lunedì 13 luglio 2020

Una vita da Caimano/4. - Marco Travaglio

Trattativa Stato mafia, Berlusconi indagato a Firenze. La moglie ...

2014. Il 18 gennaio, meno di due mesi dopo la sua espulsione dal Senato in seguito alla condanna definitiva a 4 anni per frode fiscale che l’ha fatto decadere in base alla legge Severino e interdetto dai pubblici uffici, Silvio B. viene ricevuto con Gianni Letta nella sede del Pd dal neosegretario Matteo Renzi. Che alla fine esprime “profonda sintonia” con il pregiudicato ineleggibile. E sigla con lui il Patto del Nazareno sulle riforme elettorale (Italicum) e costituzionale e su altri scambi inconfessabili che resteranno segreti, riportandolo surrettiziamente nell’area di governo, ma soprattutto riabilitandolo e rimettendolo in gioco. Il Camiano, che pareva finito e per cui lo stesso Renzi annunciava il “game over”, è resuscitato un’altra volta per mano dei suoi presunti avversari. Il 22 febbraio, Renzi rovescia il governo di Letta e ne prende il posto. Il 10 aprile Dell’Utri, appena condannato dalla Cassazione per mafia, fugge in Libano per sottrarsi all’arresto. B. dichiara: “L’ho mandato io. Marcello è a Beirut perché Putin mi ha chiesto di sostenere la campagna elettorale di Gemayel”. Ma il suo compare non è un ambasciatore: è un latitante inseguito da un mandato di cattura internazionale con richiesta di estradizione (verrà concessa il 12 giugno, quando il creatore di FI sarà tradotto nel carcere di Parma, a qualche cella di distanza da Riina). Il 14 maggio B. inizia i servizi sociali all’ospizio Sacra Famiglia di Cesano Boscone per scontare il suo residuo pena extra-indulto (10 mesi). Il 18 luglio viene assolto in appello (come poi in Cassazione) al processo Ruby, anche perché la Severino ha modificato il reato di concussione. Nei tre anni di governo Renzi, la rinata FI voterà quasi tutti i suoi provvedimenti, copiati dal programma di B.: Jobs Act, abolizione dell’art. 18, ”Buona Scuola”, responsabilità civile dei giudici; soglie di impunità per frodi ed evasioni fiscali; tetto ai contanti a 3mila euro; riforma costituzionale per un premier più forte e un Parlamento più debole; Italicum, con deputati nominati dai capi-partito e premio di maggioranza abnorme per chi arriva primo (come nel Porcellum); abolizione dell’Imu. Completano il quadro il rilancio del Ponte sullo Stretto, l’occupazione militare della Rai, la guerra ai magistrati più impegnati. Uno sdoganamento politico e culturale del berlusconismo a opera del Pd, che si preclude ogni possibilità di combatterlo in futuro.
2015. Il 31 gennaio l’idillio è momentaneamente rotto dal tradimento di Renzi, che fa eleggere Sergio Mattarella al posto di Napolitano senza il permesso a B. Questi preferiva il più fidato Amato. E si vendica, schierandosi contro l’Italicum e la riforma costituzionale che ha contribuito a scrivere.
Ma il governo Renzi non ha nulla da temere, anche perché continua a regalare favori a B. e alle sue aziende, grazie anche ai teorico del “renzusconismo”, il plurimputato Denis Verdini, che gli ha portato una pattuglia di parlamentari berlusconiani.
2016-2017. Persi il referendum e il governo (passato a Gentiloni), Renzi si vede bocciare l’Italicum dalla Consulta. E riprende a trattare con B. per una nuova legge elettorale su misura per entrambi: il Rosatellum, votato anche dalla Lega, fatto apposta per produrre ingovernabilità, creare finte coalizioni elettorali, far nominare dai capipartito i 2/3 dei parlamentari e soprattutto favorire, dopo le elezioni, un governo Renzusconi: l’ultimo argine dell’establishment contro i 5Stelle. L’inciucio è benedetto dalla grande stampa, compresa quella di sinistra. Da Scalfari a De Benedetti, è tutta una corsa a riabilitare B. come “male minore”, addirittura “salvatore dell’Italia” dal pericolo “populista” e “antieuropeista” (proprio lui, il più grande populista e antieuropeista mai visto).
2018. Alle elezioni del 4 marzo FI scende al minimo storico (14%). Scavalcato dalla Lega di Salvini (17,4), B. perde la leadership del centrodestra e vede stravincere i suoi peggiori nemici: i 5Stelle (32,7). Per il governissimo col Pd non ci sono i numeri. Ci sarebbero per un M5S-Pd-Leu, ma Renzi lo stoppa. Salvini, col permesso di B., va al governo con Di Maio ma a patto che quest’ultimo non sia premier, perchè rifiuta di incontrarlo e pure di parlargli al telefono. Nasce il Conte 1, il primo governo da 40 anni in cui B. non conta nulla: infatti passano leggi che mai nessuno aveva osato varare (Anticorruzione, blocca-prescrizione, voto di scambio, taglio dei vitalizi e dei parlamentari, dl Dignità, reddito di cittadinanza).
2019-2020. Nell’agosto 2019 Salvini rovescia il governo per andare alle elezioni, cancellare i 5Stelle e capitalizzare il trionfo delle Europee. Ma stavolta Renzi e il nuovo Pd guidato da Zingaretti si alleano con M5S e Leu nel Conte 2. Ma Renzi impiega poco a passare da promotore a guastatore del governo giallo-rosa, con la scissione di Italia Viva e uno smaccato corteggiamento a B. in vista di un governissimo Draghi che restauri l’Ancien Regime. Però la popolarità di Conte, soprattutto dopo la buona gestione della pandemia da Coronavirus, blocca l’inciucio per qualche mese. Poi, passata l’emergenza, la voglia di ammucchiata ritorna, su pressione dei poteri finanziari e dei loro giornaloni. Non solo Renzi, ma persino parte del Pd e financo Prodi sognano un governissimo col pregiudicato. Fingendo di dimenticare chi è. E quanti danni ha già fatto all’Italia.
(4- fine)

