venerdì 24 maggio 2024

L’IMPATTO DISASTROSO DI 12.000 ANNI FA.

 

Una gigantesca catastrofe ha cancellato molte civiltà circa 12.000 anni fa, e potrebbe accadere ancora. Questo è quanto hanno scoperto diversi ricercatori recentemente. Cerchiamo di capire di cosa parliamo. Abu Hureyra è uno dei siti archeologici più importanti al mondo. Situato a Nord della Siria, è il sito archeologico dove si trovano le più antiche tracce di attività agricola da parte dell’uomo. Gli archeologi vi hanno trovato i resti di diversi tipi di cereali, inclusa la segale. Il sito è datato a circa 13.000 anni fa. Dai resti ritrovati, si nota che circa 1.300 anni dopo che era stata abitata, di colpo la popolazione di Abu Hureyra è andata via, o per qualche motivo, gran parte di essa non esisteva più.

Fino a poco tempo fa non si capiva cosa potesse aver causato tutto questo. Analizzando i resti di Abu Hureyra, recentemente i ricercatori hanno trovato delle microsfere di vetro fuso presenti praticamente su ogni cosa, sia nei resti biologici, sia nei resti in muratura, sia sul terreno. Hanno anche trovato nanodiamanti e tracce di suessite, un minerale raro sulla Terra, ma comune nei meteoriti. Sono state rinvenute tracce di minerali ricchi di cromo, ferro, nichel, solfuri, titanio, ferro, platino e iridio, minerali che tipicamente compongono gli asteroidi.

Per produrre le microsfere di vetro che contengano quei materiali, sono necessarie temperature superiori ai 2200 °C. Per fare dei paragoni, possiamo ricordare che l’acciaio fonde tra 1.300 °C e 1.500 °C. Il titanio fonde a circa 1.700 °C. Per capire a che temperature si formano queste microsfere, James Kennett, professore emerito di geologia all’Università di Santa Barbara, in California, ha detto: “Una temperatura così elevata scioglierebbe completamente un’automobile in meno di un minuto”. Nessun tipo di reazione “naturale”, sia chimica che d’altro genere, che si potrebbe sviluppare sulla Terra in maniera spontanea, raggiungerebbe quelle temperature. Secondo gli studiosi, l’unico evento che può generare qualcosa di simile sulla Terra è un “impatto cosmico”. Un oggetto celeste deve aver colpito le vicinanze di Abu Hureyra, disintegrando qualsiasi cosa abbia trovato sul suo cammino. Probabilmente non si è creato un cratere perché la cometa, o i suoi detriti, si sono disintegrati nell’atmosfera.

Secondo gli studiosi, le tracce più evidenti del bombardamento di comete a livello globale consistono proprio nel ritrovamento di un numero enorme di queste microsfere di vetro, unite ad una quantità di platino molto oltre la norma. Secondo la rivista Nature, probabilmente questi impatti sono derivati da una serie di comete che hanno colpito la Terra in un breve periodo di tempo. Queste comete, che sono sostanzialmente composte di ghiaccio e di roccia, quando si avvicinano troppo al Sole, e quindi nelle vicinanze della Terra, sono portate a rompersi in migliaia di frammenti del diametro compreso tra i 10 e i 1000 metri. A causa della enorme velocità a cui viaggiano, ciascuno di questi frammenti è in grado di produrre esplosioni catastrofiche. Sono stati quindi questi frammenti di cometa a colpire la Terra, e a provocare come effetto collaterale lo Younger Dryas, una breve ma intensa era glaciale “supplementare”.

La rivista dice testualmente: “Si ritiene che i più grandi ammassi di detriti cometari siano in grado di provocare migliaia di esplosioni aeree nell'arco di pochi minuti in un intero Emisfero Terrestre. Uno scontro [della Terra] con un tale ammasso di detriti largo un milione di chilometri sarebbe migliaia di volte più probabile di una collisione con una cometa larga 100 km o di un asteroide di 10 chilometri”. Secondo la rivista Science, l’impatto ad Abu Hureyra è stato solo uno dei numerosissimi impatti verificatisi in un breve periodo di tempo, in un raggio di oltre 14.000 km negli emisferi Nord e Sud della Terra.

