sabato 26 febbraio 2022

Ucraina, considerazioni. - Giuditta Gatto

 

Siamo governati da un impero globale, composto da poche persone, che si sono impadronite del 70% della ricchezza dell'intero pianeta. I ricchi sono sempre meno e molto più ricchi i poveri sono sempre di più e sempre più poveri, d'altronde questa grande verità l'aveva già scoperta negli anni 60, oltre ai grandi economisti e filosofi del IX secolo anche un piccolo parroco di un piccolo paese... don Milani. Ma aldilà delle nostre considerazioni su chi ha questo potere e con quali potenti strumenti tecnologici governa anche le nostre idee e i nostri giudizi sugli avvenimenti che accadono nel mondo, vi sono delle realtà oggettive a cui nessuno può sfuggire. A proposito dell'Ucraina infatti la storia non mente, fu fatto un colpo di Stato nel 2014 voluto da USA e UE, che instaurò un Governo corrotto e che in pratica appoggiò il partito neonazista ucraino, colpevole impunito della terribile strage di Odessa, nel 2015 fu messo fuori legge il partito comunista ucraino.....dimostrazione davvero democratica per l'occidente, nei fatti si al neonazismo e no al partito comunista, il no al partito comunista sarà stato per simpatia con l'America... è inverosimile che ciò accada in Europa il continente di coloro i quali ogni anno si riempono la bocca di antifascismo e anti nazismo nel giorno della "memoria". Da allora nei fatti è scoppiata la guerra, infatti è da allora che gli USA piazzano missili balistici e altro sulle frontiere della Russia, questo per bloccare in tempo eventuali risposte ad un attacco bellico USA. Ovviamente come non siamo virologi non siamo neanche profondi conoscitori della geopolitica, però anche per questo ci sono semplici realtà a cui non si può sfuggire come ad esempio l'impegno degli USA a vendere, tramite il suo Governo fantoccio, gran parte dei gasdotti ucraini alla SCHEL....ovviamente è semplice, il possesso dei gasdotti sappiamo cosa significano economicamente per un Paese, soprattutto per coloro che per questo vogliono appropriarsene e il Venezuela di Guaidò, messo a capo del Paese sempre con il solito colpo di Stato, voluto sempre dagli USA è uno dei tanti esempi di tattica e democrazia americana nel mondo. Ora però, secondo sempre i consueti programmi dei Servizi segreti USA, aspettiamo che vengano procurate sommosse popolari in favore degli americani e della UE per dimostrare che Putin è un dittatore e giustificare magari qualche azione violenta nei suoi confronti. La storia è sempre la stessa, gli americani non hanno ancora trovato qualcosa di nuovo che possa almeno coprire la bugia con scuse diverse da quelle usate dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, questa è la dimostrazione della loro decadenza economica sociale e culturale, sempre se di cultura si può parlare. Però anche se non siamo politologi esperti, vi sono alcune cose semplici che la storia ci ha insegnato, c'è "l'imprevisto" e l'imprevisto potrebbe essere una presa di coscienza, in senso solo economico e cioè di convenienza, di chi regge le sorti dell'impero, o dell'intromissione di qualcuno o qualcosa che non proviene e non fa parte dell'impero stesso...staremo a vedere, intanto chi davvero soffre, come sempre, sono solo e soltanto i cittadini inermi costretti a subire.

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Ettore Zanca - Ucraina

 

