade e nel weekend praticano tranquillamente spiagge e movida. I più fortunati progettano le ferie d’agosto con la tipica strafottenza di Massimo Troisi a cospetto del cupo Savonarola. “Ricordati che devi morire”. “Sì, sì mo me lo segno”.
Del resto, la solita politica aspetta l’apocalisse per meglio regolare i conti in sospeso. Ci sperano i leader dell’opposizione che puntano sulla catastrofe di settembre per “mandare a casa Giuseppe Conte” (Giorgia Meloni), poiché “Conte è cotto, finito” (Matteo Salvini). Mentre nella maggioranza l’imminente fine del mondo non distoglie il Pd dalle beghe congressuali, e il M5S dal proprio ombelico. (Infatti nel film, sceneggiato da Cesare Zavattini il Giudizio comincia per chiamata nominale, in diretta tv. Poi dopo un tremendo diluvio, spunta il sole, tutto viene dimenticato e ciascuno ritorna alle proprie miserie umane, cattive abitudini e malaffari).
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/07/09/a-che-ora-viene-lapocalisse-di-settembre/5862232/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-07-09

Io non vedo in giro ciò che dicono i destroidi; passata la tempesta, così si spera, pare che tutto stia tornando come prima. Sarà merito del Rdc o del Governo? Sarà perchè l'italiano medio dice di essere povero in canna per evadere le tasse, ma dentro il materasso conserva il gruzzoletto che fa spuntare all'improvviso per l'occorrenza? L'Italia non si piega, l'italiano è furbo, è risparmiatore, semmai è un fesso che crede ai falsi profeti che promettono, ma, alla fine non fanno altro che mettere le mani sull'immane mole di denaro che entra nelle casse dello stato ogni anno e che dovrebbe servire a creare il futuro per i nostri figli, che dovrebbe renderci la vita più agevole... e invece serve solo a riempire le tasche di chi sa solo pensare a se stesso fregandosene altamente delle promesse fatte durante la propaganda politica. Gli incantatori, gli affabulatori sono la nostra disgrazia e noi ne abbiamo tantissimi, visto il disastro che hanno creato con l'enorme debito pubblico. c.