Può accadere ancora?

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L’articolo continua sul libro:
HOMO RELOADED – 75.000 ANNI DI STORIA NASCOSTA

Spazio Oggetti misteriosi nello spazio: alcuni astronomi ipotizzano possano essere "sfere di Dyson".

 

Gli astronomi analizzano 7 potenziali "sfere di Dyson": si tratta di strutture (ipotetiche) che sarebbero state create da intelligenze extraterrestri per catturare l'energia di una stella...


Le strade della ricerca di vita extraterrestre intelligente sono infinite. Una di queste è quella che porta gli astronomi a caccia di "tecnofirme", ossia testimonianze tecnologiche di alieni. Tra queste, ultimamente, suscita molto interesse nella comunità scientifica la ricerca delle cosiddette "sfere di Dyson".

COSA SONO? Si tratta di strutture tecnologiche (ipotetiche) che solo una civiltà altamente avanzata potrebbe realizzare. E per civiltà "avanzata" intendiamo una collettività che abbia un'abilità tecnologica quasi inimmaginabile rispetto alla nostra, così sofisticata da costruire una struttura di dimensioni tali da circondare un'intera stella allo scopo di catturarne l'energia. La nostra civiltà, pur concependole, non è in grado di produrle. Solo civiltà di Livello II nella scala Kardashev, che va da I a III, sono in grado di raggiungere una sviluppo tecnologico di questa portata.

DATI ASTRONOMICI. Un gruppo di ricercatori proveniente da Svezia, India, Regno Unito e Stati Uniti ha sviluppato un modo per cercare le Sfere di Dyson nel contesto del Progetto Hephaistos (Efesto era il dio greco del fuoco e della metallurgia). Recentemente sono stati pubblicati i primi risultati della ricerca su Monthly Notices of the Royal Academy of Sciences.«In questo studio», spiega Matías Suazo, del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell'Università di Uppsala in Svezia, «presentiamo una ricerca delle sfere di Dyson analizzando le osservazioni ottiche e a infrarossi di Gaia, 2MASS e WISE». Si tratta di telescopi lanciati per altri motivi (essenzialmente astronomici) i cui dati sono stati analizzati anche nell'ottica della ricerca delle Sfere di Dyson.


IL METODO. Suazo ha preso in considerazione circa 5 milioni di sorgenti rilevate da questi telescopi per costruire un catalogo delle potenziali "sfere". Quello che cercano di intercettare Suazo e il suo team sono emissioni nel medio infrarosso, emesse dalle strutture stesse, che si riscaldano per il calore della stella ed emettono energia verso il pianeta della civiltà in questione.


MARGINE DI ERRORE. Il problema è che non sono gli unici oggetti a emettere queste radiazioni, per esempio anche gli anelli di polvere circumstellari e le nebulose lo fanno. Anche galassie lontanissime possono emettere radiazioni infrarosse in eccesso e creare falsi positivi. «Per evitare d'incorrere in errori è stata sviluppata una metodologia concentrata sul rilevamento di fonti che mostrano eccessi infrarossi anomali, non attribuibili ad alcuna fonte naturale nota», spiegano i ricercatori.


UN LUNGO ITER. Questo passaggio, però, è solo il primo di una serie: le potenziali Sfere di Dyson che si trovano da questa prima scrematura sono sottoposte a ulteriori processi per verificare che non siano strutture naturali.

Nell'ultimo tornata sono rimaste 368 fonti, di cui, 328 sono state eliminate perché non rispondono a tutti i requisiti, 29 sono risultate irregolari e 4 come "nebulose". Rimangono così, solo sette potenziali sfere di Dyson su circa 5 milioni di oggetti iniziali.