In questi giorni ha tenuto banco una questione che non vale nemmeno la pena ricordare, tanto la sapete tutti, si, quella cosa lì che tutti dicono e che appena si accenna a un altro argomento immediatamente si dice “ma possibile che pensate ad altro mentre sta succedendo?”. Ovvero la famosa polemica sulla riproduzione dello scarabeo stercorario.
No scherzo, volevo vedere se eravate attenti.
Siamo tutti preoccupati per il potenziale scoppio della terza guerra mondiale. E io sono qui per alleviare questa angoscia. Se no che ci sta a fare Ettoruzzo vostro?
Che poi me li immagino quelli che si indignano perché si parla d’altro mentre scoppia la guerra. Con i gomiti sul tavolo di casa, lo sguardo fisso e il coniuge che chiede “amore che hai?” e loro: “silenzio! Non vedi che sto pensando al Donbass?”. E poi postano convinti i loro strali contro Putin. Lo vedo proprio Vladimirone che guarda facebook e dice “oh raga, Pierelzeviro Castracani mi ha appena fatto brutto con un post, forse davvero sto esagerando”.
Ma poi: anche se pensiamo alla guerra che potere abbiamo? Io nemmeno riesco a fermare il postino che fugge dopo aver messo l’avviso della raccomandata da ritirare senza nemmeno citofonarmi, figuriamoci un conflitto mondiale.
Anyway (che fico dirlo ve’?) andiamo al dunque. Far scoppiare una guerra mondiale non è per niente una cosa facile. Sia Putin, sia Biden non decidono così solo perché gli rode.
Entrambi hanno una valigetta che viene immaginata con dentro un bottone. Biden e Putin se le sono promesse facendo a gara a chi ha il bottone più grosso, non quello della patta, purtroppo.
Il bottone attiverebbe il lancio dei missili. Ecco. Uno dei due, spero entrambi, sta dicendo una minchiata colossale.
Attivare il lancio di 900 testate nucleari statunitensi (tante sono, conviene abituarsi), non è solo questione di premere un bottone. La procedura è più complessa. Si compone di una valigetta, denominata “football”, in cui altro che bottoni, ci sono solo fogli. Sono codici alfanumerici di attivazione delle procedure che autorizzano i militari a entrare in preallarme.
I generali si mettono davanti alle postazioni, inviando un ordine di armamento al comando nucleare centrale. Più o meno la burocrazia che ci vuole in Italia per ristrutturare casa.
Ma non basta, la valigetta è custodita da cinque militari, che aiutano il presidente a decidere. E non finisce qui. La vera e propria attivazione del lancio, avviene con un biscotto. Esatto. Il presidente degli Stati Uniti ha in mano una credit card chiamata biscuit. Con quella digita un pin, confermato dal segretario di Stato e la “festa” può cominciare.
Il biscuit mi porta a varie riflessioni. La prima è che il nome non deve essere casuale. In effetti se fanno casino lanciandosi missili tra loro, il biscotto vero e proprio finisce a noi. Indovinate dove. Poi mi viene da pensare con terrore se Biden si trova improvvisamente a corto di liquidi e deve fare un prelievo bancomat, se sbaglia carta? Sono cazzi. Praticamente ci parte una guerra nucleare perché voleva pagare il caffè e due marche da bollo.
Infine la cosa più grave. Questa carta, nel tempo, non è stata proprio custodita benissimo. Jimmy Carter la mandò in lavanderia con un vestito, Clinton la perse per sei mesi. E non disse nulla a nessuno. Forse è perché sapeva benissimo che a nascondere le marachelle proprio bravo non era. Però sicuramente in quel periodo non avrebbe voluto attaccare gazzarra con nessuno, metti che si finiva alle brutte, che figura ci faceva?
Putin viceversa, è più prudente e ci tiene a farci sapere che lui la valigetta la porta anche al cesso.
E qui si fa più difficile. L’unica speranza è che rimanga a corto di carta igienica e a quel punto i codici alfanumerici verranno sacrificati per una nobile causa.
Siete più tranquilli? Bene. A qualcosa servo ogni tanto. Come diceva mio padre quando gli davo rare soddisfazioni da genitore.

venerdì 25 febbraio 2022

Razzi su Kiev e in Italia riparte il pollaio. - Antonio Padellaro

 