Autostrade, Conte: “Lo Stato non può essere socio di chi prende in giro le famiglie delle vittime”. L’intervista esclusiva. - Marco Travaglio

Autostrade, Conte: “Lo Stato non può essere socio di chi prende in giro le famiglie delle vittime”. L’intervista esclusiva

Presidente Giuseppe Conte, è soddisfatto delle proposte di transazione di Atlantia, cioè della famiglia Benetton, per il nuovo assetto di Aspi, cioè di Autostrade per l’Italia?
Per nulla e le spiego perché partendo dall’inizio. Due anni fa, dopo il crollo del ponte Morandi, abbiamo avviato la procedura di contestazione, mettendo in discussione la concessione ad Aspi. La mia sensazione è che Autostrade, forte dei vantaggi conseguiti nel tempo e di una concessione irragionevolmente rinforzata da un intervento legislativo, abbia scommesso sulla debolezza dei pubblici poteri nella tutela dei beni pubblici. A un certo punto Aspi si è irrigidita confidando, evidentemente, nella caduta del mio primo governo. Con questo nuovo governo si è convinta di avere forse delle carte da giocare e ha continuato a resistere. Solo all’ultimo si è orientata per una soluzione transattiva. La verità è che le varie proposte transattive fatte pervenire da Aspi non sono soddisfacenti. Lo Stato ha il dovere di valutarle per lo scrupolo di tutelare l’interesse pubblico nel migliore dei modi possibili. Ma adesso dobbiamo chiudere il dossier ed evitare il protrarsi di ulteriori incertezze.
Ma l’ultima proposta sembra migliorativa per lo Stato.
No. Proprio al fine di completare il procedimento, il 9 luglio si è svolta una riunione tecnica con il concessionario Aspi: lì i tecnici del governo hanno esposto i contenuti minimi e assolutamente inderogabili che devono caratterizzare la proposta transattiva perché possa essere portata e discussa in Consiglio dei ministri. E sabato è arrivata una risposta ampiamente insoddisfacente, per non dire imbarazzante: tutto meno che un’accettazione piena e incondizionata delle richieste del governo.
Ma l’azienda dei Benetton dice il contrario.
Le faccio qualche esempio. Manca l’impegno a manlevare la parte pubblica per tutte le richieste risarcitorie collegate al crollo del ponte Morandi. La somma di 3,4 miliardi offerta a titolo risarcitorio e compensativo per quella immane catastrofe è stata in buona parte imputata da Aspi a interventi di manutenzione che comunque il concessionario ha già l’obbligo di realizzare.
Ma hanno accettato l’adeguamento a un regime tariffario più conveniente per gli utenti, no?
Sì, ma dopo che l’Autorità di riferimento, l’Art, ha adottato il nuovo piano tariffario, anche questo adeguamento era dovuto. E per giunta la loro proposta tariffaria non contempla gli effetti sui minori ricavi per l’emergenza Covid-19, lasciando aperta anche questa partita. Non solo. È altrettanto inaccettabile la pretesa di Aspi di perpetuare il regime di favore in caso di nuovi inadempimenti degli obblighi di concessione.
Che vuol dire?
Anche in caso di gravissime compromissioni della funzionalità della rete autostradale imputabili ad Aspi, lo Stato non potrebbe sciogliere il contratto con Aspi, ma soltanto obbligare il concessionario a ripristinare la funzionalità della rete. Con la conseguenza che, se crollasse un altro ponte, non potremmo sciogliere la convenzione e, se mai lo facessimo, dovremmo rifondere Aspi con 10 miliardi di euro, e solo per l’avviamento. Quando ho letto la proposta ho pensato a uno scherzo.
Si sente preso in giro dai Benetton?