LE "CANDIDATE" FINALI. Tra le sette candidate più plausibili, però, potrebbero esserci altri motivi per cui queste emettono infrarossi in eccesso. «La presenza di dischi di detriti caldi, per esempio, che circondano le nostre stelle candidate rimane una spiegazione valida per l'eccesso di infrarossi che si registrano», spiega lo scienziato.

Il dato positivo è che le stelle indicate sembrano essere stelle di tipo M (nane rosse) e i dischi di detriti attorno alle nane M sono molto rari, anche se un tipo di disco di detriti chiamato Extreme Debris Disks (EDD) potrebbe spiegare parte della luminosità che il team vede intorno a esse. A questo punto il gruppo di Suazo sostiene che per avere un'ulteriore conferma sono necessarie altre ricerche, come un'analisi delle emissioni di H-alfa, che potrebbe meglio spiegare le caratteristiche della stella in questione, scartando o avvalorando l'ipotesi che si tratti di una Sfera di Dyson.


https://www.focus.it/scienza/spazio/oggetti-misteriosi-nello-spazio-potrebbero-essere-sfere-di-dyson-giganti

mercoledì 22 maggio 2024

Nella via Lattea c'è un enorme buco nero, di cui ora sappiamo tutto.

 

Ci sono campi magnetici assurdi intorno a questi oggetti.

"Quello che stiamo vedendo ora è che ci sono campi magnetici forti, contorti e organizzati vicino al buco nero al centro della Via Lattea", ha detto l'astrofisica Sara Issaoun dell'Harvard & Smithsonian Center for Astrofisica. Questo ora lo sappiamo grazie a delle immagini incredibili dell'Event Horizon Telescope (EHT) che lavora da anni per raccogliere i dati da elaborare in immagini dei buchi neri Sagittarius A* e M87*.

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EHT Collaboration

Il campo magnetico del "nostro" buco nero.

"Oltre al fatto che Sgr A* ha una struttura di polarizzazione sorprendentemente simile a quella vista nel buco nero M87*, molto più grande e potente, abbiamo imparato che campi magnetici forti e ordinati sono fondamentali per il modo in cui i buchi neri interagiscono con il gas e la materia circostante", ha aggiunto Issaoun.

Il passo successivo è interpretare i dati per capire come funzionano i buchi neri supermassicci. Un modo per farlo è osservare il modo in cui le oscillazioni della luce sono orientate, o polarizzate, dall’ambiente del buco nero. Gli elettroni che vengono accelerati lungo potenti linee del campo magnetico emettono luce nota come radiazione di sincrotrone. La lettura della polarizzazione di questo spettro luminoso rivela la forza e l'orientamento delle linee del campo magnetico.

"Con un campione di due buchi neri - con masse molto diverse e galassie ospiti molto diverse - è importante determinare su cosa sono d'accordo e su cosa non sono d'accordo", afferma la fisica Mariafelicia De Laurentis dell'Università di Napoli Federico II in Italia.

"Poiché entrambi ci indirizzano verso forti campi magnetici, ciò suggerisce che questa potrebbe essere una caratteristica universale e forse fondamentale di questo tipo di sistemi. Una delle somiglianze tra questi due buchi neri potrebbe essere un getto, ma mentre abbiamo immaginato un uno molto evidente in M87*, dobbiamo ancora trovarne uno in Sgr A*."


https://www.esquire.com/it/lifestyle/tecnologia/a60508365/mistero-buco-nero/

martedì 21 maggio 2024

Tempio Kailasa, Ellora, India

 

Numero di architettura storica
L'inspiegabile tempio di Kailasa: una costruzione ricavata da un'unica roccia

L'India è una terra di misteri, e uno dei suoi grandi enigmi è il tempio Kailasa, situato nella città di Ellora, nella provincia del Maharashtra. Il tempio sorge un imponente 30 metri di altezza, 33 metri di larghezza e 53 metri di profondità, ma la cosa più impressionante è che sia stato ricavato da un'unica roccia.