Dispiace davvero occuparsi, mentre le bombe scoppiano e la gente muore, del tragicomico cortiletto italiano. Urlano le sirene a Kiev e noi ci svegliamo con la voce di Enrico Letta che irrompe a Radio Rai (nell’eccellente filo diretto che aggiorna minuto per minuto la situazione). Cosa vuole dirci di così urgente il segretario del Pd? Un’iniziativa italiana per il cessate il fuoco? Che vuole paracadutarsi nelle trincee del Donbass? No, vuole semplicemente tirare un petardo tra le scarpe di Matteo Salvini perché è a lui che si rivolge quando denuncia “troppi distinguo, troppe ambiguità, troppi posizionamenti filorussi”, per intimare: “o di qua o di là”. Infatti, subito, Salvini con una coda di paglia lunga fino a Mosca chiede che l’Italia “condanni senza ambiguità l’attacco all’Ucraina”, pur senza mai approfondire il tema delle sanzioni contro l’amico Vlad. Poi aggiunge che se “qualcuno usa per beghe interne questa tragedia dimostra di essere un piccolo uomo” (e anche Letta è sistemato). Si continua così per tutta la giornata, tra distinguo e frecciatine su chi è più servo di Putin o di Biden, finché giunge notizia che Matteo Renzi si è dimesso dal board di Delimobil – la più grande compagnia di car sharing russa – in seguito all’invasione dell’Ucraina. Se non ci fosse da piangere sarebbe la comica finale, perché immaginiamo lo sgomento che la notizia avrà suscitato al Cremlino dove non si aspettavano una sanzione così feroce. A parere di tutti gli analisti l’aggressione militare russa avrebbe improvvisamente compattato il fronte occidentale che fino a ieri notte si era presentato in ordine sparso, da New York a Parigi a Londra a Berlino, con ciascun leader convinto di avere in tasca la chiave giusta per indurre a più miti consigli lo zar. Che tuttavia da ieri ha una chance di vittoria in più stante lo scarsissimo spirito bellico della politica romana, che è sempre quella dell’armatevi e partite. Non a caso Churchill diceva che gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/25/razzi-su-kiev-e-in-italia-riparte-il-pollaio/6506847/?fbclid=IwAR2wbq15HxSqi4QO6A4hETh5v5BI6XFcRb-br8Ke_wFWaeMPEMLxrPWLy7o

Zitti e Mosca. - Marco Travaglio

 

L’attacco criminale di Putin all’Ucraina è un post scriptum degli imperialismi del XX secolo, totalmente fuori sincrono rispetto al comune sentire delle opinioni pubbliche mondiali. Non solo per le nuove generazioni che la guerra, fredda o guerreggiata che fosse, l’hanno letta sui libri di storia, ma anche per quelle che l’hanno vissuta e poi archiviata. Per questo lascia la gente senza parole e rende false e vuote le parole dei governanti che ne sono prodighi. Quelli che menano le danze, Putin e Biden, sono due cascami del Novecento che stanno per compiere 70 e 80 anni, formattati mentalmente nel vecchio mondo che ora rispunta dalla tomba come gli zombi. Con una differenza: Putin parla a un popolo che non dimentica nulla, tantomeno la sua vocazione nazionalista ancora frustrata dal crollo dell’Urss e dalle provocazioni dell’Occidente che ha fatto di tutto per umiliarlo, violando l’impegno di non allargare la Nato a Est; Biden parla a un popolo che non ricorda quasi nulla, salvo i tributi di sangue pagati a far guerre in giro per il mondo, perdendole drasticamente tutte dal 1945. Quindi la guerra non toglie consensi a Putin (a meno che la perda), ma ne toglierebbe parecchi a Biden (che già ne ha pochi) col rischio che ne approfitti la terza potenza, quella tragicamente più al passo coi tempi: la Cina. Quanto a noi, cittadini della cosiddetta Europa, pagheremo il solito tributo di soldi per conto terzi, passando da uno stato d’emergenza (sanitario) a un altro (bellico). Con l’aggravante – per noi italiani – di doverci pure sorbire il cinepanettone delle Sturmtruppen in servizio permanente effettivo, che trasformano le peggiori tragedie nell’eterna commedia all’italiana.