I Benetton non prendono in giro il presidente del Consiglio e i ministri, ma i famigliari delle vittime del ponte Morandi e tutti gli italiani. Non hanno ancora capito, dopo molti mesi, che questo governo non accetterà di sacrificare il bene pubblico sull’altare dei loro interessi privati.
Non c’è stata anche un’apertura dei Benetton a cedere la governance di Autostrade, cioè il 51% a una cordata pubblico-privata, e a far scendere la quota di Atlantia dall’88 al 37%?
Questo prescinde dall’aspetto tecnico-giuridico e investe quello squisitamente politico.
Lo Stato, se una parte della quota di Atlantia la rilevasse Cassa depositi e prestiti o un’altra società pubblica, entrerebbe in società con i Benetton.
Appunto, ci ritroveremmo “consoci” dei Benetton, i quali conserverebbero le prerogative dei soci e continuerebbero a partecipare alla ripartizione degli utili. Le pare normale?
La disturba che lo Stato diventi consocio dei Benetton?
Se devo esprimere una valutazione personale, alla luce di tutto quanto è accaduto, sarebbe davvero paradossale se lo Stato entrasse in società con i Benetton. Non per questioni personali, che non esistono, ma per le gravi responsabilità accumulate dal management scelto e sostenuto dai Benetton nel corso degli anni fino al crollo del Morandi e anche dopo.
Quindi ora che succede?
Martedì porterò queste valutazioni, insieme ai ministri con cui stiamo seguendo il dossier, in Consiglio dei ministri e ne discuteremo con tutti i colleghi di governo.
Cioè, se Atlantia non esce da Aspi lei proporrà la revoca della concessione.
Non mi faccia anticipare la proposta che porterò in Consiglio dei ministri. Dico solo che, allo stato dei fatti, intravedo una sola decisione, imposta proprio da Autostrade.
Chi la accusava di appiattirsi sul Pd ora dirà che è appiattito sui 5Stelle.
Mah, se ne sentono di tutti i colori. Un giorno sono appiattito su una forza di maggioranza, l’indomani su un’altra. La verità è che sono e mi ritroverete appiattito sempre e soltanto sull’interesse pubblico e sul bene comune.
Mezzo Pd e tutta Italia viva pensano che l’interesse pubblico sia lasciare la concessione ai Benetton con qualche ritocco.
Non ho dubbi che tutti i ministri e le forze di maggioranza, quando saranno chiamati alla decisione ultima – e adesso ci siamo – sapranno valutare i conclamati inadempimenti commessi da Aspi e l’incredibile dispendio di risorse pubbliche a vantaggio del privato che questa concessione ha prodotto nel tempo, con gravissimi danni per tutti i cittadini.
Molti, a cominciare da Iv, paventano in caso di revoca un contenzioso complicato che potrebbe costare allo Stato molti miliardi.
Pochi giorni fa la Corte costituzionale ha giudicato pienamente legittima la norma che avevamo confezionato per escludere Autostrade dalla ricostruzione del ponte Morandi, a causa della “eccezionale gravità della situazione”. Quel crollo, le 43 vittime, i gravi danni causati alla comunità genovese, costituiscono un gravissimo e oggettivo inadempimento del concessionario. In aggiunta abbiamo una lunga lista, accumulata nel tempo, di cattive o mancate manutenzioni, ordinarie e straordinarie, della rete autostradale. Senza contare che in questi quasi due anni abbiamo acquisito vari pareri giuridici che ci confortano ai fini della revoca della concessione: anzi, ci legittimano ad avanzare pretese risarcitorie molto consistenti. Non è lo Stato che deve soldi ai Benetton, ma viceversa.
Il suo governo rischia grosso e lei lo sa bene.
Io occupo una poltrona per risolvere questioni cruciali come questa nell’interesse dei cittadini, non per tirare a campare o regalare privilegi ai privati.
Ma lei, Benetton a parte, vuole statalizzare le imprese?