Si stima che il tempio Kailasa, dedicato al dio Shiva, sia stato costruito intorno al 300 a.C., richiedendo la rimozione di oltre 3mila tonnellate di roccia. Secondo la leggenda, un re indù commissionò il tempio dopo aver pregato Shiva per salvare sua moglie dalla malattia. Gli storici indiani suggeriscono che il tempio sia stato costruito in soli 18 anni, utilizzando solo strumenti di base come martelli e scalpelli. Se fosse vero, questo significherebbe che sono state rimosse 5 tonnellate di roccia al giorno, impresa notevole anche per gli standard odierni con le tecnologie più avanzate.

Il tempio è venerato come la più grande opera d'arte monolitica a livello mondiale, perfettamente allineata con i quattro punti cardinali. Tuttavia, custodisce molti segreti. Gli archeologi stimano che ci siano oltre 30 milioni di incisioni sanscrito ancora da tradurre. Se gli esperti riuscissero a decifrare i significati nascosti all'interno della lingua, il Tempio Kailasa diventerebbe uno dei più preziosi artefatti storici sulla Terra. 

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domenica 19 maggio 2024

La portulaca. Wikipedia

La portulaca (Portulaca oleracea L.), detta anche porcellana[2] o porcacchia,[3] o erba fratesca, è una 
pianta appartenente alla famiglia Portulacaceae[4]. Commestibile, viene usata in cucina fin dall'antichità.

Descrizione

In estate sbocciano piccoli fiori gialli che si aprono solo quando c'è il sole per poi chiudersi di notte, seguiti da moltissimi semi. Ha foglie e fusti carnosi. I fiori sono bottinati dalle api, le quali raccolgono discrete quantità di nettare e polline. La portulaca è una erbacea annuale, raccolta perché commestibile e contenente molto omega-3 e vitamine A e C.

Distribuzione e habitat

Di probabili origini asiatiche, nella medicina dell'antico Egitto era utilizzata come erba medicinale, mentre era coltivata durante il Medioevo nei Paesi Arabi e nel Bacino del Mediterraneo, soprattutto in Spagna. In Arabia SauditaEmirati Arabi e Yemen, sono coltivate diverse varietà di portulaca della sottospecie sativa.

La portulaca è un'erba molto comune in orti e campi, alcuni la considerano infestante, ma oltre a queste zone è raramente presente, cioè dove non vien lavorato il terreno, perché cresce solo in suoli sciolti e permeabili.

Denominazione

È nota nelle diverse regioni con diversa denominazione: in italiano come porcellana, procaccia, purselana (Liguria)[5], erba grassa (Lombardia)[5], barzellana (Sardegna)[5], purcacchia o purcacc (Lazio), procacchia (Umbria), porcacchia (Marche), precacchia (Abruzzo[5]), perchiacchia o purcuacchia (Molise)[5], porcacchia o perchiacca (Basilicata)[5], pucchiacchèlla, purchiacchèlla, chiaccunella[5] (Campania) o picchiacchella (in alcune zone del Sannio viene chiamata, eufemisticamente, erba vasciulella per evitare il diretto riferimento dialettale alla pucchiacca, l'organo genitale femminile in napoletano), perchiazza, sportellecchia (Toscana)[5], andraca, purchiacca, purchiazzë, grassulida (Calabria)[5], purciaca, purciddana o pucciddana (Sicilia)[5], perchiazza o spurchiazza (Puglia), prugghiazza (Brindisi), prichiazzo (Bisceglie), prechiazze[6] (Taranto) e precchiacche[7][8] (Foggia), mbrucacchia, brucacchia o purbacchia (Salento). In inglese come purslane, purslave, pursley, pusley; in spagnolo e catalano come verdolaga, verdalaga, buglosa, hierba grasa, porcelana, tarfela, peplide (Spagna), colchón de niño (Salvador), flor de las once (Colombia), flor de un día, lega (Argentina); in portoghese e galiziano come beldroega, bredo-femea, baldroaga; in basco come ketozki, ketorki, getozca; in francese come pourpier, portulache; in còrso come erba fratesca; in curdo come par-par; in cinese come ma-chi-xian[9].