“Noi l’avevamo detto”. È il mantra dei Nando Mericoni a mezzo stampa (“Pronto-Amerega-me-senti?”), che da tre mesi si calano l’elmetto sul capino e rilanciano ogni giorno le veline della Cia sull’invasione russa “tra oggi e domani” e ora, dopo aver fatto e rifatto lo stesso titolo fasullo, si vantano di averci azzeccato. Come se il compito dell’informazione fosse ripetere cento volte una fake news sotto dettatura (“oggi piove”) e poi, quando la centunesima volta si avvera, fingere che fosse sempre stata vera (“visto che oggi piove?”). E come se drammatizzare urlando “Al lupo! Al lupo!” non fosse il modo migliore per sdrammatizzare: un regalo al lupo che, quando arriva, non ci crede o non si scandalizza più nessuno. Ora semmai qualcuno si chiede come mai l’amico americano, se sapeva tutto da mesi, ha lasciato l’Ucraina così impreparata e sola dinanzi all’attacco.

“Legalità internazionale”. Bei tempi quando qualche governo poteva insegnarla agli altri.

Oggi non ci sono “buoni” titolati a dare lezioni ai “cattivi” russi, visto che Usa e Ue si sono macchiati di guerre illegali e criminali (peggio ancora se avallate dall’Onu) in ex-Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia, Somalia e via bombardando.

“Ci vorrebbe l’Europa”. Fa il paio col “non ci sono più le mezze stagioni”. L’Europa politica e militare non è mai nata per non dispiacere al residuato bellico della Nato (a 31 anni dalla fine del Patto di Varsavia), con alleati indecenti come la Turchia (impegnata a sterminare i curdi nel silenzio degli atlantisti). Finché accetteremo che lo Zio Sam faccia casini in giro lasciandoci il conto da pagare, in termini di migranti (Libia e Afghanistan), terrorismo (Iraq), affari mancati (Cina) e bollette (Ucraina), resteremo il vaso di coccio fra due potenze che si rafforzano a scapito nostro. E piangere sull’Europa che non c’è non sarà solo inutile: sarà ridicolo.

“Tremenda vendetta!”. Posto che, in base ai trattati, la Nato non può inviare truppe in Ucraina, la reazione sarà in forma di parole e di sanzioni. Le parole abbondano e mettono tutti d’accordo. Ma Putin le snobba, anzi le capitalizza agli occhi del suo popolo e del suo establishment (che l’altroieri era tutt’altro che allineato e coperto). Altra cosa sono le sanzioni, che per la Ue escludono gas e banche, per gli Usa no. Su questo conta Mosca: quando si passerà dalle parole ai fatti, il fronte occidentale si rivelerà pura finzione.

“Abbasso i putiniani!”. La caccia agli amici di Putin scatenata dai giornaloni e dal Pd c’entra poco con la guerra in Ucraina e molto con le guerricciole da buvette di Montecitorio: serve a screditare Salvini (che con e sulla Russia ne ha dette e fatte di tutti i colori, ma Putin manco lo conosce) e Conte (reo di un approccio multilaterale in politica estera, peraltro in linea con la tradizione diplomatica italiana, da Moro ad Andreotti, da Prodi a D’Alema allo stesso Frattini). Altrimenti sul banco degli imputati ci sarebbe anzitutto B., quello dei festini con l’amico Vlady nella dacia e a villa Certosa, delle sceneggiate a base di lettoni e plaid trapuntati, delle leccatine alle democrazie-modello di Putin e Lukashenko. Invece è tutto prescritto, in vista del campo largo di Letta (zio e nipote).