Sono cresciuto e sono stato educato nella cultura del libero mercato. Che però sia depurato da comportamenti predatori e pratiche commerciali scorrette. Detto questo, per favorire una pronta ripresa, dobbiamo e possiamo valutare azioni di sostegno alle imprese in difficoltà anche tramite interventi diretti dello Stato. Come stanno facendo anche altri Paesi europei. E per periodi limitati.
Voltiamo pagina. Molti ora la accusano di voler aggirare il Parlamento per prolungare lo stato di emergenza fino a fine anno, prendere i pieni poteri, forse anche rinviare le regionali sine die, con la scusa del Covid. La presidente del Senato Elisabetta Casellati dice che lei ha reso “invisibile” il Parlamento. Il giurista Sabino Cassese sul Corriere la paragona al modello Orbàn.
Chi evoca il modello Orbàn dice una sonora stupidaggine. Io non ho né voglio pieni poteri. Le elezioni regionali si terranno nella data stabilita. E il Parlamento non è mai stato né sarà mai scavalcato. Ho già chiarito che, sulla proroga o meno dello stato di emergenza Covid, abbiamo tempo per decidere sino a fine luglio. Sarà una decisione collegiale del governo, che verrà poi sottoposta al doveroso passaggio parlamentare con un’ampia discussione pubblica. Questo governo ha dimostrato con i fatti, non a parole, di aver sempre rispettato le Camere, riferendo su ogni decisione e limitando, anche nella fase più acuta dell’emergenza, le misure precauzionali allo stretto necessario, all’insegna dei criteri di adeguatezza e proporzionalità.
A che punto è il negoziato europeo sul Recovery Fund dopo il suo tour tra Spagna e Olanda?
Il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha formulato una proposta di mediazione in vista del vertice del 17 e 18 luglio. L’aspetto positivo è che la sua proposta conferma l’ammontare del Recovery Fund e la sua ripartizione fra sussidi a fondo perduto e prestiti. Ma contiene alcuni aspetti critici che vanno superati. Confido che ciò avvenga già nella prossima riunione: il negoziato va finalizzato già entro questo mese.
Però il suo incontro col premier olandese Rutte è andato male.
Non direi, anzi, il clima era positivo. Sono orgoglioso per l’Italia nel leggere che sia Rutte sia il premier austriaco Kurz riconoscono il nostro ruolo di apripista per le riforme strutturali e l’accelerazione della spesa per investimenti, in modo da garantire una pronta ed efficace ripresa non solo all’Italia, ma a tutta l’Europa.
Lei gira l’Europa e intanto in Italia i topi ballano. Di Maio incontra Draghi e, pare, Gianni Letta. Molti, da Prodi e Renzi a un pezzo del Pd, corteggiano Berlusconi perché entri in maggioranza. La preoccupa questa frenesia di incontri fuori dal seminato della maggioranza?
Mah, l’unica “frenesia” che avverto io è quella di chiudere al più presto il negoziato europeo e far ripartire l’Italia con il “Piano di rilancio” che stiamo ultimando. Mi curo poco degli incontri altrui. Io i miei li ho già fatti, insieme ai ministri, nelle due settimane degli Stati generali: con 122 sigle associative, 34 personalità della società civile e molti cittadini, a cui abbiamo presentato e con cui abbiamo discusso 180 progetti. L’unica frenesia che adesso dobbiamo concederci è quella di attuare il maggior numero possibile di progetti nel minor tempo possibile.
Lei oggi incontrerà Angela Merkel. Che cosa le dirà?
Le dirò che le altre Istituzioni europee hanno saputo cogliere l’importanza di questa fase storica e interpretare il proprio ruolo anche sul piano politico. Adesso tocca a noi: ai capi di Stato e di governo. Il Consiglio europeo non potrà né dovrà essere da meno.