Usi

Uso alimentare e culinario

Raccolta allo stato spontaneo, o talvolta coltivata, viene consumata da tempi remoti come erba aromatica nelle regioni mediterranee[10]. La cultura medievale attribuiva alla pianta un valore apotropaico, il potere di tenere lontani gli spiriti maligni[10]. Se ne riporta l'uso culinario alla corte di Luigi XIV, il Re Sole, ma nel tempo l'ingrediente è caduto nel dimenticatoio, prima di una nuova riscoperta nel tempo[10]. Negli Emirati Arabi la varietà coltivata è reperibile in molti negozi di ortaggi per essere utilizzata come insalata. Nelle regioni dell'Italia meridionale la portulaca, raccolta negli orti come spontanea, veniva venduta alla rinfusa da ambulanti durante gli anni 1950 – 1960.

Sono di interesse alimentare e culinario i germogli e le foglie crude, carnosette e dal sapore acidulo, da consumarsi in insalate[5][10], alle quali conferiscono (in modo simile alla rucola) un superiore mordente[10]. Sono utilizzate anche per preparare minestre[5] saporite e rinfrescanti e si possono conservare sottaceto. Entrano anche come ingredienti di frittate e ripieni[5].

Cucina regionale italiana

Nella cucina napoletana era un tempo raccolta insieme alla rucola da piante che crescevano spontaneamente, e venduta da ortolani ambulanti. Rucola e pucchiacchella costituivano un binomio quasi inscindibile tra gli ingredienti dell'insalata.

Nella cucina toscana, la portulaca viene utilizzata per fare un tipico piatto povero estivo, la panzanella.

Nella cucina romana la portulaca, o porcacchia, appartiene a quel misto di varie verdure, domestiche e selvatiche, che sono consumate crude in insalata sotto il nome di misticanza o insalata di mescolanza. Anticamente questa misticanza la portavano a casa i frati passando a chiedere l'obolo alle famiglie: in Corsica, la portulaca viene tuttora chiamata “erba fratesca”.

Nella cucina siciliana, 'a purciddana è usata per la preparazione di insalate, come l'Insalata ferragostana con pomodori, cetrioli, cipolle stemperate in olio, aceto e sale; oppure nell'insalata con verdure lesse, dove le foglie e i giovani germogli sono usati con patate bollite e cipolle al forno. Altro uso è quello di preparare piccola frittelle di Purciddana, in cui le cime della pianta - intinte in una pastella di acqua e farina - sono fritte singolarmente in olio ben caldo e poi servite come stuzzichini o antipasti.

Nella cucina pugliese, in particolare nella tradizione contadina di Bisceglie, viene usata come insalata insieme ai pomodorini tipici, condita con olio e aceto, talvolta per accompagnare il pane raffermo bagnato chiamato cialda o cialdella (cialdidde).

Uso interno

La portulaca è un'erba officinale e un'erba medicinale. Al consumo della portulaca sono ascritte proprietà depurative, dissetanti[5] e diuretiche[5][10] e antidiabetiche[10].

Viene consigliata per curare diarrea, vomito, enterite acuta, emorroidi ed emorragie post partum.

Negli anni, sono state scoperte notevoli proprietà nutritive e medicinali: è una fonte vegetale di acidi grassi polinsaturi del tipo omega-3[10] (che svolgono un ruolo nella prevenzione delle malattie cardiovascolari) di cui contiene modeste quantità, e di acido α-linolenico; possiede un elevato contenuto di proteina cruda e di polisaccaridi idrosolubili, una buona tolleranza alla salinità e una discreta capacità di accumulo di metalli pesanti.

Uso esterno

Un impacco di foglie è usato in caso di foruncoli, punture d’api ed eczema.[11]


https://it.wikipedia.org/wiki/Portulaca_oleracea

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