Chi tace acconsente. - Marco Travaglio

Berlusconi: Santo subito?
Molti lettori ci scrivono sull’Operazione Rivergination avviata dalle tv e dei giornali di B. sull’unico suo processo scampato (finora) alla prescrizione, quello per frode fiscale sui diritti Mediaset: perché proprio ora, quando ormai nessuno – nemmeno lui – si ricordava più della sua condanna? Perché un ampio schieramento affaristico e politico, dunque editoriale, che spinge per rovesciare il governo Conte e rimpiazzarlo con uno di larghe intese&imprese che sbarchi i 5Stelle e imbarchi Pd, Iv, FI, Lega e i soliti trasformisti all’asta. Ma, prima di riesumare il pregiudicato, bisogna candeggiarlo di fresco. I trombettieri di Arcore, linciando il giudice Esposito e chi osa ricordare che B. fu condannato perché era colpevole, fanno il loro sporco mestiere. L’anomalia è il silenzio di chi sa come andarono le cose e l’ha più volte raccontato, ma ora tace per non disturbare i manovratori (anzi, intervista B. senza far domande). Noi continueremo a disturbarli facendo l’unica cosa che sappiamo fare: raccontare i fatti.
Nel 2006 il gup di Milano accoglie le richieste dei pm Robledo e De Pasquale e rinvia a giudizio B. e altri top manager Mediaset per falso in bilancio, frode fiscale e appropriazione indebita. La Procura ha scoperto che il Cavaliere, prima e dopo l’ingresso in politica nel ’94, dispose una serie di operazioni finanziarie per acquistare i diritti tv di film dalle major Usa con vorticosi passaggi fra società estere (tutte sue) per farne lievitare artificiosamente i prezzi: così rubò a Mediaset, tramite due offshore intestate ai figli, almeno 170 milioni di dollari e se li intascò in nero, sottraendo al fisco almeno 139 miliardi di lire e falsificando i bilanci anche durante la quotazione in Borsa nel ’96. Parte delle accuse, per i fatti più vecchi, già nell’udienza preliminare è coperta dalla prescrizione (abbreviata nel 2005 dalla legge ex Cirielli). In Tribunale la prescrizione falcidia pure i falsi in bilancio più recenti: resta in piedi parte delle appropriazioni indebite e delle frodi fiscali (fino al 2003). Il processo viene sospeso dal 2008 al 2010 per il Lodo Alfano e riprende quando la Consulta lo dichiara incostituzionale. Il 26 ottobre 2012, dopo ben 6 anni di corsa a ostacoli a base di leggi ad personam, ricusazioni, istanze di rimessione e legittimi impedimenti, arriva finalmente la sentenza di primo grado: condanne per frode fiscale a B. (4 anni), a due manager e al produttore-prestanome Agrama, assolto Confalonieri. Tutte prescritte anche le residue appropriazioni indebite e gran parte delle frodi. Le motivazioni descrivono un’“evasione fiscale notevolissima” (368 milioni di dollari) e un “disegno criminoso” di cui B. fu “l’ideatore” e poi il “dominus indiscusso”.
“Non è sostenibile – secondo il Tribunale – che Mediaset abbia subito truffe per oltre un ventennio senza neanche accorgersene”. Infatti faceva tutto il padrone, che “rimase al vertice della gestione dei diritti” e del meccanismo fraudolento anche “dopo la discesa in campo” del ’94. Non a caso la Cassazione ha già accertato che fu lui a fine anni 90 a far versare la tangente all’avvocato David Mills, creatore negli anni 80 delle società estere e occulte della Fininvest, perché testimoniasse il falso e lo salvasse da condanne certe nei processi per le mazzette alla Guardia di Finanza e i falsi in bilancio All Iberian.
L’8 maggio 2013 la II Corte d’Appello di Milano conferma in pieno la sentenza di primo grado: “vi è la prova, orale e documentale, che Silvio Berlusconi abbia direttamente gestito la fase iniziale del gruppo B (sistema di società offshore) e, quindi, dell’enorme evasione fiscale realizzata con le offshore”. Anche dopo l’entrata in politica, “almeno fino al 1998 vi erano state le riunioni per decidere le strategie del gruppo con il proprietario Silvio Berlusconi”: “Non solo si creavano costi fittizi destinati a diminuire gli utili del gruppo e quindi le imposte da versare all’erario italiano, ma si costituivano ingenti disponibilità finanziarie all’estero”. E “non è verosimile che qualche dirigente di Fininvest o Mediaset abbia organizzato un sistema come quello accertato e, soprattutto, che la società abbia subito per 20 anni truffe per milioni di euro senza accorgersene”.
La Cassazione, dopo i due giudizi di merito, deve solo valutare la legittimità della sentenza d’appello, perfettamente coerente con la giurisprudenza della III sezione (quella del giudice Amedeo Franco, specializzata in reati fiscali) sulle “frodi carosello”. E il 1° agosto 2013, appena in tempo per scongiurare la prescrizione delle ultime due frodi superstiti (4,9 milioni sugli ammortamenti del 2002, che si estingono proprio quel giorno; e 2,4 milioni su quelli del 2003, che si estinguono il 1° agosto 2014), arriva la sentenza, firmata dal presidente della sezione Feriale Antonio Esposito e dagli altri quattro giudici (fra cui Franco). Da allora nasce la leggenda di un “processo sprint” per negare a B. la prescrizione, che lui ritiene un diritto acquisito e che invece la Corte ha l’obbligo di evitare a ogni costo. Cosa ci sia di “sprint” in un dibattimento iniziato nel 2006 e concluso nel 2013 e di “anomalo” nell’assegnazione di un processo a rischio di prescrizione alla sezione Feriale della Cassazione (com’era accaduto nel 2011 per 219 processi e nel 2012 per 243), lo sanno solo i falsari pagati da B. E, se qualche beota casca nella trappola, è per il silenzio di tutti quelli che sanno.