domenica 12 luglio 2020

Gli amichetti di Salvini e i miracoli di Conte. - Tommaso Merlo




Non un centesimo a quei pezzenti degli italiani. Prima gli olandesi. L’amichetto di Salvini vorrebbe farci fallire insieme a tutta l’Europa. Eccolo il sovranismo. 
Quello bigotto ma che se ne frega degli altri. 
Quello che vorrebbe rinchiuderci tutti dentro a qualche filo spinato. 
Quello che lucra sulle paure e sull’egoismo. 
Quello che punta allo sfascio dell’Europa per tornare al nazionalismo coi suoi ducetti di cartone. 
La pandemia ha placato il vento sovranista. Colpa delle paure vere che hanno scalzato quelle pompate ad arte. Colpa dei campioni sovranisti che in giro per il mondo stanno contribuendo a sterminare i loro popoli. Ma in autunno è previsto un inasprimento della crisi economica e il vento sovranista potrebbe tornare a soffiare con forza grazie all’esplosione della rabbia sociale. Una rabbia che farebbe tornare di moda i loro slogan e potrebbe ribaltare il quadro politico. In Europa come in Italia. Salvini e Meloni danno per scontata una vittoria alle regionali e la conseguente spallata al governo. Sono convinti che la crisi economica renderà più efficace il loro sciacallaggio e si stanno preparando ad un’estate di campagna elettorale furibonda. Per fermarli esiste un solo antidoto. Macinare fatti. In Europa come in Italia. Gli amichetti di Salvini non gridano certo a caso di non dare neanche un centesimo a quei pezzenti degli italiani. Un accordo tempestivo sul Recovery Fund spazzerebbe via decenni di propaganda antieuropea. Se davvero la solidarietà continentale si rivelasse decisiva per le sorti italiane, si potrebbe aprire una nuova fase storica in cui l’Europa non verrà più vista come un problema ma come l’unica soluzione in un mondo di sfide tutte globali e in cui paeselli come il nostro sono destinati a contare sempre meno. Ma per respingere il ritorno autunnale del sovranismo serve macinare fatti anche in casa nostra e per questo la maggioranza deve darsi una svegliata. Finora il collante della maggioranza è stata più la paura che altro. La paura di Salvini proiettato versi i pieni poteri. La paura della catastrofe pandemica. La paura delle sinistre di sparire dai radar. Il governo è partito col freno a mano tirato. Troppe diffidenze, troppe divergenze tra forze che il 4 marzo stavano su fronti opposti. Mesi di chiacchiere e poca ciccia. Quando poi il governo si stava rilanciando è scoppiata la pandemia. L’emergenza ha ricompattato la maggioranza e per una volta l’Italia ha dato buona prova di sé. Ma molto lo si deve a Conte. Senza di lui e il consenso che si è conquistato nel paese la maggioranza sarebbe già andata in frantumi. Ora si attende l’autunno. I sovranisti si sfregano le mani in attesa che esploda la rabbia sociale e l’unico antidoto per contenerli sono i fatti. È dimostrare concretamente in cosa consista l’alternativa politica al sovranismo. In cosa consista credere nella solidarietà, nella giustizia sociale, nell’ambiente, nei diritti civili, nel progresso. Cosa significa governare il cambiamento invece di negarlo. Non facile con una maggioranza infarcita di reduci della vecchia partitocrazia. Inguaribili egoarchi, rifiuti riciclati, idee ammuffite, poltronari e traditori assortiti. Di certo Conte da solo non può continuare a far miracoli e la maggioranza si dovrebbe dare una svegliata. Se non ci riuscisse rischiamo di resuscitare Salvini e i suoi amichetti. Quelli che vorrebbero farci fallire insieme a tutta l’Europa e blaterano di non dare neanche un centesimo a quei pezzenti degli italiani.

https://repubblicaeuropea.com/2020/07/11/gli-amichetti-di-salvini-e-i-miracoli-di-conte/