“Finché c’è guerra non si tratta”. È la linea di Biden, dunque di Draghi. Ma quando si dovrebbe trattare: in tempo di pace? I negoziati servono quando si combatte, per ottenere tregue e poi trattati. E a mediare non è adatto chi è intruppato in una fazione. Perciò servirebbe, in Europa, qualcuno che tenga una postura più terza e meno appiattita sugli Usa. O almeno che si levi l’elmetto, guardi al di là del proprio naso e scopra ciò che è ovvio dalla notte dei tempi: gli amici te li puoi scegliere, i nemici no.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/25/zitti-e-mosca/6506800/

Ucraina, proteste in diverse città della Russia contro l’attacco militare: centinaia di persone fermate dalla polizia.
































































Nonostante il governo russo abbia vietato le proteste contro l’attacco militare all’Ucraina minacciando l’arrestocentinaia di cittadini russi sono scesi in piazza per manifestare contro la guerra. Sit-in e cortei sono stati organizzati in oltre 40 città della Russia, come Ekaterinburg, Novosibirsk, Krasnoyarsk e San Pietroburgo. Anche a Mosca, sulla Piazza Pushkin, diverse persone si sono radunate per esprimere il proprio dissenso sull’operazione militare in corso. E sono almeno 800 le persone fermate dalla polizia per aver partecipato agli eventi pacifisti. Di queste oltre 200 a Mosca. Un altro centinaio di persone è stato invece arrestato a San Pietroburgo. Il  ministero dell’Interno russo aveva avvisato di essere pronto ad adottare “tutte le misure necessarie” per mantenere l’ordine in caso di proteste, minacciando di arrestare i partecipanti a manifestazioni non autorizzate.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/02/24/ucraina-proteste-in-diverse-citta-della-russia-contro-lattacco-militare-500-fermati-dalla-polizia/6506580/

giovedì 24 febbraio 2022

Ucraina, Putin se ne frega delle sanzioni: vedi Champions. - Antonio Padellaro

 

Le “sanzioni a raffica” (Boris Johnson) contro la Russia di Putin, “che la pagherà cara” (Joe Biden), sono così a raffica e così salate che, per esempio, mentre i blindati di Mosca entrano nel Donbass, la Uefa ancora non sposta la sede della finale Champions prevista il prossimo 28 maggio nella Gazprom Arena di San Pietroburgo. Perché, intanto, Nyon cosa fa? “Monitora in maniera costante, ma al momento non ci sono piani per cambiare sede”. Insomma, a questo punto, per capire quale sia la reale consistenza delle ritorsioni economiche minacciate dall’Occidente contro l’“invasore” rosso forse è sufficiente osservare la traiettoria del pallone. Perché i padroni del calcio “devono tenere insieme norme e sensibilità di 55 Paesi differenti, e per il rapporto strettissimo tra la stessa Uefa, Gazprom e Putin” (Panorama). Oltre a essere il più grande fornitore di gas d’Europa, Gazprom (fiore all’occhiello dell’impero dello zar Vladimir) versa ogni anno alla Uefa un mucchio di bei soldini in cambio degli spottoni televisivi prima, durante e dopo ogni match. Una cifra stimata nell’ultimo decennio in circa 300 milioni di euro. Infatti, la Russia non è l’Iran, un pianeta a se stante e poco interconnesso con l’Europa, che si può punire nel disinteresse generale. Mentre sanzionare, ma sul serio, gli oligarchi del rublo magico sarebbe come tagliare i cavi di una centralina elettrica per fare un dispetto al vicino, ma con il risultato di rimanere al buio. Così come è impossibile colpire gli interessi dei ricconi targati Cremlino senza depauperare il capitale di aziende, imprese, società, banche inglesi, francesi, tedesche, italiane che non valutano certo gli investitori dal colore del passaporto. A cominciare dal mitico Abramovic, padrone del Chelsea, visto che a Londra questo groviglio di interessi che nella City stipendia “un esercito di avvocati, contabili e consulenti di pubbliche relazioni è arrivato a finanziare lo stesso partito conservatore” (Corriere della Sera). Londongrad.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/24/ucraina-sanzioni-putin-se-ne-frega-vedi-champions/6505413/?fbclid=IwAR0HmMG3P-PxXd4w-UACC__XxL5r8uaY6B4gXirtnGjZuKhPo1ln4tvUO7I

Ucraina-Russia, le cause del conflitto che ha riportato la guerra in Europa. - Alberto Magnani

 

Le tensioni fra Kiev e Mosca arrivano (almeno) dal crollo dell’indipendenza del 1991. Con un’oscillazione costante fra l’Occidente e la vecchia area di influenza.