Il castello di mio nipote: un’opera costosa e infinita. Peggio del Mose. - Daniele Luttazzi

Castello di sabbia | Renzo Piano | Come fare
Mio nipote, 10 anni, ieri ha costruito un castello di sabbia bellissimo, con quattro torri poligonali orientate secondo i punti cardinali, mastio, muro di cortina rivestito di bugnato a punta di diamante e conchiglie, merlature a coda di rondine, fossato, saracinesca, ponte levatoio e paratoie anti-marea.
Ispirato a un progetto disegnato da Leonardo Da Vinci per Ludovico il Moro, e mai realizzato, il castello di sabbia di mio nipote adesso domina la battigia del Bagno Wilmer di Torre Pedrera, un’importante via di comunicazione fra il litorale Nord e quello Sud dell’Adriatico. Domani è previsto il test di innalzamento delle paratoie, per verificare che la sabbia non giochi un brutto tiro ai macchinari, di fronte a bagnanti e curiosi provenienti da tutta Italia. Ma ciò che è accaduto stamattina, in un test preparatorio, non è di buon auspicio. Le paratoie 11, 14 e 28 non sono rientrate nella loro sede sul fondo a causa dei sedimenti. Per questo in serata si svolgerà un nuovo test, dopo le pulizie effettuate in gran fretta da mio cognato. È evidente che le paratoie richiedono pulizia continua e manutenzione. Mia sorella ha proposto un aspiratore speciale, ma è costoso come il Mose, e la famiglia non è mica lo Stato italiano, che può svenarsi per decenni in opere problematiche e inutili. E così si punta a installare delle bocche speciali, che muovano la sabbia e la aspirino; ma non sono ancora disponibili. “Le paratoie sono in grado di sollevarsi, ma non ancora di funzionare. Per quel momento bisogna attendere la fine del 2021”, mi confessa il nipote, un po’ amareggiato. “Mi spiace che domani il mare sarà calmo. Sarebbe stato bello provarle con il moto ondoso”.
L’ingegner Alberto Vaselli, lasciato il lettino su cui stava completando la torrefazione della propria epidermide, la brezza a gonfiargli i boxer, dopo una rapida occhiata alla struttura ha dichiarato a una tv locale che le paratoie non possono essere alzate: “Rischiano la distruzione in caso di vento e mare troppo forti”. Ma sabbia, vento e mare sono solo alcuni dei problemi delle paratoie. C’è pure la ruggine. Dopo appena tre ore si è scoperto che le paratoie Sud presentano scrostamenti della vernice protettiva, con intaccamento dell’acciaio. C’è ruggine anche sui delicatissimi gruppi cerniere-connettori che consentono il movimento. Occorrerà bandire una gara da 34 milioni di euro per la ricerca di soluzioni sui materiali, in vista della futura produzione di nuove cerniere. Se si pensa che le paratoie dovrebbero avere una vita di un secolo, la prognosi di usura nell’arco di poche ore è molto preoccupante. Il che dimostra come il castello di sabbia di mio nipote sarà un cantiere continuo. E questo porta l’attenzione sui costi di manutenzione, stimati in un centinaio di milioni all’anno.
L’elenco delle criticità, però, è ancora più lungo. Ci sono buchi nei tubi sott’acqua; e cedimenti dei cassoni in cemento posti sul fondale che fungono da alloggiamento delle cerniere; e il jack-up, la nave Playmobil attrezzata per sostituire periodicamente le paratoie da mettere in manutenzione (spesa stimata: 52 milioni di euro), che ancora non funziona. Per finire, la conca (stima: 35 milioni di euro) che dovrebbe consentire il passaggio di mosconi e pedalò con le paratoie in funzione. Un amichetto di mio nipote, armato di paletta e secchiello, si è subito messo a scavare una buca dirimpetto al castello. “Cosa stai facendo?” gli ho chiesto. E lui: “Sto facendo venir fuori un po’ di buio”.

Opere ingegnose ordinate da chi, utilizzando i soldi della collettività, i nostri, ha favorito personaggi senza alcuna esperienza o conoscenza dei lavori che avrebbe dovuto portare a termine.
Un flop di dimensioni immani, in quanto a perdita di tempo, soldi e... dignità!
Dignità di chi lo ha ordinato, di chi lo ha progettato e di chi avrebbe dovuto costruirlo e portarlo a termine funzionante.