Le concessioni sono solo l’inizio. Ora il Paese può cambiare. - Gaetano Pedullà

AUTOSTRADE

A prendere sul serio quello che si dice su tutti i canali tv, l’Italia è spacciata. Nessuno è stato aiutato, a settembre ci saranno milioni di licenziamenti, e ovviamente il Governo dorme. Morale della favola: votate Salvini con Berlusconi e la Meloni, che toglieranno le tasse, ci libereranno dagli immigrati che rubano il lavoro agli italiani e tutti vivremo felici e contenti. Se però non crediamo agli asini che volano, è tutto un altro scenario quello che abbiamo di fronte. In un Paese con regole bizantine, indebitato da decenni di politiche di manica larga, per non parlare delle ruberie, mai si era fatto tanto per le fasce sociali più deboli, e mai si era messo con le spalle al muro il sistema come sta avvenendo con la concessione delle autostrade.
Per la propaganda delle destre, con il seguito dei loro giornalisti parolai, tutto questo è troppo poco, così come sono sempre pochi i miliardi erogati dall’Inps ai lavoratori autonomi e a chi è finito in cassa integrazione, sono pochi i miliardi che sta erogando il sistema bancario grazie alla garanzia pubblica, ed è poco il contributo a fondo perduto già accreditato alle imprese. Per chi ha un minimo di memoria e altrettanta onestà intellettuale non sarà difficile ricordare che storicamente in tutte le situazioni di crisi – terremoti, alluvioni o cicliche fasi di recessione – lo Stato ha sempre messo le mani in tasca agli italiani per prendere e mai per dare. Ma il livello delle opposizioni italiane è quello che è.
Prendiamo ad esempio gli Stati Generali dell’economia dove erano state invitate a dare un contributo di idee al Governo. Dopo aver frignato che la sede di Villa Pamphilj non gli piaceva, non si sono presentate per poi lamentarsi di non essere stati ascoltate. Il premier Conte allora le ha invitate di nuovo, e a quel punto la Lega ha risposto di averci ulteriormente ripensato e non andrà, Fratelli d’Italia ha accettato ma a condizione di trasmettere l’incontro in streaming e Forza Italia aspetta ancora ordini dai soci maggiori. Basterebbe questo per certificare quanto dobbiamo tenerci caro un Esecutivo che invece ha varato due manovre finanziarie gigantesche, si è dato da fare per non lasciare indietro nessuno e per trovare i soldi che ci servono in Europa.
Dove la maggioranza giallorossa, con tutte le sue contraddizioni e difficoltà interne, sta segnando però il gol decisivo è nell’affermare dopo decenni che lo Stato non è più il garage dei poteri forti, e per lor signori la pacchia è finita. Si comincia entro domani con i Benetton, che non sono più brutti e cattivi di altre decine di (im)prenditori privilegiati dalle privatizzazioni folli benedette da politici e lobby al loro servizio. Al momento non c’è ancora una decisione, ma a meno di sorprese le strade rimaste sono due. La prima prevede che i Benetton cedano il controllo di Autostrade per l’Italia o della holding Atlantia alla Cassa Depositi e Prestiti e al Fondo strategico pubblico F2i.
In questo modo parte dei proventi della rete viaria torneranno alla collettività, che garantirà anche le manutenzioni e il livello delle tariffe. In alternativa, la società dei Benetton può resistere, farsi togliere la concessione e fare causa per questo allo Stato, sperando che le vada meglio di com’è finita due giorni fa alla Consulta, dove aveva tentato di invalidare persino il diritto del Governo di affidare la costruzione del nuovo ponte di Genova a un soggetto diverso da quello che l’aveva fatto cadere.
Questo contenzioso legale potrebbe durare anni, e alla fine dare pure ragione all’attuale concessionario, per via di un contratto di affido della rete autostradale che l’Anas firmò a suo tempo tutelando all’inverosimile il contraente privato anziché quello pubblico. In ogni caso all’ex ministra renziana Maria Elena Boschi, che ieri ha difeso apertamente la concessione ad Autostrade proprio per questo rischio di dover pagare risarcimenti miliardari, andrebbe ricordata una frase ripresa da Paolo Borsellino: “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. Ecco, qui sta la vera cifra di un Governo che non potrà piacere mai all’establishment, inserendo in tale categoria le Confindustrie e combriccole simili, oltre alla stampa apparentemente di opposizione e in realtà beatamente serva di un padrone.
Sotto la spinta non certo del Pd, ma decisamente del Cinque Stelle, un pezzetto alla volta si sta smontando una montagna di potere costruita sulla pelle degli italiani. Un gigante blindato da leggi scritte per fare gli interessi di Lor signori e non dei cittadini, difeso da parrucconi e giannizzeri fuori dal tempo, come quelli che solo pochi giorni fa hanno ripristinato i vitalizi per gli ex senatori. Un sistema inscalfibile, che nel caso dei Benetton è riuscito ad allungare il brodo per due anni, nonostante 43 morti a Genova e 40 ad Avellino, e tutt’ora minaccia di fare cause aggrappandosi a qualche furbizia legale. Perciò dal disastro del ponte Morandi è passato tanto tempo, ma alla fine indietro non si torna. E questo si chiama cambiare il Paese.