È guerra. Dopo qualche spiraglio di accordo, la situazione è precipitata definitivamente all’alba del 24 febbraio, quando il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato in diretta tv l’avvio delle operazioni militari in Ucraina. Una «operazione speciale» a difesa dell’indipendenza posticcia delle due repubbliche auto-dichiarate di Donetsk e Luhansk, nella regione del Donbass.

L’escalation viene paragonata a quella vissuta quasi un decennio fa, con l’annessione della penisola della Crimea nel 2014. Ma le tensioni che logorano sia i rapporti Mosca-Kiev, sia la stessa Ucraina al suo interno, si trascinano - almeno - dal crollo dell’Urss e stanno tornando a galla con i timori di un conflitto sull’Est Europa.

Dall’indipendenza alla rivoluzione arancione.

La data che simboleggia la prima rottura fra l’Ucraina e l’allora Unione sovietica è il 24 agosto 1991: il giorno della dichiarazione di indipendenza da Mosca, poi approvata il 1 dicembre con un referendum che vedrà oltre il 92% degli ucraini schierarsi a favore dell’addio all’Urss. Da allora inizia un’altalena che farà oscillare Kiev fra la vecchia sfera di influenza russa e un processo di «occidentalizzazione» che la spinge verso Ue e Nato, con cambi di rotta che si susseguono fino agli ultimi sviluppi della crisi.

Nei primi anni dell’indipendenza l’Ucraina, secondo paese della vecchia Urss per dimensione economica, stagna nella crescita (il Pil si inabissa fino al -22,9% nel 1994) e viene governata da leader vicini a Mosca: prima Leonid Kravčuk dal 1991 al 1993, poi Leonid Kučma dal 1994 al 2004, in un decennio scandito da scandali, episodi di corruzione e una conferma tutt’altro che lineare alle urne, per il secondo mandato, nel 1999.

Lo strappo decisivo arriva nel 2004: Viktor Janukovyč, già primo ministro nel governo dello stesso Kučma e continuatore della sua politica, viene dichiarato vincitore nel secondo turno del voto contro il candidato filo-occidentale Viktor Juščenko, favorevole all’avvicinamento con Ue e Nato. La rabbia per i brogli contestati a Janukovyč e al vecchio establishment sfocia nelle proteste della cosiddetta Rivoluzione arancione, chiamata così per il colore della campagna elettorale di Juščenko. Il voto viene invalidato e ripetuto, con la vittoria di Viktor Juščenko e il via all’esperienza di un governo filo-occidentale.

Durerà fino al 2010, una parentesi scandita da due tappe cruciali per i rapporti fra Kiev e Mosca: nel 2004 la Nato ingloba tre ex Stati sovietici come Estonia, Lettonia e Lituania; quattro anni dopo, nel 2008, l’Alleanza atlantica «promette» per la prima volta di allargarsi all’Ucraina in futuro. Il proposito surriscalda i rapporti con Mosca, in un periodo turbolento “anche” per ragioni diverse: la maggioranza di Juščenko traballa con frizioni fra i suoi stessi membri, mentre l’economia ucraina sprofonda sotto il peso della crisi finanziaria del 2008.

Fra le personalità più controverse dell’entourage di Viktor Juščenko c’è Julija Tymošenko, già protagonista della Rivoluzione arancione del 2004, chiamata a coprire due volte l’incarico di primo ministro nel 2005 e fra 2007 e 2010. Nel 2011 finirà in carcere per abuso di ufficio, con l’accusa di aver firmato un contratto di forniture di gas sfavorevole all’Ucraina. Si difenderà parlando di un caso «montato» dagli avversari, ma la sua reputazione esce appannata.

La guerra in Crimea e gli accordi di Minsk.

Nel 2010 Kiev torna sotto il governo di un candidato vicino alla Russia e gradito a Putin, Viktor Janukovyč, che batte Juščenko e avvia un processo di riavvicinamento a Mosca, siglando accordi sul gas con la Russia e sospendendo le trattative intraprese con la Ue. Il distanziamento da Bruxelles si rivela fatale al suo governo. Nel 2013, lo stop a accordo di pre-adesione alla Ue scatena infatti proteste sconfinate nella cosiddetta Euromaidan: scontri di piazza (Maidan) che mieteranno oltre 100 vittime concludendosi con la deposizione dello stesso Janukovyč dalla presidenza, la convocazione del voto anticipato, l’abolizione del bilinguismo russo-ucraino e la scarcerazione della ex premier Tymošenko, liberata dopo il voto favorevole del Parlamento ucraino. Tymošenko tiene un celebre discorso a Kiev, irritando una parte della platea che «non si sente rappresentata» dalla ex leader.

La reazione di Mosca è indiretta, ma dirompente. Un mese dopo, a marzo, la Russia invade e annette la penisola ucraina della Crimea, incassando il consenso della popolazione con un referendum. A maggio seguono l’esempio i militanti filo-russi delle due province del Donbas, Donetsk e Luhansk, con una doppia consultazione per proclamare la propria indipendenza. La vittoria del sì è schiacciante in entrambi i casi, creando una “frattura” che dà adito a scontri e violenze sempre più intensi. Nel 2015, dopo un tentativo analogo nel 2014, Francia, Germania, Russia e Ucraina firmano un accordo che prevede il cessate il fuoco e il lavoro diplomatico per configurare lo status speciale delle due province: i cosiddetti accordi di Minsk, dal nome della capitale bielorussa che già aveva ospitato l’intesa fallita l’anno prima.

La “pace” formale non si traduce, comunque, in una stabilizzazione delle province. Il governo ucraino conteggia almeno 14mila vittime nella regione del Donbass fra 2014 e 2021, con un costo economico di 10 miliardi di dollari Usa per le operazioni militari nell’area. Nel frattempo, alla presidenza di Kiev si susseguono l’uomo d’affari Petro Poroshenko (2014-2019) e l’attuale presidente, l’ex attore Volodymyr Zelensky. L’orientamento di entrambi è di apertura all’Occidente e di allontanamento da Mosca, con nuovi accordi siglati con la Ue nel 2017 e una spinta sempre più decisa verso Bruxelles. Zelensky chiede apertamente l’ingresso nella Ue e nella Nato.

L’intreccio economico fra Kiev e Mosca.

La Russia non poteva che rappresentare, almeno in origine, un partner privilegiato per l’Ucraina. I valori dell’interscambio si sono poi ridotti negli anni di «guerra fredda» fra Kiev e Mosca, culminati con la crisi che si sta consumando sui confini fra i due Paesi.

Secondo le stime del Chatman House, un think tank, il valore delle sole esportazioni ucraine in Russia è crollato dai 29 miliardi di dollari Usa nel 2011 ai 5 miliardi di dollari Usa registrati nel 2019. In parallelo, complice la (ri)apertura pro-mercato, l’export verso la Ue è raddoppiato in valore assoluto dal 2012, mentre la Cina è diventata il primo mercato di sbocco delle merci di Kiev. Secondo i dati di Trading economics, un portale specializzato, la Cina incide sul 14,4% delle esportazioni complessivi dell’Ucraina nel 2020 (7,12 miliardi di dollari Usa), oltre il doppio rispetto al 5,5% mantenuto dalla Russia: un valore di 2,7 miliardi di dollari Usa, vicino a quello dei flussi verso la Germania (2,07 miliardi, il 4,4% del totale) e Italia (1,93 miliardi, il 3,9%).

Nel 2014 Kiev si è affrancata dalla dipendenza dal gas russo, iniziando a comprarlo sul mercato europeo e importandolo attraverso Paesi come Ungheria e Slovenia. Al tempo stesso, però, un accordo vincola Kiev a far transitare il gas russo nel territorio dell’Ucraina fino al 2024: un’ipoteca che mantiene il legame con Mosca, anche nel vivo della crisi più logorante in - almeno - tre decenni di rapporti fra i due.

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