Il paese della Fase come vi pare. - Antonio Padellaro

Fase 2, la diretta - Mezzi pubblici, parchi aperti e il ritorno ...
“Soltanto chi lascia il labirinto può essere felice, ma soltanto chi è felice può uscirne”.
Michael Ende, “Lo specchio nello specchio”
Lo scorso 23 giugno, con apposita disposizione a tutte le compagnie aeree, l’Enac ha vietato ai passeggeri l’uso delle cappelliere, quegli utili vani posti sopra i sedili dove riporre i trolley e le altre borse di piccole dimensioni. “La misura”, recita rigoroso ma giusto il comunicato, “è per evitare assembramenti delle persone nel momento in cui devono posizionare il proprio bagaglio a bordo dell’aeromobile”. Infatti, chi avesse la disavventura di frequentare lo scalo di Fiumicino per motivi (indovinate un po’) di viaggio sarà costretto a file mostruose per raggiungere gli sportelli del check-in (pur essendo già provvisto di check-in) onde spedire nella stiva il bagaglio (se eccedente la misura 36 per 45 per 20, praticamente la calza della befana). Si posizionerà accanto ad altri sventurati, che avranno almeno la soddisfazione di imbarcare degli armadi a quattro ante. Infatti, in forza della prima legge della termodinamica, secondo la quale dei corpi umani in fila (anche soltanto un paio) tendono comunque a premere gli uni sugli altri, per evitare qualche assembramento a bordo se ne creano altri, di massa, in aeroporto, perfetti per la trasmissione di eventuali contagi (coronavirus o peste bubbonica). Infatti, stremati, accaldati e incazzati dalle attese, una volta seduti e allacciate le cinture condivideremo una distanza di circa venti centimetri con il passeggero accanto, che potrà tranquillamente starnutirci addosso milioni di germi, naturalmente protetto dall’indispensabile mascherina (che va tenuta comodamente sulla bocca e sul naso fino ad avvenuta asfissia). È il “Comma 22” del comitato tecnico scientifico: il modo migliore per evitare gli assembramenti è crearne di nuovi.
Capitolo sotto la banca il cliente crepa. Come sanno i comuni mortali, negli istituti di credito si può entrare uno alla volta. Capita quindi che sul marciapiede, e sotto il saettante sole estivo si creino vasti assembramenti, con anziani stramazzati sull’asafalto. Del resto, può capitare che proprio nel bar accanto si creino davanti al bancone degli allegri assembramenti (e senza mascherina non potendosi altrimenti sorbire il caffè). Del resto, siamo il paese dove negli stadi, rigorosamente senza pubblico, i giocatori, dopo ogni segnatura, festeggiano con veri e propri amplessi, poco profilattici. Siamo il paese dove ci si assembra e senza precauzione alcuna nelle strade della movida. E dove nelle spiagge carnaio ci si assembra gli uni sugli altri (tanto, come dice Jair Bolsonaro, tutti dobbiamo morire). Siamo il paese dove il dibattito politico si accende sullo stato d’emergenza che il governo intende prorogare a fine 2020, con politici e giornalisti dell’opposizione che evocano (senza ridere) la dittatura di Pinochet. Siamo il paese della Fase Come Vi Pare. Dove per uscire dal labirinto delle proibizioni basta non entrarci, direbbe Michael Ende. Perché siamo il paese dove sarebbe bello se il ministro della Salute, Roberto Speranza, con codazzo di esperti, prima di escogitare nuove misure per tormentare inutilmente il prossimo, si facessero un giretto negli aeroporti, tra le cappelliere, davanti alle banche, al bar sottocasa, sulla spiaggia di Ostia (ma anche Fregene e Ladispoli vanno bene). Per vedere l’effetto che fa.

Trenched · ThatGirlWithGorgeousHair



Mia figlia Sara

Rsa Lombardia, altro che 147 pazienti dimessi: quasi 5 mila. - Natascia Ronchetti

Rsa Lombardia, altro che 147 pazienti dimessi: quasi 5 mila

Sullo scandalo lombardo dei pazienti Covid inviati nelle Rsa ora sta emergendo quello che il Fatto scrive da mesi. E cioè che quelli trasferiti sono stati molti di più di quanti ne ha sempre dichiarati la Regione: “Ne sono stati accolti solo 147, in 15 strutture”, ha continuato a dire l’assessore al Welfare Giulio Gallera. Ma le cose non sembra affatto che stiano così. Non in base ai documenti sequestrati dagli investigatori del Nucleo di polizia economico finanziaria (come ha riportato ieri La Stampa), nel centro di smistamento dei pazienti che la Regione ha istituito al Pio Albergo Trivulzio di Milano. Documenti, acquisiti su ordine della Procura meneghina, che parlano di 7.500 pazienti, dei quali 4.700 Covid a bassa intensità e 2.800 negativi (anche se non tutti erano stati sottoposti al doppio tampone per escludere definitivamente la positività). Ma riavvolgiamo il nastro.
Era il 28 marzo quando il Fatto scriveva che i dimessi dagli ospedali perché clinicamente guariti, cioè senza più sintomi ma ancora con carica virale, venivano dirottati su hospice e Rsa. Scelta che allora aveva già riguardato almeno il 30 per cento di ottomila dimessi: vale a dire 2.400 persone, come precisato dallo stesso portavoce di Gallera, da noi interpellato nell’occasione. Dichiarazione stranamente ritrattata alcune settimane dopo: “Un mio errore”, il dietrofront del portavoce.
Arriviamo al 24 aprile, quando il Fatto, di fronte al silenzio della Regione Lombardia e delle Ats scopre, chiamando una per una le case di riposo, che il numero è ben diverso da quello dichiarato da Gallera: sono almeno 225. E i trasferimenti, a quella data, stanno proseguendo. Il presidente Attilio Fontana, l’assessore Gallera e le Ats continueranno a non rispondere, limitandosi a sostenere che le Rsa accoglievano i pazienti su base volontaria e solo a determinate condizioni, come la presenza di un’area autonoma, per evitare il possibile contagio degli anziani.
Non risponderanno nemmeno quando il Fatto, il 25 marzo, pone loro dieci domande. Primo: come è possibile che si parli sempre di 147 pazienti Covid e che a distanza di giorni e settimane il numero rimanga sempre invariato? Nel frattempo la “strage dei nonni” è già iniziata. La Regione Lombardia ha sempre sostenuto che gli anziani morti nelle case di riposo non possono dipendere dal ricovero di pazienti Covid. Ma è un fatto che l’Istituto superiore di sanità ha appurato, con una indagine che ha coinvolto il 43,1 per cento delle 678 Rsa presenti in Lombardia, che sono stati quasi 2.100 i decessi dall’1° febbraio al 5 maggio.
Ancora non si sa quanti dei 7.500 pazienti movimentati dal centro di smistamento del Trivulzio siano effettivamente finiti nelle Rsa, quanti in altre strutture sociosanitarie o centri per le cure intermedie: gli investigatori dovranno analizzare i documenti per ricostruire il percorso ospedaliero. “Ma era evidente fin dall’inizio che non potevano essere solo 147 in tutto – dice Cesare Maffeis, medico, presidente dell’associazione delle case di riposo del Bergamasco –. Solo nella nostra provincia ne abbiamo accolti molti di più. I numeri la Regione ce li ha ma non li fornisce. E non ha nemmeno un esperto di strutture socio sanitarie, si vede da come è stata scritta l’ultima delibera sulla riapertura delle Rsa, che non hanno ancora ricevuto nulla per aver aperto le porte ai pazienti Covid: cornuti e mazziati. La Regione Lombardia è sorda ma siamo pronti ad alzare la voce”.
Quanto all’effettivo numero dei morti, restano i dati dello Spi-Cgil, che ha fatto una indagine sul territorio regionale: cinquemila. “Un tasso di mortalità superiore del 400 per cento a quello degli anni precedenti”, dice il segretario regionale del sindacato, Valerio Zanolla.